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Autore: Pachiderma Anarchico    04/09/2014    1 recensioni
"Le persone che hanno sofferto sono le più pericolose, perché pur temendo il dolore conoscono la loro forza e sanno come sconfiggerlo. La loro paura è pari al loro coraggio. Non si fermeranno di fronte a niente e nessuno e sapranno ingoiare tutte le lacrime, sapranno alzarsi dopo aver toccato il fondo. Chi ha sofferto ha un cuore grande perché conosce il bene e conosce il male e ha rinchiuso in se tutto l'amore e il dolore. Sapranno sempre allungare una mano per fare una carezza e trovare una parola per confortarti, ma non sottovalutarle mai, perché sapranno ucciderti nel momento in cui tu cercherai di farlo con loro."
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too frail to live, too alive to die.'
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CAP. 14
 



Aleksander

Ore 22.00
Apro Facebook e accedo al mio account perché ne ho abbastanza di giocare pulito, afferro quel cellulare perché ho le peggiori intenzioni, compongo il suo numero perché non mi importa delle conseguenze.
So che da qui a quattro squilli non avrò più l'assoluto controllo. 
E no, non mi interessa.
-Aleksander.- 
E' anche sostenuto il principino, dopo che gli ho salvato delicato faccino.
-Cosa preferisci che scriva, che ti è venuto dentro o che te lo sei preso in bocca?- brutale. 
So giocare anche io a questo gioco d'ispirazione dark.
-Aleksander- adesso sì che riconosco il mio nome in questo campanello d'allarme. -Che cazzo significa.-
-Ma questa volta lo pubblico sul mio profilo, così, giusto per essere sicuro che tutta Varsavia lo veda. Allora?-
-Ti piace fare l'infame..-
-Allora- ripeto, impaziente. -Che cosa devo scrivere sulla mia bacheca di Facebook? Dài dimmi tu i dettagli, a casa sua? Sul suo letto? O è troppo elegante un letto per Asher?-
Sbatto il dito sul mouse, un ticchettio persistente che gli dovrebbe far intendere che deve muoversi. 
-Non osare.-
..e adesso sì che riconosco lui, quel ragazzo con i segni neri sotto gli occhi e gli occhi che ti fanno venir voglia di strapparti le corde vocali dalla gola.
-Che cosa Dominik? Farti la guerra? Troppo tardi, non trovi?-
-..Non oseresti.-
Ha cambiato verbo e il condizionale non mi si addice. Per niente. Mi sta sfidando. Mi sta apertamente dicendo che non ho la faccia tosta di farlo, non a lui. Ultimamente si hanno troppi dubbi su questo. La mia faccia è di bronzo cazzo. 
-Non.. non "oserei"?- 
Scrivo nello spazio bianco apposito del social network parole che sputano veleno. 
-Sai è strano, perché sto già osando.-
-Perchè Aleksander, perché?-
-Perchè, baby, mi va di farlo. Dovrebbe esserti familiare questa sensazione, il seguire solo ciò che dice la tua testolina, il non avere regole. Tu ne hai regole, Dominik?-
-Non sei così diverso da Asher quanto pensi campione.-
Ah, bene, stai guadagnando punti nella scala di quante volte ti sbatterei al muro Nik. 
-Non ho mai detto di esserlo diverso, ma tu, tu sei un maledetto falso, ti ricopri di quella fantomatica irraggiungibilità e alla fine..-
-Che cos'è che ti rode Leks, che?!-
-Pubblicare o non pubblicare..?- mormoro con voce carezzevole. -Tu che dici, se lo scrivo io mi credono?-
Silenzio.
-L'ultima volta lo hanno fatto? Ci hanno creduto? Non ricordo..-
-Pezzo di merda.-
-Hai dieci minuti per varcare la soglia di casa mia.-
Chiude e questa volta, non risponde.


***
 

Sento l'ascensore, apro la porta, lasciandola socchiusa. Non può che essere lui, perché l'orologio sta scoccando ora il decimo minuto. Ha spaccato l'ora X. 
Quindi eccolo, lo sento che si sbatte la porta di casa alle spalle. 
Lascio il computer sulla scrivania dello studio di mio padre (dove entro solo quando lui non è nei dintorni) e sono pronto ad accoglierlo. La mia figura sboccia nel soggiorno, accogliendo l'altra figura, quella che mi sta pugnalando con uno sguardo lacerante.
-Non ti permettere.-
-Siamo nervosetti eh?-
-Aleksander se lo fai sarà l'ultima te lo assicuro.-
-Che cos'è?- 
Spingo il mio telefono sul tavolo, svogliatamente, mentre si leva dall'apparecchio la stessa registrazione che tutta la scuola ha avuto il piacere di udire ieri mattina, quando il giorno si è incendiato di nero sulle note dei suoi ansimi nel cellulare di Asher. 
-Gemiti?- 
Ghigna appena, una smorfia vagamente disgustata sugli occhi che si stanno scurendo. 
-Pensi di essere nella posizione più comoda per prendermi per il culo?- 
Faccio un passo avanti, ripropongo la stessa domanda, pretendo una risposta.
-Che cosa hai fatto con Asher?-
Fa un passo avanti, ripropone lo stesso sguardo oscuro, non ha voglia di darmela 'sta benedetta risposta.
-Che cosa pensi che abbiamo fatto?-
Il plurale mi urta il sistema nervoso già sull'orlo della pazienza, quell' "abbiamo" non mi piace affatto e se una cosa non mi piace, reagisco di conseguenza. E Dominik sta giocando col fuoco, un fuoco instabile che deve affrontare le sue labbra apertamente sferzanti.
-Non me lo dici? Bene.- 
Gli do le spalle, il computer è già nelle mie mani , lo screen si illumina, esortandomi ad agire. 
Faccio fatti, non parole. 
-Mi inventerò qualcosa all'altezza, tranquillo, lascerò tutti a bocca aperta, come deve essere stata la tua con lui.-
La mano è sul mouse, il pulsante blu sembra un'oceano di incertezza ma il cursore ci naviga perfettamente sopra mentre quel "Pubblica" ammicca come una vecchia fiamma. 
E non sarà mai tanto semplice. Non è nel nostro sangue. E lo sento scorrere con velocità folle mentre il metallo freddo di qualcosa di pungente mi preme sulla carotide, agguantando la pelle del collo. 
La normalità appare improvvisamente anormale con Dominik dietro che mi tiene una delle vene più grandi del corpo umano sotto il tiro di una forchetta, ma c'era da aspettarselo, il piccolo nero delle sue pupille in quel cielo di vetro celeste lampeggiava, frenetico, pericoloso. 
Ha afferrato la prima cosa che gli è capitata in mano e non so se aveva la certezza che qualunque cosa fosse sarebbe stata l'arma perfetta, ma lo è, nelle mani di chi vuole sopravvivere tutto è un'arma. Io lo so bene.
-Ho detto: non ti permettere.- 
Il soffio freddo tra spalla e collo mi avverte che non è dietro di me, è spalmato sulla mia schiena, discreto, letale. 
