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Autore: GirlWithChakram    28/09/2014    4 recensioni
Cinque amici, compagni di liceo, alle prese con l'ultima vacanza insieme; un viaggio in Europa nel magico paesaggio della Spagna del nord; lo zampino del destino, che sa sempre come far incontrare le anime destinate a stare insieme.
"... E allora pensai che quella sarebbe rimasta nella mia memoria come la peggior vacanza di sempre."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO XI: Go your own way
 
«Beh, vecchia mia, ci mancherai. Ormai eri una di famiglia.» Quelle furono le parole di congedo di Noah dalla Renault che ci aveva servito così bene durante quelle due settimane.
Eravamo nel parcheggio dell’aeroporto.
Avevamo lasciato il Kursaal Hotel senza salutare i ragazzi del Morgenstern e forse era stato meglio così. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Santana. Ovviamente avevo il contatto Facebook e il numero di cellulare di ognuno, così da poterli ricontattare una volta rientrati tutti a Lima, ma il salutarsi faccia a faccia mi sembrava semplicemente troppo da sopportare.
Trascinavo pigramente la valigia, come se qualcuno avesse risucchiato tutta l’energia dalle mie azioni.
Quinn non aveva fatto domande quando, la notte prima, dopo l’uscita di San, ero scoppiata a piangere tra le sue braccia. Mi aveva consolata in silenzio, così come io avevo fatto con lei anni prima.
L’attesa del decollo fu infinitamente snervante. I Finchel erano i soliti piccioncini e persino Noah e Q. avevano trovato una nuova intesa che non faceva che ricordami ciò da cui mi stavo allontanando in quel momento e che avevo paura di aver perduto per sempre. Mi rifiutai persino di mangiare, nonostante la mia convalescenza non potesse considerarsi ancora conclusa e quindi sarebbe stato meglio per me mettere qualcosa sotto i denti.
Quando fu annunciato il nostro volo, mi diressi svogliata verso il gate d’imbarco. L’unica cosa che mi spinse a fare il primo passo sulle scale del velivolo fu il pensiero di rivedere Ashley e il suo sorriso luminoso.
Presi posto in coda al mezzo, vicino al finestrino. Volevo distrarmi osservando fuori, ma mi resi conto solo dopo che avrei avuto sotto gli occhi l’oceano in cui, nello stesso momento, avrebbe nuotato la latina.
«Guarda» mi fece notare Rachel «Ci sono i mini schermi in dotazione!»
Sbuffai, dato che la notizia non mi faceva né caldo né freddo.
«Forse dovresti dirle anche che ci sono una serie di film disponibili, tra cui i suoi amati Harry Potter» intervenne Finn.
I miei occhi ebbero un guizzo di vita. Mi gettai come una furia sullo sventurato schermo per capire come accedere al menu dei film. In meno di cinque minuti riuscii a far partire “Harry Potter e la pietra filosofale”, tornando con la mente a quando Blaine mi era stato vicino e mi aveva tenuto compagnia leggendo.
Recitai le battute a memoria mentre ci levavamo sopra i cieli spagnoli, certa di non rivederli presto, se non addirittura mai più. Avevo un rapporto di amore-odio con quella terra. La amavo per avermi portato Santana e la odiavo per avermela portata via. Era come se la nostra relazione avesse influenzato tutto il resto della vacanza, le cose che più mi avevano entusiasmata erano quelle che avevo fatto con lei.
La durata prevista per il volo era di una decina di ore e non sarei stata in grado di spenderle tutte rivivendo le avventure del mio maghetto preferito, così, terminati i primi due film, mi concessi un po’ di sonno.
Sognai di frequentare Hogwarts e tra le tante facce degli altri studenti riuscii a cogliere il sorriso di Blaine. In lui avevo trovato un amico fidato, ne ero certa.
Passai da un mondo ad un altro, rivivendo storie già scritte e creandone altre mai viste, ma in ogni mio diverso scenario compariva qualcosa che mi ricordava lei: poteva trattarsi del piumaggio di un corvo, nero come i suoi capelli, o la sfumatura dell’oceano notturno, come i suoi occhi. Cercare di svegliarmi non serviva a niente. Lei era un chiodo fisso e lo sarebbe rimasta a lungo.
