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Autore: ___Ace    03/01/2015    3 recensioni
Nella Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso del 1789, ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani della monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto divino. I cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai lamentarsi e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie. L'avversione dei sudditi francesi non aveva fatto altro che crescere e inasprirsi di giorno in giorno.
C'era, però, qualcuno pronto a combattere: un gruppo di persone che agivano nell'ombra e che lottavano per i loro ideali di giustizia ed uguaglianza. C'erano i Rivoluzionari, desiderosi di cambiare le cose e di liberare la Francia una volta per tutte.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ace/Marco, Ciurma di Barbabianca, Rivoluzionari, Sabo/Koala, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Liberté, Égalité, Fraternité.
Deux.

 

Ace dormì della grossa fino al mattino seguente, quando si svegliò di soprassalto in un letto che realizzò non essere il suo e in una stanza che non apparteneva ad un’ala precisa della sua abitazione in città. Ad essere sinceri, non aveva nemmeno le pareti. Al loro posto c’era della stoffa spessa e il ragazzo intuì che doveva trattarsi di una specie di tenda improvvisata. All’interno pochi oggetti occupavano lo spazio, non vi erano armi e la brandina sulla quale si trovava scricchiolava in modo precario. Non che quell’aspetto lo avesse disturbato la notte, lui se doveva dormire lo faceva tranquillamente ovunque, anche con la testa nel piatto.
In ogni caso, decise che non aveva affatto tempo da perdere nel capire dove si trovava e, memore dei tragici avvenimenti del giorno precedente, scattò in piedi, venendo però colto da un violento capogiro che lo costrinse con un lamento a rimettersi seduto e a stringersi il capo con le mani per fermare il forte senso di nausea.
La testa gli faceva dannatamente male e dietro la nuca sentiva chiaramente la presenza di un bernoccolo. Provò a ricordare quello che gli era successo, ma tutto si faceva buio non appena tentava di riportare alla memoria quella ferita.
-Si sarà svegliato?- sentì una voce fuori dalla tenda, mentre due ombre si piazzavano al di fuori di essa.
-Ne dubito, Marco l’ha colpito forte.-
Ace inarcò un sopracciglio pensieroso, ma non ebbe modo di riflettere oltre perché le due figure entrarono in quello spiazzo continuando a chiacchierare e zittendosi stupiti quando lo videro seduto sul letto con la testa tra le mani, pallido come un lenzuolo, intento a fissarli spaesato.
-Oh…- fece quello che doveva chiamarsi Thatch, preso alla sprovvista. –Beh, mi correggo: è sveglio.-
L’uomo accanto a lui, uno strano ragazzo con dei lunghi capelli neri legati in una coda e smilzo, annuì automaticamente, osservando con curiosità il nuovo arrivato di cui tutti avevano parlato per l’intera notte.
-Mi sembra messo meglio dell’altro.- notò.
-Puoi dirlo forte.- rispose il castano.
Ace, a quelle parole, capì che si stavano per forza riferendo a Sabo, così i suoi occhi saettarono su di loro, inchiodandoli sul posto. –Lui dov’è? Come sta?- domandò categorico, pretendendo una spiegazione che, però, non arrivò.
Thatch si divertì molto, muovendosi per andare a tirare su di peso Ace, il quale non mancò di opporre resistenza. -Ma dai, non fare il difficile.- scherzò, acchiappando il moccioso con uno slancio e caricandoselo in spalla. –Non abbiamo tempo, il babbo ti vuole vedere.-
-Mettimi subito giù! Dov’è Sabo? Devo andare da lui!- sbraitò il ragazzo, dimenandosi per poter sfuggire a quella presa che si fece ferrea attorno alla sua schiena, incastrandolo e obbligandolo a lasciarsi trasportare per quello che doveva sicuramente essere un accampamento sotto gli occhi sgranati di un numeroso gruppo di persone che non aveva mai visto prima. E quelli da dove sbucavano fuori?
-Ci andrai una volta che il capo avrà finito con te.- gli rese noto Thatch, sorridendo entusiasta all’idea di presentare quel tipetto al vecchio. Di sicuro gli sarebbe piaciuto dato il modo di fare poco accondiscendente.
L’accampamento si rivelò più grande di quello che Ace si era immaginato. Era ben nascosto, situato in un particolare punto verdeggiante e coperto da alti alberi e fitte sterpaglie. Le stoffe delle tende, inoltre, erano tutte tinte di varie tonalità di verde, in modo da non destare sospetti a distanza. Alcune, addirittura, erano state piazzate in cima agli alberi e molti stranieri ci si arrampicavano senza sforzo o saltavano a terra con acrobazie di vario genere.