-Mi sembrava di averti fatto capire che non accetto ordini da te.-
L'indice si posa sul pulsante destro, i denti di metallo premono istantaneamente di più. Fastidiosi.
-Che arma ha usato Santorski, per uccidere Lubomirski? Una forchetta..- mi sforzo di ridacchiare. 
-Originale, non c'è che dire.-
-Mi faccio bastare l'essenziale.- 
Un brivido risale la colonna vertebrale, un brivido che non confesserei mai di aver avuto a causa della sua voce. Non è divertita, non è beffeggiante, non è di colui il quale sa di aver afferrato in pugno la situazione no..è fredda come il ghiaccio, bassa come l'oltretomba e cruda come l'inferno. 
ed è dietro il mio orecchio.
-Tu, non oseresti.- bisbiglio a voce abbastanza alta.
-Aah quello che non oserei l'ho superato da tempo. Cancella quello schifo.-
-Pensavo avessi inteso che non scherzo.-
-Pensavo avessi inteso che io non l'ho mai fatto.- 
Preme ancora di più e io inizio a perdere lentamente sensibilità al lembo di pelle sotto l'assedio ostinato della sua arma improvvisata.
-Cancella Aleksander- ribadisce, -ora.-
Devo cedere, momentaneamente, devo seguire le regole della sua battaglia, una battaglia pericolosa quanto lui. 
La crocetta rossa è la mia meta, quella che disintegrerà la finestra di Facebook, quella che forse decreterà la salvezza del mio collo al centro di un inaspettato tiro a segno. 
Perché sì, ha in mano una forchetta e sì, la cosa è anche alquanto ironica, ma non riesco a trovarla divertente mentre mi pervade la netta sensazione che Dominik con una banale forchetta sarebbe più che capace di trapassarmi le vene.
Chiudo, obbedisco, mi lascio guidare dalla costrizione della sua disperata imprevedibilità.
Ma non finisce qui, non quando ho abbandonato tutte le certezze, la fermezza di stare alla larga da lui, l'inoppugnabile corazza d'acciaio per capirci qualcosa. Sono un combattente, sono stato plasmato per combattere. 
Ed è questo ciò che faccio.
Il braccio di Dominik mi si gira nella mano, sono inevitabilmente il più forte, ma questo non basta perché è il braccio sbagliato. E un errore con chi ha lo sfrigolio dell'elettricità negli occhi può essere precario. 
Mi graffia, con quella dannata forchetta, mi segna da qualche parte, avverto solo un istantaneo bruciore poi lui, che indietreggia, con l'utensile ancora stretto in mano e uno sguardo folle nelle iridi. 
-Pensi davvero che me lo sia fatto?- 
Indietreggia, avanzo, arriviamo di nuovo in soggiorno. 
Silenzio. 
Siamo soli. Soli con i nostri demoni che ballano insieme. 
-Pensi questo di me?- chiede, in un tono che sa quasi di sdegno. 
Scatto. 
E' pronto. 
Fa un salto indietro. 
Non si lascia prendere il bastardo.
-E anche se fosse? Sentiamo, anche se mi fosse venuto dentro non dovrei in ogni caso rendere conto a te.-
-Non decidi tu quello a cui devo rendere conto.-
-Anche se glielo avessi preso, succhiato..leccato.. non è affar tuo..-
-Dominik non mi fare incazzare.-
-Anche se ci avessi fatto sesso..e magari è proprio così, tu non avresti comunque voce in capitolo.-
Mi sbilancio in avanti e questa volta lo prendo.
Gli esili polsi gli vengono stretti in una morsa di ferro dinnanzi al suo viso, la schiena è premuta contro il mio torace, ogni cellula del suo corpo scalpita per liberarsi ma ogni cellula del mio corpo freme per trattenerlo. 
Cerco di bloccargli le gambe tra le mie e nel contempo di non farmi infilzare un occhio dalla forchetta che sguaina come un pugnale. 
-Cazzo se sei combattivo..- 
Ma io lo dico: nel corpo a corpo sono superbamente bravo, anche contro un indomabile che dentro ha il sangue della ribellione.
-Levami le mani di dosso..- 
Stringo ancora di più le dita sulla pelle, non lo lascio andare, non mi lascia respiro, e quando mi è chiaro che non posso bloccargli le braccia dietro la schiena e che la forchetta gravita ancora nell'asse di ghiaccio infuocato del suo illogico desiderio di farmi fuori so che devo darmi una mossa. Le redini del cavallo sono ormai impossibili da recuperare, o forse non le ho mai ghermite davvero, forse non l'ho mai voluto il controllo su un purosangue nero come la notte che non può e non deve essere controllato. 
E me ne sto accorgendo soltanto adesso, mentre lottiamo in una lotta disperata all'insegna di qualcosa che forse neanche esiste ma che mi spinge sempre verso lui, verso il corpo magro che ho ancorato al tavolo, che si contorce e smania sotto il mio che lo imprigiona, verso il viso che mi annienta a vista mentre ho i suoi polsi inchiodati sul tavolo, verso gli occhi di vetro azzurro accesi di violenta vita.
Ho Dominik sotto di me, gli inibisco ogni possibilità di muoversi o quasi mentre lui fa di tutto per slegare le mani, le braccia, le gambe, immobilizzate dalle mie, dure, resistenti, frutto di anni e anni di allenamento. 
E, nonostante l'esperienza, la superiorità muscolare e la furia equivoca con cui alimento i miei arti, non posso dire che sia stato facile fermarlo, che sia facile circoscrivere l'incendio senza lasciare terra bruciata, questa volta. 
Ringhia, sbalza, strattona con stizzita contrarietà, le labbra contratte, l'aria che sibila fra i denti serrati. 
E' mare in tempesta. 
E l'acqua mi arriva alla gola. 
Ormai sono in mare aperto, mi sta inghiottendo ma so nuotare, devo andare fino in fondo, devo capire perché mi ha dato dannatamente fastidio quella registrazione e la realtà che si porta dietro, perché non riesce ad essermi indifferente, perché la sua egocentrica instabilità mi attrae, ammaliando ogni vano recitare, devo scovare cosa c'è in questo ambiguo diciottenne che lo rende ogni giorno più accattivante. 
Spinge infastidito, lo risbatto sul tavolo, alterato. 
Se vuoi giocare a braccio di ferro con me Dominik, sappi che non puoi vincere. 
Mi arrampico con le dita sulla mano destra dove ancora la forchetta minaccia scintillante di colpire nuovamente. Rasento la sua pelle perché se solo sollevo il mio peso, se solo gli do aria per un secondo, mi sfugge come fumo fra le dita. La forchetta abbandona la sua stretta, con una mano premuta sulla spalla gliela sfilo dalle dita e la lancio da qualche parte. E quando una smorfia di dolore sfugge ai tratti tesi della sua faccia il lampo di un' illuminazione rischiara il campo visivo. 
-Ti fa male.-
E' un attimo.
La mano mira senza incertezza a scoprirgli la pelle tra spalla e collo, dove prima ho poggiato le dita per bloccarlo e gli ho fatto male
-Non c'è niente, fermo.-
Ma non sono stato io, non posso essere stato io, non avevo intenzione di..