“Ma perché ti fai tutti questi problemi?” mi rimproverò la Coscienza, comparendomi sottoforma di Grillo Parlante.
“Perché ho mandato tutto a monte. Dopo ieri sera non vorrà più vedermi” risposi.
“Ma figuriamoci se ha capito quello che le hai detto! Quante persone sane di mente parlano correntemente il Na’vi?”
“Sam.”
“Lui non fa testo” mi rassicurò il grillo “Vedrai che non appena tornerà si farà sentire e riprenderete la storia da dove l’avete interrotta.”
“E se così non fosse? Se quello fosse stato davvero un addio?”
“Ricordi cosa ti ha detto?”
“Certo, come potrei dimenticarlo?”
“E le credi?” insistette.
“Vorrei, lo vorrei davvero tanto… Ma ci sono ancora troppi segreti. E se mi avesse mentito per tutto questo tempo?”
“Britt, devi smetterla di rimuginare. È ora.”
“Ora di cosa?” domandai stupita.
“Di scendere.”
Sbattei le palpebre e mi ritrovai la faccia di Puck che mi fissava esaltato.
«Pierce, muovi il culo! Siamo a casa!»
Mi scossi e realizzai che eravamo finalmente atterrati.
Non mi resi conto di quanto mi fossero mancati gli Stati Uniti fino a che non provai il piacere di sentire la gente attorno a me parlare la mia lingua. Mi diede un senso di familiarità che mi riscaldò il cuore. La Spagna mi aveva dato tanto, ma non poteva sostituirsi alla terra che era la mia patria.
Ci mettemmo un po’ a riabituarci ai ritmi frenetici dell’America, a cominciare dal traffico sulle strade. Avevamo recuperato l’auto di Finn, con cui eravamo arrivati in aeroporto il giorno della partenza e che era rimasta ferma in parcheggio per tutto quel tempo, e ci eravamo messi in viaggio verso Lima.
La prima sosta fu casa Fabray, dove scaricammo Quinn e i suoi bagagli, poi ci fermammo a casa Berry, congedandoci da Rachel.
«Prossima fermata: dimora Pierce» comunicò Noah, allungando i piedi sul cruscotto.
«Puck, quante volte ti ho detto di tenere giù quelle luride scarpe?» lo rimproverò l’autista.
«Oh, dai Hudson, solo per una volta…»
Andarono avanti a battibeccare per tutta la durata del percorso fino a casa mia. Mi aiutarono a portare la valigia lungo il vialetto e mi salutarono con un abbraccio.
«A presto, Pierce. Ci sentiamo domani, ok?» disse Finn.
«Certo, ci ritroviamo al “Lima Bean” come nostro solito?» risposi.
«Ovvio!» esclamarono insieme. «Ora vai, è tardi e la tua sorellina sarà rimasta sveglia per rivederti.» E con quelle parole il Mohawk mi spintonò dentro la porta che si stava schiudendo.
«Arrivederci signori Pierce» salutarono i due ragazzi tornando alla macchina.
«Brittany!!!»
Sulla mia faccia comparve il più largo dei sorrisi. Con un balzo, Ashley mi si appese al collo, rischiando di farmi perdere l’equilibrio.
«Mi sei mancata tanto» mugolò, mentre sentivo il suo visino bagnarsi di lacrime.
«Ehi, principessa, adesso sono qui» la tranquillizzai «Non c’è bisogno di piangere.»
«Ma non sono triste! Sono felice e i miei occhi sudano» mi spiegò.
La strinsi forte, per non farle notare che anche io ero commossa.
«Tesoro!» esclamarono i miei genitori pochi istanti più tardi. Mi fecero entrare e mia madre afferrò subito il cellulare che mi sporgeva dalla tasca.
«Vediamo un po’ che cosa abbiamo qui…»
«Mamma!» tentai di oppormi, ma lei fu più rapida e si scansò, evitando il mio assalto.
