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Autore: Ink Voice    21/10/2014    7 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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VIII
Foresta di luce

Erano passati due giorni dal ritorno alla base segreta, eppure mi sembrava di aver svolto la missione alla centrale di Flemminia secoli prima. Ogni evento aveva ancora le fattezze di un sogno, in particolar modo l’arrivo di Cyrus e l’apparizione violenta e improvvisa di Giratina, che raggiungeva livelli di misticità ineguagliabili. Se i miei compagni non ne avessero parlato più di una volta, avrei iniziato a dubitare che fosse veramente accaduto.
Invece era tutto successo davvero, e soprattutto era successo a me. Più di una volta sentii il cuore venir meno per un momento al solo pensare: “Quando mai, anche solo un anno fa, avrei creduto di dover fare qualcosa del genere? Quando mai avrei creduto possibile essere mandata in una centrale nucleare malmessa, fronteggiare un Comandante nemico e scambiare uno sguardo con un Leggendario primordiale, dalla potenza spaventosa?” D’altronde non era passato neanche un anno e mezzo dalla mia entrata in quella nuova realtà; ero stata rapita sette o otto mesi prima e lì avevo avuto il mio primo, quasi traumatico faccia a faccia con Cyrus; poi lo avevo rivisto due giorni addietro in condizioni pietose, dopo l’apparizione di Giratina; e da neanche la metà di un anno ero in quella base segreta, in cui avevo trascorso quasi tutte le mie giornate ad allenarmi e a riformare il mio carattere, lasciando poche tracce della ragazzina ingenua e timida che ero sempre stata per quindici anni.
Me ne stavo a guardare Saphira che girovagava per il gigantesco acquario nel dormitorio femminile. Non ero il ritratto della spensieratezza e della tranquillità dopo la missione, ero stata segnata profondamente: il mio sguardo era vitreo e spento e Saphira si era rassegnata a non cercare più di attirare la mia attenzione, i suoi tentativi di distrarmi erano tutti falliti. In quei giorni ero molto taciturna e passavo ore intere a riesaminare, nella mia mente, i ricordi della missione. Ero in attesa che mi fosse restituito Nightmare, che doveva essere trattato e rimesso in sesto con sconosciuti mezzi che lo riportassero alla normalità, eliminando ogni stranezza dovuta alle emissioni della centrale. Avrebbe perso le statistiche eccezionali e l’immunità al tipo Folletto che si era ritrovato - solo Incubo e la particolare Ipnosi sarebbero certamente rimaste.
Mi era stato detto che presto sarebbe stato in grado di far parte senza problemi della mia squadra ed aspettavo quel giorno con una certa preoccupazione. Non mi era stato detto esplicitamente, ma avevo capito che lo Spiritomb non fosse bendisposto nei confronti dell’intera umanità, visto ciò che gli era stato fatto; avrei dovuto essere io, la sua futura Allenatrice, a insegnargli il quieto vivere quando non fosse stato più isolato dal resto del mondo, una volta diventato il membro di un team Pokémon.
Vidi Ilenia arrivare molto prima che si decidesse a rivolgermi la parola, grazie al riflesso nel vetro dell’acquario. Erano almeno due settimane che non ci parlavamo felicemente e in tranquillità: entrambe eravamo state molto impegnate mentalmente, per prepararci su ogni fronte per la missione. Siccome dal ritorno non ero stata granché disponibile per parlare, allucinata com’ero dopo la missione, fu lei a fare il primo passo. «Ehi, Ele. Come stai?»
«Ciao. Tutto bene, tu?» replicai meccanicamente.
«Eh, anch’io bene, dai. Dopo quello che abbiamo dovuto fare, qualsiasi cosa è meglio! Però tu mi sembri ancora piuttosto scossa, sicura che sia tutto a posto?»
Mio malgrado sorrisi per l’interessamento e per i suoi tentativi cauti di parlare. Mi rivolsi finalmente a lei, smettendo di fissare, senza vederlo realmente, l’acquario. «Be’, la missione mi ha turbata molto. Vedere Giratina e Cyrus nel giro di un quarto d’ora è stato veramente un colpo al cuore. E poi sono preoccupata per Nightmare.»