A niente servono i tentativi di Nik di lasciarmi fuori dalla constatazione che, abbassatogli la felpa e avendogli scoperto l'area intorno alla scapola sinistra, c'è davvero qualcosa che gli provoca dolore. 
Due piccoli lividi rosso bluastri spiccano sull'incarnato chiaro della pelle, quasi sulla strada fra spalla e collo, poco sopra l'osso sporgente della scapola. E sono lividi da pressione. 
Non sarebbe servita la preparazione che ho ricevuto negli anni di sport e Judo professionistico per riconoscere che qualcuno vi ha compresso le dita, la forma dei polpastrelli è limpida quanto l'acqua sotto il sole. 
E mi brucia molto di più.
-Che ti ha fatto..-
La voce si rifiuta di uscire, bloccata in gola da corde corrosive. Lo sollevo dai polsi sino ad aver il suo viso fermo dinnanzi al mio. 
-Che.cosa.ti ha.fatto.- scandisco a una distanza troppo breve. Non è nelle mie proprietà contare i metri che dovrebbero separarci, lo è contare tutte le volte che l'ho avuto a un passo da me, così vicino da poterlo sfiorare, e non l' ho fatto. 
Non dovrei neanche adesso.
Non dovrei, ma il suo respiro sottile scava sulle mie guance e l'odore inconfondibile di iris e indolenza fraternizza con il mio bagnoschiuma al caramello.
-Ti ha toccato Dominik?- mormoro, esitante sulla miccia che diventa fiamma.
E al suo silenzio il mormorio si fa convinzione. 
-Ti ha toccato.-
-E anche se fosse?- 
Questa volta mi spinge con risentito rifiuto e faccio qualche passo indietro, inebetito, stordito come se mi fossi svegliato da un letargo. Un letargo durato anni. durato troppo.
-Anche se fosse Aleksander?-
Anche se fosse Dominik?
Anche se ti avesse toccato, preso con la forza, anche se è un dato di fatto che ha palpato la tua pelle, che ha lambito la tua carne, che ti ha guardato negli occhi volendo possederti..No.
Due sillabe, un (solo) significato e mi rimbomba in testa come l'eco infinito di un abisso insondabile. 
No.
Assolutamente, categoricamente no.
Non esiste che mi abbiano sfidato nel mio territorio, non esiste che abbiano raggiunto lui, non esiste che qualcuno abbia pensato anche solo per un attimo di..possederlo.
Dominik mi guarda, ancora in attesa di una risposta che non so dargli.
-..Se lo ha fatto Aleksander?-
-Lo ha fatto Dominik?-
-Lo ha fatto Aleksander.- l'aria scotta. -Ma per una volta non riguarda te.-
-Non avrebbe dovuto farlo.-
-Ah no? E perché. Perché il maschio alfa ha detto di no?-
-Cazzo se non avrebbe dovuto farlo..- mi passo le mani fra i capelli seguendo un filo intarsiato di furore che Nik non percepisce ma del quale io inizio ad averne la nausea. 
-Esci dalla mia vita Aleksander, una volta per tutte. Non ti voglio a contestare ogni mio passo, non voglio il tuo grande e intoccabile occhio critico su di me, ci stiamo per diplomare tu avrai una ragazza perfetta, una carriera brillante e la tua illustre famiglia sarà fiera di te, non mi rivedrai mai più ma per queste due settimane cazzo, per queste ultime, benedette, due, settimane, liberami dal girone infernale di tutte le lingue che ti sbavano dietro perché io non sono una di loro.-
-Me la paga.. Questa me la paga..-
-Dio perchè dovrebbe..-
-Perchè NESSUNO deve toccarti cazzo!-
Sussulta quasi quanto sussulto io, solo per un attimo l'esterrefatto sguazza nel chiaro sempre più chiaro dei suoi occhi. Ma l'attimo si dissolve nel nulla e una
più che lecita domanda prende forma sulle sue labbra. 
-Perchè.-
E' prevedibile che non risponderò. 
Lo lascerò andare via, come sempre, come al solito, come ci si aspetti che il mio saldo dovere faccia, e infatti eccolo, abbassa lo sguardo, mi nasconde gli occhi con le lunghe ciglia, è pronto per scendere dal tavolo, per fare quel piccolo balzo che lo porterà via da me, ancora e ancora le mie mani hanno bloccato i suoi polsi, il mio corpo sorride di nuovo al suo, il riflesso dei miei occhi viene corrisposto. 
Non voglio essere prevedibile. Non stasera.
-Perchè tutti sanno che non si tocca la roba mia.-
E quello che dico lo dico senza sfoggi di voce, senza sfumature nelle parole che scivolano come verità assoluta dalla punta della lingua. Ciò che dico lo dico con i suoi polsi nelle mie mani sul tavolo del mio soggiorno-cucina, con le sue iridi a troppo poco dalle mie, con a cinque chilometri dall'attico la strada più trafficata di Varsavia che non è abbastanza forte da perforare il nostro spazio, creatosi intorno alla connessione di sguardi che non si mollano. 
Perché è stato un momento, un momento soltanto e ho catturato le tue labbra tra le mie? 
Perché il mio corpo non forma più quell'arco di tensione per non entrare in contatto col tuo ma le maglie e i Jeans si strusciano contro?
Perché la bocca mi è finita sulla neve del tuo collo e una tua gamba si è accalcata al mio fianco?
Perché ci siamo solo io e te, adesso. Perché i tuoi occhi sono così celesti, adesso. Perché niente può fermarci, adesso.
Ed è proprio mentre il tuo corpo reagisce ai baci con cui ti divoro la linea morbida della mandibola che capisco che questa è una battaglia che non potrò mai vincere. 
L'ho persa quando in prima media comparve quel ragazzino coi capelli che si confondevano con la notte e la solitudine nelle ossa. Rimaneva zitto e osservava, osservava.. Era come noi ma non si sentiva lo stesso. Riservato e silenzioso, sapeva divertirsi più di chiunque altro. 
L'ho persa quando vidi per la prima volta il sorriso di quel ragazzino. Pensavo che non sapesse sorridere.. Non lo faceva mai. E invece eccole lì, due labbra perfette fino all'ultimo dettaglio, due labbra con un sorriso perfetto. Erano fatte per sorridere le sue labbra, anche se non glielo concedeva mai. E lo sono ancora, fatte per sorridere.. 
E la perdo adesso che non ti permetto di sorridere perché quelle labbra sono nelle mie, sulle mie, con le mie in una danza che non andrà mai sul palcoscenico. 
Gli libero le mani e si intrecciano nei miei capelli, scendono sulla nuca, si insinuano nella maglia, sono come le ho sempre immaginate: fresche, lisce, conturbanti. Con un braccio gli circondo la vita sottile e lui si solleva di rimando per lasciarsi avvolgere. E' sbagliato, terribilmente sbagliato ma non riesco ad allontanarmi, non riesco a sottrarmi dalle dita che discrete stanno sollevando la camicia per rifugiarsi al suo interno, a contatto con la pelle del mio bacino. 
