Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Ultraviolet_    22/08/2014    3 recensioni
"La prima cosa che notai alzandomi fu la maglietta rossa che portava, con sopra il logo di una rock band di cui conoscevo alcune canzoni, e il giubbotto di pelle nera sopra. Poi, alzando lo sguardo, notai che aveva i capelli dello stesso colore della maglia. Un rosso un po’ tendente al bordeaux. Assurdo. Ma decisamente bello.
“Vedi di calmarti perché sono le otto del mattino e non ho proprio voglia di farmi urlare nelle orecchie da una ragazzina” fece lui senza muovere un dito per aiutarmi."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Iris, Nathaniel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3. Quello che è di Castiel

Entrai in classe come una furia e scaraventai lo zaino sul mio banco. Mi ero aspettata che Castiel non ci fosse ancora, invece, contro ogni previsione, era seduto sul davanzale della finestra con i piedi sul termosifone.
“La tua ragazza è fuori di testa!” gli gridai lasciandomi cadere sulla sedia.
“Buongiorno anche a te… aspetta, chi?” fece lui, perplesso, guardando Alexy, che gli stava di fronte, con aria interrogativa.
Lui alzò le mani come a dire di non guardare lui, e soprattutto di non picchiare lui, e girò i tacchi.
“Ambra” dissi, e lui assunse un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato.
“Te l’avevo detto che è una pazza furiosa” mi fece notare con una piccola alzata di spalle. “Che ti ha detto?” continuò, vedendo che avevo appoggiato la testa sul banco e non rispondevo.
“Dunque, ha iniziando dicendo di stare lontana da un fantomatico fratello che nemmeno conosco, poi ha imboccato la strada ‘non avvicinarti al mio Cassy’ e ha concluso dicendo qualcosa sui soldi del pranzo e sbattendomi contro gli armadietti” elencai contando con le dita.
“Ti ha preso i soldi?” alzai lo sguardo notando una nota diversa nella sua voce, non più divertita. Scossi la testa facendogli notare che non ero così disperata da farmi derubare da un’oca bionda che ha paura di spezzarsi un’unghia, e lui accennò a una risata.
“Non ascoltarla, inizio a sospettare che soffra di manie di protagonismo gravi, visto che considerano tutti quell’imbecille del delegato e a nessuno interessa di quello che fa lei. A me sbatte il cazzo di entrambi quindi vivo bene” disse prendendo posto sulla sua sedia e tirando fuori il cellulare.
“Aspetta, cosa c’entra Nathaniel con Ambra?” chiesi, confusa.
“E’ suo fratello” fece lui con una smorfia, scrivendo un messaggio.
“CHE COSA? Ma com’è possibile? Nathaniel è così gentile e simpatico!” esclamai sbarrando gli occhi, incredula.
“Non dirmi che sei anche tu una fan di quell’idiota” sputò Castiel freddo.
Lo guardai sorpresa, e gli spiegai che non ero fan proprio di nessuno, semplicemente il delegato mi aveva aiutata il primo giorno e si era dimostrato gentile e piacevole. Lui posò il telefono sul banco senza degnarmi di un’occhiata e prese a guardare fuori dalla finestra.
“Ti sarei grata se non parlassi di lui con me, non mi interessa” disse tagliente.
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Ma se lo aveva tirato lui in ballo?! Da come Nathaniel mi aveva parlato del rosso avevo intuito che non andassero d’accordo, ma Castiel aveva reagito in modo esagerato, e pensai che forse tra i due non c’era solo semplice antipatia. In ogni caso, decisi di non dire più nulla. Ne avevo abbastanza per quella mattina di gente scorbutica e frustrata che scaricava i propri problemi su di me.
Le prime tre ore di lezione passarono piuttosto in fretta, considerando che non ascoltai una parola e mi dedicai a scarabocchiare testi di canzoni sul quaderno di matematica, ignorando il mio compagno di banco. Non che la cosa richiedesse un qualunque tipo di sforzo, visto che anche lui ignorava me. Durante l’intervallo mi alzai di malavoglia dal banco dove giacevo mezza sdraiata da una buona mezz’ora e mi affiancai ad Iris e Rosalya.
