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Autore: Clockwise    11/12/2014    4 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Bonne soir a voi!
Prima di quanto avessi previsto, con un capitolo nato da sè senza che nessuno lo avesse chiamato. Infinite ricerche su Bach e complicati parallelismi e partite di scacchi e alla fine questo. Speriamo vi piaccia.
Grazie infinite a chi legge, segue, recensisce, preferisce <3
-2 alla fine.
Ciao!
-Clock


 
Re nero
(Bohemian Rhapsody)
 
 
 
Non suono con scienza - chiunque può suonare con molta scienza - ma suono con sentimento meraviglioso. In fatto di musica, il sentimento è il mio forte. Riserbo la scienza per la vita.
Oscar Wilde
 
 
 
John chiude gli occhi soddisfatto. Ah, erano secoli che non riascoltava quella musica. Gli ricorda la sua giovinezza, gli anni di università, le serate al pub, i vecchi amici… Fa appena in tempo a chiudere la custodia del cd e riporlo sopra lo stereo, che la porta della stanza di Sherlock si apre e ne emerge la testa ricciuta e corrucciata del detective.
«Che cos’è questo rumore? Sto catalogando i miei calzini.»
John si volta verso di lui sollevando le sopracciglia con sarcasmo.
Ah, la mia musica è rumore? E non il tuo violino alle quattro di notte?
Stringe le labbra, armato di buoni propositi perché è domenica mattina e vuole passarla in tranquillità, e non dice quello che veramente pensa.
«È musica. La musica che ascoltavo anni fa» risponde. Per una volta che mette su un suo disco, non vuole proprio stare a sentire i borbottii di Sherlock.
Tuttavia, quando diventa evidente che Sherlock è così annoiato da voler discutere anche su questo, John si getta nella discussione con furore; invano Freddie Mercury e Bono uniscono le voci nel tentativo di farsi sentire sopra il baccano.
Risultato della mattinata: un John soddisfatto e canticchiante per tutto il giorno e uno Sherlock sul divano imbronciato e molto, molto seccato, costretto ad ascoltare quell’ “infernale frastuono”.
Sherlock non ammetterà di aver sgraffignato il cd e averlo ascoltato numerose volte, quando la sua testa era troppo rumorosa – o il cuore, o il fegato, o chiunque diavolo urlasse, lì dentro.
John se ne è accorto, ma non ha mai detto nulla. Gli è rimasto solo il desiderio, muto, di avere anche lui un po’ della musica di Sherlock con sé, ogni tanto, invece del silenzio.
 
~~~
 
L’ultima nota della Partita sfuma nel silenzio e Sherlock riapre gli occhi, riprendendo a respirare.
Non suona spesso Bach: difficile, estremamente tecnico e matematico. Di solito preferisce improvvisare, o lasciarsi andare a qualcosa di più romantico (artisticamente parlando, s’intende); in questo momento, però, Bach è esattamente quello che gli ci vuole, dei lineari binari armonici su cui far scorrere i suoi pensieri irrequieti.
Inspira profondamente e richiude gli occhi. Sonata numero tre. E uno, due…
Is this the real life? Is this just fantasy?
Corruga le sopracciglia, infastidito. Che diamine…
Caught in a landslide. No escape from reality.
Coro di voci maschili, effetto da chiesa. È familiare…
Open your eyes… Look up to the skies and see…
Non è possibile.
«Bohemian Rhapsody? Seriamente?» dice, la voce grondante sarcasmo, mentre si volta. Jim Moriarty sorride.
«Ti ho stupito, non è vero? Non te l’aspettavi, ammetti.»
Le mani nelle tasche, avanza sul tetto fino a trovarsi a pochi passi da lui.
«Adoro sorprenderti.»
Sherlock non risponde, solleva il mento. Moriarty lo guarda dal basso, un sorriso lascivo e gli occhi voraci, neri come l’anima di un dannato.
«Allora» esordisce dopo qualche istante, avanzando ancora e passeggiando per il tetto del Bart’s, girando intorno a Sherlock come una fiera in gabbia.
«Ti è piaciuto l’indovinello che ti ho mandato? Il Cardenio? Ci hai messo un po’ per arrivarci, eh?»
«Detesto gli indovinelli» risponde Sherlock, atono. Rimane rigido, dritto, tutti i sensi all’erta. Fiuta una trappola.
«Ma io li adoro. E mi sono davvero impegnato per il tuo, Sherlock, l’ho preparato su misura.»
«Allora potrai anche spiegarmelo.»
«Oh, Sherlock