Lo sorreggo mentre si raddrizza, sedendosi sul tavolo che sostiene non solo lui, ma anche la nostra rabbia, la nostra giovinezza, quel filo invisibile che non si scioglie. 
Credo sia per questo che passo le mani sul tessuto della felpa e non mi basta, voglio sentire la sua pelle, voglio che questa barriera nera crolli perché ciò che difende non può attendere. 
Dominik smania, vuole la stessa cosa ma ferma la corsa della mia fantasia quando sono lì lì per scoprirgli di più. Mi blocca delicatamente le dita e le porta sui suoi fianchi prima di circondarmi la vita con le gambe e ricongiungere le nostre labbra. E capisco che sa giocare bene almeno quanto me. 
Le lingua iniziano presto a riconoscersi, a rincorrersi sui binari delle nostre bocche, il cuore rimbomba nelle orecchie come un tamburo impazzito e non avrei mai pensato di sentirlo così, scalpita, il bastardo, sembra volermi sfondare la cassa toracica sembra volermi dire "Te lo avevo detto", si fa sentire proprio ora, quando ho tirato lieve ma con fermezza la testa di Dominik all'indietro, quando lui ha negli occhi l'azzurro dell'insofferenza, quando passo i denti sulla linea della gola per lasciarvi il segno. Tutti devono sapere che questa è proprietà privata. Tutti. 
E io dovrei saperlo che la mente della mia vittima non avrebbe giocato pulito. Perché la mia vittima è anche carnefice e neanche il tempo di stringerlo a me che il basso ventre si agita, trepidante della vicinanza con lui e spazientito per la presenza di questi inutili Jeans che non solo ci separano come mura invalicabili ma grattano con deliziosa ruvidezza contro l'erezione che si fa già sentire.
Ma non è invalicabile ciò che ci divide, non questa volta. 
Lo sollevo senza sforzo, mi slitta addosso circondandomi il collo con le braccia, lo faccio atterrare docilmente e per un attimo sembra instabile sulle gambe, non è un tremore illusorio quello che lo accende, ma si fa largo fra tutte le mani che tentano di tirarci indietro, di ripiombarci nella realtà. 
E' questa la realtà, lo scatto della serratura della porta della mia stanza e la schiena di lui spinta contro di essa ma con un mio braccio ancora intorno ad attutirgli l'impatto. La realtà è il movimento fluido delle labbra che si provocano, la mia lingua che lo cerca, la sua che sfugge per farsi ritrovare ancora più impetuosa, irresistibile nella nota sensuale che si scrive su uno spartito che non avrebbe dovuto mai essere suonato. Siamo corde scoordinate, chitarre diverse, lui nera, elettrica, esplosiva io bruna, classica, inconfutabile eppure mi piace la sua musica, quella che stiamo suonando, quella che gli propongo e che lui accetta senza tentennamenti, con i bottoni della camicia che allentano la loro presa uno dopo l'altro e la sua mano che passa sulle linee del mio addome. 
L'angolo del letto si abbassa silenzioso mentre Dominik getta su Varsavia le ultime incertezze e recida, salendomi a cavalcioni sulle gambe, i freni che non gli si addicono.  
Il lungo ciuffo gli cela il bagliore di un occhio. Voglio che sia mio. 
In un modo che non capisco, in un momento che non dovrebbe, con un desiderio che non conosco ma non abbandono le sue labbra, inspiegabilmente punto focale di tutto il movimento che avverto sull'autostrada maggiore delle mie viscere. Lui mi assale con forza, non mi permette quasi di respirare, ma in fin dei conti non mi serve respirare, mi serviva con Karolina, mi serve con Magda ma non con lui, qui, adesso, mi servono i suoi sospiri, la contrazione dei muscoli della sua pancia mentre si muove irresistibile su di me, lo screzio di turchese che appare quando socchiude appena le palpebre per riallacciare i suoi occhi nei miei. Occhi che non ho mai perso.
Potrei allontanarmi, certo che potrei farlo, correre via e non voltarmi più indietro, ma per la prima volta temo di non farcela da solo in quella realtà oltre la porta dietro la quale ci siamo trincerati, un vano ma meraviglioso tentativo di dimenticare tutto tranne le mie mani che risalgono la sua schiena e i denti che creano solchi visibili. 
Mi fermo.
Quella che mi si compone davanti nella penombra della stanza è un'immagine che mi sconvolge ogni rimanenza assidua di pensiero logico fra le sinapsi cerebrali e tormenta sadicamente il rigonfiamento nei pantaloni che diventano ogni secondo più inopportuni. 
Le sue gambe sulle mie, le sue cosce sulle mie  ma la sua schiena si arcua e il collo viene esposto totalmente a me, visibilissimo anche nel chiaroscuro, come opale scintillante, invitante e mio. 
Aroma all'Iris invade ben presto il mio spazio vitale mentre le voci di una razionalità ormai lontana pressano per risalire l'abisso in cui le ho confinate, si ingrossano come pericolosi cavalloni marini, cercando un varco come una caccia al tesoro che non gli lascerò vincere, non stavolta.
Non ci sono uscite stanotte, nessuna scappatoia dalla gabbia in mezzo agli squali, niente mi salverà dall'afferrargli la cerniera della felpa e con chi sa quale impeto di abbassargliela giù. L'indumento cede alla fame con cui bramo il pallore che mi si rivela davanti, sotto i polpastrelli ci sono linee morbide di muscoli addominali, porcellana dolcemente modellata. Ho pensato di conoscerlo, di conoscere ogni segreto del mondo e dei suoi abitanti, che le strade fossero senza uscita almeno che tu non te ne creassi una, che oramai nessuno potesse fare lo sgambetto a chi lo sgambetto l'ha inventato. 
Puoi sentirlo? Posso sentire che ti lasci toccare, graffiare, prendere.. Puoi sentirlo che mi sto concedendo all'inconfessabile? Mentre i respiri diventano sospiri di amanti e i suoi glutei finiscono nelle mie mani, mentre un fremito diverso, una nota stonata che si accorda magicamente al resto della melodia. Lo guardo negli occhi e i suoi occhi mi rispondono. Ha capito che ho capito e la consapevolezza gli sfuma zaffiri grezzi al cospetto del nero delle pupille. Un fremito di emozione e paura, di passare la linea, di essere sbagliato, di diventare disfatto, stasera. Il fremito di chi sente le mani di qualcuno sul proprio corpo per la prima volta.
-Sei vergine.-
Non ho bisogno della risposta, ma rimango comunque incantato quando annuisce nel silenzio e quello stesso silenzio viene rotto dalla voce adornata da fili di vergogna e fierezza. 
-Sì.-
e la felpa vola a terra insieme ai miei Jeans, a ciò che potremmo essere, alle sue scarpe, ho visto ciò che siamo, le mie dove sono finite?, insieme con le sinistre stelle nella luna del suo sguardo quando gli faccio presente a suon di baci che il fatto che sia vergine è il dettaglio che mi ha fatto perdere la testa. 
Ci ritroviamo l'uno sopra l'altro in una guerra senza esclusione di colpi dalla quale si esce sconfitti a metà. 
