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Autore: lady igraine    29/12/2014    1 recensioni
Le Terre di Confine, dopo la Caduta del Regno di Neanna, da duecento anni sono governate dal Conclave, una misteriosa congrega di Maghi che stringe nelle proprie mani il destino dei Regni indipendenti.
Ma quando un incubo antico, quello che ormai è solo un racconto per spaventare i bambini, riemerge dall’oscurità, ogni equilibrio è destinato a spezzarsi.
E Sianna, cresciuta nella sicurezza della sua valle isolata, protetta da presenze rassicuranti che la seguono fin dall’infanzia, è l’inizio di quella crepa che incrinerà il suo mondo, e ne ignora la ragione.
Eppure è lei che La Morte sta cercando e, per sopravvivere, Sianna deve presto fare i conti con un passato più complesso di quanto possa anche solo immaginare.
***
«Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA

 

CAPITOLO PRIMO

 

2000 anni dopo

 

Le terre d’Ombra erano umide e fredde e non conoscevano molto delle stagioni.


Che fosse Samhradh o Geamhradh le fitte foreste che coprivano le montagne del centro e le dolci colline del nord restavano sempre verdi, il sole slavato, un vessillo spettrale nel cielo inghiottito di nuvole. Una leggenda raccontava che un tempo, millenni prima, queste erano state le terre degli Alfar oscuri quando ancora vivevano in superficie, e perciò il sole sorgeva tardi e tramontava presto e gli abitanti dovevano imparare a muoversi nelle tenebre fin da bambini.
Sianna di Dokkalfar non ne aveva mai visti, eppure in quei  boschi ci era cresciuta e si sentiva a proprio agio nell’oscurità come un gufo o una civetta. Non le sarebbe dispiaciuto essere una civetta, il loro bubbolare riempiva il buio di suoni, erano bianche e morbide e vedevano nella notte perfettamente.
Suo fratello però non le aveva mai permesso di avvicinarsi ad un rapace durante le sue perlustrazioni nei boschi vicino a casa, era fermamente convinto che come minimo ci avrebbe rimesso un occhio se si fosse accostata ad un cacciatore notturno, e anche se Ynyr era di un anno più piccolo sapeva essere davvero testardo.
Sianna strisciò lentamente sul ramo basso di un albero che dava su un sentiero appena accennato nella terra e quasi seppellito dal sottobosco. Tese il collo per poter vedere più lontano: era  pomeriggio presto e anche se debole la luce era ancora sufficiente, abbastanza da permetterle di avere il permesso di giocare appena fuori dal paese. Si era nascosta ormai da un buon quarto d’ora, eppure di suo fratello non  c’era la minima traccia. Per una volta forse, era stata più furba di lui, anche se era insolito. Ynyr aveva un vero e proprio fiuto per i suoi nascondigli, non le dava mai la soddisfazione di poter credere di batterlo in astuzia.
Ad attenderlo ora, quasi si annoiava.
Incrociò le braccia sotto il  mento e rimase sdraiata sul ramo. Da lì poteva vederlo arrivare non vista e in caso di necessità nascondersi nel fogliame. Era tanto piccola che non avrebbe potuto cadere neanche volendo: aveva sette anni e la costituzione di un uccellino, tanto secca che sua madre sosteneva le sue ossa dovessero essere cave e che l’unico motivo per cui un soffio di vento non l’aveva ancora fatta volare via era che i suoi capelli erano troppo pesanti e l’ancoravano al suolo.
Sianna si rigirò distrattamente una ciocca bionda fra le dita.
Se c’era un motivo per cui suo fratello riusciva sempre a trovarla erano proprio i suoi stupidi capelli, troppo lunghi e troppo biondi  perché passassero inosservati. Al minimo raggio di sole splendevano d’oro e urlavano un “sono qui” che a Ynyr non sfuggiva mai.
Persa nelle sue considerazioni  quasi si addormentò.
«Che cosa ci fai qui? Ti sei perso?»
Sussultò e per poco non perse la presa sul legno umido di muschio, rischiando una rovinosa caduta.