«Allora… Foto… Questi sono i tuoi soliti quattro complici… Ah, vedo che Quinn ha preso un po’ di colore su quelle guance pallide… E questi sono gli altri americani?» Si era soffermata su una foto che avevo fatto ai ragazzi del Morgenstern mentre eravamo in spiaggia. «Allora il biondo con le labbrone enormi ha la faccia da tonto, ma un fisico da paura» iniziò a commentare.
«Vivian!» la riprese mio padre.
«Gli altri due che si tengono per mano giocano in squadra con te?»
«Non mi pare una discussione da fare a quest’ora della notte, cara» tentò di nuovo mio papà.
«Oh, e questa chi è?» squittì zoomando sulla latina «Qui è un po’ in ombra… Vediamo se hai altre foto.»
Ovviamente trovò quello che cercava perché Puck aveva praticamente fatto un intero servizio fotografico dei nostri appuntamenti e mi aveva spedito tutto.
«Ma che carine!» prese ad esclamare ad ogni nuovo scatto, mentre io desideravo solo seppellirmi nel mio letto e non sentire più nominare San.
«Devi dirmi tutto di lei! Come si chiama? È anche lei americana? In che stato vive? Vuoi invitarla qui una settimana prima andare a New York?»
«Mà, basta, ti prego» sbottai «Voglio andare a dormire. Domattina ti racconto tutto.»
Mi lasciarono libera di tornare, finalmente, in camera mia. Mi sdraiai sul letto ancora vestita e dovetti farmi un’incredibile violenza per non crollare subito addormentata. Cacciai la valigia in un angolo e mi feci una rapidissima doccia. Quando uscii dal bagno notai due intrusi nel mio letto.
«Mi chiedevo quando sarebbe venuto a salutarmi» dissi passando la mano nel folto pelo del mio gatto.
«L’ho dovuto tirar fuori dal seminterrato. Ha passato l’ultima settimana a costruire un robot assassino» rispose Ashley accoccolandosi al mio fianco.
«Sono contenta di essere tornata a casa, mi siete mancati tantissimo» continuai abbracciandoli entrambi.
«Posso restare a dormire con te, BriBri?» mi chiese con aria supplice.
«Ma certo, Ash. Lasciami mettere il pigiama e torno.»
«Bri?» mi domandò quando la raggiunsi «Chi era la ragazza con te nelle foto?»
«Ehm…» titubai.
«Non ne vuoi parlare?»
«È complicato…»
«Un po’ come nei film quando i due protagonisti si devono allontanare anche se si amano?»
La sua infantile ingenuità mi fece sorridere, per lei io e la mia ispanica saremmo tornate insieme una volta superate tutte le prove del destino, ma io faticavo ad essere altrettanto ottimista.
«Non è così semplice… Diciamo che ti stai avvicinando. Domani spiegherò tutto anche a te, ma ora è meglio dormire.»
«Buonanotte sorellona.»
«‘Notte piccola peste.»
Accarezzai ancora per qualche minuto Lord T, tranquillamente acciambellato tra le mie gambe, che prese a fare le fusa.
«Ah, pancione… Se solo tu potessi aiutarmi…»
Lui si girò a fissarmi con i suoi placidi occhi verdi e sfregò il muso contro la mia mano.
«Anche io ti voglio bene Lord T.»
Desiderai che la mattina dopo non arrivasse mai. Affrontare l’argomento “Santana” con la mia famiglia l’avrebbe reso di nuovo reale e non avrei più potuto ignorarlo. Immaginavo la faccia dei miei nel sapere che anche lei abitava a Lima. Conoscendo mia mamma avrebbe agguantato il telefono e invitato i Lopez a cena per conoscerli.
Mi sembrava di essere appena riuscita a chiudere occhio, quando le tapparelle del mio oscuro rifugio vennero violentemente sollevate per far entrare i primi raggi di sole.
«Sveglia pigrone!» annunciò mia madre con il suo solito entusiasmo.
Lord Tubbington si stiracchiò, investendomi con il suo dolce peso. Ashley, avvinghiata al mio braccio, sbadigliò rumorosamente.
