PROLOGO
Sto per
affrontare una delle
esperienze più sconvolgenti nella vita di un essere umano e
credo che sia
giunto il momento di raccontarvi gli eventi che ci hanno condotto fino
qui e di
farlo dal mio personalissimo punto di vista, considerato che io ne sono
uno dei
protagonisti principali.
Oh, scusate la
maleducazione, non
mi sono ancora presentato, ma rimedio subito.
Sono il cuore di
Katherine
Houghton Beckett.
Non pensiate che
il mio sia un
ruolo semplice, tutt’altro. Per il lavoro che fa, nelle vene
di Kate scorre
spesso una quantità notevole di adrenalina, che costringe
tutto il sistema
cardiovascolare a un super lavoro. Tachicardia, infatti, è
il mio secondo nome.
Senza considerare che il detective Beckett si è beccata un
proiettile in pieno
petto, che è arrivato a un tanto così da me. E
nonostante io abbia combattuto
con tutte le mie forze, sono dovuto soccombere alla gravità
della situazione e
ho smesso di battere.
Fortunatamente i
medici
dell’ospedale sono riusciti a farmi ripartire.
Mi hanno ripreso
per i capelli.
Oh, ok, lo so,
un cuore non ha i
capelli, ma spero che mi perdonerete se userò un linguaggio
metaforico. Del
resto, tecnicamente, un cuore non ha né voce né
la capacità di scrivere, eppure
voi mi state leggendo ed ascoltando, quindi confido nella vostra
apertura
mentale.
Dicevo che i
medici sono riusciti
a ripristinare il mio battito.
Un miracolo.
Le loro mani
erano guidate da un
angelo, su questo non ho dubbi. Ho la ferma convinzione che un angelo
vegli su
Kate (e su di me) da molto tempo. E quell’angelo risponde al
nome di Johanna
Beckett.
Sapete, quando
Johanna se n’è
andata, il dolore è stato così forte che Kate ha
trovato un unico modo per
difendersi.
Si è
affidata all’inquilino dell’ultimo
piano, quello che sta all’attico.
No, non mi
riferisco a Richard
Castle (magari… ma di lui vi racconterò
più avanti).
Intendo il
cervello.
E
così il raziocinio ha preso il
sopravvento e ha costruito intorno a me un muro tanto alto e spesso
che, al
confronto, la muraglia cinese è un marciapiede, anzi, una
siepe, e pure un po’ spelacchiata.
Credetemi, la
capisco, povera
Kate.
Doveva trovare
il modo per
difendere sé stessa e me da un dolore così forte
che nemmeno l’impatto con il proiettile
è riuscito a superare. Avevamo entrambi bisogno di tempo
affinché quella ferita
smettesse di sanguinare copiosamente e si rimarginasse. Per questa
ragione ha
tirato su una fortezza inespugnabile, pietra su pietra, mattone dopo
mattone. Un
sistema difensivo che potrebbe gareggiare con Fort Knox, senza ombra di
dubbio.
Oh, ha lasciato qualche feritoia in quel muro, delle aperture strette e
anguste, ma grazie a loro piano piano si sono fatti strada dei rapporti
di
amicizia solidi: quello che ci lega a Lanie, Javier e Ryan, per
esempio. Oltre
all’amore sconfinato che proviamo per papà Jim.
Finché
non è arrivato lui, l’inquilino
del loft.
E sì,
ora mi riferisco proprio
allo scrittore.
Da quando lui
è entrato nella vita
di Kate, le mie giornate sono state una continua battaglia con il
cervello. Mi
pare di essere costantemente in trincea, con tanto di elmetto di
metallo ben
calcato sulla testa. Se il detective Beckett combatte ogni giorno
contro i
criminali, io lo faccio contro il raziocinio.
E’
stata una lotta durissima,
credetemi. Sfiancante. E a volte continua ad esserlo tuttora, dopo
tanto tempo.
Ma ritengo di
aver riportato
diverse vittorie importanti. Vedete, Katherine è una delle
migliori detective
del NYPD non solo perché è una donna estremamente
intelligente – glielo devo
proprio riconoscere, l’inquilino dell’ultimo piano
funziona davvero bene – ma
soprattutto perché ci sono io. Senza falsa modestia.
E’ grazie a me, ovvero al
suo gran cuore, che riesce a dimostrare una profonda empatia nei
confronti dei
familiari delle vittime e quindi a portare loro un minimo di conforto,
oltre
che impegnarsi fino in fondo per trovare giustizia per chi non
c’è più e per
chi è sopravvissuto. Lo fa perché sa bene cosa
vuol dire trovarsi nella loro
situazione, purtroppo.
Se avrete voglia
di seguirmi in
questo breve viaggio nel tempo, vi racconterò gli ultimi sei
anni dalla mia
personalissima prospettiva: il punto di vista del cuore di Kate.
Nota
dell’autrice
L’idea
di questa storia ha cominciato a gironzolarmi nella testa mesi fa
mentre ero impegnata con la mia seconda FF di JAG. Ne ho parlato con il
mio
angelo custode e lei ne è stata subito entusiasta, tanto da
regalarmi questo
fantastico banner (è una persona meravigliosa, vero? *___*).
Ho cominciato a scrivere,
poi però sono stata “rapita” da
thatswhatfriendsarefor e così è rimasta
lì,
parcheggiata in una cartella del mio computer.
Ora
che l’OCD in qualche modo è… sotto
controllo (nel senso che la
stesura è completa, non che la psicosi sia passata,
né alla sottoscritta né
alla squilibrata dell’omonima storia), ve la propongo.
Spero
che sia di vostro gradimento. Intanto vi ringrazio per avermi
dedicato il vostro tempo ed essere arrivati fino qui.
Un
abbraccio,
Deb