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Autore: ehikidrauhl    22/09/2014    0 recensioni
-Non ho una tattica sono davvero arrabbiata.- mi costava dirglielo. Mi morse la guancia e mi baciò per tante volte, quante? Non contai i baci, che sfaticata. -Mi devo arrabbiare più spesso.- lo punzecchiai per un pò. -Dai baciami.- accontentò la mia richiesta. Sembrava tutto così normale.
CONTINUO DI "what's gonna make you fall in love?".
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva, per l'ennesima volta, avevo la nausea, cosa che tirava avanti ormai da giorni. Erano le undici, e mi ero appena sentita con Pat, per sentire come stavo. E stavo male. Tutti dal Canada mi chiamavano, Justin era uscito con Fredo, per fare un po' di spesa, e io ero seduta, su uno sgabello, portato da me in bagno. Era tutto così terribilmente familiare, tutto così, ripetitivo...Mi ricordava qualcosa, era come un deejavù. Ma ero sicura che nulla di quel tipo, fosse mai stato nei miei sogni. O comunque nella mia coscienza. Mi sforzai di ricordare. Cosa, cosa c'era di tanto familiare in quei momenti di dolore? Subito venni chiamata da Genesis. -Sorellina.-
-Ehiii.- risposi cercando di sembrare pimpante, nonostante la voce spezzata.
-Che hai?-
-Nausea, tanta.-
-Prendi subito qualcosa.-
-Sì ora, ora chiamo 'Shley, e le chiedo se può velocemente passare a casa.- ci salutammo, e subito cercai il numero di Ashley, non lo trovavo, controllai nelle ultime chiamate. Justin, Mamma, Casa Canada, Casa Biebs, Pattie, Zia Lauren, Shay (4), Sasha (3), LucyLù (2). Chiamai subito Shay, e in fretta le dissi -Shay, per favore, vieni subito a casa, e venendo qui compra un test di gravidanza...Penso di essere incinta.- in dieci minuti, arrivò a casa, mia e mi abbracciò. Presi il test entrai in bagno, e cercai di seguire alla lettera la procedura. Nel frattempo mi sedetti sul divano con lei, mi guardò con occhi dolci -Come faccio ora?-
-Aspettiamo il risultato.- dopo tre minuti, suono il timer del telefono. -Vado io, okay?- annuii. Sentivo di non avere più voce, non riuscivo a dire nulla, ero spaventata. Probabilmente, ero terrorizzata. -Aravis.- il sottile suono della sua voce, richiamò la mia attenzione. Presi il test. -E' positivo.- mi cadde dalle mani, sentii i miei occhi spalancarsi sempre di più, mi misi le mani tra i capelli e poco dopo iniziai a piangere. La stessa fine di Genesis. Ecco il deejavù. Era successo tutto così...velocemente. Non sapevo spiegarmi neanche come fosse successo, eravamo tranquillissimi da soli, sicuramente non l'avevamo voluto. Mi affidai alla leggenda "i test di gravidanza, sbagliano sempre". Shay si avvicinò a me, praticamente, mi buttai su di lei, per avere un po' di conforto. Ero distrutta. Avrei potuto ammettere, di esser stata stupida, e di aver lasciato che accadesse. Non ero infelice, anzi. Ero solo negativamente sconvolta. Non è mai una bella notizia, per una ventenne, sapere di essere incinta. E non lo era neanche per me. -Prenoto una visita?- annuii. -Aravis, non piangere, non siamo sicure.- dopo aver parlato per pochi minuti col mio ginecologo, prese la sua giacca, -Andiamo, ha posto per te, subito.- mi tirai su, e presi una bustina dove nascondere il test, il telefono e andai con Shay da Mr. Hamilton. Iniziò a farmi domande, su quando potevo pensare che l'avessimo concepito, io gli risposi forse qualche settimana fa. E continuò con le domande. Tante, troppe. Risposi a tutte senza esitazione, poi mi fece l'esame delle urine, con i risultati, che arrivarono subito, e confermò tutti i sospetti. Mi ritrovai a guardarlo a bocca aperta, mentre stringevo forte la mano di Shay. Alla fine mi ritrovai a sorridere e a commuovermi mentre lui, diceva:
-Signorina, congratulazioni lei è incinta.- guardai Shay, che sorrise e mi abbracciò. -Mi chiami se poi ci sono problemi, vedrò di prendere un giorno per la prima ecografia.- quando andammo via, sembravamo molto più felici e singolarmente pimpanti del solito.