Dieci secondi prima sto rasentando con la bocca ogni centimetro di pelle lasciandogli il mio passaggio accaldato e dieci secondi dopo un ginocchio in mezzo alle gambe mi stuzzica come una lenta, insaziabile, spudorata tortura lì dove pulsa la mia erezione.

Dominik
Probabilmente quando domani sorgerà il sole dovrò andare dal primo chirurgo disponibile ad asportarmi quella porzione di corteccia cerebrale in cui vengono immagazzinati i ricordi e scordare tutto questo, dimenticare la mia gamba che spinge contro il sesso di Aleksander Lubomirski, già enormemente eccitato, credetemi,enormemente, e continuare a fingere che sì, sto bene e che no, non lo avrei mai (ri)fatto. Dimenticare che mi sollevo in ginocchio sopra a un materasso che ora riconosce la forma di un secondo peso e sbottonare con un colpo secco la chiusura del Jeans prima che lui faccia il resto, abbassandomelo sulle gambe. Inutile in questo momento, lo calcio da qualche parte nella reminiscenza di buio della stanza prima che il cuore si appropri della mente e non esista altro che noi, su un letto, con le luci della skyline di Varsavia in lontananza a colorarci cladeiscopi di altri mondi sui corpi, a giocare a fare gli amanti, e a credere di esserlo davvero, sospiri in sospiri, pelle su pelle, lingue con lingue, labbra contro labbra, nudi, a fare gli equilibristi su una corda che si è già spezzata. Sono acqua sotto vento sul suo corpo, tempesta di sabbia con una mano sul suo viso e maremoto sulle sue intimità. Geme, geme quando i miei denti trovano un capezzolo e vi si chiudono intorno, geme perché non se l'aspettava, geme perché la punta della lingua sul morso non gliela da vinta. Vorrei scendere, appropriarmi del meraviglioso girovita, di quella fantastica eccitazione, ma come faccio quando, alzando appena lo sguardo, ho sotto gli occhi Aleksander in estati per i giochi contorti della mia lingua? 
Sul bruno dei muscoli scolpiti con classe scrivo tracce di baci veloci, affamati, feroci e nel contempo scrivo la nostra condanna. La mia di sicuro.
E' una condanna sapere che qualunque cosa fosse successa sarebbe andata così, convogliata in un ingorgo di strade ad un'unica uscita. E' una condanna credere di essere due ragazzi normali, privi di illusioni, aspettative, dubbi, paure, incertezze, vittime dei nostri stessi successi, e pensare anche solo per un attimo che le mani che hanno ormai preso terreno sul mio fondoschiena possano farlo ancora, e ancora, e ancora, fino ad averne abbastanza, fino a non farcela più. E' una condanna cadere nello stesso errore, in quell'errore che una volta mi ha ucciso, spalancato le fauci del mostro dentro me ed è una condanna avere la certezza che, se qualche mese fa fossero state tutte così le mie notti, con qualcuno, ma che dico, con lui accanto a me, il mio avambraccio adesso non riporterebbe alcun segno e tutte le lacrime che hanno portato il suo nome non sarebbero mai cadute. E' una condanna.
Sono condannato a sentirmi vivo con le sue mani su di me, fra i capelli, sul mio viso, sulla mia schiena, sul mio sedere, tra le mie cosce, e con le mie sui bicipiti e tricipi e quadricipiti e diecicipiti marcati delle sue braccia e le gambe intorno alla sua vita dove vi sono muscoli modellati da precisione matematica di cui io ignoravo anche l'esistenza e allora va bene, aggiungerò un altro nome alla lista di tutte le cose che sono diventato negli ultimi tempi. 
Instabile, non ho più niente a coprirmi; imprevedibile, neanche lui; irrequieto, mi bacia e sono sotto di lui; emotivo, mi bacia e vorrei morire; imprudente, il mio ventre non gli da pace; insofferente, sussulto quando adorabili, meravigliose punture pizzicano nell'interno coscia, mentre la bocca di Aleks si fa spazio sulla mia pelle, si appropria della mia carne proprio mentre un'innumerevole sfilza di motivi per cui non dovrei essere qui a mordermi le labbra a sangue per non rendere totalmente esplicito quanto cazzo sto godendo mi invade la mente, puntualmente spazzata via da un nuovo lamento che raschia in gola quando lo stronzo passa la bocca su tutta la lunghezza della gamba che sorregge, come se fosse sua, come se ogni centimetro di pelle che ricopre le mie ossa fosse sua. 
Ed è sua stanotte. 
Ogni centimetro di pelle che mi ricopre ossa, muscoli, intestino tenue e crasso gli appartiene in quest'imprevista collisione di rette parallele.
Non si possono piegare i binari di un treno, non dovrebbero piegarsi i binari di un treno altrimenti il treno sbanda, e drammaticamente aggiungerei, ma sono il re del dramma e allora non lasciamo che il treno sbandi, non aspettiamo un incidente che non avverà mai, facciamolo sbandare questo treno, se siamo già sbandati noi. 
E lo siamo, persi, incantati, avvinghiati, incatenati in rose dai petali setosi e spine acuminate, incastrati in un plagio che abbiamo architettato alle nostre spalle, prigionieri di una libertà che per questa notte, ci daremo il lusso di concederci. Divoro le sue labbra come se non potessi fare altro, come se tutta la mia vita si fosse ridotta a questo, a ripiombare nel veleno e a scoprire che l'antidoto non è cambiato. Le lingue si fondono per scindersi e mescolarsi di nuovo, consapevoli che quando finirà il sapore non sarà mutato, dall'ultima volta, dalla sera che decise, in una mescolanza di rosso e nero, che nessun bacio sarebbe stato lo stesso perché nessuno è come lui, tempesta e calma, bianco e un grigio sempre più scuro, prepotenza e la delicatezza con cui ha poggiato due dita sugli anelli muscolari dell'apertura in mezzo ai miei glutei, premendo per entrare, per varcare la soglia del non ritorno, e glielo lascio fare, nonostante il dolore che mi colpisce, lascio, forzo il corpo ad abituarsi a lui, all'invadenza delle sue falangi.
Lo guardo, fa male, lo voglio, voglio che faccia di più, voglio sentirlo dentro e fuori, sopra e sotto, voglio che il buio si colori di lui, è per questo che nonostante tutto lo attiro a me, e lo guardo, e mi guarda, ci guardiamo un istante, un istante solo e decretiamo, in un lampo che percuote il nero, che se cadiamo, questa volta cadiamo insieme. 
La corda si spezza, il cuore martella, la pelle sudata e le sue mani calde sui cancelli dell'Inferno. Lo guardo, annuisco con il coraggio della paura, il piacere nelle mani e le dita delle stesse mani attorno alle lenzuola. Sono rigido, fermo, immobile sotto il tocco di Aleksander. Lo capisce, lo sente, sorride ed è sulle mie labbra, e combatto. 