«Forza, ho fatto i waffles!»
Quella frase bastò a far scattare i miei compagni di letto, che si precipitarono al piano di sotto mentre io ancora dovevo connettere il cervello.
«Vedi di muoverti, tra un’ora devo essere al lavoro» mi avvisò la mamma, uscendo per mettere da parte qualche dolce per la sottoscritta.
Scesi dal letto e mi parve che le mie gambe fossero di pietra. Non volevano saperne di muoversi.
Arrivai in cucina rischiando di rotolare lungo i gradini che portavano al piano inferiore. Ancora non so spiegarmi come riuscii a non rompermi l’osso del collo quella mattina. Il mio stesso corpo cercava di boicottare quella chiacchierata.
«Su, siamo tutti curiosi» mi apostrofò papà, abbassando il giornale e sollevando la tazza di caffè.
«Bene» mormorai ormai rassegnata «Credo sia ora di raccontarvi di Santana.»
Tutti e tre si fecero attenti, consentendo a Lord T. di strafogarsi degli avanzi di waffle.
«L’ho incontrata il primo giorno, quando ci ha dato indicazioni per raggiungere il Kursaal Hotel. Quella sera stessa siamo andati in un locale a…» Mi morsi la lingua, non potevo dire ai miei che mi ero ubriacata praticamente ogni volta che ne avevo avuto l’occasione. «A cantare perché era l’unico con un palco e l’attrezzatura da karaoke, conoscete Rachel e le sue manie… Comunque una coppia di ragazzi si esibì e io andai a complimentarmi con loro, così conobbi Kurt e Blaine che erano lì in compagnia di Sam.»
«I gay e il biondo, giusto?» chiese mia madre.
«Sì, lasciami andare avanti. Con loro c’era una quarta persona, ma non ebbi modo di vederla se non quando andò a cantare per una specie di competizione.»
«Era la bella ispanica?» insistette.
«Sì, mamma. Si chiama Santana Lopez e, tenetevi forte, vive anche lei qui a Lima.»
Mia madre fece un salto di gioia insieme ad Ash, mentre mio padre si portò una mano al mento per accarezzarsi pensieroso la barba. «Lopez… Lopez» iniziò a mormorare «Mi ricorda qualcosa… Non sarà mica quel Lopez, vero?»
«Cosa intendi?» domandai, confusa.
«Ma si tratta di Iñigo Lopez, il famoso cardiochirurgo?»
«Beh, mi ha detto che suo padre è medico, ma non ha specificato di cosa si occupi» risposi.
«Oh, Britt, piccola mia, hai preso all’amo un pesce bello grosso! La moglie di un mio collega era stata data per spacciata per un qualche problema alle valvole cardiache, l’hanno passata a Lopez come ultima spiaggia e lei è risorta come Lazzaro! Ho sentito dire che quell’uomo abbia le mani assicurate per un milione di dollari l’una!»
«Dobbiamo assolutamente invitarli a cena!» intervenne mia madre, come avevo immaginato.
«Perfetto Vivian» concordò per una volta suo marito «Dovrei riuscire ad ottenere il loro numero in dieci minuti. Che ne dite di mercoledì prossimo?»
«Fermi tutti!» esclamai, smorzando il loro entusiasmo «La storia non è finita. Io e Santana abbiamo flirtato un po’, ma lei adesso è ancora in Spagna e non tornerà per almeno un’altra settimana e abbiamo tante cose in sospeso da chiarire. Voi state correndo un po’ troppo.»
«Ma in quelle foto sembra proprio che stiate insieme…» si intristì mia mamma «Non è la tua ragazza?»
Mi si strinse ancora una volta un nodo alla gola. Neppure io potevo dare una risposta a quella domanda.
«No, non è la mia ragazza.»
Notai le loro facce deluse e quella che più mi ferì fu quella di Ashley, che doveva già essersi immaginata di farmi da damigella al matrimonio. Lei era una sognatrice, proprio come lo ero stata io fino a due notti prima, ma la reazione della latina aveva spezzato qualcosa in me, spazzando via ogni illusione.
