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Autore: Amity Belle    16/10/2014    3 recensioni
Di tutte le coppie del Dottore quella che più amo è composta da Clara e Eleven. La trovo romanticamente affascinante, come un amore che perdura nel tempo e si reincarna in innumerevoli vite. Come non potevo allora scrivere di loro?
Non so dove la storia mi condurrà ma sarei felice di scoprirlo assieme a voi.
Buona lettura e buon Whofflè a tutti :)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 11
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Incontro con il destino
(I)

Il ragazzino incollò il naso alla finestra e fissò gli occhi sulla cabina blu che si trovava dall'altra lato della strada, di fronte a casa sua. Gli parve che la porta si aprisse, che qualcuno facesse capolino per poi rientrare subito all'interno. Era più che sicuro che la cabina fosse apparsa dal nulla quella notte stessa, ma appena aveva provato a dirlo a suo padre, lui aveva riso dicendo “non c'è oggetto o persona che possano materializzarsi così, dal niente.” Ma quando il bambino gli aveva chiesto da quanto tempo quella cabina blu fosse lì, suo padre si era ammutolito e non aveva risposto. Più che nascondere qualcosa, gli sembrò che l'uomo ignorasse la risposta e fosse oltre modo confuso. Anche se a pensarci bene Albert Oswin mostrava sempre un'aria vagamente confusa, come se all'improvviso si rendesse conto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, come se si ridestasse da uno stato di torpore per poi ricaderci con tutti i piedi all'interno e non riemergerne mai più.
«Henry, c'è la signorina Clara qui per te.»
La voce di suo padre lo strappò a quei pensieri e il ragazzino si staccò dalla finestra per voltarsi verso la porta, che si aprì l'istante dopo. Suo padre, un uomo brizzolato ma dall'aria ancora giovanile, era seguito da una ragazza minuta, bassina, dai capelli scuri legati in una coda e lo sguardo bonario.
«Henry, saluta Clara. Da oggi ti aiuterà a fare i compiti e baderà a te quando non sarò in casa.»
Henry avrebbe voluto dire a suo padre che passava più tempo in ufficio, o ovunque lavorasse, che in casa con lui ma non lo fece. Si scoprì interessato alla sua nuova babysitter poiché inconsapevolmente stava già cercando un modo per metterla fuori gioco, così come era accaduto alle altre tre ragazze che avevano lasciato il posto di lavoro, ben liete di farlo.
Clara compì qualche passo nella stanza, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi. Non le sfuggirono le occhiate curiose di Henry, che ricambiò allo stesso modo.
«Ciao, Henry. Sono felice di fare la tua conoscenza.»
Si aspettò un cenno di saluto, un sorriso timido e tirato. Invece il ragazzino disse solo:
«Tè. Ne vorrei una tazza, per favore.»
Clara aggrottò le sopracciglia ma badò bene a non smettere di sorridere, tanto da sembrare che avesse appena avuto una paralisi facciale. Le maniere di ospitalità della famiglia Oswin le erano sembrate subito bizzarre: il signor Oswin l'aveva accolta rivolgendole fredde frasi di circostanza, con tono meccanico e quasi innaturale, tanto da farle credere che avesse imparato una sorta di copione a memoria. E ora, il ragazzino che avrebbe dovuto tenere sotto la sua ala protettiva, non si stava comportando in maniera diversa. Era a conoscenza della morte della signora Oswin, avvenuta circa un anno e mezzo prima, e Clara pensò che quei comportamenti erano da attribuire proprio a quella scomparsa.
«Ma certo. Se tuo padre mi mostra dov'è la cucina, te la preparo subito.»
Come poteva negare una tisana a un ragazzino dall'aria spaurita e impassibile? E se quello era un semplice test per controllare le sue abilità, allora era decisa a superarlo. Magari avrebbe preparato anche un gustoso sufflè.
Il signor Oswin le fece cenno con una mano di seguirlo. Prima di uscire dalla stanza, Clara si gettò un'occhiata alle spalle e notò con la coda dell'occhio che Henry era tornato a guardare fuori dalla finestra.
