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Autore: mairileni    08/08/2014    7 recensioni
Contiamo alla rovescia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PER TE

 

 

 

Ore 3.24

Chiamata persa (1): Matt

 

 

 

 

 

 

1

 

 

Fa irruzione nell'appartamento di Anna dopo aver bussato con forza, e senza sosta, contro la porta con il numero 514. Se in casa non troverà nessuno morirà, se lo sente. Brian si accascia con la fronte contro la superficie lignea e chiude gli occhi.

«Ti prego, ti prego, ti prego...», mormora a fior di labbra.

Poi Anna gli apre, Anna con la vestaglia da casa perché è (sarebbe) il suo giorno libero, Anna con la ricrescita castana sul biondo, Anna che non gli è mai sembrata un angelo tanto come in questo preciso istante, in cui incrocia le braccia al petto e sputa il suo nome come se fosse una bestemmia. L'ha svegliata, ma ora c'è qualcosa di più importante da fare, che dormire, anche se si rende conto del fatto che, alle otto e ventiquattro del mattino, del suo problema interessa solo a lui.

«Cosa c'è, Brian?»

Non risponde, ma le piazza davanti al naso lo schermo dell'iPhone. In alto a destra il telefono mostra che ha il 70% di batteria, ma solo perché Brian ha usato il 30% per fissare lo schermo senza sapere cosa fare da quando ha visto quella dannatissima chiamata persa invadergli la vita camminando con i tacchi a spillo sulla sua testa — questa è l'impressione che ha avuto di quella chiamata persa. Anna si rabbuia, perché sa che con quell'ingombrante notifica telefonica, quel “Matt” che ora le sembra gigantesco, al centro dello schermo, ora c'è la possibilità che il lavoro che ha fatto con Brian per quei sette mesi li mandi entrambi al diavolo. 

«Dimmi che cosa devo fare», la prega lui con urgenza, tra i denti, e non le toglie il telefono dalla faccia finché non è lei ad abbassargli il braccio con una mano.

Deve riflettere velocemente, Anna stessa ha paura che Brian le si sgretoli davanti, perché lei ha sempre guardato con sospetto alle relazioni affettive tra analista e paziente, ma alla fin fine è conscia del fatto che ormai, a lui, ci tiene. 

«Non posso dirti che cosa devi fare, Brian, non sono io a decidere», riesce a dire, in un rigurgito di professionalità.

«Anna, ti prego. Devi. Dimmi che cosa devo fare.»

Una mano smaltata sulle sopracciglia e due occhi struccati gonfi di sonno. Non può dirglielo, non può decidere lei, non ora che Brian le darebbe ascolto anche se gli dicesse di buttarsi in un pozzo.

«A che ora ti ha chiam...»

«Alle tre del mattino, alle tre e ventiquattro minuti. Cosa faccio? Anna», prega tra i denti. «Cosa faccio?»

«...»

«... Io lo voglio richiamare. Io lo richiamo e vaffanculo tutto... cosa faccio, allora, lo richiamo?»

«Devi fare quello che pensi sia più giusto per te, no...»

«IO NON SO COSA È PIÙ GIUSTO PER ME, ANNA, CAZZO!»

Poi Brian fa dietrofront e corre fino al ballatoio con le scale, mentre lei lo guarda andare via esattamente come è arrivato, all'improvviso e insensatamente, con il fiato corto e gli occhi sbarrati. Resta ancora un po' con una mano sul petto e una sullo stipite della porta, poi rientra in casa con la testa piena di pensieri. Non riesce a riprendere sonno. 