Potrei dire che ho seguito ogni sua mossa, che ero cosciente e presente, ma Dio quanto ho cercato di resistere per rimanere lucido, vigile, seguire i suoi movimenti e non farmi sorprendere, ma la verità è che appena le sue labbra si sono cristallizzate sulle mie io ho ricominciato a non capirci più niente, immerso in un vortice di sensazioni incapaci di dare spazio ad altro, le sue labbra, i miei morsi, il sapore ferroso del sangue che sento in bocca, lui che deve essersi portato le mie gambe sulle spalle, mi scosto per guardare ma il mio viso è tra i suoi polpastrelli e affonda ancora di più, rende i baci più umidi, il contatto più serrato, la lotta più ardua. So cosa sta facendo e glielo lascio fare perchè ho paura, paura di cosa succederá domani, del futuro che é giá passato, del pensiero che persino "questo" un giorno non mi salverà.
Ma quel giorno non è oggi e la schiena di questo grandissimo stronzo che mi sta facendo capire il nulla si tende sotto le mie mani, le scapole fasciate da muscoli sodi, rocce in tensione quando si prepara a qualcosa che sembra lo stia cogliendo impreparato. 
Apro gli occhi e ritrovo i suoi, puntuali, splendidi in questo languido malva scuro, colmi di piacere e ansimi inespressi. 
Vedo cosa c'è nei suoi occhi e comprendo che non si ci può preparare a questo.
-All'inizio ti farà male..- mi bisbiglia contro l'orecchio. Piego d'istinto la testa. 
Adoro sentire il suo respiro tiepido sulla pelle fredda di sudore.
-Ma ne varrà la pena.- 
Il respiro è singhiozzato, altalenante il suo sulla scapola che sì, forse sporge decisamente troppo ma sul quale lui passa le dita come se fosse la cosa più bella del mondo. 
Farà male e so io quanto, ma mentre la guance avvampano per le carezze delle sue dita, ferme per la prima volta da quando ci siamo incastrati l'uno all'altro come un'impossibile puzzle, so che non mi interessa, e sulle volte di condense di respiri discontinui so che sì, non importa quanto rosso uscirá questa volta, quanto grande sarà la cicatrice, non voglio fasciature su questo, voglio che esca sangue, voglio che esca vita.

Aleksander
-Ah..- 
Inarca la schiena, placca le lenzuola, le stritola fra le mani come se si stesse spezzando in due.
Faccio piano, vorrei fare piú piano ma so che non basterebbe ad alleviare il dolore della prima intromissione nel tuo corpo, di tutto quello che gli ho fatto, ad alleviare lo sbigottimento di un Dominik che si sta dando a me, per la prima volta nella sua vita, con la persona con cui si è quasi scannato e poi scannato del tutto, evitato, ignorato e saltato addosso, dopo che la stessa persona è stata sotto al minaccia di una forchetta. Irrimediabili. Irrecuperabili. Siamo sempre qui. Siamo sempre noi. in un labirinto senza uscita. Non esistono fili di Arianna, non ci sono mostri fra queste pareti, solo i demoni dentro di noi messi a tacere dai nostri gemiti.
Questi sono gemiti, cazzo. 
Niente a che vedere con quelli scaturiti dalla registrazione. 
Voglio lasciare il segno stanotte. Voglio lasciare il mio segno sulla sua pelle. Voglio che, per qualche giorno, quando si guardi allo specchio veda me, accanto a lui. Un'illogica voglia che non metto a tacere, un'irrazionale, spudorato coraggio coronato dalla consapevolezza che domani tutto questo sarà solo un ricordo del leggendario periodo di sbandata crescita adolescenziale, la fase di passaggio dal liceo all'università, dall'universo delle cazzate e dei sabati sera a quello del dovere e del futuro. E' solo un ponte fra due mondi, la scalinata dall'Inferno al Paradiso, la chiave per una porta che, fra due settimane, chiuderò per sempre. 
Entro in Dominik, più a fondo, lentamente, ma entro in lui, di più, lascio che il suo calore mi accolga, che sciolga i muscoli che indossa contratti addosso come un'armatura. 
-Sei così stretto..- sussurro con il suo addome che si alza e si abbassa al ritmo dei miei affondi. 
Mugola qualcosa di incomprensibile. Sa che mi piace, Dio solo sa quanto mi piace entrare in un varco tanto inesperto quanto intoccato, sapere, sulle note dei suoi tendini che si rilassano sotto di me e le sue labbra che si colorano della lucentezza del sangue, che ci sono io stanotte, a privarlo della sua innocenza, a infrangere la porcellana con il bronzo, così diversi, così pronti a disobbedire a ogni precetto, qualsivoglia principio e qualunque responsabilità, così pronti ad ansimare nel buio, a spegnere le luci perché non ci servono, non siamo sul palcoscenico, non stiamo recitando un ruolo, no, questa volta non siamo schiavi di congetture, convenevoli, proibizioni istillate a mo' di paletti solo per distanziarci. 
Tanto c'è Varsavia ad illuminarci stanotte, ad osservarci silenziosamente gemere e soffocare respiri, ad essere complice della mia bocca che ritrova la sua, della sua schiena che sorregge gli scatti del suo bacino che chiede di più, dei polpacci che spingono sul mio sedere, dei gemiti attutiti da lingue e saliva. Mi concede di guardarci negli occhi solo per un momento, tropo breve, prima di rifugiare lo sguardo sulla linea del collo, dei pettorali, di qualunque cosa mi nasconda l'azzurro, innocenti anche con il mio membro nel suo corpo e la sua erezione meravigliosamente dura, bollente contro il mio ventre contratto e rilassato, contratto e rilassato..timido e sfrontato quando si puntella sui gomiti e si aggrappa a me per sollevarsi, infila le unghie nella mie scapole portandomi a lacerarlo completamente, provocandomi sussulti di disinibito piacere che non riesco a mascherare. 
Gemo vergognosamente. 
Gli occhi limpidi quanto il mare d'Estate sono accesi da una provocante scintilla di selvaggia indocilità.
-Credi.. che ti lasci tutto il divertimento..?- 
Le parole ansanti, striscianti, impazienti, stringe le gambe intorno a me, si spinge più dentro e chiude gli occhi, il nero dei capelli sul viso, il rosso delle labbra dischiuso.
-Ti fai..male..- sussurro.
-Questo.. non è dolore- risponde. 
Gli infilo la lingua in bocca, rudemente, credo di poter arrivargli anche in gola, scalpitanti, problematici, mentre la night life della mia città è ignara di quanto accade in un lussuoso attico in cui si confondono fiato e polmoni, ignara come i miei genitori, a scarrozzare la loro eccellenza a qualche gala di ricconi, forse persino con i suoi genitori, i Santorski, e io il mio Santorski l'ho qui, in mezzo al niente e al tutto, nell'atto di un qualcosa di rapace e smanioso che potrà essere dimenticato alle prime luci dell'alba o non essere cancellato mai più. 
Non ne ho abbastanza di lui e lui non sembra preoccupato di questo, almeno fino a quando, sull'apice della vetta di un'esorbitante, frastagliato culmine di piacere, non mi fermo, stafottente fino al midollo.
Varsavia sarà complice anche di questo, dei suoi occhi che incontrano i miei e del suo ringhio sordo nello spingere le gambe contro le mie natiche.