«È sempre così taciturno?» domandò all'uomo mentre scendevano le scale per tornare al piano di sotto.
«Henry ha sofferto molto per la morte di sua madre. Ha pochi amici e esce poco. Forse avrei dovuto aggiungerlo sull'annuncio, ma dubito che qualcuno si sarebbe presentato.»
«Io lo avrei fatto ugualmente.» rivelò Clara a voce alta.
Il signor Oswin sembrò non ascoltare quelle parole. Le indicò la disposizione degli utensili in cucina, poi annunciò che sarebbe uscito.
«Va già via?» domandò Clara stupita «Io pensavo che mi avrebbe fatto mille domande, che avrebbe voluto vedere come io e Henry...»
«Signorina Oswald, credo di aver già visto abbastanza.» la bloccò lui «Penso che lei sia la persona giusta per questo lavoro.»
Perché quell'ultima affermazione le suonò quasi come una minaccia? Clara non aggiunse altro e lasciò che l'uomo recuperasse il soprabito in corridoio e uscisse. Quando si ritrovò da sola in quella cucina deserta, in quella casa sconosciuta, ebbe la netta sensazione di aver commesso un errore, e le parve che tutto ciò fosse sbagliato.
«Non essere sciocca e prepara il tè.» parlò a se stessa, cercando un bollitore per riempirlo di acqua e metterlo sul gas.
Aveva appena acceso la fiamma, quando il campanello suonò. Una volta. Due. Tre. Quattro. Chi diamine poteva avere tutta quella fretta? Il signor Oswin aveva per caso dimenticato le chiavi di casa?
«Sto arrivando! Un momento!»
Clara si precipitò ad aprire. Stava per spalancare la porta d'entrata, quando la voce di Henry la fermò.
«Non lo fare!»
La mano di Clara si chiuse attorno alla maniglia e lì si bloccò.
«Che cosa?»
La ragazza, senza mollare la presa, voltò il capo quel tanto che bastava per vedere Henry ritto sugli scalini delle scale. Lo sguardo del ragazzino sembrava irrequieto. Quasi terrorizzato. Le dita stringevano il corrimano così forte da bloccargli la circolazione sanguigna.
«Henry...»
«Non lo fare. Vattene da lì. Subito.»
La voce isterica del ragazzino la fece rabbrividire. Clara si ritrovò a ubbidire senza neanche accorgersene. Indietreggiò, con gli occhi fissi sulla porta. Quando il campanello suonò ancora, sobbalzò. La situazione stava diventando surreale e assurda.
«Ma si può sapere che sta succedendo? Henry, se è uno scherzo per darmi il benvenuto io...»
«È stato l'uomo della cabina blu a dirmi di non farti aprire la porta.»
Clara alzò un sopracciglio. Il ragazzino si stava forse riferendo a quell'antica cabina blu che aveva visto prima di entrare?
Oh sì! Ottima beffa quella! E lei ci stava anche cascando come una povera scema!
Clara incrociò le braccia al petto e osservò il viso serio di Henry. Pensò che sapeva fingere davvero bene e che prima di quella sera gli avrebbe rivolto una bella sgridata coi fiocchi, al seguito della quale sarebbe stata subito licenziata.
«L'uomo della cabina, eh? E sentiamo, come te l'ha detto? Quando? Ti ha telefonato?»
«No, mi ha fatto cenno dalla strada chiedendomi se poteva salire nella mia stanza e io gli ho detto di sì.»
Clara non seppe se sbottare a ridere o se preoccuparsi seriamente per la salute mentale di quel ragazzino.
«Ah. Quindi se adesso io entrassi nella tua camera lo troverei lì?»
«Sì.»
A Clara quel sembrò così sincero che l'ipotesi di uno scherzo venne sostituita da quella di una problema ancora più grande. E se fosse capitata in una casa di pazzi? Se Henry diceva il vero e nella sua stanza ci fosse stato davvero qualcuno, pronto magari a farle del male? Lei, la babysitter ingenua, che cerca un lavoro e capita nella famiglia sbagliata.