“Vieni con noi in cortile?” mi chiese quest’ultima, aggiungendo che avevano pensato di andarci perché quel giorno c’era particolarmente freddo e probabilmente non avremmo incontrato nessuno.
“Vedo che siete positive come me oggi” ridacchiai accettando l’offerta “Magari trovo qualcuno a cui spillare una sigaretta” dissi pensando che era uno dei casi in cui potevo concedermene una.
Attraversando il corridoio, ci imbattemmo in una ragazza dai lunghi capelli castani che salutò Iris con gentilezza.
“Beth, lei è Melody. Ogni tanto aiuta Nathaniel con il suo lavoro di delegato” mi spiegò la rossa, e io le strinsi la mano.
“Ho forse sentito il mio nome?” il segretario aveva appena fatto capolino dall’interno dell’ufficio, con un’espressione allegra sul viso. “Ehi, Beth! Ti cercavo stamattina” disse avvicinandomisi.
“Oh, vi conoscete già” disse Melody fissandoci, come se non riuscisse a spiegarsi come qualcuno potesse conoscere qualcun’altro prima di lei.
“Volevo chiederti se ti va di pranzare con me oggi” continuò Nathaniel.
“Mi farebbe piacere” accettai con un sorriso di gratitudine. Avevo una scusa per evitare di pranzare con Castiel, in caso si fosse unito a noi come il giorno precedente. Magari la giornata avrebbe preso una piega migliore.
Salutammo i due delegati e uscimmo in cortile. Iris indicò una panchina vuota posizionata sotto ad una quercia, e la occupammo dopo aver chiesto ad una ragazza appoggiata al muro una sigaretta per me.
“Sono io, o Nathaniel ha un debole per te?” buttò lì Rosalya con un sorrisetto malizioso.
“Ho avuto la stessa impressione” confermò la rossa evidentemente divertita.
“Evidentemente allora condividete lo stesso problema mentale” commentai io sbalordita. Non mi era sembrato che il biondo fosse particolarmente interessato a me, era solo stato gentile, a differenza di sua sorella. Rammentai che non avevo ancora raccontato alle due ragazze del mio incontro con Ambra, così le misi velocemente al corrente.
“Era solo questione di tempo, se la sarebbe presa con chiunque si fosse seduto vicino a Castiel in classe” mi tranquillizzò Iris.
“Mica mi ci sono seduta di mia volontà, ne avrei fatto volentieri a meno” puntualizzai io con una smorfia.
“Ma come, pensavo che vi steste simpatici” fece Rosalya appallottolando la carta di una barretta che aveva appena ingurgitato quasi intera.
“Non ci siamo presentati nel migliore dei modi, però effettivamente iniziava a starmi quasi simpatico nonostante le battutine, però stamattina è stato odioso. Non appena ho nominato Nathaniel è diventato di ghiaccio” spiegai “Anzi, a dirla tutta non l’ho nemmeno nominato io per prima. Mi sono limitata a dire la verità, ovvero che è gentile e simpatico”.
“Castiel lo detesta” disse Iris scossando leggermente la testa “Vedrai che gli sarà già passata, fa sempre così quando si parla di lui. Nessuno sa di preciso cosa sia successo tra quei due, Nath minimizza dicendo che non vanno d’accordo, e Castiel non ne parla. Però qualcosa è successo, senza dubbio” continuò con l’intento di tirarmi su di morale.
“In ogni caso, posso confermare con certezza che a Nath piaci” riprese Rosa ghignando. In quel momento ricordò un po’ la solita espressione furba del rosso.
“Tu sogni” le dissi dandole una spintarella, che mi fu prontamente restituita con una risata.
“E poi hai visto come ti ha guardata Melody? Se avesse potuto ti avrebbe incenerita sul momento” aggiunse Iris ridendo.
Lanciai alle ragazze uno sguardo interrogativo, e loro mi spiegarono che Melody era irrimediabilmente innamorata di Nathaniel da secoli, che non gliel’aveva mai detto e che si era vista passare davanti moltissime ragazze nella sua stessa situazione, a cui gradualmente era passata, parecchie delle quali perché non venivano considerate minimamente. A lei però non era passata affatto.
