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Autore: _AnnabeThalia_    05/09/2014    5 recensioni
A causa di un incidente d'auto avvenuto in macchina con la famiglia, Annabeth rimane ferita, gravemente. I giorni del coma sono sfocati e bui, finché un giorno, la voce familiare di un ragazzo, non arriva ad illuminarli. I racconti dei ricordi perduti, quelli vissuti con intensa emozione giorno dopo giorno. Gli amici, la famiglia, l'amore.
Quarantacinque giorni in cui Annabeth riscopre la sua vita, mentre tutti pensano che la vita, invece, l'abbia già perduta.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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PROLOGUE.
17 Giugno.
                                                                                                        
Annabeth.
Non riesco a vedere nulla oltre che il buio.
Sento una voce, in lontananza, ma non riesco a captarne le parole; un fastidioso beep beep riecheggia nella mia testa, ma non vedo nulla: sono circondata dall’oscurità.
L’accento continua a parlare, stavolta più lentamente e mi accorgo di quanto sia familiare.
“Ci sono possibilità che si risvegli, signore? “ domanda una voce vicino.
“Temo che l’eventualità di un suo risveglio sia molto remota, mi spiace. Come ogni coma, però, nulla è certo, potrebbe svegliarsi in qualsiasi momento, come non farlo mai più. Purtroppo, questa è una situazione che va ben oltre lo studio della medicina; queste sono condizioni imprevedibili, e anzi, oserei definirli veri e propri miracoli “ ribatte una voce dura e fredda.
“Quindi, vuol dire che con tutta probabilità non ce la farà? “ il tono della prima voce si incrina, e potrei giurare di aver sentito un singhiozzo.
“Quel giorno, ragazzo, arriverà comunque. Il macchinario può solo rallentare l’inevitabile. Arriverà il giorno in cui si sveglierà, ma con tutta possibilità non ce la farà. “
Il buio dei miei occhi sembra farsi ancora più gelido, mentre il volume del suono del macchinario aumenta sempre di più.
Morirò? O forse, sono già morta?
Sento la porta aprirsi e richiudersi, ma per l’ennesima volta, mi accorgo di essere impotente e rinchiusa in un baratro troppo profondo per essere risalito. Il buio mi sopraffà e lentamente, anche quello strano suono si riduce ad un lento ticchettio.
 