Ace non sapeva davvero cosa pensare. Gli veniva quasi da scambiarli per barbari o nomadi, ma ormai vivevano in un mondo civilizzato, non nel medioevo!
Non si accorse che la passeggiata in mezzo al bosco era finita fino a quando non venne scaraventato a terra con poca grazia, battendo il sedere e imprecando sonoramente contro Thatch, il quale si fece una bella risata battendogli una mano sulla spalla con fare amichevole.
Ace si rialzò velocemente, fulminandolo furente e pronto ad insultarlo. –Tu sei veramente…-
Una risata cavernosa gli fece morire le parole in bocca e si ritrovò costretto a voltarsi per vedere chi aveva la faccia tosta da ridere di lui, oltre che al resto di quella compagnia davanti alla quale era stato ridicolizzato abbastanza.
Il suo malumore scemò non appena si ritrovò di fronte un uomo tanto alto quanto largo, nonché imponente. Se non fosse stato per i capelli bianchi e per i baffi, Ace non avrebbe mai detto che quell’uomo fosse vecchio. Era vestito di tutto punto, con una lunga giacca in pelle marrone, una bandana nera che scendeva sulla fronte, degli stivali enormi che avrebbero potuto schiacciare un essere umano, guanti pesanti e rivoltella alla cintola. Sembrava uno dei pirati delle storie che gli avevano spesso raccontato quando era piccolo e viveva sotto la custodia di Madame Dadan.
-Che ragazzetto impertinente.- vociò l’omone, facendo gelare il sangue nelle vene di Ace che, però, non lo diede a vedere e si riscosse abbastanza in fretta da non fare la figura della femminuccia terrorizzata. Così si schiarì la voce e si preparò a fronteggiare quell’individuo a testa alta, sfrontato come sempre. –E tu chi saresti, vecchio?-
Attorno a lui cadde il silenzio ed ebbe come la sensazione di aver osato troppo, ma ormai ci era dentro fino al collo in quel pasticcio, per cui tanto valeva fingere di essere sicuro di sé e andare avanti. Le gambe, poi, non gli tremavano affatto.
Dopo qualche attimo durante il quale nessuno osò fiatare, il gigante di fronte a lui scoppiò nuovamente in una fragorosa risata, seguito a ruota nello stesso istante da Thatch, il quale non perse tempo ad affiancare Ace, passandogli un braccio attorno alle spalle e stringendolo a sé con confidenza.
-Sei una costante sorpresa, lo sai, ragazzino?- gli rese noto, scompigliandogli i capelli e non obbiettando quando Ace si tolse di dosso le sue mani con stizza, risultando ancora più buffo.
-Adorabile.- disse invece il ragazzo con i capelli lunghi dietro di loro in compagnia di altre persone che si erano avvicinate per guardare meglio la scena.
Da quando quel moccioso era arrivato all’accampamento il mezzogiorno precedente, tutti non avevano fatto altro che curiosare e fare domande sul suo conto, oltre che sulle condizioni dell’altro ferito che era stato affidato alle cure di Koala e di altri due aspiranti medici.
Ace non ci stava capendo nulla. Il vecchio rideva, l’idiota col parrucchino rideva, il resto dei presenti rideva, insomma, lui non sapeva cosa doveva fare per farli stare zitti e farsi portare da Sabo.
Già era nervoso per quella situazione, ma il suo stato d’animo non migliorò quando, mentre si guardava attorno con l’aria di chi crede di trovarsi in mezzo a dei pazzi, si accorse per caso della presenza di quel tale, Marco, con cui aveva avuto a che fare la mattina precedente. Lo stava guardando con una faccia niente affatto amichevole, ma ad Ace importò poco e non associò la sua immagine al suo salvatore, per niente, perché nella sua testa il biondo era stato nominato come la causa del suo malessere. Che fosse in debito con lui per essere ancora vivo, poi, era un dettaglio che poteva passare in secondo piano.
-Tu.- sussurrò, puntandogli un dito contro e attirando l’attenzione di Thatch e del vecchio. –Bâtard!-
Un coro di ‘Oooh’ si alzò alle sue spalle, ma lo ignorò bellamente, avanzando di un passo verso la sua preda con fare minaccioso.
-Sai, Izou, credo che lo abbia chiamato bastardo.-
Non si curò nemmeno della gomitata che il castano diede alle costole del suo amico, sussurrandogli poi che avrebbero assistito ad una rissa con i fiocchi.