C’è come una nota di delusione e dispiacere nella sua voce cantilenante, a cui Sherlock non riesce a credere.
«Ma tu sai che vuol dire, lo capisci benissimo. Non ti va di ammetterlo» spiega Jim, stringendo le labbra in una smorfia di sconforto.
Sherlock solleva il mento, stringendo gli occhi.
«“è giunta l’età infelice dei nostri inganni,”»
«Andiamo, questa è facile: è giunta l’ora di smetterla con le bugie o di iniziare a dirne di belle, per continuare a proteggere i tuoi pesci rossi. Mai letto Pinocchio?»
«“Il mondo piange la nascita della rosa,”»
«Una rosa concimata con menzogne non può che essere infelice. E con quella sequela di nomi improponibili che le hanno affibbiato…»
«“Il cielo si oscura nel bacio taciuto.”»
«Non mi pronuncio, non vorrei far arrossire le tue guance da verginella.»
Sherlock gli lancia un’occhiataccia, ma continua.
«“Oh, povero Cardenio! Ingannato, tradito, misero Cardenio! Povero, pazzo Cardenio!”»
«Di nuovo, non commento. Sono un bravo poeta, però, non trovi?»
«“Ma basta lacrime: si alza il vento, la battaglia si approssima.”»
«The East Wind is coming, dicono. Mycroft è la mia musa.»
«“Alle armi i vinti! Si proteggano le rose, si tolgano le maschere: la verità si mostri, impavida e mortifera!”»
«Un po’ di sincerità è cosa pericolosa, molta sincerità è assolutamente fatale,1 dicevano»
«“Si brucino i cuori, perché l’amore cessi di essere dolore.”»
«Odio ripetermi: te l’avevo detto tanto tempo fa. Sai com’è: bisogna strappare il ramo malato perché la rosa torni a fiorire.»
Sherlock abbassa gli occhi su di lui, grave del peso della consapevolezza.
«“L’eroe senz’ali”.»
Moriarty rotea gli occhi.
«Mai sentito parlare di metafore? Non posso spiegarti anche questa, togli tutto il piacere della poesia…»
In due balzi, Sherlock è a pochi centimetri da Moriarty, piegato in avanti su di lui, i visi vicini.
«Chi sei? Perché hai mandato quella lettera, cosa vuoi da me?» ringhia.
Jim sbatte le palpebre, calmo, un principio di sorriso.
«Dovresti ringraziarmi, Sherlock. Ti sto aiutando. Ti ho portato uno specchio, perché non vuoi vedere?»
Sherlock si raddrizza e indietreggia, con la confusa sensazione – illogica, per di più – che il suolo si inclini all’indietro, e lui scivoli con esso. Moriarty fa un passo avanti, grande e imponente.
«Ti mando lettere, ti ho anche portato a teatro. Davvero, non capisco cosa ti aspetti di più da me, sono l’uomo perfetto…»
Thunderbolt and lightning,
very very frightening me!
Sherlock è ormai in ginocchio, infernali cori di voci che rassomigliano ad organi gli riempiono la testa.
«Hai un teschio sul caminetto: se non sei tu un fan di Shakespeare…»
«Irene» ansima Sherlock, gli occhi paralizzati sui piedi di Moriarty, il corpo scosso da tremori. «Irene, lei è in pericolo. Si è esposta troppo, rischia…»
«Povera Irene. Ha commesso due volte lo stesso errore. Ma forse questa volta non ci sarà nessun eroe per lei, chissà…»
Sherlock spalanca gli occhi, terrorizzato.
«Qual’era il senso di quella rappresentazione? Non di uccidere Altamont, non c’era bisogno di un piano tanto elaborato... Volevi attirare la mia attenzione.»
«E tu la mia. O credi che non mi sarei accorto che metà dei barboni di Londra si erano improvvisamente riscoperti attori? Quel Wiggins, poi. Il mio preferito. Abita ancora al 221c, suppongo. Almeno quando non è in giro a subire gli effetti di quella dolce amica bianca, che tu conosci bene… Ha una storia così interessante. Chiedi a Mycroft di fartela raccontare, prima di andare a dormire.»
«Di che cosa stai parlando?»
Moriarty sfodera un sorriso da Stregatto.
«Il caro vecchio Billy Wiggins, dalla mente geniale, così geniale da aver svelato molte verità scomode ai piani alti di Westminster, così geniale che andava taciuta… Ed ecco che Mycroft Holmes cala la spada della giustizia e Billy Wiggins scompare…»
Il detective deglutisce, smarrito, mentre tanti gesti e frasi smozzicate si uniscono in un quadro sensato.
«Allora è vero, Mycroft...»
Jim rotea gli occhi.
«Certo che è vero. Oh, Sherlock, mi deludi, pensavo ci fossi già arrivato da tempo…»
«Ma perché nascondermelo, perché…»