Poteva già immaginare il titolo su uno dei trafiletti della cronaca nera del Times.
«Henry non mi piacciono questo scherzi. Anzi, non mi piacciono proprio gli scherzi.»
Il campanello suonò ancora e questa volta fu il ragazzino a sobbalzare.
«Dobbiamo andare nella mia stanza. Adesso.»
«Henry potrebbe essere tuo padre, il postino o che ne so... chiunque.»
Clara indietreggiò verso la porta. Era convinta che fuori sarebbe stata più al sicuro che all'interno della casa. Henry era basso rispetto ai coetanei della sua età e sembrava piuttosto gracile. Ma chi le assicurava che non potesse farle ugualmente del male? Perché insisteva tanto nel voler tornare nella sua camera, al piano di sopra? E perché aveva tirato in ballo la cabina blu, inventando su due piedi l'identità di un uomo immaginario? E se c'era davvero un altro uomo in casa perché non si mostrava, perché non si era presentato? Tutti quegli interrogativi la convinsero a voltarsi e a posare di nuovo la mano sulla maniglia, proprio quando il campanello suonò di nuovo, con maggiore insistenza.
«No!» gridò Henry.
Ma prima che Clara potesse girare la maniglia e aprire, una mano calda e forte si chiuse sulla sua, impedendole ogni movimento. Clara sussultò e ricacciò un grido nella gola. Fissò gli occhi sulle dita che imprigionavano le sue e comprese che non potevano essere quelle di Henry.
«In genere, quando qualcuno sente nominare l'uomo della cabina blu, corre a vedere di chi o cosa si tratta. Ma non tu, ragazza impossibile.»
Clara. Di nuovo. Lei che riappariva nel tempo e nello spazio del Dottore in maniera imprevedibile e improvvisa. L'universo la rimandava a lui come un boomerang, che ogni volta lo colpiva alla testa lasciandolo stordito. Clara Oswald rientrava ancora una volta nella sua esistenza, così come in passato aveva toccato le vite del Dottore salvandole più volte dalla morte.
Clara spalancò gli occhi e lo fece non tanto per la sorpresa di vedersi apparire un uomo al fianco in maniera tanto repentina, ma perché non appena aveva udito quella voce, provò una sorta di brivido sottopelle. Una voce sconosciuta, eppure familiare, che toccava le corde di un ricordo che si rifiutava di emergere. Provò un capogiro e se quell'uomo non avesse tenuto ancora la mano sulla sua, probabilmente sarebbe caduta a terra.
Ragazza impossibile. Era un epiteto quello che le piacque all'istante.
«Che ne dici se adesso ci spostiamo dalla porta e proviamo a dare ascolto al coscienzioso nano sulle scale?»
Il respiro del Dottore le carezzava l'orecchio e Clara si beò della sua voce. Non trovò ancora il coraggio di voltarsi e lasciò che l'uomo apparso dal nulla la trascinasse indietro, verso le scale. Perse per qualche istante la cognizione di sé ma quando al suono del campanello si unirono anche dei colpi alla porta, fu costretta a tornare coi piedi per terra. Piedi che presero a correre dietro a Henry e all'uomo che non le aveva mollato la presa sulla mano.
Solo quando si ritrovò in camera di Henry, Clara tornò totalmente in sé e cercò di dare una spiegazione quanto più logica a quello che stava avvenendo.
«Ma si può sapere tu chi sei?»
Clara si divincolò dalla presa dello sconosciuto. Il Dottore si voltò a guardarla e quando fissò gli occhi verdi in quelli scuri di Clara, entrambi provarono una sensazione di calore e familiarità. Clara non era cambiata; era rimasta bella e appariscente così come l'aveva vista l'ultima volta. Non aveva memoria di lui o di quello che avevano vissuto assieme. La sua mente era una tabula rasa, pronta forse a riscoprire la magia dei viaggi nel tempo. Pronta forse a morire ancora per lui.
