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Autore: Root    02/09/2014    6 recensioni
Cinquecentosessantadue giorni, pensava Percy mentre correva. Più di un anno e mezzo, durante il quale non aveva sentito una parola da lui, neanche un messaggio Iride, neanche una misera cartolina dagli Inferi o un piccione viaggiatore, assolutamente nulla, solo le parole di Hazel che gli dicevano che non doveva preoccuparsi, che Nico era ancora vivo e che, di tanto in tanto, si teneva in contatto con lei. Percy si fidava di Hazel, si fidava davvero tanto di lei, abbastanza da affidargli la sua stessa vita ma, arrivati a quel punto, aveva bisogno di qualcosa di più delle sue parole, aveva bisogno di una conferma visiva, di appurare con i suoi occhi che, sì, Nico esisteva ancora, non era stato solo una sorta di allucinazione collettiva.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Ed ecco anche il secondo capitolo! Stavolta è più corto, ed è quello su cui sono più insicura perché non succede nulla di particolare, solo Percy e Nico che parlano. Okay, comunque sappiate che ho infilato in questo capitolo i miei headcanon per quanto riguarda l'atteggiamento di Percy dopo la guerra e Nico e i suoi ricordi. Ho inventato una mezza cosa per quanto riguarda quest'ultimo punto, diciamo che ho piegato un po' un mito alle mie necessità, quindi chiedo scusa se qualcuno che leggerà ha una conoscenza di mitologia greca migliore della mia :)


 

Percy se ne stava steso sulla spiaggia; il sole stava tramontando e e sapeva che di lì a breve avrebbe dovuto tornare indietro e andare a cena. Si lasciò andare ad un sospiro sconsolato, afferrando un pugno di sabbia per poi lasciare che la leggera brezza marina se la portasse via. Chiuse gli occhi e si lasciò pervadere dalla sensazione di essere così vicino al mare, così vicino a suo padre.
-Ehi, Percy.
La figura di Nico entrò nel suo campo visivo subito dopo che la sua voce lo raggiunse. Nico era al campo da quattro giorni, ormai, e Percy temeva davvero che si stesse avvicinando il momento in cui se ne sarebbe andato di nuovo. Forse era andato lì proprio per dirglielo. Strinse i denti, come per prepararsi a ricevere un colpo allo stomaco.
-Ehi, Nico. Come mai qui?
-Ho pensato potessi essere da queste parti- disse lui con una scrollata di spalle.
-Non puoi stare senza di me, vero?
Nico gli rispose alzando gli occhi al cielo ma, se Percy non fosse stato ancora steso per terra, avrebbe potuto chiaramente vedere le sue guance tingersi di rosso.
Nico si sedette accanto a lui, fissando gli occhi sul mare dinanzi a lui.
-Ti va una nuotata, Nico?- chiese Percy sollevandosi su un gomito.
-Cosa? No, grazie- Percy proprio non capiva cosa ci fosse di male, né perché mai Nico sembrasse così sconvolto dalla proposta, ma decise di non insistere. Si limitò a sbuffare in modo piuttosto sonoro prima di ricadere nel silenzio.
-Che succede, Percy?
Percy fu sorpreso che Nico si fosse accorto che c'era qualcosa che non andava anche se, a ben pensarci, non era proprio la persona più brava al mondo a nascondere di essere turbato. Il figlio di Poseidone fu grato per la domanda, era un po' che cercava un pretesto per parlare con qualcuno; aveva pensato di parlare con Annabeth o con Grover, o anche con Chirone, ma alla fine aveva deciso di non dire proprio nulla, sentendosi stupido anche solo per averci pensato. Ora che gli veniva chiesto direttamente, scoprì di non aver mai cercato effettivamente le parole per esprimersi.
-Mi annoio- disse infine, e sapeva perfettamente di suonare come uno stupido bambino capriccioso e sentirsi stupido non lo aiutava per niente.
Chiuse di nuovo gli occhi, cercando le parole giuste per far capire a Nico la propria situazione.
-Voglio un'impresa, Nico. Ho bisogno di fare qualcosa. Ho bisogno di sentirmi utile.
Percy riaprì gli occhi, trovando quelli neri di Nico fissi su di lui, un piccolo sorriso gli incurvava le labbra.
-Quindi hai la sindrome dell'eroe.
Prima che Percy potesse ribattere, leggermente offeso da quelle parole, Nico alzò una mano, mostrandogli che ancora non aveva finito.
-Non volevo offenderti. Voglio dire, Percy, che solo perché non c'è una terribile guerra in corso, non significa che tu non sia utile. Certo, non starai lì fuori a sconfiggere Titani e Giganti, ma sei qui, aiuti i giovani semidei ad imparare a difendersi, il ché è ugualmente importante. Non sei inutile solo perché il mondo non ha bisogno che tu lo salvi.
