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Autore: Leoithne    14/10/2014    4 recensioni
Esistono storie che non avete mai sentito raccontare, perché mai uscite da labbra umane. Gli oggetti, i mobili, persino le pareti hanno tantissime cose da narrare. Dietro al loro apparente e freddo silenzio nascondono pensieri e ricordi, un muto libro di memorie, stralci di una meravigliosa vita vissuta. Soprattutto quelli del 221B di Baker Street.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera/Buongiorno a tutt* voi che state seguendo questa storia! Innanzitutto, scusate immensamente per il ritardo di pubblicazione. Ho avuto due settimane in cui persino trovare il tempo per respirare era diventato complicato. Solo io so quante volte avrei voluto mettermi a scrivere questo capitolo e, invece, mi sono trovata intrappolata in mille altre faccende che mi hanno privato della facoltà di mettermi tranquillamente davanti al PC a comporre. Per cui mi scuso di aver abusato della vostra pazienza e spero di farmi perdonare con questo capitolo!

In secondo luogo, come sempre, è più che doveroso ringraziare la dolcissima (nonché meravigliosa) Ida, ancora di salvezza in queste due settimane, sostenitrice indefessa delle mie idee folli e coraggiosissima compagna di visioni telefilmiche serali, senza la quale, sappiatelo tutt*, sarei probabilmente morta alla seconda puntata di Parade's End. Quindi, grazie a te, Ida, che mi sopporti ancora e che sostieni sempre questa follia (nonché la Guixon ^^) e che stai sostenendo persino la prossima che la mia mente malata sta partorendo!

Non mi resta che augurarvi...buona lettura!

Il bagno è una stanza particolare. Effettivamente, se uno ci pondera sopra, è la stanza dei segreti che non puoi semplicemente esprimere in cucina o in soggiorno, ma neanche di quelli intimi che esprimi solo nel cantuccio della camera da letto. Il bagno è la stanza di quei segreti che ti tieni dentro finché non vengono rilasciati sotto la cascata d’acqua calda della doccia.

E la doccia del 221B Baker Street era la custode di molti di questi segreti.

Cominciamo col dire che, nonostante il suo lavoro, che a volte era davvero poco gratificante, era una doccia piuttosto pudica e che, le prime volte che era successo quello che era successo, si era sentita estremamente mortificata di avervi assistito. Si ripeteva che non era colpa sua, ovviamente, ma detestava violare così l’intimità dei suoi coinquilini. Non che ci potesse fare molto, in realtà. Lei era fissata da una mano di cemento al muro e di certo non poteva andarsene quantunque lo desiderasse.

Si ricordava, innanzitutto, di qualcosa di molto particolare all’inizio della sua esistenza al 221B, quando Sherlock Holmes, il nuovo inquilino dell’appartamento, era entrato in bagno e aveva piazzato una gamba umana sotto il suo getto bollente. Per una doccia come lei, che negli anni precedenti ne aveva viste sin troppe, fu comunque una visione sconvolgente. La gamba era rimasta lì, sotto il flusso di vapore che man mano diminuiva d’intensità, per un paio d’ore, finché l’uomo di nome Sherlock Holmes – una testa di capelli ricci e neri che, ammetteva, le piacevano parecchio e non vedeva l’ora di ammirarli più da vicino – non era tornato e aveva dato un’occhiata soddisfatta all’arto. Aveva persino fatto un sorrisetto malizioso, prima di esclamare, giubilante:

“Avevo ragione!”

Aveva pensato, inizialmente, che quel Sherlock Holmes, sebbene un po’ strano, fosse un uomo felice. Aveva presto scoperto che non lo era.

Era un ricordo triste, che le faceva arrugginire i tubi un po’ di più ogni volta che ci pensava.

Una sera era arrivato a casa e si era trascinato in bagno. Lei aveva seguito i suoi passi strascicati da quando era entrato dalla porta fino al momento in cui aveva aperto il suo rubinetto, guardandolo con gli occhi più vuoti e distanti che mai. Aveva lasciato scorrere l’acqua, senza emettere una sola parola. Poi si era sistemato sotto il getto, appoggiando la schiena alle fredde piastrelle, e si era lasciato scivolare verso il basso, finché non si era accoccolato in silenzio sul pavimento di ceramica, singhiozzando.

“Perché?”, aveva semplicemente detto.