«Dovreste andare» feci notare ai miei genitori «O farete tardi al lavoro.»
I due adulti si sbrigarono e uscirono di corsa, lasciandomi con Ash e gridandomi di disfare i bagagli e fare una serie di faccende domestiche.
«Dai, andiamo su che ho una sorpresa per te» comunicai alla mia sorellina, prendendola per mano.
Risalii le scale senza fatica, come se il peso che mi opprimeva fosse scomparso nel momento in cui avevo convinto tutti che si fosse trattato di una semplice avventura estiva, ma non potevo mentire a me stessa.
«Cosa mi hai preso? Dai, fammi vedere!» gioiva eccitata Ashley.
Aprii la valigia e da sotto una massa di vestiti appallottolati, tirai fuori un peluche di squalo che era stato acquistato mentre io ero bloccata a letto dalla febbre. Avevo mandato Blaine con specifiche istruzioni fino all’acquario e lui aveva eseguito alla perfezione il suo compito: trovare un pupazzo più simile possibile allo squalo di “Alla ricerca di Nemo”.
«Ma è Bruce!» esultò infatti la bambina.
«Avrei voluto portarti quello in pinne e denti, ma era occupato ad insegnare agli altri squali che i pesci sono amici e non cibo» le risposi con un sorriso, ma lei parve distratta da qualcos’altro.
«E questa che cos’è?» mi domandò, estraendo, da una scarpa rotolata sul pavimento, la collana che mi aveva regalato Santana. «È un ciondolo bellissimo! È un anatroccolo blu come i tuoi occhi! Dove lo hai preso?»
Rimasi in silenzio. Il mio cervello aveva cominciato a realizzare qualcosa che avrebbe potuto chiarire alcuni dei misteri che ancora avvolgevano l’ispanica.
«Te lo ha preso lei, vero?» chiese Ash.
«Sì…»
«Ma come faceva a sapere che ti piacciono le papere?»
«Mi sono fatta la stessa domanda… Ma adesso credo di averlo capito… Ti spiace se ti porto a giocare da Allison adesso? Ho bisogno di stare un po’ da sola.»
«Va bene, ma solo se mi porti in moto.»
«Sai che mamma non vuole che guidi con te dietro, dice che non è sicuro. Prenderemo l’autobus.»
Così accompagnai mia sorella dalla sua amica e poi tornai a casa il prima possibile. Inforcai la moto senza pensarci due volte e mi fiondai a casa Fabray.
«Che piacere vederti, Brittany» mi accolse Judy «Quinn è nella sua stanza.»
«Molto gentile, come sempre, signora Fabray» la ringraziai, dirigendomi verso la camera della mia amica.
«Britt, che ci fai qui?» mi chiese, vedendomi fare irruzione.
«Oggi le domande le faccio io» risposi aggressiva.
«Ma che ti prende?»
«Voglio la verità, Fabray. Tutta la verità.»
«Non so di cosa tu stia parlando» si difese, ma potevo leggere la menzogna nelle sue iridi smeraldine.
«Tu non mi hai detto tutto. Ora sputa il rospo.»
Lei sospirò, rassegnata, confermando il mio sospetto.
«Mettiti comoda» mi disse «Non so quanto questa storia ti piacerà.»
Ubbidii e mi preparai al peggio.
«In qualità di capo cheerleader lo scorso anno sono stata eletta come rappresentate femminile del corpo sportivo del McKinley, affiancata da quello scemo di Rick “The Stick” Nelson come mio compagno. Abbiamo dovuto fare un paio di riunioni con i rappresentanti degli altri licei della regione per organizzare i tornei interscolastici e simili. Dato che non volevo trovarmi impreparata di fronte al nemico, mi sono occupata di studiare gli avversari, tra cui quelli della Dalton, hai presente, no? E tra le altre scuole c’era anche la Simon Morgenstern High. Così ho fatto un paio di ricerche sui loro delegati. Il ragazzo, un tale dal nome impronunciabile, tipo Krzyszkowski o qualcosa del genere, era il classico giocatore di football un po’ tonto, eletto solo per fare presenza, ma la ragazza mi avevano informato fosse una vera serpe. Due anni prima aveva sostituito la polvere di gesso per il numero di una squadra nemica di cheerleading con polvere urticante, garantendo alle proprie compagne di scuola l’ingresso alle nazionali. Se non fosse per il fatto che Sue ci ha sempre vietato l’uso di qualsiasi polvere che non fossero le sue bevande liofilizzate, probabilmente avrebbe sabotato anche noi.»