Percy lo sapeva, lo aveva sempre saputo perfettamente, ma si rese conto che ciò di cui aveva davvero avuto bisogno non era un'impresa, quanto piuttosto, qualcuno che gli dicesse esattamente quel che gli aveva detto Nico. Percy non rimpiangeva la guerra, non voleva che ne scoppiasse un'altra solo per potersi sentire importante. Ma dopo circa otto anni in cui non hai fatto altro che combattere mostri per proteggere gli altri e te stesso, in cui tutti ti consideravano l'eroe, in cui anche tuo padre che è una divinità arriva a scendere dall'Olimpo per farti visita, dopo tutto ciò, non era facile abituarsi a essere solo una persona comune, per quanto comune possa essere un semidio. Si era chiesto se era così che si sentivano i bambini prodigio che da piccoli venivano trattati come geni e poi, crescendo, si ritrovavano al livello di tutti gli altri.
Era praticamente da quando era finita la guerra che Poseidone non comunicava in qualche modo con lui. Percy non si vergognava ad ammettere di sentirsi abbandonato, dimenticato.
L'unica cosa di cui Percy aveva avuto bisogno era solo qualcuno che gli dicesse chiaramente, che non era vero, che lui valeva qualcosa anche quando non aveva la spada in mano.
Percy si ritrovò a ridere di se stesso, mentre Nico gli sorrideva.
-Mi sa che hai ragione, Nico. Credo di avere davvero la sindrome dell'eroe.
-E io credo che tu fossi l'unico a non saperlo.
-Grazie.
Nico tornò a rivolgere la sua attenzione al mare. Percy, invece, continuò ad osservarlo e, probabilmente, se Nico se ne fosse accorto non ne sarebbe stato troppo felice; Percy sorrise all'idea, ma non distolse lo sguardo.
-E ora, poiché tu hai aiutato me, magari posso fare altrettanto? Cosa c'è che non va, Nico?
Percy non si era illuso che sarebbe stato facile, convincere Nico ad aprirsi, a confidarsi con lui. Ma in quel momento sentiva davvero il bisogno di aiutarlo. Improvvisamente, Percy sentì nascere in sé l'impulso di avvicinarsi a di abbracciarlo. Se si fosse trattato di chiunque altro, Percy lo avrebbe fatto, ma non con Nico. Non solo sapeva che, con ogni probabilità, non gli avrebbe fatto piacere ma, per qualche motivo che non riusciva a comprendere, lui stesso si sentiva titubante: era come se si fosse appena reso conto che tenerlo stretto tra le braccia fosse la cosa che più voleva al mondo, ed era un pensiero che non capiva, che lo confondeva. Quindi, come sempre faceva quando non capiva qualcosa, decise di metterla da parte e ripensarci poi in un'altra occasione.
-Non c'è niente che non va- rispose, prevedibilmente.
-Non è vero, è da quando sei tornato che sei strano, Nico. Non hai già intenzione di andartene, vero?
-No, non ancora. E se così fosse, te lo direi. Ricordi? Ho promesso- sottolineò l'ultima parte mostrandogli il mignolo della mano destra.
Il figlio di Ade sospirò e dopo qualche tempo, abbastanza affinché Percy pensasse che non avrebbe più parlato, ruppe di nuovo il silenzio.
-Sai, Percy, io non ricordo praticamente nulla del mio passato, prima... prima che mio padre mandasse me e Bianca al Casinò Lotus. Ricordo solo pochissime cose, delle immagini: ricordo di essere andato in Croazia con mia madre e Bianca quando ero piccolo, per esempio.
Fece una pausa.
-Pensavo avessi scoperto molte cose sul tuo passato.
Mentre lo diceva, a Percy tornò alla mente il sogno che aveva fatto anni prima, quello in cui aveva visto la tragica fine di Maria Di Angelo e, a quel pensiero, il desiderio di abbracciare Nico si fece più prepotente.
-E' questo il problema!- Nico alzò la voce per la frustrazione, -Io so tante cose sul mio passato: so chi era mia madre, so che cosa le è successo, so che la mia vita si è bloccata per più di settant'anni.
-So un sacco di cose- continuò, a voce più bassa- ma non ricordo nulla di tutto ciò. É come se mi avessero raccontato una storia, una storia che io dovrei conoscere, ma che non riesco a ricordare e, per quanto ci provi, non mi tornerà mai alla mente. É come guardare la vita di qualcun altro, solo che io so che è la mia vita, anche se non la ricordo.
Percy pensò a quando era al Campo Giove, solo e senza memoria, e Nico non gli aveva detto nulla, aveva fatto finta di non conoscerlo. Ora capiva che se lo avesse fatto, sarebbe andata esattamente così; non si sarebbe ricordato di nulla, avrebbe solo ascoltato qualcuno raccontare la storia di una vita che non sembrava gli appartenesse. Non sarebbe scattato in lui nessun interruttore che gli avrebbe fatto ricordare di se stesso.
Pensò a come si era sentito, e pensò che per Nico dovesse essere molto, molto peggio, perché lui aveva perso tutte le speranze di recuperare il proprio passato, perché, da quando Bianca lo aveva lasciato, doveva sentirsi incredibilmente solo.