“Comunque, non è proprio il suo tipo” mi informò Rosalya come a tranquillizzarmi.
“Peccato” commentai. Mi lanciarono occhiate scettiche, ma non aggiunsero altro. Buttai a terra il mozzicone della sigaretta e rientrammo.
 
Le due ore successive le passammo nel laboratorio di scienze, e mi affrettai a cercare un compagno di banco che non fosse Castiel. C’ero quasi riuscita, sedendomi vicino ad Alexy e Violet, quando il professore entrò ed esclamò:
“No, assolutamente no! Mantenete i posti che avete in classe”.
Lo maledissi col pensiero, desiderando di avere poteri magici alla Harry Potter per fargli cambiare idea. Scivolai al mio posto, sul banco in fondo a sinistra, e il rosso mi si affiancò.
“Hai idea di cosa sia il cloruro di potassio?” mi chiese in tono quasi allegro appoggiando un flacone sul tavolo.
Mi voltai per guardarlo in faccia. Non dava segno di ricordarsi del mutismo delle tre ore precedenti. Stavo per fare una battuta acida, ma mi trattenni e decisi di imitarlo.
“Dovrei saperlo?” domandai girando la bottiglia per leggerne l’etichetta.
“Non so, però Peterson ha detto che dobbiamo creare una reazione chimica o una cosa simile” fece lui, poco convinto, indicando il professore.
“Magari potrei servirmene per farti esplodere” malignai afferrando un contenitore di vetro con rinnovato entusiasmo. Castiel borbottò qualcosa a proposito della possibilità di farmi bere qualche veleno sostenendo che fosse stato un incidente, ma io non lo ascoltai e mi misi a cercare sul libro di scienze il modo per non prendere una F.
La lezione passò, e il ragazzo continuò a comportarsi normalmente, finché, al suono della campanella, non presi le mie cose dirigendomi verso l’uscita senza aspettare gli altri come facevo di solito.
“Dove vai?” mi gridò dietro il rosso.
“Meglio che non te lo dica, o non mi parlerai per un mese” risposi senza voltarmi.
Nathaniel mi aspettava davanti alla mensa, con due panini in mano.
“Ho pensato di evitare la mensa, è un po’ troppo affollata per i miei gusti” disse dopo avermi salutata con un bacio sulla guancia che mi spiazzò.
Annuii, e lui mi condusse verso delle scale che non avevo mai notato. Dopo tre rampe, spuntammo in quello che doveva per forza essere il tetto. Stranamente non aveva ancora piovuto quel giorno, e, almeno in quel momento, il cielo era sgombro dalle nuvole. Ci sedemmo per terra, ma non iniziammo nemmeno a parlare che un colpetto di tosse ci colse di sorpresa. Mi voltai di scatto e mi ritrovai davanti un ragazzo dai capelli argentei.
“Ehi, ciao Lysandre!” lo salutai, felice di vederlo. Mi era sembrato una persona davvero gradevole, al contrario del suo amico dai capelli tinti.
“Ehilà, mia cara Beth” rispose lui avvicinandosi e baciandomi la mano. Salutava tutte le ragazze così. Rivolse un cenno a Nathaniel, il quale rispose allo stesso modo.
“Scusate, non era mia intenzione interrompervi, ma non trovo più il mio quaderno” spiegò il ragazzo guardandosi attorno con aria crucciata.
“Com’è fatto?” mi informai io.
“Oh, è nero, piuttosto piccolo. Lo perdo in continuazione” rispose lui distrattamente “In ogni modo, non penso che si trovi qui, quindi vi lascio. Buon appetito” e sparì giù per le scale.
“E’ davvero strano, ma mi sta un sacco simpatico” commentai divertita, guardando Nathaniel.
“Sì, Lys è un tipo a posto” confermò lui. Non potei fare a meno di pensare che quella frase lasciava sottinteso un ‘a differenza di Castiel’ non pronunciato.