Non c’era nessuno, non era stata scoperta.
«Piccolino, se mi mordi non posso aiutarti»
La voce però non se l’era sognata. Perplessa iniziò la discesa affrancandosi con tutta la sua forza al tronco viscido dell’albero, più verde che marrone. Quando ormai era quasi del tutto ridiscesa mise il piede in fallo e ruzzolo a terra sbattendo il fondoschiena.
«Maledizione!»
Imprecò dimenandosi sull’erba con le mani strette sul punto offeso, come potesse far scomparire il dolore.
«Che stai facendo?» stavolta la domanda era rivolta a lei.
Una strana bambina le si era inginocchiata accanto e la studiava perplessa.
«Niente!»
Balzò a sedere divenendo completamente rossa e la bambina le sorrise. A Sianna parve di conoscerla. Aveva lisci capelli, neri più delle notti senza luna, che le arrivavano alle spalle, la pelle pallida, sopracciglia perfettamente disegnate e uno sguardo stranamente pungente. Gli occhi, profondamente bui, ricordarono a Sianna quando si era sporta per la prima volta sul bordo del pozzo in piazza e aveva avuto la sensazione che non esistesse fondo.
L’aveva vista in paese molte volte, ma non le aveva mai parlato. In verità  non parlava con nessun bambino della sua età, sua madre non glielo aveva mai permesso. Il suo unico compagno di giochi era sempre stato solo Ynyr.
«Ti sei sporcata» le fece notare la bambina, accennando al suo vestito.
La sopraveste di velluto verde era piena di fango a causa del terreno melmoso dopo le piogge, la pelliccia di vaio che rivestiva i bordi delle maniche e della gonna era impiastricciata e, in alcuni punti, si era spelacchiata. Quasi come a rimarcarle in che stato pietoso si era ridotta l’intrecciatoio di corda dorata che le teneva i capelli in ordine si allentò del tutto facendo sfuggire le ciocche bionde che le ricaddero sul volto.
«Mia madre potrebbe arrabbiarsi» considerò a voce alta con un ghigno imbarazzato, contemplandosi. Le signorine per bene non si mostrano in condizioni simili, era una cosa che si era sentita dire spesso ma che purtroppo non si conciliava molto con la sua natura. E poi le signorine per bene non vivevano in paesini sperduti nei boschi!
«La mia invece mi uccide, se rovino un abito tanto bello!» scoppiò a ridere l’altra.
Solo allora Sianna notò che il vestito dell’altra bambina era di  semplice cotone e che questa indossava tutti gli strati necessari a proteggersi dal freddo di Foghara.
Si alzò sbattendosi la veste e si accorse che, oltre al vestito e ai capelli, aveva bucato anche una delle graziose scarpette di seta e cuoio che sua madre le aveva fatto confezionare da poco.
«La mamma non vuole che lo uso, ma è verde! Sembra fatto apposta per giocare a nascondino nel bosco!» se voleva battere suo fratello doveva inventarsi ogni  stratagemma possibile!
«Con chi parlavi prima?»
La bambina le diede la  schiena e le fece cenno di seguirla. Ai piedi di un albero non troppo distante da dove era caduta Sianna c’era un uccellino così piccolo da starle nel palmo di una mano, rivestito di  soffici, piccole piume morbide che lo facevano sembrare un batuffolo di cotone.
«Con lui» chiarì «Non vuole farsi prendere, ma se resta qui morirà»
Sianna si mise a carponi per guardare l’uccellino più da vicino e quello fece schioccare il becco acuminato verso di lei, per tenerla a distanza. Faticava a tenere gli occhi grinzosi del tutto aperti, ma si poteva vedere il colore grigio e rosato. Doveva essere albino.
«Non è meglio allontanarsi e aspettare che la mamma torni a prenderlo?» chiese.
«Credo che l’hanno abbandonato, il nido è vuoto» le spiegò ancora la bambina, spostando una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.
«Ah» guardò quel piccolo uccello bianco e spelacchiato «Bèh, allora lo porterò a casa con me!»
