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Autore: shimichan    01/12/2014    6 recensioni
[Post Organizzazione] [ShinShiho paring]
Se è vero che nessun paradiso può durare a lungo se vi convivono un uomo e una donna come se la caveranno lo Sherlock Holmes del Terzo Millennio e l'ex donna in nero a condividere lo stesso tetto?
#1. Trasloco [ovvero quando la distanza non conta ]
#2. Scatoloni [il segreto di una relazione sta nel compromesso]
#3. Risveglio [nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
#4. Cinema [ovvero mai fidarsi dei poliziotti felicemente sposati]
#5. Gelosia [di diete, tradimenti e bruciante passione]
#6. Detective Boys [di innocenti rancori e indiscrete curiosità]
#7. Amici [metti una sera, a cena...]
#8. Agasa [di abitudini da perdere e di abitudini da prendere]
#9. Esperimento [pronto a tornare cavia, Kudo?]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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#3. Risveglio
[nota: mai lasciare una copia di chiavi ai vecchi proprietari]
 

Domenica, efferati crimini permettendo, era il giorno votato alla pigrizia.
O meglio lo era stato finché non erano comparsi scatoloni da svuotare, armadi da ripulire e mobili la cui disposizione andava assolutamente rivista.
Per un intero mese Shinichi aveva sopportato tutto questo, trillo della sveglia puntata alle otto spaccate compreso, con ammirevole pazienza, aggrappandosi alla certezza che, prima o poi, quel maledetto trasloco sarebbe finito. E lo è davvero, pensò stiracchiandosi sotto le coperte.
Al suo fianco si levò un piccolo verso di protesta che divenne sospiro quando il lenzuolo le avvolse nuovamente le spalle.
«’giorno» biascicò, osservandola poi accendersi in un sorriso e mugolare in risposta qualche parola rubata al sonno.
«Pensavo avessi intenzione di fare un’unica tirata fino a stasera».
Lo «spiritosa» del detective finì inghiottito da uno sbadiglio, mentre, aggiustandosi il cuscino, annunciava risoluto che quel giorno non avrebbe mosso un muscolo, perché non esisteva nulla, assolutamente nulla, in grado di distoglierlo dalla volontà di trascorrere la giornata a poltrire nel caldo ristoro del letto e crogiolarsi nel dormiveglia. Nulla.
«Neanche uno?».
Infierì sui propri incisivi, premendoci contro la lingua nel tentativo di mantenere le palpebre serrate e ignorare quella voce vellutata, così impropria al carattere della persona cui apparteneva, usata deliberatamente come uno strumento: molle e accattivante.
Ma fu tutto inutile. Quando si decise a voltarsi, Shiho lo guardava dall’alto col mento appoggiato sul palmo aperto e le dita strette sulle labbra, pronte a nascondere quella malizia che i suoi occhi non celavano altrettanto bene.
Rise. «Dipende da quanto sarà buono il caffè».
Un verso indispettito fece eco alla sua richiesta, ma non anticipò alcun rifiuto. Difatti, dopo alcuni sguardi lasciati cadere sul mobilio della camera, Shiho si alzò, dimostrandogli, una volta di più, quell’insospettabile mancanza di pudore che, all’inizio della loro relazione, lo aveva piacevolmente spiazzato.
«Ti conviene infilarti almeno la vestaglia. Da qui si vede che hai freddo» suggerì strafottente.
«E a te conviene tenermi il posto al caldo!» la sentì urlare da fuori.
Sorrise fino a sentir male alle guance.
Forse era Shiho ad essere dannatamente brava a circuirlo o forse era lui a non possedere abbastanza determinazione per dirle di no, ma di sicuro quel giorno prometteva di ripagarlo per i raggiri che avrebbe subito in futuro, per i grazie non pronunciati e le scuse che, sapeva bene, non sarebbero mai state il punto forte della ragazza.
Più o meno come la notte era stata riscatto di quelli passati.
Almeno fino ad oggi pomeriggio nessuno ci disturberà, pensò spegnendo in via precauzionale il cellulare.
Era un atteggiamento antiprofessionale e vagamente egoista, ne era consapevole, ma non avrebbe permesso mai e poi mai che uno dei rari, rarissimi (!), momenti in cui Shiho si comportava come un’amorevole fidanzata fosse guastato dalla sua suoneria.Senza contare che erano state proprio le continue emergenze a protrarre quel trasloco tanto a lungo.
