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Autore: InnomineMamie    29/07/2014    9 recensioni
Carissimi amici del fandom del Capitano,
osiamo presentarvi questo nostro lavoro “a quattro mani”, sperando di divertirvi e di emozionarvi.
Ci siamo sempre chieste l’origine della cicatrice sul volto di Harlock, ebbene, ci è venuta in mente questa idea un po’ folle. Abbiamo cercato di immaginare la prima giovinezza di Harlock, quale cadetto dell’Accademia Militare su Marte, insieme al suo grande amico Tochiro Oyama: consideratelo, quindi, un tentativo di prequel alle serie anime e manga che tutti noi ricordiamo ed amiamo.
Non abbiamo la presunzione di credere di esservi riuscite, ma confidiamo nella vostra benevolenza.
Con affetto e riverenza, dedichiamo questa fanfic, redatta non a scopo di lucro e nel pieno rispetto dei diritti d’autore, al sommo Maestro Leiji Matsumoto.
Buona lettura!
Mamie ed Innominetuo
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harlock, Nuovo personaggio, Tochiro
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era esaltante lavorare al servizio degli Illumidas.

Questo Heinz aveva creduto per alcuni anni: subito dopo il diploma all’Accademia, si era messo a disposizione degli invasori della Terra e del sistema solare. Credeva di essere forte perché asservito ai poteri forti.

Quanto di sbagliava.

Sarfat, Colonnello del Dipartimento di Coordinamento Illumidas, trattava il giovane junker con malcelato disprezzo, essendo uno “sporco terrestre e traditore dei suoi”: lo sottoponeva ad esercitazioni sfiancanti e, in presenza degli altri ufficiali, lo umiliava in mille e più modi. Ma Heinz continuava, stoicamente, a sopportare tutto pur di far parte “dei vincenti” come li riteneva lui. Gli Illumidas avevano ritenuto, nella loro sciagurata politica, di “distruggere per ricostruire” i pianeti conquistati: solo la vile piaggeria del Primo Ministro Terrestre aveva scongiurato la strage di tutti gli esseri umani. Ben diverso destino era stato vissuto da altri popoli, primo tra tutti quello di Tokarga: sebbene fosse alleato degli Illumidas, questi ne paventavano un’eventuale ribellione.

Era molto che Heinz non pensava più ai tempi dell’Accademia. Gli parevano episodi di un passato lontanissimo. Ora era un ufficiale in servizio e aveva un suo ruolo preciso. Invece quel giorno, mentre era seduto a mangiare da solo ad un tavolo della mensa, delle chiacchiere sentite per caso gliel’avevano fatto ricordare. Phantom Harlock, comandante della Death Shadow, si era orgogliosamente rifiutato di decollare alla volta di Tokarga per distruggerla.

Per questo motivo egli era stato dichiarato un disertore e condannato a morte. Sentir nominare il suo antico rivale gli fece rimescolare il sangue. Lasciò il pranzo a metà e si andò a presentare al Colonnello Sarfat. ‒ Andrò io al posto di Harlock – annunciò una volta davanti a lui.

L’Illumida lo scrutò a lungo, cercando di capire. ‒ È una questione personale? – chiese infine.

‒ Sissignore – rispose, gelido, Heinrich.

Sarfat si permise un sorriso sarcastico. Forse aveva finalmente trovato l’uomo che faceva per lui. Sfruttare le rivalità dei Terrestri fra loro si era rivelato proficuo fin dall’inizio. Ebbene, avrebbe dato a quel giovane ufficiale quello che voleva.

‒ Bene, Capitano Böll, le metteremo a disposizione una corazzata.

Heinrich se ne andò soddisfatto. Non l’avrebbe fatta passare liscia al suo vecchio nemico. Sebbene, dopo l’accademia, non si fossero più rivisti, Heinrich portava ancora rancore a quell’uomo, ma non voleva, nemmeno a se stesso, rivelarne la ragione.

Fu facile distruggere Tokarga.

Quasi troppo facile per averne qualche soddisfazione. Heinz dette l’ordine ai bombardamenti: per prima cosa venne distrutto il palazzo del Governo di Tokarga, i principali edifici istituzionali; poi fu la volta dei capannoni contenenti le riserve di cibo ed acqua, dei campi coltivati, delle aziende agricole e di allevamento del bestiame, delle industrie. Le truppe ebbero facilmente ragione della debole resistenza. Privi di navette, cingolati, bombe e cannoni, i soldati tokarghiani opposero una disperata ed inutile resistenza negli scontri corpo a corpo, muniti solo di armi da fuoco. Gli ordini erano chiari. Dovevano essere tutti sterminati. Gli Illumidas non potevano permettersi di mantenere in vita un popolo che, sebbene si fosse dichiarato alleato, avrebbe potuto potenzialmente pugnalarli alle spalle. Pochi giorni di sangue e l’impresa fu portata a termine in modo eccellente.

***

Terminata l’”operazione” e ritornato a bordo dell’ammiraglia, Heinz si ritirò nella sua cabina.

Esaurita l’adrenalina delle ultime ore, si accasciò sul letto, esausto. “Questa è la guerra” si diceva mentre gli si affacciarono nella mente le immagini di centinaia di uomini, donne e bambini fucilati dai soldati da lui stesso capeggiati, i cadaveri ammassati in decine di fosse comuni e coperti di calce, ogni altra cosa distrutta sistematicamente.