«Stai cercando di dirmi che quella vipera senza cuore era Santana?»
«Oh, ma quello era solo uno scherzetto innocente rispetto alle sue altre malefatte. Il suo schema più efficace era quello di sfruttare il proprio fascino per sedurre gli avversari, anche più di uno alla volta, per metterli l’uno contro l’altro.»
«E tu mi hai permesso di uscire con una tipa simile?» mi infuriai, dimentica di tutti i bei momenti che avevo trascorso in compagnia di San.
«Io ho cercato di metterti in guardia! In un primo momento, quando ce la siamo ritrovata vicino sotto la pioggia, non l’avevo riconosciuta, ma al “La oca loca” mi sono improvvisamente ricordata di averla già vista e ho riconosciuto in lei quell’arpia.»
«E non potevi dirmi subito tutto questo?» Ero sempre più furiosa, tanto che dovetti stringere con forza i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi, per evitare di perdere il controllo.
«All’inizio pensavo che avresti potuto, per una volta, essere tu a vendicare tutti i cuori spezzati dalla malvagia Lopez, ma poi mi sono ricordata del tuo inguaribile romanticismo e cose simili e ho deciso di intervenire.»
«Quel pomeriggio quando abbiamo fatto “ufficialmente” le presentazioni!» realizzai «Siete state a dialogare per tutto il tempo! Ecco di cosa parlavate!»
«Esatto, le ho detto di averla riconosciuta e che doveva tenere le mani lontane da te.»
«Ma allora perché non l’ha fatto?»
«Perché dal modo in cui mi guardava mi sembrava sincera nel dire che era stanca di semplici avventure e che tu l’avevi subito colpita, voleva fare le cose per bene con te. Mi ha chiesto un paio di informazioni base: cosa ti piacesse, come fosse starti attorno, quali fossero i tuoi interessi e cose così.»
«Quindi le hai detto tu delle anatre… E anche della moto! Ecco perché non era sorpresa dal mio hobby del motocross!»
«Sì, sono cose che potrei averle detto…» ammise la Fabray «Ma io lo facevo per te! Ultimamente eri più giù del solito, dopo quella serie di rifiuti pensavo che sistemarti per un po’ ti avrebbe fatto ritrovare il sorriso e in effetti ha funzionato.»
«Fino a che lei non mi ha spezzato il cuore…» commentai amaramente.
«Ma che cosa è successo? Sembravate andare così d’accordo.»
«Le ho detto di amarla» risposi semplicemente.
«Tu, cosa!? Santi numi, Britt! La vita non è un film Disney! Non puoi dire a qualcuno che lo ami dopo due settimane che uscite insieme!»
«Ufficialmente era una settimana sola» puntualizzai.
«Peggio ancora! Ma come ti è saltato in mente!?»
«Non è le ho proprio detto “ti amo”» tentai di spiegarle «Ho usato il Na’vi.»
«E…?»
«E da come ha reagito credo che abbia capito benissimo.»
«Dio, Britt… Questo è un colossale disastro… E la cosa divertente è che, per quanto fossi certa che prima o poi lei ti avrebbe spezzato il cuore, alla fine hai fatto tutto da sola…»
«Già, che dolce ironia…»
«E quindi?» mi chiese ancora «Cosa farai una volta che lei tornerà qui a Lima?»
«Ci sto ancora pensando. Non posso far finta che non sia successo niente…»
«Decisamente no. Per me dovresti provare a spiegarle che eri presa dal momento, qualcosa tipo “ero preoccupata dal dovermi allontanare da te così presto”.»