«Guarda che  mord…» la sua nuova amica non fece in tempo a concludere che Sianna era già stata beccata e le dita gocciolavano denso sangue argentato.
«Nessun problema» Disse sorridendo a trentadue denti. Si ripulì le mani nella veste e,  mettendole a coppa, sollevò il piccolo che si dimenava continuando a ferirla per liberarsi.
«Non ti fa male?»
«Non tanto. Vieni con me, lo portiamo dalla nonna. Lei saprà cosa fare!»
L’altra bambina, ora sorpresa, annuì.
«Io mi chiamo Kea» mormorò timidamente.
«Io Sianna Eilan, ma nessuno mi chiama così. Chiamami Sianna e basta»
Si avviarono ripercorrendo il serpeggiante sentierino che si delineava appena, pieno di buche, sassi e fango.
«Non ti avevo mai vista qui» considerò poi Sianna. «Come mai eri da sola?»
Kea era chiusa.
Camminava a testa china, con i capelli sul volto che le nascondevano il mondo, sembrava avesse paura di tutto, anche di parlare con lei. Quando sollevava il viso e la guardava in tralice però, mostrava uno sguardo vivace e intelligente.
«Non piaccio agli altri bambini» borbottò spiccia, socchiudendo gli occhi, come a sfidarla a commentare.
«Neanche io» rispose scrollando le spalle. L’uccello continuava a pigolare e punzecchiarla con quel suo becco aguzzo. «Almeno penso. Quando esco nessuno gioca mai con me. Però ho mio fratello! Te lo faccio conoscere! E anche due ragazzi che vengono a trovarmi ogni tanto. Loro sono più grandi ma giocano sempre con me!»
Kea non rispose.
Camminandole accanto Sianna si accorse di quanto Kea fosse piccola, le arrivava solo alla spalla e sembrava perfino più secca di lei, aveva solo la pelle sulle ossa.
Si ricongiunsero alla strada principale, un pantano abbastanza grande da permettere tranquillamente il passaggio  di due carri, completamente deserta. Kea si tenne sul bordo della strada, sollevando la veste per non sporcarla, Sianna invece ne approfittò per saltare nelle pozze fangose schizzando acqua sporca a raggiera intorno a sé.
«Non vieni? È molto divertente!»
La gonna navigava nell’acqua melmosa, la pelliccia era fradicia, appiccicosa e indecente.
«No grazie, non ho voglia di essere sgridata»
Sianna si accigliò e continuò a giocare proteggendo con le mani a coppa il suo piccolo ospite, innervosito dalla sua poca delicatezza. Anche lei sarebbe stata sgridata certo, ma era una consuetudine a cui ormai non badava neanche più. Sperava che, prima o poi, sua madre si sarebbe stancata di  ripetere le solite cose e le avrebbe dato una tregua.
Alla porta di Gleann Dubhar c’era una semplice guardiola e un banchetto, dove due omini su di età controllavano le entrate, le uscite e facevano pagare il pedaggio ai mercanti di passaggio. Non era un paese tanto grande, non c’erano mura di protezione  e si e no vi erano quattrocento abitanti.
Però c’erano sempre molti mercanti provenienti dal lontano nord, dall’Esperia, da Emer e dalla Regione dei Laghi, che facevano tappa a Gleann Dubhar per poter raggiungere le ricche città d’Ombra che sorgevano più a Sud, e per questo il piccolo borgo cresceva nel tempo.
I dravidi erano molto ospitali se in cambio ricevevano denaro.
«Rientri già, piccola peste?» le domandò Ailbhe richiamandola. Era un uomo quasi del tutto calvo, per questo indossava sempre una cuffia, aveva folti baffoni grigi e il volto grosso pieno di rughe. Quando sorrideva mostrava una bocca quasi del tutto priva di denti, ma era gentile e Sianna non ne provava orrore.
«Sì! Guarda cosa abbiamo trovato!» scostò appena la mano e la testa dell’uccellino spuntò immediatamente, vispa e attenta. «Non è bellissimo?»
Ailbhe aggrottò  le sopracciglia rade «Che roba è?»
«è un uccello!»