-Direi che dovremmo festeggiare, ma non posso bere.- dissi ridendo.
-Sei passata dal pianto disperato, al pianto di gioia.-
-Perché...pure mia sorella è rimasta incinta sui venti, e mi son vista, nella sua tristezza e nelle sue lacrime. Nella sua gioventù bruciata, quasi. Ma è bello. E' una bella sensazione. A parte i vomiti, e gli odori.- risposi -Hai Salvatore Ferragamo?-
-Sì, perché?-
-Si sente tantissimo...- ci guardammo e iniziammo a ridere. Quando mi riportò a casa, c'era una quiete tale, che l'unico rumore erano i nostri piedi sull'asfalto bagnato, e il cinguettio di qualche uccellino, il sole era tornato, ed era tutto felice. Mi aspettavo una reazione esagerata da Justin, una delle sue. Come quando una volta, insieme a Ryan lo raggiunsi ad Atlanta, per due giorni:
-No, non dirmelo! Ha vinto lei!- disse Ryan.
-Ma vince sempre!- rispose Caitlin.
-Ti stiamo odiando, sei fortunata a scarabeo.- aggiunse Justin.
-Ehi! Vengo qui dal culo del Canada, con uno che non fa altro che provare a toccarmi la cervice, e voi vi arrabbiate per una misera sconfitta.-
-Questo linguaggio scurrile, ragazzina.- disse Ryan puntandomi un dito contro. Gli feci la linguaccia. Mi girai verso Caitlin, che faceva una smorfia disgustata davanti al telefono "ehi cara vuoi uscire con me?" lessi dal suo telefono. Ci guardammo e ci mettemmo a ridere divertite. Le sussurrai "presentamelo se è carino" lei annuì e continuammo a ridere.
-Linguaggio scurrile, accompagnami qui davanti a prendere dei tacos.- disse lei prendendo la giacca. -Muoviti.- ripetè a Ryan, che come un cagnolino la seguì. Cait, bella, alta, mora, occhi chiari, magrissima, gentile, carismatica. Uscirono lasciando soli me e Justin. Pattie si affacciò dalla porta.
-Oh Aravis sono così contenta di vederti qui.- disse mentre io mi alzavo per abbracciarla. Le sue tenere braccia calde mi accolsero e mi diedero uno di quegli abbracci che solo Pattie sapeva dare. Cioè, sentiti. -Meglio che vada prima che mi metta a piangere, vedendo i miei bambini riuniti. Sono di sotto a vedere Una Mamma Per Amica.- la salutammo sorridendo, e restammo ancora una volta soli.
-Devo dirti una cosa. Che Cait mi ha detto. Lei pensa che se mai la nostra storia finisse, dovrei stare con te. Perché tu, mi conosci, sei sua amica, e non potresti mai spezzarmi il cuore.- lo guardai, presi il pigiama e andai a cambiarmi dietro una porta. Era solo il mio migliore amico, ma quel pensiero mi lusingò, in modo tale, da farmi sentire veramente interessata a quella quasi proposta.
-Ow, che pensiero carino.- risposi, cambiandomi.
-Perché eviti la discussione?- chiese leggermente preoccupato -E perché ti nascondi?- uscii fuori in pigiama.
-Mi nascondo perché sono ingrassata.- tornai vicino a lui. -Non evito la discussione, per me è impensabile vedervi lontani. Non lo desidero, quindi non ne discuto, perché è fuori discussione. Ma se dovessi mai innamorarmi di te, e tu di me, non credo che ci potrebbero essere problemi.- dissi con assoluta tranquillità.
-Non è questo il punto, è più il fatto che tra magari un anno, potrei essere in Cina a fare un concerto, e il nostro rapporto si potrebbe terribilmente, rovinare. E non desidero che accada. Quindi se Cait dovesse mollarmi, e lo facessi anche tu, io probabilmente mi suiciderei.-
-Siamo praticamente sposati per essere migliori amici.-
-Aravis, il giuramento, come lo facciamo noi, come sempre.-
-Uff non ti fidi proprio?- scosse la testa -Solo per te. I cross my heart...-
-And I hope to die.-
-Giuro, di non lasciarti mai solo. Croce sul cuore, potessi morire.-
-Oh grazie a Dio. Pensavo di ricattarti chiamando Usher, e dicendogli che lo ami..-
-Justin!- dissi ridendo.