Brian ha sceso tutte le rampe di scale che lo separano da terra, e forse ora si sente più sicuro, perché se sei al pianterreno non può venirti la tentazione di buttarti di sotto, o meglio, può, ma non hai modo di farlo. Corre in strada, e potrebbe prendere un taxi, se solo non fosse sicuro che ora come ora è più veloce lui di qualunque mezzo di trasporto. Quando arriva al portone di casa è talmente stravolto che gli viene la tentazione di accasciarsi al suolo per qualche giorno, in attesa che la respirazione torni normale. Si accontenta di ficcare la chiave nella serratura e di salire a due a due i gradini che lo porteranno in casa, esattamente dove si trovava venti minuti fa a fissare lo schermo. È andato e tornato da Anna in un tempo che farebbe invidia al migliore dei velocisti, ma lei non l'ha aiutato — o forse era solo lui che aveva troppa fretta di farla parlare, e semplicemente lei non è abituata a lavorare con il timer settato sui trenta secondi. Si lascia cadere sul divano, respira a pieni polmoni l'odore di stoffa. Si calma, anche se a farlo impiega del tempo, forse dieci minuti. Poi il telefono squilla ancora, e quasi ha paura di guardare lo schermo. Lo guarda lo stesso, ed ecco lì Matt — ciao Matt —, seduto di profilo sullo stesso punto del divano in cui Brian si trova adesso, una foto che gli ha scattato dopo tre mesi che stavano insieme, se “stare insieme” è ancora o è mai stata l'espressione corretta. Resta con il pollice a mezz'aria, non ha tempo per decidere in fretta, non sa che cosa dovrebbe fare. Ecco come si dev'essere sentita Anna poco fa, si dice, e un altro preziosissimo squillo è già passato per non tornare — a mai più rivederci. Posa il telefono sul comodino mentre squilla ancora. Non risponderà.

Il trillo intermittente finisce, tutto piomba di nuovo nel silenzio. Brian solleva il telefono.

 

Ore 9.12

Chiamata persa (2): Matt

 

Bruttino. Non tra le sensazioni migliori. Prende un grosso respiro. Chissà che cosa sta facendo ora Matt, chissà in che posizione è mentre lo chiama, chissà se è in casa o fuori, chissà se ha la maglia nera con la scritta bianca o la maglia bianca con la scritta blu. Sobbalza, quando il suono del tintinnio di un vetro esce dalla piccola cassa dell'iPhone. Non sa se ha voglia di guardare... ma che cazzo dice, certo che ha voglia di guardare.

 

Ore 9.13

Nuovo messaggio

Brian.

 

Questa era una tua mania, si dice Brian. Chiamare, non ricevere risposta e allora inviare un messaggio il cui testo è soltanto il nome della persona chiamata. Come se dopo aver provato con il telefono tentassi di chiamare a voce — “Brian” —, cretino che sei. Si ritrova a ridacchiare istericamente, mentre piange anche un pochino, per non farsi mancare nulla, quanto gli manca, quanto gli manca, quanto gli manca, come ho potuto pensare che fosse possibile rinunciarci? E non può buttare tutto all'aria, ha lavorato sette dannatissimi mesi per uscire da questa situazione. Lo vuole richiamare, più di ogni altra cosa al mondo, e...

Spegne il telefono, anche se è terrorizzato come lo è stato solo quando tanti anni fa gli avevano detto che quella volta, la vita, la rischiava per davvero. Prende un respiro. Sa cosa deve fare adesso, e anche se le lacrime cercano di uscire, decide che potrà benissimo gestirle.

 

 

 

 

 

 

2

 

 

 

L'altro giorno ho messo il punto alla fine di una frase scritta in penna blu. La frase era “chiudiamola qui”. Ho fissato quella macchiolina di inchiostro con le lacrime in tasca per una quantità di tempo che ora non sarei nemmeno in grado di definire. È diventata un sacco di cose, mentre la fissavo, ad esempio un triangolo. Però no, era solamente un punto. L'ultimo, per amor di precisione. Mi sono alzato, ho piegato il foglio in quattro e sono stato attento a far combaciare i bordi ogni volta che piegavo una metà sull'altra, così, perché mi andava di perdere ancora un po' di tempo. Poi ho fatto sparire tutto dentro alla solita busta, anche se non sono sicuro che te la ricordi, quella busta bianca rossa, impalata tra la plastica del portacarte e la pila di documenti che firmo ma non leggo. È sempre stata vuota, ritta sul posto, disponibile per ogni evenienza. Ora è piena di parole che magari potrei anche cercare di dirti a voce, se solo non mi si impigliassero sempre in quel punto della gola. Si sono sempre impigliate, ogni singola volta, ma ora, grazie a questo metodo, ho trovato il modo di aggirare l'ostacolo. Questa è una cosa che ho giurato a me stesso di fare circa sei mesi fa. Ho avuto un attimo di défaillance, ma ora l'ho risolto, e sono seduto davanti al caminetto con la busta dentro alla mano e tutte quelle parole dentro alla busta; mi basterà tendere un braccio per buttare via tutto, bruciarlo, e poi ricominciare da capo. Ora sto bene, sono rinato, sono pronto a tutto, ma questa cosa del bruciare le lettere mi mette in difficoltà quasi ridicolmente, e non ho mai avuto così tanta paura di ritornare al punto di partenza, con le lacrime in faccia e una mano sugli occhi. È un crescendo. Un crescendo. Un crescendo di cose brutte e belle, soprattutto brutte, soprattutto man mano che si va avanti. Il fuoco sfrigola.