«Lascialo perdere Sianna, questo vecchio rimbambito non ci vede più ormai!» intervenne Brian, sporgendosi per poter vedere la creatura.
«Non dire sciocchezze, ci vedo benissimo!» bofonchiò il vecchio.
Brian, più giovane del compagno di almeno dieci anni, anche se altrettanto ingrigito, le fece cenno di appoggiare l’uccellino sulla superficie di legno.
Appena lo fece il piccolo ricominciò a urlare i suoi lamenti. Cercava di muoversi senza riuscirci e alla fine si sbilanciò in avanti battendo la testolina troppo grande per il resto del corpo.
«Guarda Ailbhe»
«Come posso guardare se dici che non vedo?» si lamentò ancora il vecchio a braccia incrociate facendo l’occhiolino a Sianna che rise.
«Smettila di fare il vecchio brontolone» lo apostrofò «E guarda qui»
Sianna era appesa con lo mani al bordo del banco di legno e osservava incuriosita il suo piccolo, nuovo animale. Sperava davvero tanto che sua madre le permettesse di tenerlo.
Kea si era messa in disparte, intimidita forse dai due anziani, e non aveva più detto una parola, però la stava aspettando e questo la fece sorridere.
«Piccola Sianna sei stata molto fortunata!» le disse Brian sorridendole benevolo. «Questo non è un uccellino,  è un falco.»
«Un falco?» guardò subito Kea che annuì abbassando gli occhi. Lei doveva averlo capito appena l’aveva visto. Sianna invece un falco non sapeva nemmeno come fosse.
«Certo. A tuo fratello piacerà tantissimo, mostraglielo subito quando arrivi a casa. È così piccolo che non credo sopravvivrà»
Sianna si arrabbiò e riprese il falco fra le sue manine, facendo una linguaccia al vecchio Ailbhe
«Certo che vivrà! È  il mio falco, non può morire!» gli urlò contro allontanandosi.
Kea chinò  il capo per salutare, rossa in viso, e le corse dietro mentre Brian urlava a Sianna
«Bambina testarda!»
Gleann Dubhar sorgeva sul costone della montagna e occupava tutta la vallata. Solo il centro del paese, attorno alla piazza, era costruito in pietra, mentre la case più distanti e più povere erano di legno e paglia. La strada restava fangosa per un breve tratto della discesa per poi venire sostituita da lastre di  pietra consumate dai carri.
«Non è vero che non vivrai, non ascoltare quei bruti!» ripeteva al falchetto di tanto in tanto. Aveva smesso di morderla e il suo sangue sulle mani si era seccato marcando con il suo rosso argenteo i segni della pelle morbida.
«Però è vero che è piccolo» insinuò Kea.
«Se dai ragione a quei vecchiacci non ti parlo più!» ribatté mettendo un broncio irragionevole. Sianna di credere ad una realtà che non le piacesse proprio non ci riusciva. Attraversarono la piazza a passo spedito senza più dire neanche una parola. C’erano dei bambini che giocavano a inseguire una palla di stracci, alcuni si diedero di gomito quando passarono  ma le li ignorò come era sempre stata abituata a fare.
Le botteghe non erano molto frequentate in generale, per questo poche persone erano nei paraggi quel giorno, a parte alcuni anziani che stavano seduti su seggiole scomode fuori dalla porta di casa parlando fitto fra loro. Solo nel giorno del mercato settimanale la piazza si riempiva e la gente fluiva anche dai paesi e dai villaggi vicini per comprare tutto il necessario. Quando era annoiata e non poteva uscire perché il cielo già  imbruniva, Sianna spesso andava nella bottega del vasaio, per guardare Fèilim lavorare la creta e sua moglie Beirnís, una donna grande almeno il doppio del marito ma con mani estremamente delicate, decorare le creazioni dell’uomo.
Inizialmente aveva dato non poco fastidio e sua madre più volte si era dovuta presentare nella bottega per trascinarla a casa per un orecchio. Alla fine però la coppia si era abituata alla sua presenza discreta. Ora che Beirnìs era incinta poi si era tremendamente addolcita e a volte le permetteva di pasticciare con i colori che usava per dipingere la creta, causando il disappunto del marito.
