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Autore: Kary91    08/12/2014    3 recensioni
[Sebastian Odair (figlio di Finnick)|Post-Mockingjay|Mini Long]
Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre Finnick aveva le mani nelle tasche. Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.
Erano come Peter Pan e la sua ombra.
***
“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”
“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorare il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”
“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco. “Mio padre è morto.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Bimbo Cresta-Odair, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
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Il figlio di Peter Pan

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Act 3 - Finding Neverland

5| Quel posto tra il sogno e la veglia

«Never say goodbye because goodbye means going away and going away means forgetting.»

― J.M. Barrie, Peter Pan

 

Un paio di notti più tardi, Sebastian fece uno strano sogno. Era alla baia come tutte le sere, ma i colori di ciò che lo circondava erano più brillanti e la linea dell’orizzonte che separava cielo e mare era sfumata, a malapena distinguibile. La superficie dell’acqua riluceva di un inusuale luccichio, accentuato dalla luce intermittente del faro.

Proprio a metà di quella scena, a cavallo dell’orizzonte, Sebastian notò una figura scura che volava in direzione della spiaggia.  Strizzò gli occhi e se li schermò con la mano, inseguendo l’ombra man mano che si faceva più vicina. Distinse la sagoma di un ragazzo, ma non era sicuro di vederla realmente. I contorni erano confusi e, quando la luce del faro svaniva, l’ombra smetteva di essere visibile.

Sebastian sbatté le palpebre,  infastidito da quelle brusche scomparse. Quando tornò ad aprire gli occhi una persona lo stava osservando, seduta sulla sabbia a poca distanza da lui. Il cuore del ragazzo accelerò i suoi battiti.

Intercettò lo sguardo del nuovo arrivato che gli rivolse un sorriso sghembo, alzandosi in piedi per raggiungerlo. Sebastian lo esaminò con attenzione, non riuscendo a nascondere una punta di esitazione nello sguardo: assomigliava al giovane raffigurato nelle fotografie che decoravano le mensole nella stanza di sua madre – e nel soggiorno, e in cucina – ma per certi aspetti sembrava diverso. Era più bello, con quei capelli scompigliati, le guance rosse e gli occhi accesi di una vivacità genuina, che ricordava quella di un bambino il giorno di Natale. Era alto rispetto a Sebastian, e anche più muscoloso, ma per certi versi sembrava più ragazzino di lui. Non era vestito di foglie, né teneva le mani sui fianchi in quella posa spavalda tipica del bambino che non cresceva mai. Eppure era lui, se lo sentiva.

“Papà?” mormorò, quando il giovane fu abbastanza vicino. Finnick gli fece l’occhiolino.

“Ciao, Sebastian” lo salutò, sorridendogli fiero. Si fissarono a vicenda per qualche istante: il padre scosse la testa con espressione divertita, prima di appoggiargli una mano sulla spalla. “Ma guardati, sei quasi alto quanto me!”

“Siamo alla baia?” chiese Sebastian, infilandosi le sue in tasca e guardandosi attorno. “Sembra… Diversa.”

Non sembrava lo stesso posto di sempre. Eppure, a tratti, quei colori brillanti gli risultavano familiari, come se li avesse già visti da qualche parte.

“Un po’ diversa lo è” confermò Finnick, stringendosi nelle spalle. “Ma quando eri piccolo la vedevi esattamente così. E anch’io.”

“Com’eri da bambino?” chiese Sebastian, colto da un improvviso moto di curiosità. L’espressione del padre si fece più vispa.

 “Più o meno come te” rispose, infilandosi a sua volta le mani in tasca. “Ma decisamente meno musone” aggiunse, scompigliandogli scherzosamente i capelli. Sebastian si ritrasse, indirizzandogli un’occhiata scontrosa.

“Non sono mai stato un musone” si difese, scoccando un’occhiata distratta alle onde che venivano loro incontro; fece qualche passo avanti, per immergere i piedi nell’acqua.

“Hai ragione” si trovò d’accordo Finnick, alzando le mani in cenno di resa. “Però eri un tipetto piuttosto solitario. Forse hai passato troppo tempo con quel Gale Hawthorne. E con Johanna visto che, a quanto pare, vai sempre in giro mezzo nudo[1]” aggiunse in un ghigno divertito.

Nel sentir nominare Johanna e il suo fidanzato, Sebastian abbozzò finalmente un sorriso. Non li vedeva più spesso da quando si erano trasferiti nel Distretto 12 assieme a Joel, ma la loro presenza nella sua vita continuava a essere una costante essenziale. Da bambino aveva trascorso molti fine settimana in loro compagnia; i pomeriggi spesi a pescare con Gale, ridendo dei battibecchi fra lui e Johanna e delle rispostacce che spesso gli rifilava la sua madrina, sarebbero sempre rimasti fra i preferiti della sua infanzia.