«Per Spiritomb?» Annuii. Lei proseguì: «Giratina ha spaventato moltissimo anche me, e pure quello con Cyrus non è stato un bell’incontro. Però…» Si morse il labbro inferiore. Inclinai la testa di lato, interrogativamente, chiedendole così di continuare. Sospirò e mormorò tutto d’un fiato: «Vorrei sapere cosa intendeva Cyrus quando ha detto che ti aveva già annunciato che vi sareste incontrati di nuovo.»
Ebbi subito un deja-vù di una conversazione con Daniel avvenuta il giorno prima e a malapena riuscii a trattenere un sospiro davanti ad Ilenia. Le risposi la stessa cosa che avevo detto a lui: «Non so cosa abbia voluto dire. Penso sia stata una provocazione… spero che sia stata la prima ed ultima volta in cui ho dovuto vedere qualcuno come lui.»
Daniel non aveva ceduto facilmente a quella spiegazione ed ero sicura che ancora non mi credesse; Ilenia invece si accontentò di quella risposta, ma bastò uno scambio di sguardi per farmi capire che nemmeno lei la accettò. I suoi sinceri occhi verdi mi misero un po’ in difficoltà, quindi distolsi lo sguardo per evitare di tradirmi irrimediabilmente - non ero capace a mentire ed ero sicura che non avrei mai imparato a farlo decentemente.
«Sicuramente i Comandanti non sono molto a posto con la testa» disse infine. Per poco non tirai un sospiro sollevato nel sentire quelle parole: ero fuori pericolo. «Comunque, Bellocchio mi ha chiesto di mandarti da lui. Appena hai finito ti va di vederci nella sala per gli allenamenti? Vorrei fare una lotta.»
Accettai volentieri e la salutai, avviandomi lentamente da Bellocchio, curiosa di sapere cosa avesse da dirmi. Non ci eravamo praticamente nemmeno visti da quando il gruppo era rientrato: Oxygen e Ilenia gli avevano fornito un resoconto della missione il giorno prima, ma niente di più. Il Teletrasporto di Aramis ci aveva portati tutti all’entrata del Monte Corona che dava su Memoride, poi il mio compagno era svenuto: non l’avrebbe mai ammesso, ma le battaglie continue nel camminamento di vetro l’avevano sfiancato, anche se una sorta di furia colma d’adrenalina lo aveva tenuto in piedi per tutto il tempo. Il colpo di grazia gliel’aveva dato il Teletrasporto, perché aveva dovuto farsi carico sia di me che di Sara. Eravamo corsi dentro e dopo una decina di eterni minuti, a mezzanotte passata, eravamo tutti e sei nell’ingresso della base segreta.
L’infermiera era subito venuta in nostro soccorso, anche se quasi inspiegabilmente - per lei - nessuno di noi era rimasto ferito. Non le era dovuta nessuna spiegazione: a parte qualche livido rimediato durante le lotte corpo a corpo con le reclute nemiche, entrambe le piogge di vetro erano state l’una neutralizzata da Protezione, l’altra ridotta in polvere dallo stesso grido di Giratina che aveva disintegrato quel materiale. “A proposito di Giratina, dovrei chiedere spiegazioni a Bellocchio” pensai, “sperando che me le dia. Non come ho fatto io…”
Non come avevo fatto io con Daniel e Ilenia. Non avevo mai raccontato a nessun amico, che non fosse Chiara, ciò che era successo agli inizi del giugno dell’anno prima: i primi tempi era stato per mia riservatezza, perché non mi piaceva parlare di qualcosa che mi aveva scossa così profondamente; in seguito me ne ero semplicemente dimenticata, e comunque pensavo fosse troppo tardi per raccontare quegli avvenimenti.