-Scherzo, adoro vederti preoccupata, mi diverte.-.
Uno dei ricordi più impressi nella mia mente, dopo la pomiciata al MSG. Quella fu epica. Le sue labbra erano così, calde e soffici, come le sue mani sui miei fianchi, quel momento mi fece girare la testa. Forse non era il nostro primissimo bacio. Forse c'era qualcosa di più remoto, che io avevo stupidamente rimosso. Ogni cosa rimossa, era stupida. Ma ogni ricordo con lui, era prezioso. Era tutto ciò che avevo, e che mi faceva svegliare la mattina. Quando rientrò a casa, ormai io ero sola, seduta con il succo d'ananas davanti, si fece avanti con Fredo e tre buste. -Aravis!- disse Fredo felice. Ero sempre felice di vederlo, aveva quel sorriso contagioso e furbo che c'era sempre bisogno di vedere. -Okay, vi saluto, ho da fare.- disse notando il test tra le mie mani. Mi fece l'occhiolino. Posai il test tra le buste sul tavolo. Iniziai a ritirare, con Justin, che non si accorgeva ancora di quel rettangolo allungato fucsia, con una faccina sorridente. Ritirai una busta dal tavolo, e Justin fece lo stesso, scoprendo il test. 
-Tesoro, cos'è questo?- chiese sorridendo. -Aravis rispondimi.-
-Adoro vederti preoccupato, mi diverte.- sorrisi a mia volta, appoggiandomi al bordo del lavello. -E' un test.- sollevò lo sguardo. -Di gravidanza.- aggiunsi. -Ed è mio.- sospirai. -E sembra molto positivo.- per la seconda volta, quel test, cadde per terra. Lo vidi con gli occhi sgranati, bianco come un telo, stava persino sudando. Gli andai vicino, gli tolsi il cappellino nero, ancora un pò bagnato, gli passai una mano tra i capelli, e lo abbracciai. -Tuts, ti ha mangiato la lingua?- chiesi, mentre, le sua braccia mi stringevano al suo petto, come non avevano mai fatto. Scioccato, e ancora pallido si sedette sul divano, mentre io continuavo ad accarezzarlo.
-E' tutto vero quindi?- chiese.
-Non potrebbe essere più reale.-
-E' uno dei regali più belli, che potessi mai farmi.-
-Hai contribuito.-
-Lo terrai tu, per mesi, e...- si stava per commuovere. -...ti amo. Quando l'hai scoperto?-
-Un paio d'ore fa, ero con Shay, e mi è passato per la testa, di fare un test. Ho fatto il test, ho pianto, siamo andate dal ginecologo.-
-Aspetta, lui ti ha controllato là sotto?-
-E' il suo lavoro, ti aspettavi mi controllasse le tonsille?- sorrise passandosi una mano sul viso -E ha confermato. Veramente mi ha controllato la pipì, ma sono dettagli.-
-Ci vuole la riunione di famiglia. Presto manda una mail a Genesis, dille che domani, saremo a Stratford. Io chiamo i miei, e gli dico di venire lì. E oddio i nonni.- si armò dei nostri tablet, e iniziammo a mandare mail a tutti, tra chiamate e messaggi, riuscimmo ad organizzare una riunione, a casa dei miei. Poco dopo dovetti costringere Shay a non dire nulla alle altre. E il giorno dopo, eravamo a Stratford, per due giorni interi, faceva ancora freddo. Ma la nostra abituale tenuta da per sempre adolescenti, in Supra, felpe e jeans, funzionava sempre per combattere il freddo. Freddo gelido, col sole splendente. Con gli occhiali da sole, arrivammo dall'aeroporto, fino a casa dei miei, tutti erano già lì. Ci accolsero con grande affetto, come facevano sempre. Bruce, Gwen, Pattie, Jazmyn, Jaxon, Mamma, Papà, tutti c'erano tutti. Perfino zia Lauren. Ci sedemmo nel divano, davanti a tutti, eravamo messi in cerchio, più di dieci persone in un salottino minuscolo. -Ieri mattina è successa una cosa strana.- disse Justin.
