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Autore: blackswam    26/07/2014    3 recensioni
Violetta ha perso i propri genitori da quando aveva sette anni e settimane più avanti fu portata da una casa-famiglia facendo conoscenza di altre persone, e fratelli.
Con il tempo la bambina cresce diventando una donna. Una bella donna, ma influenzata dalle amicizie che conosce si ritroverà a cambiare radicalmente il proprio carattere.
Un giorno si ritroverà catapultata in un altra dimensione cosa succederà?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Nuovo personaggio, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Image and video hosting by TinyPicNota autrice: E' finita e non riesco a credere di averlo terminato in soli due giorni. Brava me, allora. ° sorride raggiante° Prima, però, voglio ringraziare le meraviglie che hanno seguito questa fiction, coloro che mi riempiono di complimenti e mi danno un motivo per scrivere. Non sapendo, però, che anche loro hanno del talento. Io mi baso a scrivere su ciò che penso, facendo errori dietro l'altro, ma nonostante tutto voi mi seguite e leggete con curiosità, non sapete la mia soddisfazione. Il finale è un lieto fine, come sempre. Ho cercato di non allungarla molto, altrimenti sarebbe diventata una storia in piena regola e voi avreste anche potuto stancarvi nella lettura. La storia sembra che vi sia piaciuta, come anche il primo capitolo, adesso vedremo se anche il secondo e nonché l'ultimo riesca ad incantarvi.
Buona lettura!




Leonetta- Un' altra dimensione: Dove sono finita?

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« Buonasera, vorrei sapere se qui abita la signorina Camilla Torres.», chiede la mora sporgendosi verso lo sportello di vetro dove dentro presiedeva il custode seduto sulla poltrona girevole.
Stava bevendo il tè, con i piedi appoggiati sulla scrivania, parlando al telefono dal quale la mora presumeva fosse qualcuno della sua famiglia. Il vecchio, massaggia frettoloso la sua lunga barba bianca - che lo faceva assomigliare a mago Merlino- e dopo aver riattaccato dedica la sua attenzione alla donna che aspettava spazientita battendo il piede sul pavimento.
« Chi desidera saperlo?», domanda lui severo perdendo il sorriso dolce che aveva poco fa. « Violetta Castillo.», rivela tranquilla la mora.
« Mi spiace, ma la signorina Torres non abita più qui da parecchi anni.», afferma l'uomo sistemando le carte in un cassetto. « Come sarebbe a dire? Dove potrei trovarla sa per caso dove abita?», domanda furiosa la mora.
L'anziano porta le mani incrociate davanti al viso guardando la mora con sguardo truce e indifferente. Del tipo: Non ho tempo da perdere con te, sparisci!
« Fare il custode deve essere un lavoro parecchio noioso.», sostiene la mora dentro i suoi pensieri notando le mani dell'uomo consumate, ruvide e sottili. Le unghie era rovinate per il troppo mangiucchiare, si vedeva che la noia l'aveva stremato.
« Non so. Ricordo soltanto che dopo la tragedia una donna, con i servizi sociali, vennero a prendere la bambina.», prosegue il custode mettendo in azione il cervello collegandosi alla memoria arrugginita. « Tragedia?»
« Si, la famiglia Torres fu soggetta ad un tragico incidente d'auto tredici anni fa. », annuisce il vecchio per confermare i suoi stessi ricordi. « Incidente d'auto, ma come? Mi scusi, un ultima cosa, per casa ricorda il nome della donna che era venuta a prendere la bambina?»
« Carmela.», sussurra al vento visto perchè la mora non lo stava più ascoltando.