“Pensavo che quella fosse l’unica cosa che avessi preso da te” replicò Sebastian, mettendosi a braccia conserte. “Nella maggior parte delle foto che ho visto, sei sempre a torso nudo.”

Lo era anche in quel momento, pensò il ragazzo, mettendo a confronto se stesso e il padre. Entrambi indossavano solo i jeans e sembravano perfino avere una postura simile, nonostante lui fosse a braccia conserte, mentre  Finnick aveva ancora le mani nelle tasche.

Si somigliavano; non eccessivamente, ma in maniera comunque evidente.

Erano come Peter Pan e la sua ombra.

E un’ombra, si disse Sebastian, non avrebbe mai potuto venire scambiata per l’originale. Eppure, per quanto si sforzasse di evidenziare le differenze con il padre, le persone finivano spesso per confonderlo con lui.

Finnick si strinse ancora nelle spalle; per la prima volta il suo sorriso sfumò leggermente, assumendo una sfumatura amara. Solo in quel momento a Sebastian venne in mente che la maggior parte delle fotografie che ritraevano suo padre erano state scattate dopo gli Hunger Games. Ipotizzò che non avesse molta libertà di esprimersi in materia di abbigliamento. O in qualsiasi altra cosa, probabilmente.

“Non penso che quella sia l’unica cosa in cui mi somigli” osservò a un certo punto Finnick, riesumando l’espressione allegra di poco prima. “Abbiamo molto in comune. Bellezza a parte, ovviamente: quella l’hai ereditata da Annie” aggiunse, con un’improvvisa punta di dolcezza nello sguardo. Sebastian distolse il proprio, sentendosi tutto a un tratto in soggezione.

“Non voglio essere te” mormorò, concentrandosi sui disegni di luce che il faro tratteggiava sul mare. Il peso all’altezza del petto si fece più grave, nel momento in cui il padre gli sfiorò la spalla.

“Nemmeno io voglio che tu sia me” rispose Finnick, cercando di incontrare il suo sguardo. “Tu sei anche migliore di me: sei Sebastian.”

Il ragazzo non rispose; si chinò per immergere le mani nell’acqua e aggrottò confuso le sopracciglia, quando si accorse che gli arrivava già alle cosce.

“Mi manchi, sai?”  rivelò in quel momento Finnick, abbozzando un secondo sorriso triste. “E mi manca tua madre. A volte la nostalgia è talmente forte che non riesco a pensare ad altro. Di solito, quando mi capita, intreccio nodi. Per un po’ funziona, ma quando ti vedo andare a zonzo da solo di notte la tristezza torna: sento come un peso sul petto” aggiunse, toccandosi il torace.

Sebastian si convinse finalmente a voltarsi verso di lui, attratto dalle sue parole: conosceva quella sensazione. Aveva imparato a conviverci sin da quando era bambino.

“Non puoi sentire la mia mancanza” osservò improvvisamente, tornando a mettersi le mani in tasca. “Non mi hai nemmeno conosciuto.”

“Vorrei averlo potuto fare” rispose Finnick, facendo spallucce. “E comunque, mi manchi lo stesso; mi manca farti da padre. Mi manca il non poterti accompagnare alla baia la sera, non poter ridere con te, o prenderti in giro. Non poterti sgridare per lo spavento che hai fatto prendere a tua madre quando eri piccolo e ti sei messo a giocare con il mio tridente” aggiunse, non riuscendo a trattenere un sorrisetto compiaciuto.

Sebastian sorrise a sua volta, passandosi imbarazzato una mano dietro la nuca.

“Non l’ho più toccato, da allora” rivelò poi. “Per pescare preferisco la canna o le reti.”

“Va bene così” commentò Finnick, prima di sorridergli malandrino.  “Tanto non riusciresti comunque a usarlo bene quanto me”  lo canzonò poi, dandogli un colpetto scherzoso con la spalla.

Sebastian inarcò un sopracciglio con aria scettica, prima di ricambiare la spallata.

“Mi manchi e basta, Seb” ripeté poi il padre, allargando le braccia. “Non crescere è una bella rogna, se non lo si può fare con le persone che si amano.”

Sebastian lo fissò a lungo, prima di annuire.

“Mi manchi anche tu…” ammise infine, tornando a distogliere lo sguardo. Il livello dell’acqua si era alzato ancora e, quando  il giovane si chinò per immergervisi, la trovò insolitamente tiepida. “A volte, quando sto alla baia.”

Finnick si accovacciò di fianco a lui sul fondo sabbioso.