-Forse non troppo.-
-Ecco c'era Aravis che si sentiva veramente male.-
-Continuo io, non sai quanto veramente male mi sentivo.-
-Okay, vai avanti tu.- si arrese, mentre tutti risero.
-E così, ricordandomi di un qualcosa, di quasi cinque anni fa, chiamata Gwen. A mia volta chiamai Shay Mitchell, un'attrice, e mia cara amica, per portarmi una cosa, durante il tragico temporale Hollywoodiano.- Mi guardavano tutti col fiato sospeso. -E diciamo che quella cosa, che Shay mi ha portato, aveva una faccina sorridente sopra. In preda alla disperazione e ai ricordi, di quei cinque anni fa, Shay mi ha portato dall'uomo, che mi ha detto con un altro sorriso, che la faccina aveva ragione.-
-Poi sono arrivato io, che ho trovato la cosa, tra le buste della spesa. Fatta da me.- Pattie si portò una mano al cuore, e fece la finta commossa. -All'inizio ho pensato "ma che cavolo è!" poi "oh" e sono impallidito, ho lasciato cadere la cosa, e lei mi ha prima detto "adoro vederti preoccupato, mi diverte" anche se rende di più quando lo dice, con il suo splendido sorriso, e le lacrime agli occhi.- aggiunse guardandomi, gli sorrisi, con le stesse lacrime che in quel preciso istante, mi invadevano gli occhi. -Continua tu.-
-Quella cosa, era un test di gravidanza, l'uomo un ginecologo, la faccina sorridente, è il segno che risulta, quando è positivo.- ci fu un attimo di silenzio rotto dal mio -Aspettiamo un piccolo Bieber.- tutti applaudirono felici, ci abbracciarono, si congratularono con noi. Aprirono persino lo spumante.
-Che succede zia?- chiese Gwen, con Jaxon e Jazmyn a suo seguito.
-Zia ti ha fatto il cuginetto.- risposi baciandola mentre lei festeggiava con gli altri due piccolini. Mi avvicinai a Justin che era seduto con mio nonno, e suo nonno.
-Era ora!- disse mio nonno. -Sono così felice.- mi abbracciò -La mia bambina.- tutti ci dicevano così "i nostri piccolini" "la mia bambina" "il mio piccolo" io e Justin, ci guardavamo sempre perplessi, ma facevamo finta di nulla e continuavamo ad abbracciare tutti. I miei genitori, erano felici. Forse ormai erano abituati. Ma mi dissero di essere fieri di me, e si raccomandarono anche con Justin di essere sempre presenti nella vita del nostro bambino. Il soggiorno in Canada, fu abbastanza breve, ma bello, e mi diede la forza per tornare a Los Angeles e dire a Pat, e a tutti i collaboratori, della bella notizia. Anche in ufficio, festeggiarono, e subito dopo, tornammo tutti al nostro lavoro. Sarah Faison, la donna strana che mi aveva fatto fare la linea di cosmetici, ci offrì la cena. E poi finalmente, riunimmo Scooter, tutti i nostri amici. Dal primo all'ultimo. Ripetemmo la nostra storiella, per la quarta volta. E subito tutti iniziarono a fare baldoria. Mentre io vomitavo, con le mie amiche, chiuse fuori dal bagno. -Oh, cresce.- dissi, vedendo un filino di pancia.
-Tutto bene?- chiese Ariana mettendomi una mano dietro la schiena. Annuì. Era la terza volta che vomitavo.
-Chiamala Hanna.- propose Ashley.
-No! Emily.- si fece avanti Shay.
-Spencer.- disse secca Troian.
-Che ne dici di Aria?- chiese Lucy.
-Viva Alisooon!- sbraitò Sasha alzando le mani al cielo.
-No! Assolutamente, chiamala Cat.- disse Ari. Scossi la testa ridendo, e tornai in salotto. La situazione era abbastanza festosa. C'era gente ovunque. E io volevo solo un po' di pace, ero stanca. Uscii fuori in veranda, mentre tutti mangiavano e bevevano. Io avevo bisogno di silenzio e di una bustina per il mal di testa. Ma tutti ridevano, e urlavano. Forse mi sarebbe stato utile, anche un abbraccio. Volevo stare sola, a pensare a tutte quelle strane cose, che stavano accadendo nel mio basso ventre, stare ferma a capire, se qualcuno la sotto si muoveva, e cresceva bene. Sentire qualcosa. Ci fu una breve volata di vento, che mi spostò i capelli in faccia, i miei lunghi capelli castani. Che per anni avevano subito le mille tinte. Per anni, avevano soddisfatto le mie richieste. E finalmente erano lunghi e naturali. Un po' ricci, un po' lisci. Se fosse stata femmina, sicuramente avrebbe avuto i miei capelli. O forse no, perché di me avrebbe preso l'intelligenza. E si sarebbe accontentata della chioma del padre. Dato che sotto quella folta chioma, giaceva un piccolo cervello, abbastanza stupido. Erano passati mesi dall'ultima volta che aveva fatto dei tentativi in cucina.