«Oh, brutte storie, Sherlock. Storie che non si raccontano ai bambini.» Stringe le labbra e solleva le sopracciglia con fare dispiaciuto.
Sherlock deglutisce, cercando di rimanere aggrappato alla realtà, di scacciare dalla sua mente gli infernali cori lirici.
Galileo Figaro
Magnifico…
«Mary» annaspa alla fine. «E Amanda, loro…»
Moriarty alza le spalle.
«Cara dolce Mary. E quella tenera bambolina dalle guance di rosa. Assomiglia alla mamma, non trovi? Speriamo suo padre le insegni a non dire le bugie, però» commenta, in tono casuale, le mani in tasca. «Perché John è sempre onesto, non è così? Dice sempre quello che pensa.»
«Non è vero» dice immediatamente Sherlock, senza nemmeno riflettere. Si puntella con le mani sul pavimento, tentando di rialzarsi. Eppure c’è come una forza nella terra e un’estrema debolezza nelle sue membra che glielo impedisce.
«John dice sempre quello che è opportuno dire» esala fra i denti. Jim annuisce, soddisfatto.
«E bravo Sherlock. Un più per te.»
«John… Non indaga più a fondo. Si accontenta della superficie.»
«Fugge dal vero volto dietro la maschera» annuisce Moriarty, unendo le mani dietro la schiena. «La façade, ricordi? Leinster Gardens, davvero una bella trovata… Anche tu stai attento alla poesia della vita, eh? Non è John il romanziere, tra voi due…»
Sherlock scuote la testa, la gola riarsa.
«John… Non c’è nulla… su cui indagare. Io e lui…»
«Chi ti ha detto che si trattasse di te e lui? Non vedi? Sempre, in ogni tua frase, c’è un John e uno Sherlock: sempre insieme. Lui ha una figlia con un’altra donna e tu sei ancora qui a sospirare…»
«Io non sospiro» ringhia Sherlock, ritrovando un barlume di forza. Si rialza, finalmente, assordato dalle grida rauche di una chitarra distorta.
«Io non sospiro per nessuno. Quello che provo per John…» stringe i denti alle sue stesse parole, inadatte ad esprimere la ricercata sfumatura del suo sentimento. «… esula da qualsiasi definizione o categoria, il nostro rapporto va al di là delle artificiose convenzioni sociali, noi…»
«Voi, voi, voi… Non esiste alcun voi!» grida Jim, il volto sfigurato. Sherlock si ritrae, fuori dall’orbita della sua improvvisa furia nera.
«Perché diavolo non vuoi capire che non esiste alcuna poesia, le avventure di Sherlock e John non sono un romanzo per bambini, solo uno stupido blog su internet tenta di rendere appassionante la vostra patetica vita, non ci sono sottintesi, né metafore o belle parole: la verità è cruda e aspra e la verità è che non esiste nessun “Sherlock&John”; rassegnati, sei solo, più solo di quanto tu sia mai stato, ancora più solo perché hai provato cos’è l’amore, cos’è provarlo ed esserne circondati, e tutto ciò che sei stato capace di fare è stato conficcarti una siringa in vena o gettarti da un tetto. Sei un misero mortale, Sherlock: non esistono né angeli né eroi.»
Una lacrima cade dall’occhio cristallino; una goccia di sangue dal buco nero. Il suolo si tinge, le macchie si allargano e si moltiplicano, sotto i piedi di Sherlock e Jim.
«In posizione. Il re nero è in E-8.»
Il tono è quello stanco di un generale anziano, rassegnato, ferito. Jim sogghigna.
«Oh, vuoi davvero iniziare questo gioco, Sherlock? Lo sai che io adoro giocare. E vinco sempre.»
Sherlock si raddrizza, finalmente, unisce le mani dietro la schiena e solleva il mento. Sorride, quieto.
«Ma io ho un ottimo schieramento.»
«Irene è mia» sputa Jim, assottigliando gli occhi velenosi.
«Puoi tenerla. Ho un ex-soldato, il governo britannico, un ex-agente segreto, un medico legale, un ispettore, una governante-non-governante e un quasi-coinquilino. Direi che sono abbastanza protetto.»
Jim sogghigna. Si sfila una pesante corona di ossidiana e la soppesa. Davanti a loro, gli eserciti rifulgono sotto il primo sole del mattino: di fredda ossidiana quello di Moriarty, di raffinato alabastro quello di Sherlock.
«Ma chi si sacrificherà per te?» domanda Jim, guardandolo con apparente calma.
«Anyway the wind blows…» canticchia e Sherlock si fa di marmo si frantuma e precipita, di nuovo e ancora, giù, nel buio, negli organi infernali…
 