Mi aveva dispiaciuta moltissimo opporre resistenza al mio migliore amico. Dopo una mezz’ora in infermeria a sottoporci a controlli zelanti, con molta riluttanza da parte nostra, il ragazzo era corso da me e mi aveva subito chiesto: «Cosa significa quello che ti ha detto Cyrus?»
La risposta che gli avevo dato era stata quella che era e lui per parecchi minuti aveva insistito, ma inutilmente. «Ti ho detto che non so cosa volesse quell’uomo folle!»
«Non ti crederei neanche se me lo conferma Cyrus in persona! Da come ha parlato non mi è sembrato una persona fuori di testa, anzi… ci dev’essere un motivo se ti ha detto quelle cose!»
«Non lo so, ha spiazzato me per prima.» Lui aveva aperto bocca per ribattere ma l’avevo zittito nascondendomi la faccia tra le mani. «Ti prego, non insistere! Ti giuro che non so niente, è pazzo… non continuare a chiedermi cose che non so, sono stanca, sono distrutta!» mi ero quasi messa a singhiozzare. Quella era stata la mia unica recita fatta bene in tutti e quindici gli anni della mia vita, probabilmente.
Daniel, a malincuore, aveva smesso di pressarmi con le sue parole e mi aveva abbracciata, dicendomi che avrebbe smesso e chiedendomi di calmarmi. Ad essere sincera, stavo ancora peggio nel sentire così vicino a me il ragazzo a cui stavo mentendo spudoratamente. Lui poi mi aveva solo chiesto, con calma, di confidarmi con lui se lo avessi desiderato. Non ci eravamo parlati per l’intera giornata.
Arrivata a destinazione, bussai alla porta dell’ufficio di Bellocchio e lui stesso mi aprì la porta. Non riusci più a sedersi per il resto del colloquio: sembrava molto provato e nervoso. «Devo affidarti un incarico. Non è niente di impegnativo» disse subito. La notizia mi sorprese un po’: non mi aspettavo di essere mandata da qualche parte subito dopo l’esperienza alla centrale di Flemminia - dove ora erano al lavoro le squadre di esperti nel campo del nucleare, finalmente libere di operare indisturbate. «Tra qualche giorno partirai per Unima con una spia, anche se questa non è una missione e sarete semplicemente due ragazze che dovranno consegnare un messaggio a una persona. Sarete accompagnate da Anemone, che vi porterà in aereo.»
«Oh, va bene. Che messaggio dobbiamo dare?»
«Ve lo affiderò il giorno stesso della partenza.» Annuii e ci fu una breve pausa di silenzio. Poi lui mi chiese, stupendomi ancora di più: «Come ti senti dopo la missione?»
«U… un po’ scossa. Però sto bene.» Dopo qualche secondo continuai: «Cyrus ha…»
«Oxygen e Ilenia mi hanno già riferito ogni sua parola.»
«Sì, comunque… va be’.» Decisi di non insistere sulla faccenda della mia identità, sicura che non sarei arrivata da nessuna parte: al massimo avrei soltanto innervosito il mio capo. «Che fine ha fatto Cyrus?»
Bellocchio sospirò e capii che avrebbe preferito darmi una risposta diversa da quella che mi avrebbe comunicato subito dopo: «Martes si è sacrificata per lui, che è riuscito a fuggire. Non conosciamo i dettagli.»
Feci un lieve cenno d’assenso. Poi domandai: «Come mai è arrivato Giratina?»
«Ce lo abbiamo mandato noi.» Bellocchio lo disse quasi con noncuranza, ma non si sorprese quando mi vide sgranare gli occhi, rischiando di farmeli uscire dalle orbite. «Giratina… ha dei conti in sospeso con Cyrus da anni. È un nostro alleato… ovviamente non ci intratteniamo rapporti frequenti, ci mancherebbe pure che il Leggendario del Caos sottostia a degli esseri umani!… Comunque si è arrabbiato molto quando ha visto fuggire Cyrus e si è accanito su Martes, che lo aveva coperto. Poi si è chiuso nel Mondo Distorto e chissà quando ne uscirà.»