“Allora, speravo di poter approfittare di questo pranzo per conoscerci un po’ meglio” riprese il biondino scartando il suo hamburger.
“Cosa vuoi sapere?” domandai incuriosita.
“Non so, cosa ti piace fare, quali sono i tuoi gusti, qualcosa sulla tua famiglia, cose così”.
“Dunque” iniziai pensierosa “Vivo con mio padre e mia sorella di sei anni. Mia madre è morta due anni fa in un incidente stradale” dissi, bloccando subito le frasi di circostanza del ragazzo con una mano alzata e un sorriso rassicurante “Ci siamo trasferiti qui per lasciarci alle spalle il passato. Mio padre ha aperto una libreria in città” sorrisi. “In quanto a me, sono una persona semplice ma allo stesso tempo piuttosto complicata. Semplice perché mi basta poco per essere contenta, un libro, una cioccolata calda, un caminetto acceso. Complicato invece è il mio carattere, sono lunatica, pesante, rompiscatole. Molte persone ritengono che fidarsi poco della gente sia un problema, per me invece è il contrario. Mi fido troppo e rimango scottata. Mi piace molto leggere” e a quel punto mi sembrò che l’ombra di un sorriso illuminasse il volto del mio interlocutore “Ho giocato per anni a pallavolo e prima ho fatto danza, ora sono ferma, ma ogni tanto vado a correre. Mi piace guardare film, ascoltare musica, dormire, mangiare. Per un periodo sono stata fissata con il rock e il metal escludendo qualsiasi altro tipo di musica dal privilegio di essere definita tale, per questo nel mio armadio ci sono mucchi di magliette di band che farebbero invidia a…” mi bloccai. Stavo per dire ‘Castiel’, ma pensai che non fosse il caso “A gente che conosco. Ora i miei orizzonti si sono allargati e ascolto un po’ di tutto” conclusi sorridendo.
Nathaniel aveva ascoltato tutto il mio discorso senza interrompermi e senza smettere di guardarmi. Arrossii un po’ e non potei fare a meno di ripensare alle parole di Iris e Rosalya.
“Anche a me piace leggere, soprattutto polizieschi” esordì lui “Per la musica la penso più o meno come te. Non faccio nessuno sport a livello agonistico, ma ogni tanto vado in palestra, e gli anni scorsi facevo parte del club di calcio. Da quest’anno sono segretario delegato e purtroppo non ne ho più il tempo. Vivo con i miei genitori e mia sorella Ambra, che è in classe con te. Mio padre è un uomo molto severo, per lui contano molto i voti. Fa l’avvocato, mentre mia madre fa la casalinga” concluse appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia piegate “Ah, e adoro i gatti” aggiunse con un sorriso.
“Davvero? Io ho sempre voluto avere un cane, e ora che ci penso potrei riproporlo a mio padre ora che Kaitlin non può più essere scambiata per un giocattolo” risi.
Nathaniel scoppiò a ridere e non smise di sorridermi, cosa che mi fece avvampare di nuovo. Di certo, la frase che seguì non mi aiutò a ricompormi.
“Senti Beth, sabato sera in città c’è un pub che da un festa, visto che non conosci bene il posto magari ti va di venire con me” propose il biondino tranquillamente.
Mi chiusi per una trentina di secondi in un insolito mutismo, in cui le parole delle mie amiche riemersero di nuovo. All’inizio non vi avevo dato peso, ma ora sembrava davvero che avessero ragione sul fatto che Nathaniel sembrava interessato a me, per qualche oscuro motivo che non riuscivo ad immaginare.
“Se non ti va non fa niente” incalzò lui con un sorriso di incoraggiamento.
“Nath… a me fa molto piacere che tu me l’abbia chiesto, e probabilmente sto per fare una figura tremenda, ma vorrei specificare subito che… non sono interessata ad avere una relazione al momento” dissi finalmente, lo sguardo basso per l’imbarazzo.
“Temo che tu abbia capito male” fece il ragazzo stupito, il che mi provocò un sospiro di sollievo “Cioè, non fraintendermi, sei davvero molto carina e simpatica, ma la mia era una proposta da amico, perché penso che tu sia davvero una bella persona e vorrei, appunto, esserti amico” non sembrava infastidito dalla mia tremenda gaffe.