Poi più nulla, tranne le lacrime che si mischiavano all’acqua che usciva dal soffione. La doccia, che avrebbe tanto voluto consolarlo, non sapeva proprio come fare. Non aveva braccia per stringerlo, né una voce per dirgli parole di conforto. L’unica cosa che poté fare di sua volontà, a gran fatica, fu quella di aumentare leggermente la temperatura dell’acqua, in modo che sentisse calore. Ma la doccia sapeva che quell’uomo distrutto sul suo pavimento non aveva bisogno del calore dell’acqua. Aveva bisogno di calore umano.

E ricordava felicemente il giorno in cui John Watson era entrato nella vita di Sherlock Holmes, perché John Watson era tutto quello di cui Sherlock avesse mai avuto bisogno. E perché Sherlock Holmes era tutto ciò di cui John Watson avesse mai avuto bisogno.

Lo notò immediatamente, già nei primi giorni della loro convivenza. Sherlock pareva rinato. Entrava la mattina in bagno fischiettando, canticchiava mentre faceva la doccia, passava più tempo a sistemarsi i riccioli allo specchio.

E lo stesso faceva John Watson.

Quello che non riusciva a capire, però, era a quanto ammontasse il livello di complicità che ci fosse tra i due. Si vedeva che erano fatti l’uno per l’altro, ma nessuno dei due sembrava prendere l’iniziativa, né confessare l’inconfessabile. Nemmeno a lei che, di certo, sapeva come mantenere un segreto.

Questo fino ad un giorno in cui Sherlock, probabilmente nervoso per qualcosa che lei – era una doccia, non ci si poteva aspettare determinate intuizioni da lei, essendo troppo rigida – non riusciva a capire, era entrato come una furia in bagno e aveva tirato con forza i due pugni sul ripiano di marmo del lavandino. Il detective le voltava le spalle, ma dal riflesso nello specchio vide chiaramente delle lacrime che gli solcavano il viso.

“Perché?”, aveva urlato con forza, la voce che gli usciva spezzata “Perché non capisce che…”

Ma si era interrotto e si era diretto verso di lei. La violenza con cui aveva aperto il rubinetto, la doccia, non l’avrebbe mai dimenticata. Il freddo metallo della manopola aveva tremato, quasi divelto dal muro dalla forza di Sherlock Holmes e lei aveva provato una fitta di dolore al tubo dell’acqua calda. Il detective si era strappato i vestiti di dosso, tentando di trattenere rabbiosamente le lacrime. Poi, sotto il flusso d’acqua che scioglieva tutte le tensioni, si era lasciato andare.

“Perché non capisce che lo amo?”, aveva confessato.

Già, disse tra sé e sé la doccia, poteva mentire di fronte a John. Poteva indossare la maschera impassibile che portava sempre di fronte a John. Poteva fingere che non ci fosse nulla di fronte a John. Ma nella solitudine, ai mobili, non si poteva mentire. E la confessione fu una liberazione per il detective, perché si lasciò andare ad un istinto che lei non poteva sopportare, da tanto pudica era, ma che era consapevole che significava un’unica cosa: Sherlock era definitivamente, inequivocabilmente attratto da John.

Infatti, e lo ricordava bene perché il detective non aveva mai fino ad allora ceduto ai suoi istinti, le mani di Sherlock erano scese lentamente verso il basso, fino all’inguine. Un tocco dopo l’altro si era appoggiato con la schiena al muro, la testa inarcata all’indietro, gemiti sempre più annaspati man mano che la climax saliva, finché, in un ultimo tocco, aveva urlato il nome di John, quasi mordendosi il labbro per trattenerlo, non riuscendoci. Aveva finito per piangere anche quella volta, in silenzio, mentre l’acqua lavava via le sue lacrime.

“Ti amo…”, aveva sussurrato “…perché non lo capisci?”

Poi, quasi imbarazzato da quello che era successo, se n’era andato in silenzio, chiudendo delicatamente l’acqua, senza guardare verso la doccia, testimone scomoda di qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. O così aveva pensato lei, osservando lo sguardo colpevole sotto ai riccioli neri ancora bagnati.  

Ma si disse lei, ancora un po’ sconvolta e leggermente accaldata per quello che era accaduto, che era impossibile che John capisse se Sherlock non glielo diceva. E di cosa aveva paura, poi? Era così evidente che anche John era irresistibilmente attratto da Sherlock, molto più, forse, di quanto Sherlock era attratto da John. Vero che, però, era anche immensamente più testardo.