Marco non sembrò per niente colpito e uscì dalla penombra, piazzandosi affianco del vecchio per rivolgergli uno sguardo di sufficienza. –Che vuoi?- domandò annoiato.
-Non avresti dovuto colpirmi!- sbottò il ragazzo, desideroso di prendere a pugni quella faccia da schiaffi. La cosa che detestava di più al mondo era venire ignorato e quel tizio lo stava trattando come se non valesse un soldo bucato!
Marco fece spallucce. –Se non avessi smesso di frignare a quest’ora il tuo amico non sarebbe vivo.- spiegò pacato, zittendo Ace e lasciandolo senza parole e senza alcun argomento con cui ribattere. Proprio come il giorno prima lo aveva freddato con una frase, esattamente come un moccioso ignorante.
Strinse i pugni. Gli avrebbe volentieri dato una lezione, ma aveva appena realizzato che Sabo era sopravvissuto. Doveva concentrarsi su di lui, quindi, il resto non era importante.
-Posso vederlo ora?- chiese mestamente, abbassando il capo e guardando altrove, fremendo per la risposta.
Fu il vecchio ad acconsentire a quella sua richiesta, intenerito dalla preoccupazione crescente che si leggeva sul volto del giovane e spaesato figliolo, ordinando a Thatch di accompagnarlo alla tenda dove riposava il suo amico, con la promessa che in seguito avrebbero parlato di affari.
Ace lo ascoltò, ma non lo ringraziò e non promise di tornare. Come aveva precisato: nulla aveva importanza in quel frangente e Sabo aveva la priorità assoluta.
 
*
 
A differenza di quello che stava pensando Ace, Sabo se la stava passando benissimo.
Aveva avuto gli incubi per tutta la notte e si era svegliato più volte grondante di sudore e bollente come un camino acceso in preda agli spasmi, ricadendo continuamente in uno stato di incoscienza fino all’alba, quando aveva aperto gli occhi con calma e senza movimenti bruschi. Si era riscoperto pieno di bende e sotterrato da cumuli di coperte. Stranamente, non si sentiva del tutto al caldo, ma doveva essere una conseguenza della febbre. Sicuramente si era beccato una bronchite visto che la tosse lo aveva tartassato anche nel sonno.
A parte la stanchezza, la sonnolenza, il freddo, l’influenza e il dolore lancinante al fianco, stava alla grande.
O almeno, era quello che voleva far credere a tutti i costi.
-Avanti, devo disinfettare la ferita.-
Insomma, mica poteva farsi vedere debole davanti ad una ragazza così gentile e, si, tutto sommato anche carina, ecco. Non bella, lui non aveva tempo per pensare certe cose e la sua vicinanza non gli faceva assolutamente nessuno tipo di effetto, ma doveva per forza ammettere che non era nemmeno così brutta. E comunque, quei capelli ramati e quegli occhi azzurri e pieni di bontà non lo avevano affatto colpito, figuriamoci.
Non voleva sembrare un moribondo e da un pezzo stava cercando di convincerla che si sentiva benissimo e che avrebbe anche potuto alzarsi per dimostrarglielo, ma lei non ci cascava. Lo ascoltava, lo guardava con un misto di divertimento ed esasperazione e, infine, sorrideva e ritornava all’attacco con bende e vasetti di poltiglie maleodoranti, chiedendogli gentilmente di scostare le coperte per medicarlo.
-Ti ripeto che non serve. Guardami,- colpo di tosse, -Sono in splendida forma!-
La ragazza sospirò, poggiando sul tavolino accanto al letto garze e medicine per poi tornare ad osservare il ragazzo che da quella mattina stava facendo i capricci. Non riusciva a capire se era in imbarazzo o se semplicemente avesse paura dei dottori.
-Ascolta,- iniziò per la millesima volta con pazienza, -Sei vivo per miracolo. Lascia almeno che controlli se i punti sono puliti.- lo pregò, allungando un braccio verso il suo busto, ma non arrivò mai a destinazione, venendo bloccata dalla mano del ragazzo che la afferrò per un polso, alzando un poco la schiena per avvicinarsi al suo viso.
-Non è necessario.- le disse ammiccando, sperando di riuscire a farla desistere usando come carta vincente quel po’ di quel fascino che credeva di avere, e che, oltretutto, aveva davvero, peccato che davanti a lui non ci fosse una di quelle ragazze qualunque del locale di Dadan che svenivano ogni volta che lui passava e che lo veneravano solo perché era un Rivoluzionario.
Infatti lei rimase impassibile, scoppiando a ridere e lasciandolo di stucco quando gli poggiò una mano sulla fronte per rispedirlo sdraiato sul letto con un movimento deciso. –Con me non funziona, Sabo.- lo informò sorridente.