Prima che potesse rispondere, Henry si frappose tra i due.
«Lui è il Dottore.»
Clara sposto lo sguardo dal Dottore a Henry, per poi tornare subito a fissare l'uomo col cravattino a pois.
Il Dottore aspettò la classica domanda, quella che tutti gli rivolgevano quando entrava nelle loro vite. Invece Clara disse:
«Dottore? Dottore di cosa? Sei malato?»
Posò una mano sulla fronte di Henry per stabilire se avesse o meno la febbre.
«Ecco perché mi piaci, Clara Oswald! Le tue domande sono come te, fuori dal comune.» sbottò il Dottore correndo verso la finestra per sporgersi fuori, come se cercasse qualcuno o qualcosa.
Clara lo seguì con lo sguardo, basita.
«Come fai a conoscere il mio nome?»
Il Dottore ignorò quelle parole. Cacciò fuori il cacciavite sonico e lo puntò verso il soffitto. Clara posò gli occhi sull'oggetto e aggrottò la fronte. Quell'uomo bizzarro, vestito in modo assolutamente retrò, stava maneggiando qualcosa che prese a produrre un suono curioso, proprio come se fosse una bacchetta magica.
«Ma che stai facendo?»
«Clara, la domanda che devi farmi non è questa ma un'altra.»
Il Dottore le rivolse un sorriso enigmatico e sornione, senza smettere di indicare il soffitto con il suo cacciavite. Henry si piazzò al suo fianco e prese a fissare meravigliato il lampadario, come se sapesse cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Clara ricoprì la distanza che la separava dal Dottore, fissando quello sguardo che era a metà tra il divertito e il serioso.
«Ma chi diamine sei tu?»
«Io sono il Dottore.»
«Il Dottore... chi?»
«Adesso sì che riconosco la mia ragazza.»
Clara non poté ribattere quell'assurda affermazione perché il pavimento sotto i suoi piedi prese a tremare, proprio come se la terra fosse stata sconvolta da un violento terremoto. In maniera istintiva, s'aggrappò alla giacca del Dottore. Henry invece arpionò la mano libera.
«Andateci piano o potremo cadere durante il volo.»
«Quale volo?» domandarono all'unisono.
Non solo il pavimento ma anche le mura della camera presero a oscillare e a muoversi attorno a loro come se fossero dentro una giostra impazzita.
«Dottore ma che sta succedendo?» gridò Clara così stretta alla sua giacca che avrebbe potuto strappargliela.
Tutto quello che voleva era solo un lavoro da babysitter, e invece si era ritrovata invischiata in affari che andavano oltre la sua comprensione.
Il Dottore abbassò il cacciavite con il quale aveva compiuto il suo lavoro. La camera di Henry in realtà era una capsula spaziale impiantata in una comune abitazione, che attendeva di essere risvegliata da tempo. Quando si alzò in volo verso i cieli di Londra, smettendo di tremare e oscillare, Clara era ancora avvinghiata alla giacca del Dottore.
«Stiamo volando?» domandò Henry che si allontanò per andare alla finestra e ammirare il panorama.
Non sembrava più il ragazzino triste e preoccupato che Clara aveva conosciuto pochi istanti prima.
«Non vai anche tu a guardare?»
La domanda del Dottore la fece trasalire. Clara lo fissò ancora una volta, ammirandone lo sguardo bonario che doveva tuttavia nascondere altre sensazioni e sentimenti, i quali però non riuscì a catalogare. A giudicare dal suo aspetto doveva avere più o meno trent'anni e, sebbene vestisse in maniera fuori dal comune, era piuttosto avvenente. Arrossì a quel pensiero e si allontanò per raggiungere Henry. Scostò un poco le tendine della finestra e quando notò il Tamigi sotto i loro piedi, come non lo aveva mai visto in vita sua, si portò una mano sulle labbra per frenare un grido di sorpresa.
«Ma... che cosa...»
