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Autore: Patrice Walsh    07/08/2014    10 recensioni
Lui, Evan Murray, vent'anni, un malinconico ed insofferente ragazzo cresciuto nella Dublino degli anni duemila. Ha perso qualcuno di importante e, nonostante lo scorrere incessante del tempo, ancora non riesce a farsene una ragione.
Lei, Norah Powell, diciannovenne, frequenta il primo anno di università a Londra. Vive in una famiglia che si aspetta qualcosa per le sue capacità. La pressione cresce al ritmo dei desideri e della voglia di evadere da una vita che non riconosce come propria.
Una richiesta d'amicizia servirà a farli conoscere, confrontare e credere in qualcosa che non ha ragione di esistere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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CHAPTER II





Londra, 22 novembre 2013
MATTINA

 
«Norah!» Si sentì chiamare e girò il busto all’indietro, sorridendo nel vedere Collin.
«Accipicchia! Da quant’è che corri?», domandò, aggrottando lievemente le sopracciglia e poggiando una mano sulla spalla sinistra del ragazzo.
«Ti seguo da un po’.» Sorrise, ricomponendosi. «Ti cercavo per confermare l’uscita di stasera, ricordi? Mio cugino Mitch sarà con la sua band in città. Suonano al Dublin Castle, a Parkway Street.»
Alzò le sopracciglia, annuendo alle sue parole. «Oh, giusto… Mh, con Evan, vero…?», chiese conferma all’amico.
«Vero! Allora… ci vediamo lì», aggiunse, sporgendosi oltre la ragazza e facendo un cenno con la mano ad un amico. «Ci conto!». Detto ciò, si dileguò.
Indietreggiò, allungando le labbra in un sorriso impacciato ed urtando una ragazza.
«Sta’ attento!», gli sussurrò Norah, ridacchiando per quanto era goffo.
Scosse infine il capo tra sé e sé, raggiungendo l’aula di biologia.
L’ora tenuta dal professore Jones sembrò durare in eterno e, nonostante avesse un esame di lì a poco, non fece altro che pensare alla serata che l’attendeva, quel pomeriggio, sul tardi.
Sì, perché da quando aveva iniziato l’università, Norah non si era ancora concessa un’uscita. Aveva preferito ambientarsi e dar sfoggio della voglia di studiare.
Voleva diventare qualcuno e lasciarsi scivolare da dosso quel cognome che, nel contesto in cui era cresciuta, rappresentava una garanzia. Suo padre, alla sua età, aveva studiato con impegno e dedizione per diventare quel qualcuno che desiderava tanto essere. Fu ad un corso di legge ad Oxford che fece la conoscenza di quella che divenne la signora Powell.
Sarah, questo il nome della donna, crebbe le proprie figlie a suon di decreti costituzionali, infondendo loro quella stessa voglia e dedizione che, col marito, si era prefissata di imporre. Norah, la prima figlia, fu senz’altro una sorpresa per i coniugi Powell che, invece, non poterono dire lo stesso delle figlie minori, Sophia e Samantha. Difatti, quest’ultime, erano propriamente estranee ai discorsi che si affrontavano alla sera, quando la famiglia si riuniva a cena.
Norah era ambiziosa, al contrario delle sorelle, che avevano come unico cruccio quello di non saper quale vestito scegliere per il ballo della scuola o, peggio – a detta del signor Powell – da quale ragazzo farsi accompagnare.
Fu essenzialmente quello il motivo che spinse Tom Powell a seguire la figlia maggiore con più attenzione, nello studio e non. E, come di conseguenza, arrivò il momento in cui Norah non seppe reggere la pressione e sbottò. Era agosto, quando parlò a tu per tu col padre, nel suo ufficio.
«Voglio studiare medicina», aveva sibilato convinta delle proprie parole, sfidando lo sguardo del padre. L’uomo, oramai sulla sessantina, aveva fatto ricadere le lenti da vista sulla punta del naso, sbarrando lo sguardo in direzione della figlia. «Come scusa?», aveva domandato, per esserne certo.
«Voglio studiare medicina e non legge, come te e la mamma.» Aveva contratto le labbra a quelle parole, sentendo di averli delusi, se così poteva definirsi quel cambio di rotta. «Voglio aiutare le persone», aveva provato a giustificarsi, notando lo sguardo assente del padre, come fosse perso nei meandri di qualche remoto ricordo. «… Lo so che non siete d’accordo ma…» Aveva intrecciato le mani, gesticolando come suo solito dal nervosismo e guadagnandosi un sorriso beffardo del padre.
«Va bene», aveva aggiunto il signor Powell, alzandosi e raggiungendola in fondo alla porta. «Se è quello che vuoi… va bene.»