Era impossibile non ricordarsi di un luogo nel quale aveva vissuto per tanti anni. Violetta rigirava le strade di Buenos Aires senza una metà precisa vagando chissà dove alla ricerca di chissà che cosa. Cercava di non sestare sospetti, di sembrare naturale salutando ogni tanto qualcuno che conosceva. Stanca e affamata si siede su una panchina affondando i suoi dispiaceri nell'hamburger soffermandosi a pensare agli ultimi avvenimenti.
' D'improvviso si era ritrovata con due genitori, sani e freschi, ignari di quello che era accaduto davvero. La sua migliore amica, adesso, stava patendo le sue stesse sofferenze vivendo in quella che un tempo era la sua famiglia.'
« E' tutto così strano.», sospira masticando sconsolata il pezzo di carne. « Cosa è strano?», domanda una voce familiare dietro le sue spalle.
« Leon?», urla sorpresa la mora soprattutto quando rimase ad osservare il moro, dietro le sue spalle, sporgersi verso di lei e attentare il suo panino. « E allora questa tazza di tè?»
Violetta era ormai stufa di restare sola a rimuginare nel passato. Stufa di dover parlare con se stessa, di non avere un confidente con cui sfogarsi, magari si sarebbe comprata un manichino.
Sarebbe stato meglio di niente, no?
E' così che adesso si ritrovava seduta li, sulla sedia del bar, con il ragazzo dai occhi verdi più belli che si fossero visto sulla faccia della terra che sorseggiava candidamente il suo tè.
« Mmh, allora? Non hai risposto alla mia domanda.», afferma lui risvegliandola dai suoi pensieri. « Eh, cosa?»
Il moro non smise di guardarla rimanendo zitto aspettando una spiegazione da parte sua. Violetta però sapeva che non poteva rivelargli la verità altrimenti si sarebbe trovata la polizia dietro al collo.
« Ti interessa?», chiede girando la zolletta dello zucchero sul suo caffè diventato freddo. « Non dovrebbe?», alza il sopracciglio il moro ridendo scherzoso.
« Sei bravo a rispondere a una domanda con un altra domanda. Ti viene naturale oppure lo fai apposta?», domanda con lo stesso tono Violetta. « Quanti anni hai?», tagliò corto il moro.
« Venti. Non disturbati a rivelarmi la tua. Costatando la tua curiosità dovresti essere sulla sessantina, giusto?», chiede divertita la mora con il semplice intento di provocarlo. « Ah si, ti sembro un anziano?»
« Bhè... », dice la bionda sporgendosi verso di lui toccando i suoi capelli. « I capelli bianchi c'è l'hai. », ammise la mora sorridendo.
Il moro divertito anch'esso si sbottona la camicia sotto lo sguardo imbarazzato della ragazza sentendo lo sguardo dei presenti puntati su di loro. Cerca di nasconder il suo viso sul menù, sgattagliolando sotto il tavolino scivolando dalla sedia.
« Ti sembra il corpo di un vecchio decrepito?», domanda portandosi la mano calda della mora sul petto nudo. « No.», ammette rossa in volto nascondendosi nuovamente sul quel pezzo di carta.
Rimasero in silenzio per parecchio tempo godendosi dell'aria che accarezzava i loro capelli e ascoltando le chiacchiere degli impiccioni alle loro spalle.
« Ventitré.», dice Leon lasciando sorpresa Violetta. « Non che mi importasse saperlo.», dice la mora sorridendo internamente bevendo il suo caffè.



Il parco di Buenos Aires era sempre famoso per la sua bellezza incorniciata dalle persone che vi ci abitavano e che si radunavano lì per rilassarsi e passare il tempo. Al centro del parecchetto c'era un piccolo parco-giochi che i bambini usavano come semplice hobby per divertirsi. La mora, trascinata dai numerosi ricordi che affollavano la sua mente, come ipnotizzata si siede sull'altalena stringendo le catene con forza guardandosi il panorama davanti a se. Leon- che non l'aveva lasciata un attimo sola- era seduto accanto a lei condividendone i ricordi e le emozioni.
« Perchè quel tono triste, brutti ricordi? Forse qualche bambino brutto ti ha rubato la bambola? Oppure ti ha tirato le treccine?», chiede scherzoso. « Idiota!», esclama dandogli un leggero pugno sulla spalla.
« Ahi!», strilla il moro portandosi la mano sulle spalle fingendo di accarezzarla per alleviare il dolore. « Oltre che brutta, brontolona sei anche manesca. Un vero maschiaccio.», osserva con tono scherzoso. « Tu, sempre fragile come un vecchiarello. Scommetto che in un combattimento corpo a corpo vincerei senza problemi. »
« Ma in questo mado dimostri di essere un maschiaccio, maschiaccio.», sottolinea provocandola. « Tze, parla per te vecchio!»
« Però è sorprendente come una magrolina come te possa aver così tanta forza.», ricordandosi il pugno di pochi minuti fa. « Sei tu che sei troppo deboluccio.», alza le spalle noncurante.
« E tu?», chiede d'improvviso la mora. « Cosa?», domanda curioso Leon.
« Veniva qui da piccolo?», dice Violetta voltando la testa verso di lui. « Si, per un certo periodo.», risponde affranto.
Il suo tono non ammetteva nessuna domanda. Sembrava una storia dolente che non poteva essere ripresa tanto facilmente senza piagnistei- da parte sua- e senza visi addolorati. Sorride amara verso il ragazzo stringendo le catene continuando a dondolarsi.
« Hai fratelli oppure sorelle?», chiede lui. « Vuoi sapere i fatti della mia vita?», ride Violetta.
« Eddai voglio solo conversare.», sospira Leon imbronciato. « No, sono figlia unica.», se almeno Sophie, Matias, Lucas e Marie possono definirsi tali.
Non in questo mondo però.
« Posso capirti.», ammette lui sorridendo smettendo di dondolarsi seguito a ruota dalla mora.
Verde con il marrone. Scontro infuocato e avvincente.
Lentamente i loro visi, come marionette, si avvicinavano azzerando la loro distanza che diventava sempre più vicina cozzando le loro labbra.
« Vuoi baciarmi?», domanda lei scherzosa. « Forse e tu?», sussurra sulle sue labbra. « Forse... », ammise la mora con il suo stesso tono.
Lentamente le labbra si incontrano, quasi si strofinano pronti per unirsi in un unico bacio.
« Camilla! Muoviti oppure facciamo tardi.», urla una voce a poca distanza dai due giovani.
La mora dalla sorpresa spinge il ragazzo che cade dietro la sella che impreca massaggiandosi la testa. Violetta dopo essersi scusata corre verso la direzione delle due ragazze correndo a passo veloce non ascoltando le grida del ragazzo alle sue spalle che correva verso la sua direzione.