-Oh, andiamo Koala, non mi servono cure!- si lamentò quello, dando sfogo alle sue lamentele. Le aveva permesso di imbottirlo di sostanze schifose e brodaglie per l’intera notte, a tutto c’era un limite però!
-Smettila e fatti curare.- lo riprese bonariamente, evitando una manata in viso e ignorando la serie di lamenti, scongiure e isterismi, riuscendo a strappargli via le coperte di lana e lasciandolo allo scoperto con addosso solo i pantaloni e i bendaggi.
-Fa freddo!- strillò allora il ragazzo, cercando di coprirsi.
Koala alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se aveva a che fare con un adulto o con un bambino, e, afferrate le bende e il disinfettante, un estratto di erbe, si sedette sul bordo del letto con l’intento di controllare la ferita.
-Forza, mettiti seduto e appoggia la schiena sui cuscini.- gli disse, sospirando sollevata quando lui obbedì imbronciandosi. Finalmente era riuscita a spuntarla dopo ore di tentativi andati in fumo.
Sciolse i bendaggi attorno al costato con precisione, concentrata sul suo lavoro, o meglio, lo sarebbe stata se Sabo non l’avesse fissata in quel modo così insistente.
-Lo faccio per il tuo bene.- si sentì in obbligo di spiegare, sperando che spostasse l’attenzione altrove. Ovunque, tranne che addosso a lei. Non le piaceva quando la gente la studiava in quel modo, la metteva in soggezione e la faceva sentire insicura e, a volte, inadeguata.
Sabo sbatté le palpebre e si riscosse dai suoi pensieri, scrollando il capo. –Lo so, l’ho capito.- chiarì.
Pensavo ad altro, realizzò nella sua mente, ma non lo disse alla ragazza. Non ce n’era bisogno di rivelarle che il colore dei suoi capelli gli piaceva perché era solo un ragionamento senza senso.
Rimasero in silenzio e Koala poté medicare i punti e cambiare le bende, evitando così infezioni che avrebbero peggiorato le condizioni del ragazzo. Doveva solo attendere che gli passasse anche la bronchite che aveva preso per colpa dell’acqua gelida e sarebbe tornato come nuovo nel giro di qualche settimana, se tutto andava bene.
Gli stava applicando la stoffa sterilizzata e pulita attorno al fianco, bisticciando con lui per farlo stare fermo, quando entrò qualcuno nella tenda senza preavviso.
-E io che credevo che te la stessi passando male.- constatò una voce leggermente canzonatoria, ma sollevata.
Koala arrossì per il significato della frase e si allontanò come scottata, esattamente come fece Sabo, sbattendo la testa nella testiera del letto per la velocità del movimento.
-Cazzo, che botta!- sussurrò, massaggiandosi la nuca e sentendosi stringere in una morsa l’attimo dopo. Strinse i denti per non gemere di dolore. Era ancora un po’ acciaccato, ma non avrebbe mai rinunciato all’abbraccio fraterno di Ace che, fino a poche ore prima, aveva creduto di averlo perso per sempre.
-Mi hai fatto prendere un colpo, brutto idiota.- lo riprese il corvino, non accennando a volersi staccare da lui.
-Beh, qualcuno doveva pur levarti dai guai.- ironizzò Sabo, tossendo quasi soffocato e facendo si che Ace si rendesse conto di stare stringendo troppo la presa delle braccia attorno al suo collo.
-Lo sai che mi posso difendere da solo.- gli ricordò, lasciandolo libero di respirare e sedendosi a gambe incrociate accanto a lui, felice di saperlo fuori pericolo. Perché, insomma, se stava seduto e chiacchierava voleva dire che non stava per morire.
Una risatina sarcastica fece si che Ace scoccasse un’occhiataccia verso Thatch, il quale non era del tutto convinto che il mocciosetto fosse così forte, ma stette ben attento a non fare commenti, alzando le mani in segno di pace.
-Allora, come ti senti?-
-Magnificamente!- mentì Sabo, cogliendo al volo l’occasione per poter mettere fine a quella tortura. Non era fatto per stare fermo e voleva ottenere il permesso di potersi alzare il prima possibile. Peccato che non tutti erano d’accordo con lui.
Koala, infatti, ad un’occhiata interrogativa di Thatch scosse il capo, rispondendo per le rime allo sguardo contrariato del biondo con una smorfia per chiudere la questione.