-Vuoi un frullato?- chiese.
-No.-
-Andiamo!-
-Ti ricordo che l'ultima volta, hai messo tre limoni dentro il frullatore, e lo stavi per distruggere.- risposi con lo schermo del computer davanti.
-E quindi? Ora mi farò un bel frullato, di banana.- prese delle banane, le sbucciò e le mise nel frullatore.
-O forse un omogeneizzato.- risposi. -Se non metti il latte, ti uscirà, cibo per neonati.- mi guardò male e prese il latte. -Ecco bravo.-
-Dove lo metto?- chiese.
-In una forchetta?- risposi. -Dove lo bevi un frullato? In un bicchiere!- prese un bicchiere, ma non riuscì ad aprire il frullatore. -Spostati.- girai lentamente fino a farlo scattare, e poi toglierlo. -diciannove anni, buttati al cesso.- mi baciò e si sedette vicino a me, per bere il suo frullato, mentre io cercavo il centro Wella più vicino. Mi misi a cercare ancora, con una mano sulla tastiera e l'altra fra i suoi capelli.
Era uno dei tanti ricordi della sua stupidità, che erano sempre nella mia mente. Ma io l'amavo troppo per pretendere che fosse in grado di fare un frullato. Infatti, evitavamo di berli. Come evitavamo di mangiare il kebab nella piadina, perché una volta avevamo riempito di carne i nostri pigiami preferiti, e per poco non avevamo macchiato anche il divano. Mi sorpresi a ridere da sola di quel fatto, seduta nel modo sbagliato su una sdraio. C'era un bel tramonto a Calabasas. Ci voleva solo un bel cocktail, che io non potevo bere. Dovevo consolarmi in qualche modo, no? Quindi feci qualche foto dal telefono, da mandare a Genesis. In modo che mi chiamasse. Avevo bisogno di sentire Gwen più di tutti. Solo che non riuscì a chiamarmi, perché era a lavoro, e Gwen già dormiva a casa con i genitori di Martin. Avrei riprovato il giorno dopo. Quando mi sistemai per l'ennesima volta i capelli, sentii il rumore di tutte le cianfrusaglie che avevo nei polsi. Bracciali di ogni tipo. E poi l'anello di fidanzamento, che brillava, e brillava. Come se fosse illuminato all'interno. -Ehi.- sentii la porta scorrevole della veranda aprirsi, e i soliti passi un pò pesanti, arrivare verso di me. -Come mai sei qui?- Justin si sedette vicino a me. E si accorse di come guardavo l'anello. -Brilla vero?- annuii, e poi gli rivolsi un tenero sorriso, a rappresentanza della mia innata felicità, di avere quel bellissimo diamante al dito, e di avere lui. -So che effetto ti fa. Quando sorridi, balli, ti diverti e canti, anche se in modo pessimo, brilli esattamente come fa lui.-
-Grazie bear.- risposi abbracciandolo. Ah il suo profumo. Sapeva di Armani. Quello che gli avevo regalato con il mio primo stipendio. -Togli questo stupido cappello, non c'è tanto sole per tenerlo. Sembri Pharrell. Bruciali tutti, non sei pelato, ma lo diventerai se lo tieni sempre addosso.- dissi togliendogli il cappello e buttandolo sopra il tavolo. -Dai torniamo dentro.-
-Baciami mammina.-
-Non chiamarmi così!- risposi ridendo mentre mi abbracciava.
-Okay, dai boo, baciamiii.- lo baciai lasciandogli un po' di rossetto sulle labbra, tanto per farlo arrabbiare. Tornammo dentro abbracciati, con i miei tacchi che battevano sul pavimento e lui che da dietro mi teneva, come se fosse un bambino voglioso di abbracci.
  
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