Questa è la guerra, e in guerra non puoi avere pietà o sei morto. In guerra devi eseguire gli ordini o sei morto.

Questa è la guerra.

È inevitabile. Quant’era lontana dagli ideali arroganti, ma cavallereschi, che aveva vagheggiato da ragazzo? Contro chi si stava battendo veramente? Come si era ridotto a sterminare una massa di civili inermi? Improvvisamente provò un moto di disgusto. Si guardò le mani. Si alzò e si diresse nella stanza da bagno. Cominciò a lavarsele con acqua e sapone, freneticamente. Le sue mani erano sporche, erano lorde di sangue. Continuavano ad essere insozzate.

“Via, maledetta macchia ”.*

Ora Shakespeare, che amava tanto da ragazzo, non gli sarebbe venuto in aiuto. Il sangue non si lava più, lo sapeva già ancora prima di averne versato una sola goccia. Si guardò allo specchio e rise, rise fino alle lacrime.

Giovane junker, per questo avevi frequentato l’Accademia?

*cfr.: battuta dell'opera Macbeth

***

Lei era morta.

L’aveva saputo al suo ritorno. Era morta tra le braccia di quell’altro.

L’unica donna che aveva sperato di portare con sé, l’unica per cui si era battuto tutto quel tempo, cercando di sottrarla ad un destino segnato.

Un bollettino di guerra, alcune parole scritte in fretta in un dispaccio militare, ed era tutto. Manfred glielo aveva raccontato, il buon Manfred, l’ingenuo Manfred, andando a rivoltare inconsapevolmente il coltello in quella piaga che non era mai guarita. Era morta e ora non c’era più niente che avesse da fare al servizio di un popolo alieno e invasore. Fracassò per terra la bottiglia vuota e si alzò in piedi barcollando. Il rumore della porta che sbatteva gli parve il coperchio di una bara che si stesse chiudendo su di lui, ma ora almeno sapeva, e gli era chiaro come non mai, che aveva sbagliato tutto quanto, che non sarebbe potuto tornare indietro, che l’unica cosa che poteva fare era scegliersi con coscienza una bandiera sotto cui andare a morire.

EPILOGO

I reparti dell’esercito terrestre che si erano ribellati agli Illumidas erano stati decimati.

La prima vittoria dei ribelli era stata pagata a caro prezzo e solo con l’intervento provvidenziale dell’Arcadia avevano potuto sopraffare le numerose e ben organizzate truppe aliene.

Harlock e gli altri si aggiravano sul campo cercando di soccorrere i feriti, senza tuttavia poter fare molto di più che recare loro un po’ di conforto. Si rendeva conto, con un certo disgusto, che si stava abituando troppo in fretta alla morte e al sangue. Da quando si era così indurito? Che ne era stato del ragazzo entusiasta che sognava di volare? Perso così in queste amare riflessioni non si accorse dell’uomo steso lì vicino in una pozza di sangue, finché questi non cercò di afferrargli con la mano l’orlo del mantello che sfiorava il suolo. Si chinò subito su di lui cercando di girarlo con delicatezza, ma quando lo vide in faccia spalancò il suo unico occhio per la sorpresa. Non si sarebbe aspettato di trovare in mezzo a quegli uomini quel viso che ricordava bene, pur non avendolo più visto da molto tempo.

‒ Heinz! – esclamò. Non era quasi cambiato. Gli stessi capelli dorati, lo stesso viso da ragazzo, ora terribilmente pallido. L’altro aprì gli occhi sbattendo le palpebre, come per cercare di metterlo a fuoco. Erano sempre dello stesso freddo azzurro, ma ora sembravano persi in una lontananza indistinta.

‒ Harlock? – sussurrò. ‒ Sei tu? Di tutti i fottuti bastardi dell’Universo proprio tu dovevi venirci in aiuto… Ma guarda come ti sei conciato… stai andando a un ballo in maschera?

Il tentativo di fare dell’ironia si perse in un colpo di tosse che gli fece sputare sangue.

‒ Sta’ fermo, adesso chiamo il dottore – disse Harlock cercando di essere rassicurante, ma l’altro tossì ancora, ansimando penosamente.

‒ Non mi prendere in giro… non mi serve più il dottore. Certo che… ‒ continuò a fatica – abbiamo fatto una bella carriera, fra tutti e due… Harlock non rispose, sopraffatto improvvisamente da una pena che non avrebbe mai pensato di provare per uno come Heinrich Böll. Il suo passato gli franò addosso di colpo.

‒ Heinz… ‒ sussurrò, e in quel nome c’era tutta la stanchezza, tutto il dolore, tutto il rimpianto di un tempo che non sarebbe più tornato.

‒ Promettimi… ‒ cercò di dire ancora il ferito, ma non riuscì a terminare.

La sua frase restò così, a mezz’aria, congelandosi nel dispetto della morte. Ma Harlock aveva capito lo stesso. Voleva dire “Promettimi che combatterai, promettimi che non ti arrenderai, promettimi che non dimenticherai, promettimi di farlo anche per me”.

‒ Sì – rispose mettendolo giù dolcemente. ‒ Te lo prometto.

E in quel momento capì, con una chiarezza dolorosa, che l’ultimo brandello della sua giovinezza se n’era andato per sempre.
   
 
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