-Come sta davvero?- domandò allora Ace, dopo aver assistito a quello scambio di occhiate contrastanti. Anche se non la conosceva, la ragazza sembrava quella di cui ci si potesse fidare di più in quell’accampamento. E poi Sabo era vivo, doveva pur contare qualcosa quell’aspetto.
Lei fu sincera, ignorando lo sguardo supplichevole del biondo che la pregava di mentire per lui, inutilmente. –Ha superato la notte e la ferita è stata richiusa, ma ha preso la bronchite e avrà bisogno di tempo per riprendersi. Se la tosse peggiora e si trasforma in colera non so quante possibilità avrà.-
Le dispiaceva doverlo dire, ma era la verità e non voleva di certo che quel ragazzo morisse, non dopo che aveva faticato tanto per salvarlo e ricucirlo. Sarebbe stato tutto inutile, allora.
Ace scoccò un’occhiataccia a Sabo, il quale sfoggiò un’espressione angelica ed innocente, cosa che gli riusciva perfettamente di solito, solo che quella volta non incantò nessuno.
Che diavolo, cosa è preso a tutti oggi? Non mi ascoltano più, pensò irritato, mentre suo fratello iniziava a fargli la paternale.
-Appena torniamo a casa non uscirai per un mese!- stava dicendo Ace.
-Te lo puoi scordare! C’è in ballo una Rivoluzione, l’hai dimenticato?-
-Non se ne andrà da qui fino a che non sarà guarito del tutto.- decretò Koala alle loro spalle, interrompendo il battibecco e fissandoli seria in volto.
-Scusami?- chiese a quel punto Sabo, anche lui senza traccia di scherzo nella voce. Koala era stata gentilissima, fantastica fin da subito. Gli aveva tenuto compagnia e si era presa cura di lui tutta la notte, sopportando le sue chiacchiere per l’intera mattinata e dandogli anche qualcosa di caldo da mangiare. Gli era simpatica, ci andava stranamente d’accordo e avevano anche fatto amicizia; insomma, non era male, ma lui era un Rivoluzionario e aveva una città da difendere. Non poteva perdere tempo a rimettersi in forze ed era pronto a dimenticare la sua gentilezza se fosse stato necessario a ritornare a casa.
Koala sembrò capirlo, ma non era una stupida e il suo lavoro lo faceva con professionalità. Se avesse permesso a Sabo di andarsene, sapeva che non avrebbe resistito a lungo. La sua condizione era ancora troppo instabile e poteva esserci una ricaduta.
Così prese un respiro profondo e, spalleggiata da Thatch accanto a lei, ripeté la sua diagnosi. –Non hai il permesso di uscire di qui, non finché non ti sarai rimesso.-
Sabo la fissò in silenzio per qualche istante, i muscoli delle braccia tesi e l’espressione impenetrabile. Non sembrava affatto il ragazzo solare che era stato fino a qualche minuto prima, ma Koala avrebbe dovuto immaginarlo. Dopotutto, era un combattente.
-Ace,- disse ad un tratto, -Aiutami ad alzarmi. Ce ne andiamo. Ora.- scandì con precisione.
La sorpresa più grande venne proprio dal suo amico, il quale aveva miracolosamente capito la gravità della situazione. Così, dopo avergli rivolto uno sguardo di scuse, gli mise una mano sul petto per fermare la sua avanzata. –Sabo, credo che dovresti ascoltarla.- affermò pacato, mentre l’altro strabuzzava gli occhi e gli domandava se era per caso diventato matto.
-Gli altri ci staranno aspettando!- ringhiò arrabbiato, -Non sanno dove siamo! E Rufy? A lui non pensi?-
In quel momento, Ace strinse i denti e si trattenne dal prendere a pugni l’amico, irrigidendo la postura e facendo capire a Sabo di aver esagerato. Ovvio che pensava a Rufy, non aveva mai smesso di farlo da quando si era svegliato e aveva già deciso che sarebbe andato a liberarlo il prima possibile e con tutto l’aiuto di cui disponeva. Ma non poteva farlo in quelle condizioni, con Sabo allo stremo e sperduti in mezzo alle paludi in compagnia di gente sconosciuta. Doveva prima capire come allontanarsi da lì, con lui in salute e fuori pericolo, si intendeva.
-Ace,- riprovò il biondo con più calma, -Sto bene.-
Il moro sospirò, prendendosi la testa fra le mani e pensando ad una soluzione soddisfacente. Un lampo di genio lo colse inaspettatamente per sua fortuna.