«Non so, Q. In questo momento sono ancora più confusa… Mi sembra di essere stata per due settimane con una persona e dopo quella maledetta canzone è come se a lei si fosse sostituita una sconosciuta.»
«Canzone? Ti ha dedicato una canzone?»
«Sì, era una roba romantica, qualcosa come “You are the best thing that’s ever been mine” e io pensavo che quelle parole fossero sentite. Però, quando ha finito ho visto qualcosa nei suoi occhi, come se fosse combattuta e allora mi è sembrato che si stesse allontanando.»
«Vedrai che andrà tutto per il meglio» mi rassicurò la bionda avvicinandosi per abbracciarmi «Andrà tutto bene e avrai il lieto fine che ti meriti…»
«Mi spiace averti attaccata così, Quinn» dissi per scusarmi «Ma avevo capito che qualcuno doveva aver parlato di me a San e tu eri l’unica che poteva averlo fatto.»
«Non preoccuparti, è tutto a posto» mi rassicurò «Anche io non sono stata una buona amica, nascondendoti quello che sapevo… Ma lasciamoci alle spalle questi sotterfugi. Ti va di andare da Noah a fare una partita alla Playstation? So che ti piace tanto.»
La settimana seguente la trascorsi nel più totale relax, rinchiudendo ogni ricordo inerente alla Spagna in un cassetto a cui cercavo di accedere il meno possibile. Non dovetti neppure parlare di Santana, se non in un paio di occasioni per tenere a bada mia madre.
Il mondo sembrava essere tornato alla solita realtà.
Poi accadde quello che temevo. Ricevetti un messaggio.
Di nuovo a casa, riunione generale?
Blaine
Dopo averne discusso con gli altri decidemmo che almeno un’altra serata insieme sarebbe stata d’obbligo. Mi feci forza per non contattare ulteriormente Blaine per avere notizie di Santana, gli risposi che potevamo vederci il giorno seguente al “Somewhere” per la serata karaoke.
Venne il giorno fatidico e trascorsi il pomeriggio a pensare a come comportarmi che quasi non mi resi conto del tempo che passava. L’ultima volta che guardai l’orologio mi accorsi che mancava poco più di un’ora al ritrovo.
Mi preparai e cominciai a camminare nervosamente in camera, sotto lo sguardo vigile del mio micio. Ad un tratto lo vidi muovere le orecchie come a captare un rumore inaspettato.
«Lord T?» gli chiesi grattandogli la pancia «C’è qualcosa che non va?»
Lui si limitò a fissare la porta e io, non so bene per quale ragione, uscii dalla stanza. Il gatto mi seguì e poi mi condusse fino alla porta d’ingresso.
«Vuoi uscire? Sai che non dovresti, lo smog non fa bene ai tuoi polmoni da fumatore.» Ma lui cominciò a strusciarsi con insistenza contro l’uscio chiuso.
«E va bene…» capitolai.
Aprii la porta ed ebbi un tonfo al cuore. Davanti a me c’era un grosso trofeo dorato e sapevo bene a chi appartenesse. Mi guardai rapidamente intorno, ma lei ormai se n’era già andata.
Studiai l’oggetto con sospetto, memore, forse, di quello che era capitato ad Harry la volta che aveva afferrato la coppa del Torneo Tre Maghi.
Lord Tubbington si era seduto e mi guardava, come se aspettasse che facessi qualcosa.
«Dici che devo prenderlo? In fondo non è mio… E poi cosa mai vorrà dire?»
Notai solo dopo un piccolo foglio incastrato sotto la base del trofeo.
Lo aprii, ben sapendo cosa ci avrei trovato.
Addio.
Mi dispiace.
Tre parole. Era tutto finito, con tre semplici parole, parole che aveva giurato di non dirmi.
Puck mi trovò in lacrime sullo zerbino e mi aiutò a portare dentro l’ingombrante premio.
«Te la senti lo stesso di venire?» mi chiese mentre mi aiutava a ricompormi.
«Io… Devo, almeno per Blaine, Kurt e Sam…» risposi in un soffio.