«Non pensavo che…» Ammutolii, non riuscendo a finire la frase. L’idea che le Forze del Bene fossero alleate con il Leggendario Ribelle mi aveva tolto l’uso della parola, quindi, non sapendo più che fare lì, tolsi il disturbo autonomamente, mormorando un mezzo saluto.
«Arrivederci. E… e grazie per il tuo aiuto» disse lui. Arricciai le labbra, tenendo gli occhi incollati al pavimento, e chiusi la porta.

Cinque giorni dopo, una settimana precisa dopo il rientro dalla missione alla centrale, mi ritrovai a decollare da una pista nelle vicinanze del Monte Corona - ovviamente protetta e nascosta anch’essa da innumerevoli barriere - in compagnia di Melisse, la spia con cui avrei consegnato il misterioso messaggio di Bellocchio a una persona altrettanto sconosciuta. L’unica cosa che ci era stata detta era che la nostra meta era Città Nera, l’unica zona neutrale nell’intero mondo Pokémon: lì, infatti, si erano trasferite tutte le persone che non avevano voluto prendere parte al conflitto; si difendevano, paradossalmente armati fino ai denti nonostante non fossero in guerra, sia dai tentativi dei Victory che delle Forze del Bene di portare qualcuno dalla loro parte.
Altro che “non è niente di impegnativo”: Bellocchio ci stava mandando in pasto ad un agguerrito neutrale che nemmeno si sarebbe preso il disturbo di aprirci la porta di casa sua, prendere il messaggio dell’uomo e scambiare due parole con noi. Molto più probabilmente avrebbe guardato dallo spioncino, visto due ragazzine sconosciute e avrebbe dato qualche altro giro di chiave alla serratura, lasciandoci con un palmo di naso.
Ma a Melisse l’idea di andare ad Unima non dispiaceva affatto; anch’io presi quell’incarico come una semplice, agognata vacanza, salvo la prospettiva di essere cacciata a calci nel sedere dal destinatario del messaggio di Bellocchio - contenuto in una piccola busta per lettere che l’uomo mi aveva dato. Dopo la missione alla centrale nucleare avrei comunque cercato di passare un periodo di pausa, quindi il viaggio nella regione oltreoceano non mi diede affatto fastidio.
Il fatto che sei ragazzi fossero stati inviati a Flemminia a sgomberare la zona di una centrale nucleare Victory, per di più difettosa, era passato completamente sotto silenzio. “D’altronde dove finirebbe la fama di Bellocchio e compagnia, se trapelasse una notizia del genere…?” pensai una volta appreso quel fatto. Però Daniel, che era in rapporti del tutto amichevoli con Melisse, aveva raccontato alla ragazza tutto ciò che era successo in missione.
«Guarda, ero troppo sconvolta per prenderlo in giro» mi disse quando eravamo in procinto di decollare. Ridacchiai: Melisse trovava molto divertente lanciare frecciatine a Daniel e vessarlo in quel modo da molto prima che io li conoscessi entrambi all’Accademia. A volte mi sentivo non poco gelosa nei confronti dei due, che se la intendevano parecchio, ma poi mi intimavo di starmene buona perché con Daniel ci consideravamo a vicenda migliori amici. In teoria non avevo nulla di cui preoccuparmi, ma spesso era più forte di me. «Però scusami, ma ci sono alcune cose che non ho capito.»
Dalle innumerevoli domande che mi pose mi ritrovai a pensare che non avesse capito proprio niente del resoconto del ragazzo, perché dovetti raccontarle per filo e per segno ogni minimo spostamento avvenuto dopo la cattura di Spiritomb - che avevo finalmente potuto prendere nel mio team il giorno prima della partenza, anche se ancora dovevo trovare il modo per dargli il benvenuto senza rischiare che mi sottoponesse a una tortura psicologica, siccome pareva proprio che odiasse l’intero mondo, con una mossa Spettro o Buio.