-Andrò a chiamare Trafalgar.- decretò sorridente, -Lo farò venire a visitarti e sentiremo anche il suo parere, così potrai…-
-Non credo che te lo lasceremo fare, ragazzino.- lo informò una voce allegra alle sue spalle. I due si voltarono a fulminare Thatch con gli occhi, il quale sfoggiò un sorriso per niente intimorito e si spiegò meglio. –Già è un problema che sappiate del nostro nascondiglio, figuriamoci se vi permetteremo di andarlo a sbandierare in giro. Anzi,- aggiunse poi, assumendo un’aria che voleva essere pericolosa e minacciosa, -Potremo anche decidere di uccidervi.-
Koala roteò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e ripetendosi che quel ragazzo era senza speranza, mentre Sabo ed Ace si guardarono scettici. Non ci era voluto molto per capire che non rischiavano affatto la vita; dopotutto, anche se erano degli intrusi, quelle persone si erano comunque adoperate per salvare la vita ad entrambi.
Fu Ace a spezzare quel silenzio imbarazzante. –Bene, allora io vado.- dichiarò tranquillo, rivolgendosi poi solo a Sabo. –Tornerò prima di sera con Law, va bene? Tu cerca di fare quello che ti dice la ragazza.-
Sabo mise il broncio e borbottò qualcosa infastidito, ma alla fine acconsentì e lo lasciò andare, affondando sotto le coperte una volta che tutti furono usciti, deciso ad addormentarsi, o a fare finta di dormire, per ignorare Koala.
Voleva farla sentire in colpa, ma aveva sbagliato i suoi calcoli. Per lei, coloro che si comportavano in quel modo, non erano altro che dei bambini, perciò, nonostante tutta la sua bontà, lo lasciò a cuocere nel suo brodo e uscì dalla tenda. Si sarebbe data una ripulita e avrebbe fatto due passi per rilassarsi.
Certo che i francesi erano proprio testardi.
 
*
 
-Frena, ragazzino, dove pensi di scappare?- fece Thatch, afferrando Ace per la collottola e facendogli cambiare direzione, spingendolo verso l’interno dell’accampamento per riportarlo dal babbo.
-Oh, e lasciami! Lo so che non mi ucciderai.- si lamentò quello, dimenandosi per togliersi di dosso quel piantagrane. Peccato che il castano, oltre ad essere più grande, fosse anche il doppio di lui, così ogni suo tentativo di liberarsi fu vano.
-Potrei cambiare idea.- scherzò Thatch, ammiccando nella sua direzione. Quel mocciosetto lo divertiva parecchio: era simpatico e sveglio, forse un po’ pestifero e svampito, con l’aria di un disperato, e anche un po’ poveraccio, ma erano tutti dettagli! Sembrava in gamba e aveva un caratterino davvero interessante, inoltre aveva dato del bastardo a suo fratello Marco, quindi aveva per forza la sua simpatia e quella di metà della famiglia. Era a buon punto, di certo non sarebbe morto stecchito in quel campo.
Arrivarono dal babbo con un sottofondo di imprecazioni, bestemmie e minacce fatte a vuoto e solo quando gli furono di fronte Thatch si permise di spintonarlo in avanti, finendo per far cadere il più piccolo a terra per la seconda volta in quel giorno. Forse stava esagerando, doveva darsi una controllata.
Ace non mancò di incendiarlo con lo sguardo prima che il vecchio, trattenendo una risata, si decidesse ad attirare l’attenzione di tutti su di lui.
-Allora, qual è il tuo nome?- lo interrogò.
-Non sono affari tuoi.- gli venne risposto.
-Si chiama Ace.-
-Spione.-
-Piantatela di fare i bambini voi due.- li sgridò Marco, il quale stava raggiungendo il limite della pazienza. Non bastava Thatch che si comportava da deficiente ogni santo giorno, doveva pure capitargli uno che gli tenesse testa e che lo incitasse a dare il peggio di sé.
Il vecchio rise sommessamente, riprendendo poi da dove aveva interrotto e tirando in ballo un argomento piuttosto delicato. –Dimmi, Ace, tu da che parte stai?-
A quella domanda, il ragazzo drizzò le orecchie e si mise sull’attenti. Aveva capito che l’uomo si stava riferendo alle due fazioni che dividevano Parigi in quel periodo e che si facevano la guerra per le strade, perciò decise di essere serio per quella volta.
-Sto con i Rivoluzionari.- rispose fiero, drizzando le spalle e alzando il mento. Non era un atteggiamento di sfida il suo, solo era orgoglioso di quello che era e ogni occasione era buona per dimostrare che credeva negli ideali della Rivoluzione.
-Quindi vuoi far capitolare la Corona?-
-Farò di tutto affinché accada.- dichiarò sicuro.