“Non puoi sentire la mia mancanza, non mi hai nemmeno conosciuto” lo scimmiottò con un sorriso canzonatorio, ripetendo le stesse parole che gli aveva rivolto lui poco prima. Sebastian sferzò l’acqua con la mano per schizzare il padre, colpendolo in pieno volto. Finnick ribatté all’istante, e quei primi schizzi diedero origine a una movimentata battaglia. Si azzuffarono giocosamente per qualche minuto, spostandosi nell’acqua alta. Sebastian si sorprese più volte a ridere di gusto, mentre prendeva il largo per sfuggirgli; suo padre era un nuotatore decisamente più esperto di lui e lo riacciuffava ogni volta, attirandolo a sé per sfregargli un pugno sui capelli.

Ogni volta che il giovane immergeva la testa nell’acqua, ne usciva fuori più alleggerito, come se avesse perso parte di quel peso che lo accompagnava da anni. Esteriormente era il Sebastian di sempre, eppure, mentre giocava con suo padre, si sentì il bambino che era stato una volta. Lo stesso ragazzino dal sorriso sdentato delle fotografie che sua madre teneva in camera. Per un attimo gli tornò in mente una conversazione che aveva avuto con Lyla durante uno dei loro primi incontri.

“Perché mai uno dovrebbe ridere, guardando il mare?”

“Perché è un gran bel gioco, ecco perché.”

Sorrise, immergendosi in acqua per nuotare fino a raggiungere Finnick: stava incominciando a comprendere il significato della sua risposta.

“È stato divertente” dichiarò infine, quando padre e figlio tornarono a riva, fradici ed esausti. Si lasciò ricadere a peso morto sulla spiaggia e serrò le palpebre, per difendersi dalla luce accecante del sole. Finnick non disse nulla. Sebastian era convinto che l’avrebbe raggiunto per sedersi di fianco a lui, ma quando riaprì gli occhi trovò suo padre ancora in piedi;  lo stava osservando con la stessa espressione fiera che aveva solcato il suo viso all’inizio del loro incontro. Gli fece un’altra volta l’occhiolino e Sebastian avvertì una fitta insolita all’altezza dello stomaco. Il peso all’altezza del petto tornò a farsi sentire, grave e fastidioso come sempre.

“Stai andando via, vero?” chiese il ragazzo, alzandosi per raggiungere il padre. Il sorriso di Finnick si smorzò lievemente e, nel sguardo malinconico, Sebastian riconobbe per un’istante lo stesso buio che oscurava gli occhi di sua madre. Durò poco: una punta di vivacità tornò  presto a illuminare il volto dell’uomo. Finnick gli strinse affettuosamente una spalla, prima di attirarlo a sé per abbracciarlo.  

Sebastian si strinse a lui, sforzandosi di imprimere nella mente ogni particolare di quell’istante; l’abbraccio caldo di suo padre, la sicurezza emanata dalla sua stretta, l’affetto che poteva percepire sulla pelle, mentre una mano di Finnick gli arruffava i capelli un’ultima volta.

“Grazie per aver creduto” gli sussurrò in un orecchio suo padre, prima di lasciarlo andare. Lo guardò a lungo un’ultima volta, prima di incominciare a camminare verso la riva. Si allontanò fino a quando l’acqua non fu alta a sufficienza per permettergli di tuffarsi.

Sebastian avvertì il bisogno improvviso di strizzare le palpebre. L’attimo prima di chiudere gli occhi riconobbe una sagoma scura nel mare, che guadagnò velocità fino ad alzarsi in volo.

La inseguì con lo sguardo, fino a quando la sua vista non incominciò a farsi offuscata.

A quel punto serrò le palpebre; la sua mente si aggrappò con forza all’immagine di quell’ombra nera:  l’ombra di suo padre.

*

“Papà?”

Sebastian sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco qualcosa nella semi-oscurità che lo circondava. Rabbrividì, stuzzicato da una folata di vento. Era notte e lui era sdraiato sulla spiaggia, a una decina di metri di distanza dalla riva. La sabbia era fredda e il suo colore smorto non aveva nulla a che vedere con le tinte brillanti della baia del suo sogno. Era pallida, come le dita affusolate che gli stavano accarezzando i capelli in quel momento. Lyla gli sorrise con dolcezza, scostandogli una ciocca di capelli ribelli dalla fronte.

“Ti sei addormentato” lo informò la ragazza in poco più che un sussurro. Sebastian si sfregò gli occhi con il dorso della mano; era sveglio, ma una parte di lui sembrava ancora assopita, intrappolata in un limbo a metà fra le due versioni della stessa baia. L’immagine di suo padre era ancora ben delineata nella sua mente, nitida e pulita, come una fotografia. Sebastian chiuse gli occhi e ricordò il suo sorriso sghembo, l’espressione scanzonata e a tratti insolente  - da ragazzino presuntuoso – che aveva esibito più volte  durante il sogno. Ricordò gli occhi di Finnick, verdi come i suoi.