Oppure andava dal fornaio, Matha, e continuava a girargli attorno finchè lui, esasperato, pur di levarsela di torno, non le cedeva una di quelle frittelle che faceva solo nei giorni precedenti al grande mercato e per cui lei andava matta. Allora correva dal fratello e la divideva con lui.
«Sei arrabbiata con me?»
Scosse la testolina bionda e spettinata «Certo che no. Stavo solo pensando che ho fame!»
Kea sospirò sollevata e le sorrise.
Costeggiarono un muro di pietra fino ad un arco aperto in cui Sianna s’infilò. Kea si bloccò all’ingresso.
«Cosa aspetti?» Le chiese Sianna confusa. La sua nuova amica era sbiancata
«Vivi qui?»
Sempre confusa Sianna annuì «Non va bene?»
«No è che… quella è casa mia» indicò la casa accanto alla sua, molto più piccola e modesta, e Sianna scoppiò a ridere «è fantastico! Allora possiamo vederci tutti i giorni! Devo dirlo a Ynyr!»
Sianna attraversò il piccolo cortile pieno di cespugli raggrinziti dal freddo e spalancò la porta di casa, entrando come un piccolo uragano nel salotto.
«Sianna Eilan!»
S’irrigidì immediatamente e Kea le sussurrò all’orecchio «Avevi detto che nessuno ti chiamava così» 
«Solo  mia mamma quando è…»
«Sono furiosa!»
Marilien spuntò dalla cucina con le mani sporche di pastella sui fianchi e il volto pieno di riprovazione.
«Si può sapere che fine avevi fatto? Tuo fratello è rientrato da più di un’ora ormai e di te non c’era la minima traccia!»
Le guardò l’abito e divenne di cera «Come devo dirtelo che con quei vestiti non puoi giocare nel fango? Guarda come l’hai conciato, è rovinato! Non puoi essere un po’ più responsabile? Io proprio non…»
Marilien s’interruppe, e guardò la sua amica nascosta dietro di lei.
«E lei chi è?»
«Lei è Kea, è la nostra vicina» spiegò Sianna raggiante, per nulla turbata dalla sfuriata appena ricevuta, al contrario di Kea che si era letteralmente affrancata alla sua manica e più di tutto avrebbe desiderato scappare in quel momento.
«Che ha combinato la bambina stavolta?» Korakas, l’anziana che Sianna chiamava nonna, scese le scale scricchiolanti aggrappandosi al corrimano. Non  era davvero sua nonna, solo la sacerdotessa di un villaggio dravida del nord che peregrinava per tutte le terre d’Ombra e ogni due o tre mesi si presentava alla loro porta, accompagnata sempre da Hanry e Daniel, i due ragazzi che erano i più cari amici di Sianna.
«Niente che non faccia tutti i giorni» sospirò sua madre, sollevando gli occhi al cielo. «Fa’ almeno accomodare la tua amica»
«Certo! Nonna vieni, devo farti vedere una cosa!»
Il salotto era composto da due poltrone e un divanetto attorno a un tavolino di legno, davanti al camino acceso. Sopra il camino, appeso alla parete di pietra, stava un quadro. Sianna era stata in molte case, ma nessuno aveva un quadro e questo la rendeva molto orgogliosa. Si sedette a terra, sul tappeto, e liberò il falco, mettendolo sul tavolo. Anche Kea prese posto accanto a lei, ma non guardava l’uccellino, piuttosto continuava a studiare l’ambiente, travolta dalla meraviglia.
Korakas si avvicinò
«Per tutti i Serafini! Dove l’hai trovato?»
Per la prima volta Sianna parve a disagio.
«ehm, ecco…»
Marilien, le braccia conserte sotto il seno, fissò subito gli occhi su Kea, l’anello debole del duo.
«Nel bosco» disse la bambina nascondendosi dietro alla tenda di  capelli neri.
Sianna le tirò una piccola gomitata di protesta, ma ormai era troppo tardi.