“Ma certo, scusami se sono saltata subito alle conclusioni, volevo esserne certa, non avrei mai voluto doverti respingere più avanti” spiegai con una risatina più rilassata.
Lui le fece l’ennesimo sorriso amichevole e gentile, e disse:
“Su questo puoi stare tranquilla, te lo garantisco. Ho imparato da tempo a non toccare quello che è di Castiel”.
 
 
Mi lasciai cadere a sedere sulle gradinate del campo da basket, mezza stordita. Avevo appena salutato Nathaniel, e avevo trovato sul telefono un messaggio di Iris che diceva che mi avrebbe aspettata in palestra. Visto che non si vedeva, ebbi il tempo per ripensare alla conversazione con il biondo.
 
“Scusa?” dissi sbarrando gli occhi e voltandomi di scatto per guardare in faccia il delegato. Forse avevo sentito male.
“Non hai notato come ti guarda?” rispose lui, leggermente sorpreso.
“Come mi guarda, scusa?” feci. Ero talmente presa alla sprovvista che non riuscii ad articolare una frase migliore.
“Beh, forse non te ne rendi conto perché lo conosci da poco, ma io penso di conoscerlo abbastanza e posso giurarti che non sono tante le persone a cui riserva lo sguardo che usa con te. A dire il vero, che io sappia ce n’è stata solo una” spiegò Nathaniel serio.
Non riuscii a trovare le parole per replicare, perché pensavo che il discorso del ragazzo fosse totalmente privo di senso. Alla fine dissi:
“Ma se lo conosco da tre giorni?!”
“C’è chi parla di colpo di fulmine” fece lui con un’alzata di spalle.
“Ma è ridicolo! Non fa altro che insultarmi, come puoi pensare che gli piaccia? E poi sicuramente non sono sua” protestai, ancora stordita.
“Ok, forse non l’ho detto nel modo giusto, ma il concetto è quello” disse lui ridendo. Probabilmente trovava divertente il fatto di avermi completamente sorpresa con quella frase.
“Dai, non pensarci troppo, potrei sbagliarmi, anche se non credo proprio” disse poi, alzandosi in piedi e facendomi cenno di seguirlo verso le scale.
“Secondo me sogni” risposi scossando la testa.
Davanti alla sala delegati, lui mi salutò con un abbraccio decisamente più sciolto, ora che non c’erano più dubbi sulle sue intenzioni.
“Devo tornare al lavoro” disse.
“E poi cosa vuol dire che hai imparato a non toccare quello che è di Castiel?” domandai io senza badargli, ancora presa dall’argomento.
“Ci vediamo, Davies” rise lui infilandosi nell’ufficio.
Così io, che non potevo credere che lui mi lasciasse così, col dubbio, decisi di prendermi una piccola rivincita.
“Nath, quasi dimenticavo, quando ti deciderai a dire a Melody che non ha speranze?” gridai in direzione della porta, sperando che la ragazza non ci fosse.
Il biondino fece capolino da dietro ad essa e mi guardò stupito.
“Cosa?” domandò.
“Ci vediamo” lo scimmiottai con un sorrisetto, correndo verso la palestra.
 
“Hai intenzione di fare qualcosa di utile o vuoi stare seduta lì tutto il tempo?” di nuovo, la voce di Castiel mi aveva riportata alla realtà.
“Ma tu non ce l’hai una vita, Edwards?” domandai alzandomi in piedi e cercando Iris con lo sguardo. Stava entrando dalla porta della palestra proprio in quel momento.
“Certo che ce l’ho, ma disgraziatamente in questo momento dipende da te che alzi il culo da lì e vai a metterti la divisa” rispose imperturbabile.
“Come scusa?” il mio fu quasi un grido.
“Manca James, non possiamo giocare dispari” spiegò spazientito, indicandomi lo spogliatoio.
“Non può giocare Iris?” chiesi indicandola, mettendo da parte la lealtà tra amiche per salvarmi la pelle.