«Niente paura, ragazzi. Siete su una capsula spaziale che sta per tornare finalmente alla sua astronave madre, dopo secoli di inattività. Ed è curioso che abbia scelto proprio oggi per farlo, proprio quando tu, Clara Oswald, hai messo piede in questa casa. Ma dopotutto non era così improbabile nel vasto campo delle probabilità visto che tu, Henry Oswin, porti proprio questo cognome. La domanda dunque adesso è: in che modo voi due siete collegati?»
Clara e Henry si lanciarono un'occhiata interrogativa.
«Tu sei un alieno?» si limitò a rispondere il ragazzino.
«Oh sì... sono un alieno, ho una notevole collezione di anni, viaggio nel tempo, ho due cuori, un rompicapo da risolvere e ogni aiuto è ben accetto.»
Il Dottore gesticolava con le mani mentre parlava, eccitato all'idea di vivere un nuovo viaggio assieme alla sua Clara, anche se la ragazza che aveva di fronte era così incredula e basita che non si sarebbe stupito se da un momento all'altro fosse svenuta.
«Io... io... Devo sedermi.»
Clara si diresse verso il letto e lì si accomodò, fissando il vuoto. Capsula spaziale, alieni con due cuori che indossavano un cravattino a pois... Quello era decisamente troppo. Il Dottore le si avvicinò, restando comunque a debita distanza.
«Tutto questo ti suonerà strano ma ti ci abituerai e anzi, non ne potrai fare più a meno.»
“Ti prego, dimmi che poi resterai con me”.
Quel pensiero lo travolse e gli lanciò delle lancinanti fitte al costato.
“Non restare da solo”.
Questo era il consiglio che tutti gli rivolgevano prima o poi. Non poteva avere compagni perché con lui sarebbero stati in pericolo e quasi tutti alla fine, in un modo o nell'altro, finivano per lasciarlo. Ma la solitudine l'avrebbe ucciso o fatto mutare in qualcosa che non avrebbe mai voluto essere. E adesso Clara tornava a intrecciare il destino con il suo.
Per restare, forse.
O per morire.
No, non l'avrebbe mai permesso. Non questa volta.
«Clara, so di essere un tipo poco raccomandabile visto quello che rappresento e il bagaglio di guai che mi porto dietro da sempre ma... fidati di me. Andrà tutto bene.»
Il desiderio di allungare una mano e sfiorarle la spalla fu così difficile da trattenere che il Dottore si allontanò prima di commettere qualche imprudenza. Clara alzò lo sguardo e lo seguì con gli occhi mentre tornava alla finestra, dalla quale non entrava più la luce del sole di Londra, ma quella che le sembrò piuttosto una fitta foschia oscura punteggiata di luci. Si rialzò lentamente e allo stesso modo tornò ad affiancare il Dottore e Henry.
Clara spalancò gli occhi per la sorpresa: quello che stava osservando a occhio nudo era il cielo, non il cielo che tante volte aveva visto dalla finestra della sua stanza ma il cielo del mondo, quello della terra. E le luci erano le stelle della galassia, proprio quelle che credeva non avrebbe mai potuto vedere così da vicino in vita sua.
«È bellissimo...» sussurrò, commossa.
Là fuori c'era l'universo e con esso le sue meraviglie, attraverso le quali stavano volando. Se quello era un sogno, Clara non era sicura di volersi svegliare.
«Vuoi tornare indietro?» le chiese il Dottore.
«Ho lasciato il bricco d'acqua sul fuoco acceso.» rispose voltandosi verso di lui e rivolgendogli un sorriso.
«Il Tardis ci darà una mano per quello.»
«Il Tardis?»
«Te lo mostrerò non appena atterreremo e scommetto che poi non vorrai più uscirne.»
Clara pensò che quel bislacco Dottore spaziale poteva avere ragione.
«Dottore, ma chi stava bussando alla porta di casa mia?»
Henry fece quella domanda senza staccare gli occhi dai vetri della finestra che riflettevano il cielo stellato.