 

 

 

 

 


3

 

 

 

Matt sbatte il telefono sul tavolo, con lo schermo verso il basso. Brian ha spento il telefono, non gli risponde. Prende due respiri furiosi e nasconde il viso in una mano. Non può biasimarlo, e l'aveva saputo fin dall'inizio. Tra i due, quello con una relazione ufficiale e un figlio fuori dai programmi è lui. Richiama, trova il telefono ancora spento. In un'ora e dieci di tempo l'ha chiamato quarantadue volte, roba da essere denunciati. Ogni volta gli risponde soltanto la signorina meccanica dell'Orange per avvisarlo che l'utente chiamato deve avere il telefono spento. Molto spiacente.

 

 

 

 

 

 

4

 

 

 

L'ha fatto. Brian l'ha fatto. Ora, l'unico problema è non pentirsene. Cammina lungo il Tamigi con le mani nelle tasche, respira. È stata la decisione migliore che abbia mai preso in tutta la vita. Dopo quella lunga passeggiata, il telefono ben chiuso nella tasca interna della giacca, ha le idee più chiare. Potrebbe perfino decidere di buttar giù qualche canzone nuova.

 

 

 

 

 

 

5

 

 

 

Matt ci ha rinunciato. È rimasto per qualche ora con la testa tra le mani e i gomiti sul tavolo a pensare a cosa fosse meglio fare. Non può accettarlo. Vorrebbe correre, graffiarsi la faccia fino a farla sanguinare, morire mille e mille volte, con dolore, e gridare finché non verrà giù il fottutissimo mondo intero, con tutte le chiese e le macchine e gli alberi e le persone e il mare immane con tutti i suoi pesci di merda. È inutile, è inutile, è inutile. 

Conclude che non sarà in grado di far venire giù proprio nulla. Deve uscire, ha bisogno d'aria — di Brian, chi cazzo se ne fotte dell'aria. Scende le scale, stringe i denti, tira un pugno alla cassetta della posta e la spacca. E poi.

C'è una busta, bianca e rossa, che cade a terra con un piccolo rumore. Tip.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6

 

 

 

«Matt! Oddio, Matt! Sì. Sì, sì, sì, ti sento. Matt... no... no, no, sta' zitto... Matt, non me ne frega un cazzo delle scuse, corri qui, Matt, corri da me, o impazzisco. Sì. Sì, sì, sì... ti aspetto, Matt. Corri subito da me. Corri subito da me e non mettere giù. Non mettere mai giù finché non arrivi... ti aspetto qui, Matt. Ti aspetto qui.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

... È finita. Dio santo, è finita questa storia, e quanto ho amato scriverla, e quanto mi ha aiutata farlo nei momenti bui ç_ç.

Spero davvero che vi abbia fatto emozionare almeno un po', e vi ringrazio per averla seguita fino a questo punto.

 

Scriverò presto altre cose, su questa coppia, ma non so ancora di quanti capitoli stiamo parlando, e quando pubblicherò spero di ritrovarvi anche lì. 

 

Nello scorso capitolo ho ricevuto 0 recensioni, che tristezza, non mi era mai successo! Ci sono rimasta malissimo ç_ç 

Questo però è il finale, e logicamente, se avete il tempo di farlo, mi farebbe piacere che mi diceste che cosa ne pensate — almeno per capire se avreste preferito una conclusione diversa.

 

Grazie di essere state con me! 

 

Infiniti cuori,

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

 

   
 
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