Dopo aver pedinato le due ragazze era arrivata alla conclusione che era stata la sorella peggiore del mondo. Camilla era splendida, con i suoi capelli rossi, e al suo fianco Marie sorrideva raggiante trascinandola da un negozio all'altro. Quella stessa Marie di cui aveva perso i contatti.
« Perché stiamo pedinando queste due ragazze?», domanda Leon curioso. « Shh, ti farai sentire e abbassati.», e lo tira per la manica facendolo sedere accanto a se dietro al cespuglio.
« Ti hanno fatto qualcosa ti male e ti vuoi vendicare? Oppure due tue amiche alle prese con un appuntamento?», chiese il moro. « Nessuna delle due. Credo che nemmeno mi conoscano.», rivela tirando il ragazzo per la manica.
« Si stanno spostando vieni seguiamole.», dice dirigendosi verso un locale dove le ragazze si erano sedute per bere un frullato. « Bene, così non dovrebbero scoprirci.», dice la mora aggiustandosi il giubbotto marrone sul collo, mettendosi gli occhiali da sole e coprendosi con il menù.
« Perché questo travestimento?», prova a chiedere Leon travestito più o meno allo stesso modo. « Rende tutto più eccitante.», ammise allegra.
Le pedinarono tutto il giorno osservando i loro visi allegri, come conservavano con complicità non curandosi della sua presenza. Non aveva mai avuto questo rapporto con entrambe.
« Cosa ho sbagliato?», si chiede internamente. Togliendosi gli occhiali vede da lontano Sophie e Matias rispettivamente diciassette e sedici anni. Erano cresciuti e lei non era stata molto al lungo per contemplare la loro crescita.
Aveva avuto la sua occasione di avere dei fratelli e l'aveva persa. Non appena questo sogno finirà lei tornerà alla sua sgradevole vita, sola, rimpiangendo il suo sbaglio finchè ha vita.
« Leon, andiamo a casa.», sospira amareggiata seguita dal ragazzo che prese ad accarezzagli il braccio. Con le mente all'aria camminava senza mente in azione le gambe che si muovevano da sole. Immersa nei suoi pensieri non si rende conto di aver sbattuto la faccia sul petto di qualcuno.
« Mi scusi. », dice la mora dispiaciuta trovandosi davanti una donna dai lunghi capelli rossi. « No, tranquilla.»
« Camilla?», pronuncia senza pensarci la mora. « Scusa ci conosciamo?»
Niente incidente, niente migliore amica.
Niente incidente, niente fratelli.
« No, mi sarò sbagliato.», dice correndo rifugiandosi sotto un balcone. « Certo che quando corri sei veloce.», osserva Leon con l'affanno e i capelli bagnati visto perché aveva preso a piovere.
Rimasero li, fermi, con la schiena rivolta al muro rifugiandosi dalla pioggia. La mora quasi dimenticava la presenza del ragazzo che non l'aveva lasciata per tutto il pomeriggio. L'aveva trascinato in ogni dove, comandandola a bacchetta e travestendolo con strani costumi.
« Perchè?», incomincia Violetta. « Perchè sei rimasto con me tutto il tempo?», chiede stanca e sbalordita la mora.
« Perchè sei interessante. Perchè con te mi diverto perchè...», fa un momento di paura fissandola dritto nei occhi. « con te riesco ad essere me stesso.», sospira.
« Grazie per essere rimasto con me.», ammette Violetta. « E' stato un piacere.»