~~~
 
John sorride e scuote la testa. Con delicatezza, sfila il violino e l’archetto da sotto le sue mani e li posa sul tavolo, cercando di fare meno rumore possibile. Recupera una coperta da una sedia e la stende sopra il detective addormentato. Sherlock ha un fremito, trasale e stringe un pugno. John si immobilizza, curvo sopra di lui, temendo di averlo svegliato. Il detective si rilassa e il respiro torna regolare. John approfitta di quegli attimi per scrutare il viso dell’amico da vicino, prendere nota delle nuove rughe, dei riccioli scomposti troppo lunghi, del principio di barba, delle labbra screpolate. Fremono e John freme di riflesso, e si ritrova a ripensare… No, ormai sono passati anni, troppi eventi sono capitati nel mezzo. Eppure l’antica inespressa sensazione si risveglia nel suo petto e John si allontana, lentamente, quasi spaventato. Dopo un ultimo sguardo e un “sogni d’oro” a fior di labbra, chiude la porta dietro di sé.
 
~~~
 
Sherlock annaspa ed apre gli occhi. Sbatte le palpebre più volte, riprendendo fiato. Strizza gli occhi e si solleva, passandosi una mano sul volto. La schiena protesta a gran voce, i muscoli si lamentano: neanche a loro è piaciuta quella nottata sul divano, è chiaro.
Si tira a sedere, scansando la coperta, appoggia i gomiti sulle ginocchia e le dita sulle labbra, tentando di decifrare il sogno. Passano cinque minuti, poi si dichiara sconfitto e si alza in piedi: la psicanalisi è scomoda.
Si dirige in bagno e vorrebbe prendersi a randellate: invece di escogitare un piano, un modo per proteggere i suoi amici e capire a che gioco sta giocando Moriarty, si perde in disquisizioni labirintiche e assurde, vergognose.
Si sciacqua la faccia con acqua fredda apposta, anche se fanno sette gradi e sta congelando.
Si spalma la schiuma da barba con aria torva, evitando il riflesso dei propri occhi, servendosi dello specchio il meno possibile.
Una cosa è certa, pensa, aprendo il rubinetto al massimo per attutire lo scompiglio dei suoi pensieri: mai più Queen prima di andare a dormire.
 
 



1. Wilde, ovviamente.
Le frasi in corsivo in inglese non sono sproloqui della mia mente malata, ma pezzi di Bohemian Rhapsody, dei Queen. Questa, per chi non la conoscesse: https://www.youtube.com/watch?v=irp8CNj9qBI  
  
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