-Che..cazzo..fai.-
-Non lo so..pensavo potessimo fare..una pausa..- 
Sorrido, ansante, esausto quasi quanto lui, stanchi, sudati, accaldati, i suoi zigomi sfumati di rosa e i miei capelli che saranno in uno stato pietoso, eppure mi piace l'Aleksander che si specchia nelle sue iridi, quello che non ho mai dato in pasto al mondo perché non è mai stato in vendita. E stanotte la mia scintillante, dorata Varsavia ha visto anche quella parte di me che non le avevo mai mostrato. 
-..Io.ti.ammazzo.-
Gli sfioro il labbro inferiore con il mio, terribilmente eccitato anche solo per smettere un secondo di toccarlo.
-Mm..e come posso fare?..-
-Puoi scoparmi.-
Il sorriso decolla e plana da un orecchio all'altro sulle montagne russe della sua voce totalmente innocua. 
-Come?..-
-Rettifico. Devi scoparmi.- 
Il sibilo basso di quella parola fra le sue corde vocali mi scuote fin nelle vene, seminando scie di fremiti e germogliando brividi di indicibile, bollente, carnale eccitazione. Si accosta a me, il mio sesso si muove dentro lui ed è la fine, dell'attimo di lucidità, dei muri di carta che sono scientificamente caduti dinnanzi alla sconvolgente verità che asseconda i miei pensieri. Voglio Dominik.
Voglio Dominik, per una notte, forse per sempre, e che la mente si fotta. 
E che si fotta anche la ragione, rintanata in qualche angolo buio mentre ciò che rimane di me è inebriato dall'innocente mente perversa del moro pallido con cui ho sincronizzato oramai i respiri, con cui il cuore pompa sangue e vertiginosa fame l'uno del sudore dell'altro, i muscoli si preparano a mettere in scena l'ultimo atto e non voglio nient'altro che questo, il suo gemito di assoluta estasi quando gli vengo dentro, le palpebre serrate alle cosce contratte e il liquido bianco  ad imbrattarmi l'addome, dolorante, soddisfatto. 
Non so di preciso quando crolliamo. Non so neanche se fossero le tre, le quattro o le cinque del mattino. 
Però so che mai, mai mi persi come quella notte.

 

***
 

Dominik

È spettacolare. Sentirsi così. Sentirsi vivi. Avere il mondo in mano. Poterlo modellare a mio piacimento. Poterlo lasciare andare. Come se non esistesse. Come se non potesse scalfirmi. Come se non potesse far nulla per impedirmi di respirare.
Ma sto respirando? 
Un raggio di sole mi è sugli occhi. Posso scorgerlo attraverso le palpebre chiuse. Muovo infastidito la parte inferiore di me. Fa caldo. Troppo. Che ieri abbia lasciato le finestre aperte? ... E da quando non mi servono pasticche per dormire? Ieri sera non le ho prese.. Ricordo di non averle prese.. perché non le ho prese? E perché questo sole si ostina a starmi addosso? Mamma chiudi le finestre, non voglio 'sto sole rompipalle. 
Ma.. non mi è permesso più chiudere la porta della mia stanza da secoli, perché a cara Beata non presta soccorso al su unico bambino? È domenica. .. Se, domenica dell'anno scorso. È venerdì.. Cazzo ma io dovrei essere a scuola. Socchiudo gli occhi. Sono in una rischiarata penombra tagliata da sottili raggi di luce solare. Ma io continuo a sentire più caldo di qualche minuscolo bagliore di quella maledetta stella. I contorni si distinguono con facilità anche ai miei occhi velati di sonno, la gigantesca poltrona-pouffe, medaglie di Judo appese sopra l'elegante scrivania, un moderno computer portatile grigio metallizzato, costosi orologi sullo squadrato comodino bianco, e.. Orologi..? Medaglie di Judo? Portatile grigio?? Comodino BIANCO?!
... Spalanco gli occhi..lentamente..molto lentamente. Mi passo due dita sugli occhi, come se quello che sto per trovarmi davanti possa cambiare nel frattanto che io mi decido a prendere per le corna il coraggio che mi ha incornato. 
Ma lo abbasso lo sguardo. 
Ditemi che quell'interferenza dorata nell'omogeneo incarnato della mia pelle è un'abbronzatura presa male.
....
No?
No. 
Scatto in piedi come se una lama mi avesse penetrato il sedere.
Letteralmente.
E nel mio sorgere investo qualcuno perchè improvvisamente una voce roca impastata di sonno pronuncia una raffinatissima serie di parole del registro più altolocato conosciuto dall'uomo: -Cazzo..ma porca puttana..! Stronzetto matricolato..Che fottuta botta..- 
Non qualcuno.
Lui.
Sto male.
Mi volto con l'intento di volatilizzarmi da qualsiasi altra parte che non sia respirare la sua stessa aria e il suo stesso profumo e. merda. mi mancava il naso spiaccicato come una mosca sul legno di una porta. Adesso le ho tutte. E anche la capacità di uccidere qualcuno in 0.2 secondi se un essere umano di buoni auspici non viene a dirmi cosa cazzo ho fatto. Giro la maniglia, la porta cede sotto l'impetuosità della mia mano e mi catapulto nella cucina-soggiorno, spumeggiante di sole. 
Maledetto. 
Mi tormento le mani cercando punti d'appoggio stabili, solo per realizzare che non staró mai seduto per quella che pare un'eternità, cinque ere geologiche e un miliardo di stagioni, ma non deve essere passato che più di un minuto quando i passi in corridoio mi convincono a voltarmi davanti ad un Aleksander scombussolato, con capelli che sembrano Roller Coster, braccia abbandonate lungo i fianchi e.. 
-Sei nudo!- 
Mi schiaffo una mano in faccia proprio quando una voce che si è riappropriata della consueta grinta un tantino troppo fastidiosamente "rilassata" mi comunica che..
-Ehm, tesoro..Anche tu.-
Mi basta un'occhiata di un quarto di millesimo per capire che, miseria ladra!, é vero. 
Dire che mi sono materializzato in camera a spalmarmi qualcosa addosso è un'eufemismo.
E premurandomi di spingerlo brutalmente nel passare, ovviamente.
-Tu la mattina sei sempre Mister Delicatezza?-
Lo guardo come se fosse un povero scemo e riprendo l'ansiosa passeggiata davanti il tavolo della cucina. Tavolo dove lui mi ha..
Merda. merda. merda.
Devo solo metabolizzare l'accaduto e poi lo ammazzo..
-Mi stai consumando il pavimento.-
Ma pensandoci posso anche metabolizzare dopo e ammazzarlo prima..
Mi volto. Sconcertato.
-Tu la mattina sei sempre così beota?-
-I giorni dispari.-
Gli do le spalle con un gesto stizzito. 
-Che cosa ho..- mi volto. Di nuovo. 
Più minaccioso. Più fuori.
-Che cosa hai fatto!?-
-Io? Sei tu quello che..-
-Che ti è saltato addosso come un bufalo in calore, vero?-
Alza un dito. 
-Io.. ehm.. no.-
-Appunto.-
Mi butto i capelli di lato come se due occhi in questo momento fossero meglio di uno. 