« E' così tu vieni da un' altra dimensione?», urla quasi Leon sbalordito. «Shh, non urlare oppure ti prendono per uno psicopatico.», gli tappa la bocca Violetta.
« E allora tu sei una psicopatica?», domanda scherzoso portandosi il palmo della mano sul mento sorridendo. « Certo che no.», arrossisce la mora.
« Quello che ho detto è la pura verità. Non so se sia un sogno, o un incubo, ma non appartengo a questo posto. », spiega a parole sue la mora.
« Aspetta, aspetta ricapitoliamo. I tuoi genitori sono morti, ma adesso inaspettatamente sono resuscitati. La tua migliore amica, non ti riconosce ed gli è stato dato il tuo destino.», la ragazza annuisce. « Da non crederci.», però in qualche modo aveva fiducia nelle sue parole e cercava di aiutarla e confortarla.
« Voglio tornare nel mio mondo, voglio risistemare tutto con la mia famiglia. Leon ho fatto molti sbagli e devo rimediare.», confessa Violetta. « Ti aiuterò. », afferma deciso il moro anche se a malincuore perchè così facendo non l'avrebbe rivista più.
Restarono rinchiusi nella camera della ragazza per parecchie ore cercando in modo di far tornare quest'ultima nella sua dimensione. Leon era seduto sulla sedia a gambe incrociate, una matita sulle labbra e un foglio tra le mani. Violetta era stesa sul letto, stringe sul petto il suo cuscino a forma di cuore e attendeva il responso da parte del ragazzo.
« Non ne ho idea.», ammise il moro sconsolato lasciandosi cadere meglio sulla poltrona. « Ci deve essere qualcosa che ti ha spinto fin qui in questo mondo. Una botta in testa, magari.», la ragazza a quella informazione sobbalza.
« Una botta in testa, ma certo.», strilla contenta. « Magari sbattendo la testa contro il muro potrò ritornare nel mio mondo.»
« Potrebbe funzionare, ma non farti molto male.», le dice con fare preoccupato portandosi un dito sulle labbra. La ragazza annuisce pronta a dirigersi verso il muro.
Risultato? Un forte mal di testa.
« Botta in testa, fallito. », scrive Leon sul quel suo - stupido a detta di Violetta- foglio bianco.
La signora Castillo bussa alla porta entrando nella stanza con dei deliziosi biscottini caldi.
« I tuoi genitori, certo.», sorride soddisfatta il moro. « Cosa?»
« Loro sono la chiave che ti hanno portato qui. La voglia di rivederli, il dolore era troppo forte e in un lasso di tempo molto breve i due tipi di dolori: fisici e mentali si sono uniti in un tutt'uno trasportandoti in un mondo che tu stessa hai creato. Violetta sei tu a manovrare tutti noi.», dice Leon sicuro delle sue parole.
« Stai dicendo che posso tornare a casa? Basta soltanto che lo voglia?», il ragazzo annuisce. « Esatto. La voglio di tornare deve essere così potente da superare il tuo dolore.»
« Leon, grazie.», sorride sincera la mora. « Lo sai che farei di tutto per te.»



« Mamma, papà?», li richiama la ragazza. « Si, tesoro?»
« Sappiate che vi vorrò sempre bene e dovunque io sia non vi dimenticherò mai. Questi momenti passati insieme mi hanno riportato a tanti vecchi ricordi, mi hanno resa felice. E... », calde lacrime scendono dai suoi occhi lucidi e rossi. « E vegliate sempre su di me come avete sempre fatto. Addio.», sorride osservando le immagini dei suoi genitori illuminarsi per poi dissolversi.
« Violetta?», la richiama Leon. « Leon, mi dispiace.», sussurra disperata.
« Tu hai manovrato tutti noi, sei capaci di manovrare le nostre mosse, ma non le emozioni.», sorride guardandola portandosi una mano sul cuore. « Ti amo davvero, e so che un giorno ci rincontreremo. Addio.»
Un fascio di luce penetra nei suoi occhi che li porta a chiudersi per non diventare cieca.
Un mare di persone la stavano fissando preoccupati mentre qualcuno l'aiutava ad alzarsi.
« Sono tornata.», sospira felice.



Passarono due mesi dal rinnovamento della sua vita.
Era andata a vivere dalla sua amica Camilla e insieme pagavano entrambe la metà dell'affitto grazie a un lavoroccio partime. Però Violetta non si sentiva completa, sentiva che dentro di se qualcosa mancava. Aveva riallacciato il rapporto con i suoi fratelli, ormai si vedevano tutti i giorni e dava consigli di vita alla piccola Sophie ormai maggiorenne. Marie, invece, si era sposata e spesso la sera la chiamava per discutere di bambini e di come lei ne sarebbe stata la madrina.
Però non si sentiva soddisfatta. Un elemento importante mancava per completare la sua vita. A interrompere i suoi pensieri e monologhi personali fu il suonare della porta.
« Si?», chiede la mora. « Sono il nuovo vicino.»
Una voce familiare. No, non poteva essere.
« Leon?», chiese con le lacrime agli occhi e le mani sulle labbra. « Come fa a conoscere il mio nome?», ma non ottenne risposta soltanto uno stretto abbraccio. « Hei, anche essendo così magrolina, « Ti amo, Leon Vergas.», ammette felice. « Non so perchè, ma anch'io Violetta Castillo.»
E adesso si che la sua vita è perfetta.



Fine.
  
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