Lei, che ci aveva raggiunti, alzò le mani dicendo che le faceva male un ginocchio. La fulminai con lo sguardo, certa che si trattasse di una scusa, guardai ancora una volta Castiel, che non si era mosso, e mi diressi sbuffando verso lo spogliatoio. Afferrai bruscamente una divisa da Dajan che me la tendeva con aria divertita e vi sparii dentro, seguita dalla rossa.
“Sei una traditrice” affermai chiudendomi la porta alle spalle e puntandole un dito contro.
“Eddai, la prossima volta giocherò io” disse lei ridacchiando.
Sospirai e mi tolsi la felpa calda di malavoglia. Indossai la maglia della divisa, che era enorme, perché ovviamente il capitano aveva ordinato solo completi da uomo. C’era sopra il numero otto e nessun nome. La annodai, cosa che ormai era diventata un’abitudine, e passai ai pantaloni. Erano di quelli larghi e lunghi fino al ginocchio, che sarebbero stati malissimo anche a una modella. Disgraziatamente, io non ero una modella, quindi mi stavano ancora peggio. Una volta finito rimisi la felpa, per niente pronta a rinunciarvi, e uscii accompagnata da Iris che stava palesemente cercando di trattenere le risate per evitare di complicare la sua situazione già critica. Raggiunsi Castiel in mezzo al campo, e lui mi squadrò da capo a piedi con un sorrisetto divertito.
“Sarà meglio che la pianti immediatamente, ti sto facendo un favore ti ricordo” sibilai. Notai che gli arrivavo circa alla clavicola. Un incontro equilibrato, insomma.
“Vuoi stare in squadra con me o con Dajan?” mi chiese iniziando a palleggiare.
“Ovviamente la risposta che mi verrebbe naturale sarebbe con Dajan, ma ho come la sensazione che stare contro di te significhi morte. E poi se sto con te magari riesco a farti perdere” feci, lanciandogli uno sguarda di finta innocenza.
“Se è la tua decisione definitiva” commentò lui alzando le spalle.
Ci posizionammo nei rispettivi campi. Eravamo cinque contro cinque, o meglio, quattro contro cinque. Per metà partita non toccai la palla una sola volta, e nonostante questo le squadre erano in parità. Ero occupata a parlare con Iris dei programmi che avevo con Alexy quel pomeriggio, quando Castiel mi chiamò.
“Davies!” mi voltai pronta a chiedergli cosa diamine volesse, e mi vidi arrivare la palla addosso. Alzai le braccia appena in tempo per evitare che mi rompesse il naso, ma ovviamente non la afferrai. Mi colpì il braccio e cadde a terra.
“Ti sei fatta male?” chiese il giocatore più vicino a me, un certo Trent. Scossi la testa massaggiandomi il braccio un po’ dolorante per l’impatto con la palla. Forse ci sarebbe venuto il livido, ma niente di mortale.
“Sei impazzito?” gridai a Castiel che si stava avvicinando pigramente.
“Ti ho rotto qualcosa?” chiese lui per niente preoccupato.
“No, ma non si tira la palla a uno che è di spalle!” esclamai fingendomi più arrabbiata di quanto fossi realmente.
“Per prima cosa, non dovevi essere di spalle” iniziò lui portandosi indietro i capelli con una mano “Però hai ragione, scusa” continuò.
Rimasi a bocca aperta. Probabilmente di lì a poco mi sarebbe caduta la mascella se non mi fossi affrettata a richiuderla. Mi voltai verso Iris, e vidi che anche lei era senza parole.
“Ho capito che sono di una bellezza accecante, ma chiudi la bocca, dai” fece lui, che intanto si stava asciugando il sudore sulla fronte con la maglia, scoprendo il ventre piatto e gli addominali scolpiti.
“Castiel Edwards che si scusa? Con me? E mi dice che ho ragione?” balbettai ignorando il suo commento.
“Non dico mai a nessuno che ha ragione per il semplice motivo che ho praticamente sempre ragione io. Questa volta no, ma sarà la prima e l’ultima” disse indifferente, recuperando la palla ai miei piedi.