Lo aveva capito alcuni giorni dopo la vicenda di Sherlock. Già c’erano state, ovviamente, delle avvisaglie. Il fatto che John entrasse all’improvviso in bagno facendo finta di aver dimenticato qualcosa mentre Sherlock era avvolto solo in un minuscolo asciugamano, per esempio. O il fatto che gli lanciasse occhiate tanto inequivocabili che persino un mobile duro di comprendonio come il lavandino aveva capito che ci fosse dietro qualcosa. Ma John – e lei un po’ lo odiava per questo – era più testardo di un mulo.

La scena che fece quel giorno entrando in bagno sembrò una copia sputata di quella fatta da Sherlock alcuni giorni prima. L’unica cosa che era mancata erano le lacrime. Si era lanciato con forza sotto di lei, senza neanche aprire il rubinetto dell’acqua calda. E se John faceva una doccia fredda, lei sapeva, poteva significare una sola cosa: era arrabbiato.

“Quel…quel…quanto lo odio!”, aveva urlato con quanto fiato aveva in gola “Ma cosa crede? Che io sia un burattino? Non ho amici, vero? E io cosa cazzo sono?”

Aveva poi afferrato con forza lo shampoo e con altrettanta forza aveva cominciato a lavarsi i capelli. Più correttamente, aveva pensato la doccia, a scartavetrarsi il cuoio capelluto da tanta violenza ci stava mettendo. Poi aveva improvvisamente appoggiato la fronte contro il muro e aveva tirato una serie di testate, con intensità sempre maggiore, tanto che la doccia aveva vibrato in tutte le sue parti e aveva fatto fatica a non lasciar andare un pezzo di calcestruzzo che già era pericolante e che ora, con tutte quelle vibrazioni, rischiava davvero di finire a terra.

“Io sono scemo!”, aveva urlato ancora John, morsicandosi il labbro.

E, di nuovo, in una perfetta fotocopia di quello che aveva fatto il suo coinquilino, le sue mani avevano viaggiato verso il basso. Ad ogni tocco, in questo caso, era seguito un improperio.

“Cazzo, Sherlock.”, aveva mugolato, rabbia e piacere mescolatisi insieme.

“Dannazione!”, aveva gemuto, aggrappandosi con la mano sinistra al pomello del rubinetto e stringendolo così forte che la doccia credette per un secondo che la mano di John potesse diventare parte di sé.

“Sh-sherlock!”, aveva, infine, urlato annaspando.

Anche in questo caso si vergognò tantissimo di essere stata testimone di tutto quello. John, uscendo dalla cabina, la guardò con rabbia e disprezzo come se fosse colpa sua quello che era appena successo. E si rivolse persino a lei con dure parole.

“Io. Non. Sono. Gay! Capito?”, le urlò contro.

Poi, però, mentre prendeva l’accappatoio, in un sussurro aggiunse:

“Però amo Sherlock Holmes. E ora, come faccio? Lui non sa nemmeno…”

Ma aveva lasciato la stanza prima di concludere il discorso.

Si era sentita impotente per l’ennesima volta in quel momento. Lei, un insieme di piastrelle, mattoni, acciaio e cemento, non poteva fare nulla per avvicinarli. Non aveva la capacità di esprimere ciò che provava, non la possibilità di confessare ciò che pensava. I segreti che custodiva dell’uno e dell’altro, se non fossero stati confessati dai due, sarebbero morti con lei il giorno in cui qualcuno l’avrebbe smantellata. Quel giorno, si ricordava bene, non riuscì a trattenere le lacrime a quel pensiero e un copioso flusso di lacrime continuò ad uscire dal soffione. Dovettero chiamare l’idraulico per sistemare la faccenda e lei, poverina, dovette far ricorso a tutta la forza di volontà che aveva per smettere di frignare.

E le era anche venuto da piangere ben più di una volta nei due anni in cui Sherlock era…morto. La notizia gliel’aveva portata John la sera stessa. Ubriaco fradicio, si era sistemato sotto il getto d’acqua gelida ed era rimasto lì, immobile. Aveva capito senza bisogno di parole. E aveva pianto in silenzio di notte, gocciolina dopo gocciolina che ticchettava sul pavimento di ceramica. E aveva pianto quando una sera John si era quasi…no, era meglio non ricordare quella volta. Faceva troppo male.

Ricordava altrettanto bene, tuttavia, il giorno in cui tutto, finalmente, era andato per il verso giusto.