Me lo deve, ispettore! e gettò il cellulare sul comodino, rotolando sul lato sinistro del letto, dove il profumo di Shiho permeava ancora le lenzuola, in tutta la sua pungente intensità. Inebriante.
Trascorsero alcuni minuti, dieci o un paio non avrebbe saputo dirlo, che udì alcuni passi salire le scale. Lo scricchiolio del quinto scalino era inconfondibile.
Così agguantò il cuscino, chiuse gli occhi e attese paziente che Shiho entrasse, curioso di sapere quale sarebbe stata la sua reazione nel constatare quanto alla lettera avesse preso i suoi ordini. L’unico suono che proruppe nella stanza fu, però, il cigolio della porta.
«Sai, Shiho, riguardo a quanto detto prima, pensavo, che si…insomma…il discorso iniziato stanotte merita di essere concluso, non credi?».
Strascicò debolmente le parole per infondergli quel tono di lascivia che lei avrebbe di certo percepito e – tutto faceva ben sperare – ricambiato, invece non parlò.
Si limitò a soffiare dalle narici come quando si ride in silenzio e ad avanzare verso il letto per sedervisi, poi, sopra.
La sentì respirare a fondo e…
«Shin-chan! Penso tu abbia sbagliato persona. Sono più di quindici giorni che non ci degni nemmeno di una telefonata!».
…fu panico.
«Ma-mamma!?».
Scattò su, arraffando qua e là le lenzuola nel tentativo di coprirsi il più in fretta possibile, sotto lo sguardo brillante di divertimento di Yukiko.
L’imbarazzo corse a congestionargli le orecchie, ma fu la rabbia ad alterargli la voce.
«Che ci fai qui? Come sei entrata? Come…come…» ragliò, faticando ad articolare bene le frasi.
Aveva una gran voglia di urlare.
Facendo fondo alle sue doti teatrali, la donna si mise in piedi e, la bocca storta in una smorfia, proruppe in un versetto acuto, reso poco comico solo dal profondo aggrottamento delle sopracciglia che le si erano raccolte in mezzo agli occhi.
«Cosa mi tocca sentire! Shin-chan sarebbe questo il modo di accogliere i tuoi genitori?».
«No, ma....ma….non ho sentito alcun campanello suonare!».
«Per forza! Non volevo disturbare Shiho-chan, così ho usato le chiavi di riserva, anzi ero proprio venuta a portartele».
Non.
Voleva.
Disturbare.
Shiho-chan.
Era incerto se lodare le tenere premure che riservava alla sua fidanzata oppure incriminarla per invadenza abusiva.
«Potevi chiamare!».
«C’ho provato, ma avevi il cellulare spento!».
«Yukiko, te lo avevo detto: non era una buona idea».
Suo padre doveva averne passate di cotte e di crude a causa dell’impulsività della moglie, perché il rimprovero con cui li interruppe, avanzando oltre la soglia massaggiandosi le tempie, non aveva nulla dell’ammonimento. Ricordava più la rassegnazione.
«Io volevo solo sapere come stava il mio bambino…» lamentò e in modo tanto convincente che Shinichi si persuase a lasciar correre per una volta l’ostinata insistenza dell’occhio materno, determinato nel vederlo sempre e solo come un bambino.
L’avvilimento che traspariva dal suo volto, infatti, era quasi toccante e le dita premute sugli zigomi ad asciugare lacrime inesistenti conferivano un tono tragico alla sua interpretazione.
Da applausi, si sarebbe detto se nell’arco di pochi secondi quell’espressione non si fosse contratta in un ghigno furbesco.
«…ma, da quanto ho capito, Shiho-chan se ne sta prendendo cura egregiamente!» e scoccò un occhiolino alle spalle di Yusako, dove  si udì un crepitio di ceramiche.
Il giovane Kudo non abbisognò di ricorrere al suo proverbiale intuito per immaginare, una volta scorto il volto livido di Shiho e la straordinaria veemenza con cui stringeva il vassoio, che quel famoso discorso non sarebbe stato ripreso né quel giorno né, con ogni probabilità - e tutto faceva mal sperare -, i successivi, così afferrò il cellulare, lo accese e iniziò a pregare che l’umanità dimostrasse ancora una volta le proprie oscure bieche.
Una scenata di gelosia, una vendetta, bastava anche una semplice rapina.
 
«Shin-chan, spero tu prenda precauzioni».
«MAMMA!».
 
Ma doveva farlo in fretta.









 
  
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