Non feci caso alla modestia di quella frase, ancora sconvolta. Tornammo a giocare, e io, leggermente intenerita dalle scuse del ragazzo, mi impegnai a intercettare qualche palla e a tirarla subito a qualcun altro. Alla fine della partita tornai negli spogliatoi con Iris.
“Assurdo” fu il mio unico commento.
“Incredibile” il suo.
Scoppiammo a ridere come delle pazze, finché non finii di cambiarmi. Ci ricomponemmo bevendo un po’ d’acqua dal rubinetto e uscimmo. Stavamo camminando verso l’uscita, dove Alexy mi aspettava, quando Castiel ci passò di fianco con la custodia di una chitarra in spalla.
“A domani, voi due” disse, e passando mi scompigliò i capelli con una mano. Sbuffai, facendogli una pernacchia che stava per ‘spero che stanotte qualcuno ti accoltelli nel sonno’.
 
Durante il tragitto in autobus insieme ad Alexy, posai la testa sulla sua spalla, esausta, e dormii per una decina di minuti. A svegliarmi fu il ragazzo, che non sapeva dove dovevamo scendere e preferiva evitare di rimanere a bordo fino al deposito. Una volta raggiunta la salvezza del marciapiedi, gli feci strada fino alla porta di casa e lui entrò timidamente chiedendo il permesso.
“Tranquillo, mio padre è al lavoro” gli dissi scaricando lo zaino per terra senza tanti complimenti “A proposito, devo andare a recuperare mia sorella dai vicini, la tengono d’occhio quando è a casa da sola. Non ci darà fastidio” assicurai con un sorriso.
“Vai pure, io inizio ad accendere il computer” disse. Lo pilotai fino alla mia camera, lo feci accomodare sul letto e gli misi in grembo il portatile.
Tornai all’ingresso e afferrai la prima giacca che trovai sull’attaccapanni, visto che iniziava a fare troppo freddo per la mia povera felpa. Era un giaccone di mio padre, piuttosto enorme. Attraversai il vialetto e raggiunsi quello dei vicini. Suonai il campanello e ad aprirmi fu la gentile signora che si era offerta di tenere Kaitlin per non farla stare da sola mentre mio padre era al lavoro ed io a scuola. Si trattava solo di un paio d’ore ogni pomeriggio, ma non ci fidavamo a lasciarla in casa senza nessuno.
“Ciao Elisabeth! Ti chiamo subito la piccola, accomodati” disse con un gran sorriso.
“No guarda, grazie mille, recupero la peste e torno a casa, ho ospiti” spiegai ricambiando il sorriso.
Dopo una paio di minuti Kaitlin mi raggiunse e mi si buttò addosso, cercando di convincermi ad indossare un cerchietto a cui aveva attaccato delle antenne da ape, e riuscendo in qualche modo a ficcarmelo in testa. La signora Kellerman insistette per darci un vassoio di biscotti fatti in casa, così la ringraziai e condussi mia sorella all’ovile. Quando entrammo, Alexy era intento a scrutare le fotografia di famiglia appese al muro.
“Ho portato nutrimento” annunciai mollando il vassoio sul tavolo. Lui mi guardò con aria divertita.
“Non so se ti dona di più quella giacca o le antenne” osservò, poi spostò l’attenzione su Kaitlin. Mi tolsi la giacca e la rimisi al suo posto, ma decisi di tenere il cerchietto per far contenta mia sorella.
“Kat, lui è un mio amico, si chiama Alexy” spiegai “Dobbiamo fare una ricerca, quindi tu ora mangi un po’ di biscotti, se vuoi, e poi cerchi di non darci fastidio, ok?”
Lei, che aveva già fatto un sorriso a trentadue denti al ragazzo, aveva esclamato ‘hai i capelli blu!’ e si stava facendo spiegare che erano tinti, mi guardò come soppesando l’offerta.
“Dieci biscotti?” chiese dubbiosa.
“Se ne mangi cinque dopo giochiamo con te” trattai “E li conto” aggiunsi.