Anche in quel caso era stato un diluvio di lacrime per cui avevano dovuto chiamare l’idraulico, ma furono lacrime di gioia. E ne avrebbe piante ancora, e ancora, e ancora. Perché di lacrime così belle, nonostante l’imbarazzo, ce n’era sempre bisogno.

Quel ricordo cominciava con Sherlock che era entrato in bagno. Sì, quello Sherlock che doveva essere morto e che, invece, con sua enorme sorpresa, un giorno si era ripresentato vivo e vegeto alla porta. Lo aveva odiato per quello che aveva fatto a John, talmente tanto che, ogni qualvolta facesse la doccia, si divertiva a regolare male il flusso dell’acqua, facendogli fare o docce gelide o docce bollenti. Ma poi John lo aveva perdonato e, anche se un po’ riluttante, lo aveva fatto anche lei.

Sherlock era entrato in bagno e si era spogliato, gettando le mutande sul pavimento e aprendo l’acqua della doccia. Neanche un minuto dopo, pure John era entrato in bagno. E, vedendo Sherlock nudo, non aveva improvvisamente richiuso la porta con aria colpevole come faceva di solito. Questo la aveva lasciata perplessa, tanto che, distraendosi, l’acqua le era sfuggita dal controllo ed era diventata improvvisamente bollente, ustionando il povero Sherlock che stava cercando di capirne la temperatura.

“Ahia!”, aveva urlato.

John gli si era avvicinato e con una mano gli aveva accarezzato i riccioli neri, sussurrando:

“Ti sei fatto male, amore?”

“Questa dannatissima doccia!”, aveva sbuffato Sherlock “Ci dev’essere ancora qualcosa che non va nella regolazione!”

“Lascia che faccia io…”

E John aveva dolcemente preso in mano la mano di Sherlock, l’aveva accarezzata e, portandola alle labbra, l’aveva baciata con delicatezza. Sherlock aveva sorriso e lei, emozionatissima, aveva di nuovo perso il controllo della regolazione. Ci mise un attimo per riprendersi, mentre Sherlock aveva allontanato la mano di John e si era chinato leggermente per baciarlo sulle labbra. Da quella posizione favorevole poteva vedere tutto e le divenne terribilmente difficile concentrarsi sul calore dell’acqua, intanto che i due intersecavano i loro corpi l’uno nell’altro, con lingue che scivolavano l’una nell’altra, finché anche le mutande che indossava John caddero sul pavimento, unite con quelle di Sherlock che già giacevano lì. Rosso e grigio. La perfetta combinazione.

E John aveva trascinato Sherlock dentro la doccia, ridendo allegramente mentre il getto d’acqua li bagnava entrambi. Sherlock aveva spinto John contro la parete, appoggiandovi contro tutto il suo corpo e affondando la faccia nell’incavo della spalla del biondo che lanciò un piccolo urlo di piacere.

“Non sei ancora stanco dopo stanotte?”, aveva detto John con un sorrisetto, mentre leccava il collo del detective.

“Devo recuperare il tempo perduto…”, aveva risposto con voce più calda che mai Sherlock.

Lei, la doccia, era arrossita violentemente. Certo, fortunatamente il rossore non lo si poteva vedere dall’esterno, ma lei lo sentiva nel calore sempre crescente delle sue tubature, tanto che dovette trattenersi più che poté per evitare che l’acqua raggiungesse temperature ustionanti.

Sherlock era crollato in ginocchio e aveva cinto i fianchi di John con le sue braccia.

“Ti amo”, aveva sussurrato, appoggiando i suoi ricci neri contro l’interno della coscia di John.

John aveva abbassato le mani fino ad accarezzargli i capelli, poi, poggiandola sotto al mento, lo aveva guidato dolcemente fino a farlo rialzare, fino a far incontrare i loro occhi azzurri, persi gli uni negli altri. E si erano baciati di nuovo, con più forza, con più passione, con violenza. Quasi a volersi divorare, a voler rimarginare tutte le ferite, a voler recuperare tutti i giorni che avevano perso. E, nudi, si pressarono l’uno contro l’altro, spasmodicamente, affanno dopo affanno, nome sussurrato dopo nome sussurrato finché l’appartamento echeggiò all’unisono del loro piacere.

“Sherlock!”

“John!”

Due nomi che, dal momento in cui si erano incontrati, erano stati destinati ad essere uniti ed ora, finalmente, lo erano.

La doccia ne fu talmente felice che pianse di gioia per i tre giorni successivi. Perché c’erano cose per cui valeva la pena gocciolare.

  
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