-E sai qual è la cosa peggiore? Che io non sono neanche certo di voler ricordare- disse l'ultima parte sussurrando e, a quel punto, Percy gli mise una mano attorno alle spalle, attirandolo a sé. Nico poggiò la testa sulla sua spalla, rilassandosi quasi immediatamente.
-E' perché hai paura, vero? Perché sai che soffriresti ancora di più se ricordassi tutto.
Nico annuì contro la sua spalla. Se avesse recuperato la memoria, la sua vita non gli sarebbe più apparsa come una vecchia storia, ma sarebbe stato tutto più vero; e se già adesso pensare a sua madre, a Bianca, alla sua famiglia e al tempo in cui erano felici, lo faceva soffrire, sentire il peso di quei ricordi sulla sua pelle, lo avrebbe fatto impazzire. Ma, rifiutarsi di ricordare, era per Nico come tradirli, tradire la sua famiglia e il suo passato.
-Non sei un codardo, Nico. Solo perché non vuoi soffrire ancora di più, non significa che tu sia un codardo.
-Ci ho provato, sai?- riprese Nico dopo qualche minuto di silenzio.
-A riavere i tuoi ricordi?
-Hm-hm. Dimenticare qualcosa per ricordare qualcos'altro. Era ciò che avrei dovuto fare. Bisogna bere da due fontane, quella del Lete, e quella di Mnemosine, la dea della memoria.
Gli dei non sono gentili, chiedono sempre qualcosa in cambio, non fanno mai favori gratuitamente, soprattutto non ai semidei. Era una cosa orribile, e Percy non poteva immaginare Nico che accettava un compromesso simile. Ma qualcosa dentro di lui si agitò comunque.
-Non hai accettato, vero? Non hai deciso di dimenticare tutti noi e sei venuto a dirci addio, giusto?
Si rese conto di quanto suonasse stupido nel momento stesso in cui non fu più solo un pensiero nella sua testa e le parole lasciarono la sua bocca.
-Certo che no, razza di idiota!- La voce di Nico era incredula e arrabbiata.
-Hai ragione, scusa- Percy lo strinse ancora di più tra le braccia e Nico tornò ad accoccolarsi contro di lui.
-Non potrei mai farlo- sussurrò Nico contro il suo collo.
Percy avrebbe voluto dire qualcosa per aiutarlo, qualcosa che potesse farlo sentire meglio, ma nulla che lui potesse dire avrebbe davvero migliorato la situazione. Si limitò a tenere Nico stretto tra le braccia, pensando solo che non avrebbe mai voluto lasciarlo andare. Riuscì a capire perché Nico non avesse avuto voglia di mantenersi in contatto con loro durante la sua assenza; quei cinquecentosessantadue giorni dovevano essere stati brutti anche per lui.
Alla fine, nessuno dei due andò a cena, quella sera. Solo molto più tardi tornarono indietro, verso le proprie cabine.
Percy si sentiva sollevato dopo aver parlato con Nico, più leggero, come se un enorme macigno fosse stato sollevato dalle sue spalle. Era stato preoccupato per Nico da quando era tornato al Campo; anche se si sforzava di nasconderlo, Percy aveva notato il suo sguardo distante e sconsolato e tutto ciò che aveva voluto era poter fare qualcosa. Vedere Nico così afflitto, mentre si confidava con lui, gli aveva fatto male, più di quanto si sarebbe mai aspettato, ma era contento che lo avesse fatto. Percy aveva ancora la netta sensazione che ci fosse qualcosa altro, qualcosa che Nico non voleva dirgli e che, probabilmente, non gli avrebbe confessato con facilità. Qualcos'altro che lo aveva spinto a tenersi lontano dal campo per tutto quel tempo. Eppure sentiva che erano più vicini l'uno all'altro adesso, come se potesse finalmente allungare una mano verso di lui senza la certezza di essere respinto. Inoltre sapeva che a Nico aveva fatto bene parlare, smettere di portare il peso dei suoi problemi completamente da solo; se Percy si sentiva più leggero, lui non era certo da meno.
Mentre camminavano per il campo, Nico sembrava nervoso; cercava di mettere la maggiore distanza possibile tra di loro, quasi come se tutto il contatto di prima gli avesse fatto male. Quando si chiuse dietro di sé la porta della casa di Ade, Percy dovette costringersi a non afferrargli il polso per fermarlo.
Nella cosa di Poseidone, steso da solo, al buio, Percy ripensò a quanto gli aveva raccontato Nico riguardo al dimenticare qualcosa per ricordare qualcos'altro. Cosa sarebbe successo se avesse accettato? Scosse la testa per scacciare quel pensiero. Percy non apprezzava particolarmente il modo di fare degli dei, ma l'idea di quel che avevano chiesto a Nico gli fece sorgere una gran rabbia dentro. Sforzandosi di prendere sonno, si concesse di far scivolare il suo pensiero sul ricordo della sensazione di abbracciare il figlio di Ade, a come si era sentito vicino a lui, e non solo fisicamente. Percy si sentiva molto contento e molto confuso mentre si domandava se Nico stesse già dormendo.

  
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