«Vedrai che chiarirete tutto» cercò di rassicurarmi «Adesso sali sulla carrozza, Cenerentola.»
Passammo a prendere Quinn e poi andammo all’incontro.
Rivedere i tre ragazzi mi fece sorridere e fui contenta di sentire delle loro imprese di surf. Sam, purtroppo, era arrivato quarto, spodestando però la rossa che ricordavo molto in gamba. Kurt era arrivato terzo, lasciando Santana e Starchild a competere per il titolo di campione.
«San ha dato il meglio di sé» ci disse il biondo «Se l’è meritata quella vittoria.»
Rachel mi tolse dall’imbarazzo di fare la domanda che mi premeva sulle labbra: «Dov’è Santana?»
«Mi ha mandato un messaggio, circa un’ora fa» rispose Hummel «Diceva semplicemente: “non posso”. Credo che sia ancora scombussolata per il viaggio e l’emozione della vittoria.»
Io sapevo che non era solo quello, ma ero quasi contenta che non ci fosse. Non avrei saputo come gestire la cosa.
«Beh, siamo qui per cantare o no?» esordì Blaine, trascinando il proprio fidanzato sul palco per l’ennesimo duetto.
Trascorsi buona parte del tempo persa a guardare fuori da una finestra, forse perché in fondo volevo vederla comparire all’improvviso, gettarsi ai miei piedi implorando perdono.
«Dai Britt, ti farà bene andare su quel palco a sfogarti» mi incitò Puck «Vai e falli neri, tigre.»
Quando mi avvicinai per scegliere la base colsi un movimento alla mia destra, dove si trovava la porta.
Uno svolazzo di capelli corvini, per me inconfondibile. Le sue iridi scure mi fissavano piene di rimorso e tristezza, eppure lei non accennava a volersi avvicinare.
Provai rabbia, un odio sordo e profondo si impossessò di me. Volevo farla soffrire come lei aveva fatto con me, esigevo vendetta per tutto quello che non mi aveva detto e per l’orribile modo in cui aveva deciso di chiudere con me.
«Questa» dissi suggerendo il titolo al gestore.
Partì la base e io piantai i miei occhi nei suoi e presi a cantare.
Loving you
Is it the right thing to do?
How can I ever change things
That I feel?
If I could
Baby I’d give you my world
How can I
When you won’t take it from me?
You can go your own way
Go your own way
You can call it
Another lonely day
You can go your own way
Go your own way
Non smisi mai di fissarla, facendole capire che ogni parola per me era vera. Lei poteva andarsene per la sua strada, io non avrei fatto nulla. Non potevo cancellare i sentimenti che provavo, ma intanto, se non erano corrisposti, non aveva senso per me averla vicino.
Vidi cadere una lacrima lungo la sua guancia ambrata mentre ripetevo il ritornello, poi si voltò e uscì. Gli altri lo notarono, ma nessuno la frenò.
Il mio cuore si fermò un istante, poi lo sentii spezzarsi. Non versai lacrime e non mi interruppi, continuai a cantare, provando ad ignorare la voragine che si stava lentamente aprendo sotto di me per inghiottirmi nella più totale disperazione.
Quello era davvero un addio.

NdA: Non odiatemi, vi prego... Doveva esservi chiaro dal titolo dove questo capitolo sarebbe arrivato, quindi spero non ci siate rimasti (troppo) male. Non mi perdo in inutili chiacchiere e passo subito ai ringraziamenti e alle informazioni logistiche: grazie a wislava e strapelot per le recensioni e grazie ad ogni altro singolo lettore per essere arrivato fin qui. Ormai la fine è vicina quindi direi di poter fissare con discreta precisione l'uscita dei capitoli: il prossimo arriverà tendenzialmente mercoledì e il finale, per commemorare la mia iniziale pubblicazione domenicale, uscirà ovviamente domenica (salvo imprevisti/incidenti/attacchi alieni/invasioni zombie/mia improvvisa partenza per Hogwarts). Finito questo sproloquio, rinnovo i miei ringraziamenti e vi saluto. Alla prossima.
   
 
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