 ***
 
“Ce la farai, io lo so. Sono sicuro che ti risveglierai, Sapientona. Sorprendici tutti, come solo tu sei in grado di fare! Sbatti le palpebre, muovi un dito, tossisci. Fa qualcosa! Io so che tu mi puoi sentire… Io ci credo, che un giorno ti risveglierai. Ne sono sicuro “
Mi risveglio- o almeno così sembra- cullata dalla voce dolce e protettiva di un ragazzo. Mi è stranamente familiare, tuttavia, non riesco a ragionare correttamente, la mia mente è quasi… Bloccata.
Il mio cervello non riesce ad elaborare pensieri connessi su ciò che sta avvenendo, perché è ovvio che qualcosa sta succedendo. O almeno così sembra.
Il suono ormai familiare inizia a brusire di nuovo con nitidezza accanto a me, e percepisco sempre più chiaramente ogni minimo rumore. Il ronzio di una zanzara che vola fastidiosa accanto al mio orecchio; uno strano gorgoglio proveniente davanti a me e quello che mi pare un fazzoletto tirato fuori da un pacchetto.
Per qualche attimo, la voce rimane in silenzio, lasciando che mi concentri sul suono stridulo dell’attrezzo. Poi, lentamente, percepisco una sensazione strana al braccio.
Perché io ho un braccio, vero?
Provo a muovere l’arto, ma non succede niente. Né un informicolimento né un minimo dolore, o senso fastidioso. Come se non avessi affatto gli arti superiori.
Aspetta un attimo…. Devo avere le braccia.
Non è possibile.
Oh, Dio. Non ho le braccia! No, non può essere vero. Io le braccia ce l’ho, certo che le ho. L’ultima volta che ho controllato, le avevo, mi pare.
Cielo, non mi ricordo neanche qual è, l’ultima volta che ho controllato!  
Non riesco a distinguerlo chiaramente, lo avverto come un leggero soffio di vento, sulla mia pelle.
Cerco di risvegliarmi, alzarmi, ruotarmi o fare qualsiasi altra azione, ma rimango immobile, nel buio più totale. Non posso esaudire la richiesta del ragazzo- almeno pare, sia un ragazzo- ma non capisco il motivo. Magari, sono morta…
No. Non può essere.
Tuttavia, la sensazione di essere più statica di un vegetale mi opprime. È come se una camicia di forza mi tenesse immobile, ancorata ad un luogo che non conosco, che non ritengo affatto familiare.
Un altro leggero fruscio mi attraversa le orecchie, e sento sbattere un oggetto. Poi, la maniglia di una porta, che ancora una volta si apre e richiude.
Questa volta, la voce è estremamente femminile.
“Signor Jackson, devo chiederle di uscire, adesso “ annuncia, la voce.
Jackson? Suona così… familiare! Non riesco a connettere le varie informazioni che si aggiungono nella mia mente. Riflettere, in questo momento, è una azione decisamente troppo impegnativa. Non riesco neanche a ricordare il mio nome, figurarsi collegarne uno- estraneo fino a pochi attimi fa- nel tempo.
“Uh, sì certo “ la voce del ragazzo suona delusa.
Percepisco un piccolo sospiro sulla guancia, simile a quello avvertito in precedenza.
Aspetta un momento! La testa ce la devo avere per forza, no?
Quindi… Ho anche le braccia! Dio, che sollievo!
Il brusio nel sottofondo si fa più forte, e maledico ciò che si trova accanto a me, per tutto il baccano che sta creando con quei fastidiosi beep beep.
Attentamente, cerco di prestare attenzione alle parole. È come se stessi origliando una conversazione da dietro una porta, chiusa a chiave dentro una stanza buia, incapace di chiedere aiuto e uscire.
“Non possono staccarla! Dovete continuare a tenerla collegata alla macchina! Sono sicuro che si sveglierà, lei ce la farà “ il tono implorante del ragazzo- per quanto sia difficile anche solo pensare che possa accadere- mi mette i brividi.
“Signore, anche se si svegliasse- e a dire dalle condizioni in cui versa, non credo sarà così -, non vorrebbe mai averlo fatto. Appena aprirà gli occhi, desidererà solo chiuderli di nuovo. I suoi genitori sono morti, suo fratello è in coma come lei. L’impatto con la testa è stato decisamente troppo forte, non ricorderà più nulla. Non si ricorderà nemmeno più di lei. “ la voce della donna risuona in tutta la mia stanza buia.
Improvvisamente, mi pare quasi di morire e, se non lo sono già, desidero solo che avvenga.
I miei genitori non ci sono più.
Mio fratello è in coma.
Non ho più la possibilità di conservare alcun ricordo.
La verità mi è esplosa in faccia come una mina: netta, decisa, forte.
L’infermiera aveva ragione, sarei solo dovuta morire, avrebbero dovuto staccare la spina.
Il ragazzo, però, non pare della stessa opinione; un tonfo veloce, seguito da un gemito- di dolore, suppongo- e poi lacrime rumorose.
“La prego, no. Non lo faccia, lasci che mi occupi io di lei. Pagherò tutto il denaro che serve, ma non staccate la presa. La prego… “ ancora singhiozzi.
“Va bene. Ma questa situazione non può andare avanti per troppo tempo. Le concedo quarantacinque giorni, niente di più, niente di meno. Quarantacinque giorni per prendersi cura della ragazza, ma deve sapere che il rischio che non prenda più conoscenza è alto, e… Beh… Non si ricorderà più di lei. Di niente, in realtà “ conclude con tono compassionevole, la donna.
Vorrei urlare, dire che non è necessario, che non ce la farò. Piangere, scalciare, fare qualsiasi cosa che non posso fare adesso.
Vorrei svegliarmi, solo per cadere di nuovo in un sonno, stavolta più eterno. So bene, però, che non ne sono in grado.
Avverto un altro tocco impercettibile alle dita della mano, e poi, di nuovo la sua voce.
“Allora, vorrà dire che le ricorderò io, tutto ciò che necessita sapere “ il tono deciso, lascia comunque trasparire dolore, e capisco che forse non tutto è ancora perduto.
“Cosa vuole dire? “ la voce della donna sembra interdetta e perplessa.
“Ho quarantacinque giorni, giusto? “
La signora mormora un “sì” incerto.
“Bene, allora in questi giorni farò in modo di ricordarle i quarantacinque episodi più belli della sua vita; le riassumerò le emozioni più forti e le parlerò delle persone che la circondano. Un ricordo, un giorno “ sembra quasi che stia sorridendo, mentre dice queste parole. Ma io non lo so, non ho la capacità di vedere, non posso abbandonare il nero che mi circonda.
E dopo un’altra lieve carezza- o almeno, immagino che sia proprio questo- mormora: “Ciao, Annabeth “
Annabeth.
La porta si apre e chiude, e poi, per il resto del tempo, sento solo il beep beep del macchinario indebolirsi, piano piano, fino a scomparire. Presto, tutto diventa silenzioso.
 
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Il mio angolino:
Si, lo so cosa state pensando: “Ma che cavolo di roba è?”
Però, tranquilli, non è così triste come sembra, ewe.
Questa è una storiella che sto scrivendo su word da un po’ di tempo, ormai, e ci tengo davvero tanto a pubblicarla! C’:
Ho scritto molti momenti di questa storia, e accenno che i capitoli saranno più lunghi e tutto il resto della storia sarà incentrato sui ricordi che svela Percy ad Annabeth. I capitoli saranno più o meno quarantacinque, come già si può intuire dal titolo della storia, ahahah.
 Come ho detto prima, ci tengo davvero tanto a questo piccolo prologo, e sapere le vostre opinioni mi aiuterebbe un sacco, oltre che rendermi molto felice! Detto questo, spero che vi sia piaciuto almeno un pochino, o che vi abbia un po’ incuriosito! :’)
Un bacio, e al prossimo capitolo. <3
Mad.
  
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