Il Dottore incrociò le braccia al petto e sospirò.
«Tuo padre.» rispose con noncuranza.
«Il signor Oswin?» intervenne Clara «Perché mi hai detto di non farlo entrare? Starà cercando suo figlio a quest'ora...»
«Ed è un bene che non lo trovi. Perché non rimandiamo a dopo le spiegazioni e vi godete il panorama adesso? Stiamo per arrivare. Laggiù.»
Il Dottore indicò un punto nel nulla, un lastra grigiastra che pareva sospesa da fili invisibili nel cielo immenso della galassia.
«Dottore perché tu conosci il mio nome ma io non conosco il tuo?» chiese Clara tornando a guardarlo.
Il Dottore affondò lo sguardo nel suo e i ricordi di ciò che lei era stata un tempo per lui lo invasero, facendogli del male. Quella ragazza tornava a importunare la sua esistenza per dargli consigli o per morire sotto i suoi occhi. Era una spina conficcata nei suoi due cuori, capace però allo stesso tempo di dargli sollievo.
«Nessuno lo conosce. Il nome non è che una parola e io non amo le parole, amo i periodi del discorso fatti di parole. Non mi piace semplificare, nulla è semplice, tutto si complica, ad esempio è complicato spiegarti perché oggi sei qui con me su una capsula spaziale.»
Clara aprì la bocca per aggiungere qualcosa ma la richiuse. Qualunque cosa le avesse detto il Dottore, non avrebbe fatto altro che confonderla. E sebbene volesse sapere altro su di lui, da dove proveniva, perché la camera di Henry in realtà era una capsula spaziale, sapeva che quello non era il momento giusto per fare domande. Quello era piuttosto il momento di metabolizzare il fatto di essere in compagnia di un alieno e di volare letteralmente nello spazio. Sapeva che al mondo accadessero cose surreali, ma quella le batteva tutte.
Ma un'ultima domanda, prima di atterrare, non riuscì a trattenerla.
«Dottore, per quando è previsto il ritorno a casa? E intendo... sulla Terra?»
Il Dottore piegò la testa da un lato e parve osservarla con maggiore interesse.
«Me lo stai chiedendo perché hai già nostalgia dell'atmosfera inquinata terrestre, oppure perché speri di tornare in un lasso di tempo che sfori i secoli dei secoli?»
«Non capisco la metà delle cose che dici ma credo più la seconda.»
«Secoli dei secoli sia. Non quantitativamente parlando.»
Clara alzò le spalle e sorrise come a dire che non ci aveva capito nulla, ma che era disposta a restare sospesa tra le stelle assieme a lui per molto tempo. E quella risposta al Dottore bastò.
La capsula spaziale sobbalzò come se avesse starnutito.
«Dottore, stiamo atterrando?» domandò Henry, aggrappandosi questa volta alla tendina della finestra.
«Esatto, giovane Henry. Signori... allacciate le cinture.»
Clara stava per domandare di quali cinture parlasse visto che in quella stanza non erano presenti nemmeno delle poltrone o delle maniglie dove aggrapparsi, ma la camera/capsula spaziale sobbalzò ancora, più violentemente questa volta, sbalzandola all'indietro e facendola cadere. Il colpo che ricevette alla testa, quando batté la nuca sul pavimento, la stordì a tal punto da vedere davanti agli occhi solo immagini sfocate. Prima di perdere i sensi udì la voce del Dottore che faceva il suo nome.
E quella voce familiare, calda e gentile l'accompagnò nell'oblio.

 



 

 

Nota: Sto scrivendo la storia così come mi viene in mente e spero sia di vostro gradimento. Non stupitevi se troverete dei personaggi un po' diversi della serie originale, ma sto cercando di fare il Dottore e Clara "miei". Introdurrò credo anche nomi di razze nuove e pianeti nuovi, tanto per dare un tocco di originalità.
Grazie per aver dedicato qualche minuto alla mia storia. Alla prossima :)

 

 

   
 
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