«Nel bosco, eh?» sua madre alzò un sopracciglio e si limitò a dirle, con voce gelida «Ne parliamo dopo con calma»
«Non dovevi dirglielo» si lamentò con l’amica a bassa voce, arrabbiata.
«E cosa dovevo dirle?»
«è molto piccolo Sianna. Non so se sopravvivrà» considerò Korakas, che intanto aveva studiato il falco attentamente. «è un falco pellegrino, deve avere almeno tre settimane, ma è debole»
«Tanto di meglio. Non lo voglio quest’uccellaccio in casa mia» borbottò Marilien
«Ma io voglio tenerlo!» protestò Sianna, rimettendo le mani a coppa attorno al falco come se potesse proteggerlo dalla collera di sua madre.
«Anch’io voglio tenerlo»
Alzò di scatto la testa per cercare il bambino che aveva parlato. Ynyr era uscito dalla cucina con un biscotto di frolla in bocca e la sua perenne aria annoiata. Un sorriso le uscì spontaneo e anche Korakas annuì per tranquillizzarla, perché Marilien a Ynyr proprio non sapeva dire di no.
«Tesoro guardalo. Non può sopravvivere»
Sua madre tentò subito la strada conciliante per non indisporre suo fratello, ma Ynyr scosse la testa.
«Korakas lo sa di sicuro, come nutrirlo. Sianna non lo farà morire»
«è vero! Mi prenderò io cura di lui!»
L’anziana signora dai lunghi capelli argentati si lasciò andare ad una roca risata
«Direi che sei sconfitta, Marilien»
Sua madre fece scorrere gli occhi verdi da suo fratello a lei, poi sospirò e si batté il grembiule bianco esasperata, sollevando una nuvoletta di farina.
«Fate come volete, ma se muore non venite a piangere da me» si scostò la treccia rossa dalla spalla e rientrò in cucina borbottando.
«Sianna cambiati e non osare sederti da nessuna parte finchè non sarai pulita!» urlò dall’altra stanza proprio mentre lei si era alzata per mettersi più comoda sulla poltrona. Con un sospiro rassegnato si lasciò nuovamente cadere sul tappeto.
«Pensavo si sarebbe arrabbiata di più» mormorò poi, guardando Kea con un sorriso «Però se ci sei tu non si arrabbia così tanto!»
«Stupida sorella» le disse Ynyr.
Il fratello si accomodò su una poltrona e si gettò in bocca un altro biscotto. «Aspetta che lei vada via e poi la mamma ricomincerà»
Sianna gli fece una linguaccia «Antipatico. Sei davvero insopportabile! Si può sapere dov’eri finito? Dovevi essere nel bosco a cercarmi e invece  sei qui! Magari ti stavo ancora aspettando!»
La nonna guardava Ynyr come lei, vagamente divertita.
«Ti lamenti  sempre che ti trovo subito. Mi annoi. Così ho deciso di venire a casa a mangiare perché avevo fame e dopo di venire a cercarti» disse semplicemente prima di inghiottire l’ultimo biscotto.
Sianna diventò rossa per la rabbia.
Questa volta si era davvero illusa di averlo giocato, e invece era rimasta beffata ancora.
Kea invece, inaspettatamente,  si mise a ridere di gusto, umiliandola di più.
«Sei davvero cattivo! Tu il mio falco non lo tocchi!»
Ynyr alzò le spalle, incurante «Come vuoi tu»
Balzò giù dalla poltrona e uscì di casa senza darle alcuna soddisfazione.
«Saccente nanerottolo» sibilò lei a denti  stretti.
«E tu come fai a sapere cosa significa “saccente”?» la interpellò Korakas.
Arrossì di nuovo «Non lo so» balbettò in imbarazzo «Però me lo dice sempre Ailbhe»
Korakas rise «In effetti quel vecchio brontolone ha proprio ragione, sei una piccola saccente Sianna!»
«Anche lui lo è» fece notare Kea aprendo bocca per la prima volta. Con quelle semplici quattro parole si conquistò irrimediabilmente la simpatia di Sianna che le saltò al collo e la strinse a sé come fosse un animale di pezza.