Occhi che non mi hanno fermato dal farmi spingere su un tavolo che doveva farci cadere col culo a terra!
-Siamo fottuti..fottuti..-
Sbatacchia qualche posata e il tintinnio metallico mi gratta nel cervello ancora impegnato a dare un senso a qualcosa che di sensato non ne ha neanche l'ombra. 
-Ma di che ti preoccupi?-
E il sopracciglio destro parte all'attacco, pronto a sbranare lui e questa cazzo di disinteressata calma. 
-Scusa ma non eri tu quello del: "tutto deve andare come dico io tutto deve essere sotto il mio controllo sono un prestante e glorioso etero circondato da femme fatale e niente mi sfuggirà di mano perché so cosa faccio ventiquattr'ore su ventiquattro? Din diin, credo che ieri ti sia sfuggita un'ora.-
-Uno, io non parlo cosí. Due, non ho mai detto di non essere etero.- 
-E io che sono, una donna?-
Apre la bocca, sotterro la base di setto nasale in mezzo all'arcata sopraccigliare tra dure dita.
-Non rispondere.- 
Ridacchia e il mio viso non potrebbe essere più corrucciato, contrariato e colpevole di così.
-Che cosa è successo ieri notte.- 
Alza una spalla, si passa un dito sul naso.  
Lui c'é l'ha intero, non é andato a sbattere di faccia contro una porta nel vano tentare di sfuggire a una stanza da letto non tua ma con anche il tuo odore dentro.
-Aleksander è un tragedia greca- allargo le braccia- un dramma shakespiriano- alzo la voce- un'apocalisse te ne rendi cazzo conto?!-
E lui, per tutta risposta, sapete che fa? 
Alza la sua bella tazza completa di cucchiaino coordinato, spalanca i suoi occhi scuri la cui pi grande priorità è informarsi se voglio -Latte coi cereali?- 
Non lo voglio il latte maledizione. E poi quel latte è bianco e.. ho urgentemente bisogno di una doccia. 
Solo adesso realizzo che il mio odore si è confuso col suo profumo e l'inconfondibile aroma di.. Sesso. 
-Sto per vomitare..-
-In fondo a destra.-
-Aleksander te lo giuro sulle paranoie di mio padre e sulle cravatte gialle di tuo padre che ti apro in due.- 
-Come ho fatto io ieri notte?- 
Ho preso una tazza, ma non credete, non è per il latte e neanche per i cereali, voglio solo centrargli il centro della fronte e fargli davvero male.
Mi mostra i palmi.
Non è cosí calmo.
Non puó esserlo.
Tutto questo pandemonio significa soltanto che non è servito a niente sopravvivere, a niente fare errori che ho rifatto e che rifarò. Non so cosa significhi per lui e fingo che non mi interessi, ma per me è un macello. E quando mi lascio cadere su una sedia ho l'immediata conferma superlativa che non è un macello. 
È un casino.
Mi sollevo di scatto guardandomi intorno con una nonchalance che non copre la dolorosa fitta che ho provato appena il mio fondoschiena si è schiantato su una superficie stamattina troppo dura. 
Non ricordavo che le sedie del soggiorno-cucina di Aleks fossero così "dure". 
Sono dure, sono le sedie, è colpa loro. 
Ma quando l'attenzione si frantuma su di lui so che non é così. Le sedie non sono dure e io sono neanche un irrisolvibile masochista, ma un deficiente. Ma di quelli seri eh. 
-Male?-
Mi sbatte in faccia il sorriso per trattenere la risata. 
E se ride questa volta lo prendo a pugni in bocca fino a quando le tonsille non si mischiano alle corde vocali e la lingua si attorciglia intorno ai denti che gli faccio sputare a uno a uno. 
-Ok ok..non sei in vena di scherzare. Beh Nik neanche io, se tutto 'sto bordello si viene a sapere è la mia fine. Caput. Addio.- 
-Se non pubblichi uno stato su Facebook per dirlo al mondo non credo si venga a sapere, non penso di mandare un messaggio a ogni contatto presente nella mia rubrica avvisandoli che ho fatto..con..- mi rovino una mano nei capelli. -non riesco neanche a dirlo..-
-Ci basta così, no? È stato un momento, una piccolezza, siamo diciottenni..io quasi diciannove sì ma il punto è che abbiamo gli ormoni a palla anche negli alluci dei piedi. È normale.-
-È normale..- ripeto, sicuro di voler dare alla voce un'impronta di verità scientifica ma col risultato che sembro più scettico di quanto sia. 
"Normale". 
C'é mai stata questa parola nel mio fottuto vocabolario? 
-Va tutto bene..tutto nella norma. La carte in gioco sono sempre quelle- e la partita è sempre in mano tua. 
Vincerai sempre, vero Leks? 
-Sono esperienze.-
-Sì- l'indice della mia mano sinistra va a rallenting fendendo l'aria per fronteggiare il corridoio da cui sono ben udibili passi calcati. -E dirai questo anche a tuo padre? Che sono "esperienze"?- 
Gli occhi che mi ulula addosso sono quasi ironici. Anzi lo sono proprio, ce non fosse che so cosa accadrà fra 5 secondi se io non sarò fuori da questa casa in 3. 
Quasi mi viene voglia di tradirlo, di annunciare realmente al padre e al mondo che ha avuto un'erezione grande quanto il lago Bajkal in Russia e grossa quanto il mar Caspio contro di me a causa mia. 
Tanto, oltre alla mia vita, cos'ho da perdere?
-Devi scomparire da qui.- 
Mi spintona verso la porta e a nulla servono le proteste che non gli si conficcano in testa. Saprei camminare da solo, ma mi ha comunque volato sul pianerottolo. 
-Quello mi ammazza davvero..-
-Perchè pensi che io scherzassi?- 
Mi presta la sua attenzione un'ultima volta e prima che possa dire qualsiasi cosa lo precedo. Deve essere così.-
-Dimentichiamocelo Leks.-
-L'ho già fatto Nik.-
-Perfetto.-
Mi avvio per l'avanguardistico ascensore che attende la mia fuga e posso sentire la porta dell'attico Lubomirski strisciare in un sibilo silenzioso nell'attesa di nascondere tutto questo quando le sue orecchie avvertono il sibilare imprecato delle mie gambe che si schiantano contro qualcosa che non solo al 99% mi ha quasi fatto finire col muso a terra, ma che ha avuto anche la briga di sbattermi tra qualche parte fra polpaccio e coscia. 
-Checazz..-
Lo skateboard. 
Sono inciampato sullo skateboard
Quel dannato.ripugnante.armaletale di uno skateboard. 
Mi volto con il sangue nelle tempie. So che sarà lì, alle spalle dietro le quali la porta non si é chiusa. E infatti eccolo lì, con una smorfia da ebete che non é un ghigno divertito ma un sorriso consapevole. 
Non ho il tempo di analizzare le espressioni facciali del grande Lubomirski, mi faccio raggiungere solo dalla sua voce prima che le pareti di vetro mi chiudano al loro interno.
-Sapevo che prima o poi ti avrei colpito.-

  
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