Si voltò verso la riva, cercando di distinguere l’inizio del mare con la fine del cielo, sfruttando la luce intermittente del faro. Nel suo sogno, in quella zona, aveva scorto per la prima volta l’ombra di suo padre, ma adesso che era sveglio di fronte a sé vedeva solo buio.

“Pensi che prima o poi avrebbe deciso di crescere?” mormorò improvvisamente, sollevando lo sguardo verso l’alto per incontrare quello di Lyla. Aveva la testa appoggiata sulle sue gambe e la mano della giovane era ancora intenta ad accarezzargli i capelli, “Peter Pan.”

Lyla annuì.

“Quando ami qualcuno con tutto te stesso, vuoi solo diventare grande, in maniera da riuscire a contenere meglio quel sentimento così forte. Vuoi crescere, per prenderti meglio cura delle persone a cui vuoi bene. E sono certa che, prima o poi, questo sarebbe successo anche a Peter.”

Sebastian rifletté in silenzio sulle sue parole, distraendosi, di tanto in tanto, per ascoltare il rumore del vento.

“Avrebbe scelto di crescere, per me?” mormorò infine. Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando: sapeva che Lyla avrebbe capito. “Mi avrebbe amato, come amava mia madre?”

“Forse anche di più” rispose la ragazza, facendo scivolare le dita fino a sfiorargli il collo. “Probabilmente ha incominciato a volerti bene ancor prima che esistessi. E te ne vuole ancora.”

“Come?” replicò il ragazzo tornando a chiudere gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco.  “Mio padre è morto.”

Aveva ripetuto quelle parole più e più volte, nel corso dell’ultimo periodo. Tuttavia farlo quella sera dopo quel sogno, con la risata di suo padre ancora impressa nella sua mente, non sortì lo stesso effetto di sempre. Per quanto vera quella frase gli suonò bizzarra, come se ancora faticasse a convincersi che l’incontro con Finnick fosse stato solo una strana macchinazione della sua testa.

Lyla gli rivolse un sorrisetto enigmatico prima di chinarsi, per avvicinare le labbra al suo orecchio.

“Sai, quel luogo che sta fra il sogno e la veglia…” incominciò, in un sussurro. “…Dove ti ricordi ancora che stavi sognando?”

Sebastian annuì: era lì che si trovava, in quel momento.

Il sorriso della ragazza si estese.

“Quello è il luogo dove lui ti amerà sempre[2]” rivelò infine, con una rinnovata nota di tenerezza nel tono di voce.

Erano parole così semplici, e il suo tono di voce così dolce, che per un istante Sebastian non poté fare a meno di crederle. Chiuse fuori dalla sua mente il freddo e il pallore spettrale della sabbia su cui era sdraiato e si addentrò più a fondo nel mondo fra il sogno e la veglia, lasciandosi cullare dal tocco delicato delle carezze di Lyla.

Si addormentò con l’immagine di suo padre negli occhi e, al suo risveglio, sentì il suo ricordo scivolargli nel petto; proprio accanto a quel peso che non se ne sarebbe mai andato.

 

«È stato un gran bel gioco, veramente! »
«Grazie per aver creduto.
»

  Hook Capitan Uncino, 1991

Note finali.

Ed eccoci arrivati al penultimo capitolo. So di averci messo parecchio ad aggiornare, ma ultimamente ho pubblicato una valanga di cose e non mi piace molto postare tutto assieme, così ho rimandato di parecchio >.<

Questo capitolo è probabilmente il più strambo, ma rispecchia un po’ l’atmosfera un po’ surreale di questa storia, ambientata a tutti gli effetti in un periodo della giornata che sta a metà fra il sogno e la veglia. Finalmente è stata introdotta la frase un po’ più famosa del film “Hook”, quella che già avevo inserito prima del prologo, ad aprire il racconto. L’idea del sogno, di far giocare Finnick e Sebastian è ancora una volta forse un po’ banale, ma volevo riallacciarmi alla frase di Lyla – che è poi è una ripresa della frase di Hook che chiude il capitolo – del capitolo precedente. E niente, con questa parte si apre il primo atto, quello conclusivo. Il prossimo capitolo è piuttosto breve e sarà l’ultimo, dopodiché arriverà l’epilogo.

Ancora grazie infinite a chiunque stia continuando a seguire questa storia!

Un abbraccio e a presto!

Laura

 

 



[1] Nel mio head-canon legato al periodo post-epilogo della saga, Johanna e Gale vivono assieme nel Distretto 2, e in seguito si trasferiscono nel 12. Johanna è la madrina di Sebastian e lei, Gale e Joel (il figlioletto di Gale) gli sono molto legati e vanno spesso a trovarlo.

[2] Questa frase è un altro riferimento a una scena di Hook. La frase citata la pronuncia Trilly a un ormai adulto Peter Pan. Qui c’è il link della scena.

   
 
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