«Lo sapevo, lo sapevo! Tu sarai la mia migliore amica!»
Il piccolo falco, sul tavolo, pigolò la sua approvazione, almeno questo era ciò di cui Sianna fu convinta.
Era il suo falco d’altronde, era naturalmente portato a darle ragione.
«Come lo chiami?» domandò Kea, sgusciando dalla sua stretta, rossa in viso  per la vergogna e con  lo sguardo basso sul tappeto.
«Non dargli un nome, non sappiamo se vivrà. Se ti affezioni troppo ci rimarrai male» la redarguì nuovamente Korakas.
Sianna gonfiò una guancia, infastidita, e si chinò sul piccolo uccellino spiumato e buffo con gli occhietti tutti raggrinziti «è bianco» valutò semplicemente «lo chiamerò Gael»
La nonna ridacchiò sommessamente «Non è proprio così Sianna»
«Perché?»
Sollevò gli occhi sull’anziana, perplessa, come alla ricerca di approvazione, ma il suo sguardo si posò solo sulla sala, completamente vuota.
«Korakas? Kea?»
Una fitta di panico, nell’esatto istante in cui realizzò che era da sola, non c’era nessuno. Anche Gael era sparito, e un leggero strato d’impalpabile fumo grigio si stava lentamente diffondendo nella stanza.
«Gael! Kea! Ynyr! Dove  siete?»
Le mani, le sue mani, non erano più coperte di sangue, ma erano d’improvviso grandi, mani da adulta.
«Sianna!»
Si alzò di scattò e corse alla finestra, spalancando l’imposta accostata. La luce improvvisa l’accecò, insieme ad una vampata di calore che quasi le bruciò  il volto e le fece lacrimare gli occhi.
Il rosso dominava l’oscurità e le urla di puro terrore riempivano il silenzio della casa.
«Sianna!»
Non riusciva a  muoversi, era bloccata, affrancata allo stipite di legno. Il panico l’aveva inchiodata al pavimento e ogni istinto l’aveva abbandonata. Quello era un bel ricordo, il suo primo ricordo con la sua migliore amica, e nel suo ricordo non c’erano  fiamme, non c’era paura.
«Sianna maledizione!»
La voce d’Ynyr, la sua mano che le afferrava bruscamente il braccio all’altezza del gomito e la costringeva a voltarsi e la tirava a sé «perché non  rispondevi? Stupida ero preoccupato da morire! Stai bene vero?» le prese il viso fra le mani e Sianna ritrovò negli  occhi del fratello, lo specchio dei suoi stessi  occhi, un briciolo di razionalità.
Le mani le tremavano mentre a sua volta si aggrappava alle dita magre e nervose del fratello, serrate intorno al suo viso, e annuiva, gli occhi grandi spalancati dal terrore e dalla confusione.
Ynyr era più lucido di lei, le afferrò saldamente il polso e la trascinò con sé.
Spalancò la porta e corse fuori casa con Sianna al seguito. Il calore che le aveva infiammato le guancie si moltiplicò, le parve quasi di essere entrata in una fornace, il sudore le entrava negli occhi e le annebbiava la vista. Le urla la intontivano, le persone la urtavano, suo fratello correva, la presa ferrea sul suo polso le bloccava la circolazione.
«Resta presente Sianna! Sianna! Non svenire, non lasciare la mia mano!»
Un urlo
«Sianna!»
 



SPAZIO AUTRICE

Buongiorno!
Niente, finalmente ho introdotto la protagonista della storia, e.. nulla, spero vi piaccia! Tengo a questa storia infinitamente, quindi dateci un occhio anche se è lunga e ditemi seriamente cosa ne pensate! è il mio lavoro di una vita (sembra esagerato e invece non lo è. Sono sette anni che lavoro a questo maledetto intreccio, a volte credo di averlo intrecciato troppo) e mi piacerebbe capire se potrebbe mai essere qualcosa di più di una storiella abbandonata in un computer quindi... sparate a zero, senza pietà! Ma non siate indifferenti, per favore! =)

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