Lei rimuginò un po’, poi annuì con vigore e si gettò sul vassoio. Io e Alexy tornammo in camera ridendo.
“E’ adorabile” commentò lui “Evidentemente è una caratteristica di famiglia”.
Arrossii e presi posto sul letto vicino a lui. Il nostro progetto era sull’antica Grecia, e in poco tempo decidemmo che sarebbe stato carino parlare un po’ di tutti gli Dei dell’Olimpo, idea che venne al ragazzo grazie ad un videogioco del fratello. I più importanti erano dodici, e in un paio d’ore riuscimmo a scrivere due pagine per ognuno, più un breve elenco degli Dei minori più conosciuti. Ritenendo che per quel giorno potesse bastare, alle otto abbandonammo il lavoro e ci lasciammo cadere sul letto, esausti.
“Castiel suona la chitarra?” gli chiesi improvvisamente.
“Come mai tutto questo interessamento per lui?” domandò di rimando dopo qualche secondo, ammiccando.
“L’ho solo visto con la custodia di una chitarra e mi sono incuriosita, tutto qui” risposi con una smorfia.
“Sì, e la suona anche piuttosto bene” mi confermò.
Ripensai a quello che mi aveva detto Nathaniel a pranzo, quando mio padre aprì la porta. Ero sdraiata con la testa in grembo ad Alexy, e visto che mio padre non conosceva le circostanze decisi che era meglio alzarmi.
“Ciao papà” sbadigliai “Lui è Alexy, ti ho detto ieri che veniva, no?”
“Sì sì” confermò lui con un cenno di saluto “Come va la ricerca?”
“Bene signore, sono sicuro che con il mio indispensabile aiuto sua figlia prenderà una A più in storia” disse il ragazzo con aria seria.
Mio padre rise, gli chiese se voleva restare a cena e insistette quando lui disse che non voleva disturbare. Alla fine accettò, e mio padre mi fece cenno di raggiungerlo in cucina. Sospirando, mi alzai e lo seguii.
“Prima che tu dica qualsiasi cosa, Alexy è gay” dissi mettendo le mani avanti.
Lui si rilassò visibilmente.
“Non avevo intenzione di dire proprio niente” mentì.
“Sì sì” lo presi in giro annuendo con vigore.
“Dai, come la volete la pizza?” chiese evasivo.
“C’era bisogno che venissi con te in privato per chiedermi come voglio la pizza? C’è un qualche ingrediente segreto di cui non sono a conoscenza?” domandai fingendomi incuriosita.
Lui mi fulminò con lo sguardo e poi scoppiò a ridere, ordinandomi di andare a chiamare il mio amico e di recuperare Kaitlin, ovunque si fosse rintanata a giocare con le Barbie.
“Belle antenne” aggiunse prima che lasciassi la stanza.
Durante la cena, Alexy e mio padre parlarono molto di svariati argomenti che non mi preoccupai di capire, e notai che andavano piuttosto d’accordo, soprattutto ora che il genitore sapeva che non era un pericolo per la mia innocenza. Dopo mangiato ci toccò tenere fede alla promessa fatta a Kaitlin, che consegnò al ragazzo un Barbie sirena con i capelli del suo stesso colore, e a me una banale bambola bionda. Vedendo che avevo tenuto le sue antenne però mi ricompensò facendomi prendere il vestito più bello. Dopo aver messo in scena circa ottanta teatrini diversi, la bambina si addormentò sul divano. Mio padre la portò a letto, e io accompagnai Alexy alla fermata. Non volevo che tornasse a casa in autobus, ma lui non ne voleva sapere di farsi accompagnare in macchina visto che, secondo lui, aveva già abusato dell’ospitalità restando a cena. Quando il bus arrivò mi salutò con un abbraccio stritolatore, e io me ne tornai in casa, i pensieri che continuavano a tornare a una certa persona dai capelli rosso fuoco.


 


Angolo Autrice:
Ciao a tutti, rieccomi qua!
Sono di fretta, quindi vi dico solo che spero che il capitolo vi piaccia :3
Come sempre, recensite!
A presto!



 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Ultraviolet_