Melisse era una spettatrice eccellente, tratteneva teatralmente il fiato quando le cose si facevano più intense e preoccupanti - come l’arrivo di Cyrus o quello di Giratina - ed era molto partecipe. Anche troppo: pretese i dettagli di ogni mia emozione e di quelle di Daniel - lì mi seccai un po’, ma cercai di non darlo a vedere - durante la missione. Ne trassi come conclusione che Melisse non si accorgeva di essere molto invadente. Non era ingenua né sciocca: semplicemente non si rendeva conto che la sua curiosità fosse quasi morbosa. Gli unici momenti di pace durante il viaggio fu quando l’aereo decollò e atterrò. La calma era relativa, però: siccome era terrorizzata al pensiero di volare, in cerca di sostegno mi abbracciò stringendomi con tutte le sue forze. Avere i suoi capelli neri in bocca non fu tra le esperienze migliori della mia vita, per quanto fossero belli: lunghi, lisci e nerissimi, lucenti come seta. Non ebbi mai un attimo di tregua, perché per distrarsi mi costrinse a parlare durante tutto il viaggio.
«Invece come ti va sul fronte… sentimentale?»
Avevo appena finito di farle un rapporto completo della missione - aveva preteso più informazioni di quante ne dovesse aver chieste Bellocchio - e lei aveva commentato con qualche parola fatta. Lo capii facilmente, neanche lei era molto brava a recitare; ero contenta che fosse finalmente soddisfatta del racconto, ma quella domanda forse fu pure peggio di dover ripercorrere tutti gli avvenimenti di una settimana prima. Ringraziai il cielo che Anemone fosse intenta a pilotare l’aereo: mi sarei imbarazzata tantissimo se avesse sentito le nostre conversazioni.
Per andare sul sicuro risposi, schiva: «Nessuna guerra in corso, cara Mì.» Usai il suo soprannome più per farle un piacere che per altro, ma ero un po’ infastidita dalla sua parlantina interminabile. Almeno nessuna guerra si stava combattendo sul fronte sentimentale… ma forse era più una mia speranza che un fatto.

Facemmo scalo - per modo di dire - a Ponentopoli ma Anemone, su richiesta di Bellocchio, ci guidò subito, senza concederci di ambientarci e di sgranchirci le gambe dopo un lungo volo, fino alla Foresta Bianca, al cui interno era stata fondata Città Nera. Ci scambiammo tutte e tre un’occhiata perplessa per la fretta dell’uomo: persino Anemone pareva stupita.
La ex Capopalestra era una giovane donna molto bella, piuttosto formosa, che aveva vissuto per quasi tutta la sua vita ad Unima e ne conosceva i cieli alla perfezione. Ci affrettammo a partire: lei su Unfezant, Melisse su Honchkrow e io su Altair. La mia compagna aveva lottato molto poco, così come tutti gli altri miei Pokémon, durante la settimana trascorsa dal ritorno da Flemminia alla partenza per Unima: avevamo pensato soltanto a riposarci. Era però contentissima di spiccare il volo nei cieli di una regione sconosciuta. Il viaggio durò una buona mezz’ora, perché Unima era molto più grande di Sinnoh. Era una giornata serena ma comunque fredda: tutte e tre ben coperte da guanti e sciarpe, volammo in silenzio verso la nostra meta, conosciuta soltanto da Anemone.
Nemmeno mi accorsi dell’entrata nella barriera di illusioni che avvolgeva la Città Nera e la Foresta Bianca. Anemone ci ordinò di scendere di punto in bianco e all’improvviso, al posto di quella che sembrava un’autostrada perfettamente in regola, quasi finimmo tra le fronde di alberi immensamente alti. Altair strillò sorpresa e lo stesso facemmo io e Melisse. Anemone rise per la nostra reazione e ci gridò di atterrare per farci una passeggiata. Scambiai un’occhiata quasi preoccupata con la mia amica, che pure si stava riprendendo dalla brusca frenata che il suo Honchkrow aveva dovuto fare, come Altair, rischiando di finire tra i rami più alti degli alberi.