-E adesso vorresti che io ti lasciassi libero, giusto?-
Ace nemmeno immaginava di essere un prigioniero. –Si,- rispose comunque, -Ho un fratello da liberare, dei compagni da cui tornare e una nuova rivolta da organizzare.- rivelò senza esitazione. Era un tipo impegnato, lui.
Tutti si fecero stranamente silenziosi per i minuti successivi, tanto che Ace si preoccupò di essere finito in mezzo a degli ufficiali in incognito. Dopotutto, non era da escludere quella ipotesi visto che non si fidavano ancora a lasciarlo andare. Poteva essersi messo nel sacco con le sue stesse mani, ma decise che non gli importava. Sarebbe morto per difendere quello in cui credeva.
Alla fine, una mano si abbatté sulla sua spalla e si ritrovò accanto un ghignante Thatch, intento a fissare in modo complice il vecchio davanti a loro, il quale non mancò di rispondere al sorriso.
-Molto bene allora.- annunciò, alzandosi dalla sedia per andargli incontro, -Sappi che potrai contare anche sul nostro aiuto.-
-Cosa?- domandò Ace isterico, indietreggiando per non essere raggiunto, azione del tutto inutile dato che l’uomo allungò un braccio e lo afferrò prima che potesse allontanarsi troppo, stringendolo in una specie di abbraccio che sembrava più un tentativo di omicidio per soffocamento che altro.
Non ci stava capendo niente e quando anche Thatch gli saltò addosso, tutto contento e felice come una Pasqua, credette di aver preso un abbaglio. Che diavolo era successo?
-Non fare quella faccia, non dirmi che non hai mai sentito parlare di Barbabianca!- gli urlò il castano nelle orecchie, lasciandolo intontito.
Barbabianca. Barbabianca? Dove ho già sentito questo nome?
-E’ solo il vecchio più rivoltoso di tutta l’Inghilterra.- gi spiegò subito dopo il castano, vedendolo perplesso.
Ace si illuminò come una lampada a olio. Oh, quel Barbabianca!
Quando era ancora un bambino e lavorava come sguattero a Montmartre gli era giunta voce di un Lord inglese trasferitosi nel Nuovo Mondo, un certo Edward Newgate, detto Barbabianca, ricco quasi quanto il Re d’Inghilterra, ma poco disposto ad accettare la supremazia della Famiglia Reale e la condizione di dover cedere metà delle sue terre oltre a dover obbligare i suoi figli ad arruolarsi nella milizia per servire al meglio la Patria. Quando, inevitabilmente, era scoppiata una guerra di interessi tra l’America e il Regno Unito, dal quale aveva dipeso per anni, i giornali non avevano parlato d’altro per mesi, raccontando del suo contributo alla causa, della fuga dalla città portuale dopo l’arrivo dei marines inglesi, del casino al porto, con tanto di rivolta popolare e incendio, del furto di una nave della Marina e della successiva scomparsa. Lo avevano creduto morto a causa di una tempesta improvvisa scoppiata in mare aperto mentre era diretto chissà dove ma, a quanto pareva, sia lui che la sua famiglia stavano bene e se la godevano alla grande.
-Non ci posso credere.- sussurrò incredulo, faticando a chiudere la bocca, aperta per lo stupore. Quell’inglese aveva fatto perdere le sue tracce, scampando alla pena capitale e mettendo in salvo tutti i suoi cari. Era una leggenda dalle sue parti e ricordava che, più di dieci anni prima, tutti i mocciosi, lui compreso, che scorrazzavano per strada avevano stressato gli animi degli abitanti, dando fuoco a qualsiasi cosa nelle vie dei sobborghi, per un pezzo dopo che la notizia aveva raggiunto quelle terre.
-Quante storie, sono solo un povero vecchio.- si giustificò Barbabianca con modestia.
-Ti abbiamo lasciato di stucco, eh?- ridacchiò Thatch.
-Sorpreso, piccoletto?- lo prese in giro Marco, passandogli accanto e superandolo con una spallata provocatoria che lo riscosse.
Il moro ci rifletté per un istante, mentre un’idea e un piano malefico e contorto gli balenavano nella mente. Se era vero che il vecchio Newgate era disposto a prendere parte alla Rivoluzione, allora era più che benvenuto.
Ace si schiarì la voce e fronteggiò il vecchio, ignorando la sgradevole sensazione di essere più basso e gonfiando il petto per apparire più grosso e meno mingherlino.
-Barbabianca, voglio parlarti!-
Avevano un sacco di cose su cui discutere.