Ne rimase allibita, Norah, allungando conseguenzialmente le labbra in un sorriso genuino e gettando le braccia al collo dell’uomo.
«Grazie! Grazie! Grazie!», aveva esclamato sul colletto della camicia, che aveva macchiato di lucidalabbra. Era quel ricordo che, il più delle volte, le attanagliava la mente.
Se l’aveva deluso per non aver scelto la facoltà alla quale era iscritta fin dalla nascita, non voleva di certo far rammaricare i suoi genitori per il mancato impegno nello studio. Medicina era difficile, ma alla portata della caparbietà di Norah.
Aveva, dall’inizio del semestre, già dato un esame con grande successo, a detta del docente.
Ben presto, l’ora del professor Jones terminò e poté far ritorno a casa; il tempo di uno spuntino veloce, preparato da Marlene, la cameriera, che fece ritorno in camera, dove vi rimase segregata sino alle sette, quando fece buio.
Inviò un messaggio a Collin prima di entrare in doccia, per avvisarlo del ritardo a cui, inevitabilmente, sarebbe andata incontro.
Ne uscì dieci minuti dopo, lasciando cadere i lunghi capelli sulle spalle e asciugandosi repentinamente il corpo. Indossò un vestito corto alle ginocchia ed un cappottino, lasciato aperto sul davanti.
«Non bere, non fumare e torna a casa per le undici, intesi?», raccomandò Tom, dandole un bacio sulla fronte. Sbuffò, Norah, facendo roteare gli occhi con fare impaziente. «E non baciare gli sconosciuti», aggiunse il signor Powell, guadagnandosi un’occhiataccia dalla moglie.
«Libertà!», ridacchiò tra sé ingenuamente, avviandosi a passo svelto verso il locale menzionatogli da Collin, stringendo la tracolla convulsamente nella mano destra. Arrivò nel giro di qualche minuto, riconoscendo l’amico di spalle, dinanzi al palco allestito per la serata.
«Ehi, Norah!» L’accolse in un abbraccio, tenendo in una mano una bottiglia di birra. «Ti presento Jessica e Ben, sono qui come te, per ascoltare Mitch e gli altri», aggiunse, facendole posto in piedi tra la gente, accalcata l’una addosso all’altra.
«Oh, piacere.» Sorrise, buttando un occhio al palco. «Sono in tempo?», domandò, notando sporgersi alcuni ragazzi da dietro le quinte.
«Sì, Mitch e gli altri suonano tra qualche istante», le sussurrò all’orecchio, poggiando la mano libera con fare tutt’altro che amichevole sul fianco della ragazza.
«Ti porto da bere?» Poggiò le labbra sul bordo della bottiglia di birra, mandandone giù pesantemente.
«No!», squittì per farsi sentire, guardandosi intorno come per trovare un modo di dileguarsi dalla presa dell’amico.
«Vado un attimo al bagno, torno… subito.» Tirò un sospiro di sollievo, dirigendosi a destra del palco, in cerca della toilette.
«Ahi!» Inciampò distrattamente sul corpo di un tizio inginocchiato a terra.
«Attenta!», mormorò con voce roca lui, continuando ad estrarre dalla custodia lo strumento. Norah si ricompose, squadrandolo da capo a piedi una volta ritrovatoselo dinanzi.
«Io, ehm… cercavo il bagno», rise nervosamente, gesticolando goffamente per quella situazione.
Il ragazzo la guardò impassibile, prestando ben poca attenzione alle parole della ragazza e voltandosi ripetutamente indietro.
«Te l’ho forse chiesto?», sibilò, guardandola poi negli occhi verdi.
«No, ma… scusami», si preoccupò di dirgli, vedendolo ritornare dietro le quinte. «Deficiente!», mormorò poi tra sé e sé, raggiungendo il bagno. Si specchiò, sistemandosi dietro l’orecchio qualche ciuffo ribelle che le cadde sul volto e controllando eventuali sbavature di lucidalabbra.
Poco dopo fece ritorno nel locale, scorgendo a fatica Collin, perso tra la folla.
Le luci si spensero prima che potesse dir qualcosa. Sentì solo le urla della gente che, euforica, incitava il prossimo gruppo a salire sul palco.










Note d'Autore: Finalmente ci sono riuscita, ho aggiornato! Questo era quasi un POV di Norah, per permettere a tutti voi di conoscerla meglio. E' la protagonista femminile, per cui, ha grande rilevanza nella storia, come nel rapporto con Evan. Come sempre la storia è stata betata da mia sorella,
Hanna Lewis, che non ringrazierò mai abbastanza per quanto mi sia stata d'aiuto e mi abbia supportata.
Vi ringrazio infinitamente per le recensioni che avete lasciato e, spero in questo modo, di avere tanti altri consensi al capitolo.
Un abbraccio a tutti.
   
 
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