Mi parve di atterrare con inaudita grazia sul suolo della Foresta Bianca, ma pensai che fosse solo una sensazione dovuta alla meraviglia che il luogo suscitò in me. Non tutte le piante erano alte parecchie dozzine di metri, ma la maggior parte erano colossali, dal tronco massiccio e dalle ampie fronde. Somigliavano, per il colore chiaro della corteccia, a dei pioppi, ma cambiai subito opinione: i tronchi erano di un bianco puro e anche le foglie, che variavano di forma e dimensione per ogni albero, erano di un verde chiarissimo. I rami più lunghi nelle chiome più rigogliose dovevano misurare parecchi metri e su tutti crescevano innumerevoli foglie: se avessi prestato più attenzione durante il volo avrei potuto sicuramente avere l’impressione di sorvolare un tappeto candido che mi avrebbe ricordato la neve della mia città, Nevepoli: il battito del cuore accelerò momentaneamente.
La natura incontaminata, il cinguettio dei Pokémon Volante e lo spettacolo magnifico che offriva la Foresta era estasiante. I raggi del Sole sembravano essersi addirittura intensificati lì sotto: filtravano attraverso le fronde degli alberi e macchiavano di luce il sottobosco. Quando lo notai, Anemone sorrise con enorme dolcezza. «La Foresta Bianca è anche soprannominata Foresta di Luce. Oggi per fortuna è una bella giornata, quindi si può osservare il fenomeno… qui tutto sembra brillare quando splende il sole: i raggi passano attraverso le foglie, che sono di un verde chiarissimo, e il bianco della corteccia degli alberi fa sì che la luce riverberi in tutta la Foresta. Qualcuno dice che la conservi addirittura, e che quindi nelle giornate di maltempo, o addirittura di notte, la Foresta continui a sfavillare…» disse con trasporto. La sua passione nel parlare del luogo quasi mi fece venire la pelle d’oca.
Non riuscivo a credere che qualcuno avesse potuto costruire una città dentro quel paradiso, contaminandone la bellezza. Subito dopo però pensai che fosse ammirevole il fatto che i due ambienti convivessero alla perfezione e che la Foresta di Luce fosse comunque meravigliosa, nonostante la vicinanza con Città Nera. “In effetti non sembra per niente sofferente per il contatto così stretto… sembra comunque brillare di luce propria…” pensai.
«Oh! E tu che vuoi?»
Io e Anemone ci voltammo a guardare Melisse, che camminava qualche passo dietro di noi, all’apparenza ancora più rapita di me dallo spettacolo offerto dalla Foresta. Mentre stavamo costeggiando una zona d’erba alta, un piccolo Zorua era saltato fuori e stava sbarrando la strada alla ragazza. Non ringhiava, la fissava e basta, agitando a destra e a manca la coda folta. Melisse gli sorrise, un po’ in difficoltà. Ingenuamente chiese: «Se mi sposto mi salta addosso, secondo voi?»
«Oh, sicuramente darà del filo da torcere a Serperior se cerchi di difenderti» commentai con ironia riferendomi al Pokémon più forte della squadra della ragazza. Non sapevo di sbagliarmi di grosso.
Melisse provò a spostarsi e Zorua effettivamente continuò a sbarrarle la strada, silenzioso, quindi lei decise di seguire il mio implicito consiglio e chiamò Serperior in suo aiuto. Il volpino non batté ciglio alla vista del lucertolone, anzi si tese, all’erta, quasi saltellando sulle zampette. Iniziò a girargli attorno mentre il Pokémon di Melisse era indeciso se metterlo subito fuori gioco o dargli un’occasione per attaccarlo. Dopo un po’ sia lui che l’Allenatrice si stufarono di aspettare: la ragazza ordinò di colpirlo con Codadrago per porre subito fine alla lotta. La coda di Serperior frustò l’aria e si abbatté sul piccolo Zorua.
Con sorpresa della ragazza, invece di colpire lui Serperior prese il terreno. Zorua aveva spiccato un balzo, aveva graffiato la coda di Serperior e ci si era attaccato saldamente azzannandolo: Serperior, sibilando più per la seccatura di trovarsi quel moscerino sulla coda che per il dolore che un piccolo morso poteva avergli procurato, cercò di scrollarselo di dosso agitandosi e contorcendosi. Alla fine ci riuscì e mise a segno un Fendifoglia.
Zorua mugolò di dolore, tanto che mi fece un po’ pena. Me ne fece di meno quando la sua immagine si sgretolò all’improvviso e il Pokémon di Melisse fu colpito alle spalle con Finta. Serperior, se ne fosse stato in grado, avrebbe ruggito. Sibilò ancora, offeso, ferito nell’orgoglio, e senza aspettare un ordine di Melisse si avventò contro il piccolo avversario. Stavolta lo colpì davvero con Fendifoglia e Zorua era praticamente già esausto. Serperior sbuffò ancora indispettito, ritenendo sicuramente inaccettabile che un esserino di quel tipo lo avesse quasi messo in difficoltà.
Melisse sospirò e fece rientrare il primo Pokémon che avesse mai allenato, il maestoso Serperior, nella sua sfera, ma non fece in tempo a muovere qualche passo che il testardo Zorua saltò di nuovo fuori dall’erba alta, pieno di graffi affatto lievi. Ignorò il dolore, anche se ringhiò per sfogarsi almeno un po’, e si appese ad una sua gamba.
«Va bene, ho capito, sei nella squadra!» sbottò lei, prendendo dalla tasca del cappotto una Poké Ball vuota e colpendo la testa di Zorua.
Ci stupimmo tutte di sentire il clic della sfera che confermava l’entrata del Pokémon nel team di Melisse, perché non ci aspettavamo che si facesse prendere - si era fatto catturare, non era stato catturato. Con quell’atteggiamento e quella spavalderia, quella forza di volontà, sarebbe stato necessario molto più impegno per prendere uno Zorua che intendeva combattere ancora. Mi chiesi perché lo avesse desiderato così ardentemente.
«Be’, andiamo avanti? Manca poco a Città Nera.»
Anemone ci richiamò e proseguimmo. Il sottobosco di quel verde quasi bianco, coperto di un tappeto di foglie che non sembravano nemmeno crepitare sotto i nostri passi, si fece più libero dalle invasive radici degli alberi. Inizialmente nemmeno me ne accorsi, ma dopo un po’ davanti ai miei occhi non ci fu più uno sfondo di tronchi colossali e altri di dimensioni normali, tutti indistintamente bianchi. Questo colore si ritrovò a spiccare su uno sfondo nerissimo, tanto che non si poteva guardare le due tinte agli antipodi insieme: l’occhio doveva concentrarsi sull’una o sull’altra. Pian piano la luce fu costretta a cedere il suo posto all’oscurità.
Una schiera di palazzi, più simile ad una serie di mura che di abitazioni, si stagliava di fronte a noi. Ero sicura che dentro quella cerchia di condomini ed edifici fossero racchiusi grattacieli talmente alti da sfiorare le cime degli alberi della Foresta. I due luoghi erano in grado di convivere armoniosamente insieme ma avevo la sensazione che i palazzi e gli alberi gareggiassero per vedere chi arrivasse per primo a toccare le nuvole.
I cancelli della città, anch’essi rigorosamente neri, si spalancarono appena Anemone si avvicinò, precedendo me e Melisse che, dovevamo ammetterlo, eravamo un po’ intimorite. Non c’erano guardie a difendere la neutralità di Città Nera: immaginai che non fosse necessario. Gli abitanti del luogo erano disposti a tutto pur di non farsi mettere in mezzo nel conflitto. “Sono disposti a combattere una guerra per difendere la loro neutralità… ma che razza di controsenso…” pensai per l’ennesima volta, sentendomi molto più a disagio in prossimità di Città Nera. Stavamo entrando in un territorio di guerrieri forse addirittura peggiori dei Victory.






Capitolo VIII - Rivisto il 18 dicembre 2015 (e la revisione è stata a sua volta riguardata il 14 luglio 2016). La foresta segreta → Foresta di luce.
  
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