 
*
 
Freddo. Freddo e buio. Erano quelle le uniche cose che lo circondavano da quel fatidico mattino, quando il mondo aveva deciso di rivoltarsi contro di lui e iniziare a fargli patire le pene dell’Inferno. Perché era di quello che si stava parlando, dato che i suoi nemici erano nientemeno che diavoli, e per giunta della peggior specie.
Avevano rinchiuso il ragazzino a in una cella angustia e sporca, con le assi del pavimento marce e dure, mangiate dai tarli e corrose dall’umidità; a terra, in un angolo, c’era un mucchietto di paglia bagnata e puzzolente che solo a starci vicino faceva venire la nausea, mentre tutt’attorno c’erano sbarre di ferro irremovibili e senza nemmeno una via d’uscita. E c’era silenzio, troppo, rotto solamente dal rumore di passi delle guardie lungo i corridoi e dai lamenti, alle volte strazianti, del resto dei carcerati. Ad ogni modo, Rufy si sentiva solo.
Ah giusto, c’è Orazio con me, pensò sarcastico, rivolgendo un’occhiata disgustata ad un ammasso di stracci e carne in decomposizione gettato in una posa inquietante nella cella accanto alla sua. Probabilmente quello che rimaneva dell’ultimo prigioniero dimenticato da tutti. Appena l’aveva notato si ero sentito cedere le gambe e rivoltare lo stomaco, tanto che era stato costretto a tapparsi con forza la bocca per non urlare o vomitare. La scena era stata raccapricciante e la paura di finire in quel modo si era insinuata con forza dentro di lui, nonostante avesse cercato di scacciarla.
A conti fatti, però, cosa gli importava di morire? Non gli era rimasto più nessuno in quella vita e il dolore per la perdita dei suoi cari bruciava più di mille ferite. Non era giusto che un ragazzo di soli diciassette anni dovesse patire tutte quelle sofferenze. Quando avrebbe avuto fine quella tortura?
Affiancato al pensiero della Morte, però, ce n’era anche un altro, ovvero quante speranze poteva avere di riuscire a fuggire. Aveva già provato a forzare la serratura o a trovare una crepa nelle pareti per riuscire in qualche modo ad uscire, ma era stato tutto inutile e vano. Sembrava che quello fosse il suo destino: bloccato in una cella a piangere tutte le sue lacrime e ad aspettare il momento del trapasso.
Stava appunto vagliando la possibilità di lasciarsi morire di fame, quando, ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione e lo fece scattare in allerta con il cuore in gola. Uno scricchiolio sinistro in un angolo lontano delle segrete che si ripeté per un altro paio di volte, come dei passi che si facevano sempre più vicini.
Smise persino di respirare e osservò attento i contorni scuri della prigione nel tentativo di scorgere qualcosa nonostante la poca luce presente che gli permetteva solamente di riuscire a vedere le celle di fronte e di fianco alle sue.
-Avete capito male! E’ tutto un grosso equivoco!- sbraitò all’improvviso la voce di un detenuto in lontananza, la quale si faceva sempre più forte e acuta mano a mano che si avvicinava.
Rufy sospirò e si adagiò a ridosso della parete fredda. Da quando era stato rinchiuso ne aveva viste circa cinque di scene come quella. Le guardie non si stancavano mai di catturare le persone?
-Sta zitto, non hai il diritto di parlare.- sancì un secondino con tono duro.
-Ascoltatemi!- insisteva il poveraccio, disperato. –Io non ho fatto niente, sono innocente vi dico!-
Nessuno lo ascoltò, ovviamente, e il nuovo arrivato venne scaraventato senza grazia dentro alla stessa cella di Rufy, il quale si scansò appena in tempo per evitare di venire investito dal corpo del suo nuovo compagno, fresco di arresto. Chissà cosa aveva combinato.
Le sbarre furono richiuse a chiave con un suono metallico e gli ufficiali se ne andarono velocemente, ignorando gli isterismi di quello strano individuo e lasciandolo a strillare da solo.
L’uomo tirò un calcio alla prigione, stizzito e arrabbiato. –Bastardi.- sputò.
Rufy, che se ne era rimasto buono fino a quel momento, si rannicchiò a terra, osservando meglio il tizio dall’aria famigliare, il quale continuò ad imprecare per la successiva mezz’ora senza accorgersi di essere in compagnia.
-Dannazione, come faccio ad uscire di qui adesso?- si lamentò, grattandosi il capo e guardandosi attorno con fare dubbioso. Nell’osservare la cella si accorse della presenza di uno scheletro e la sua faccia impallidì per il disgusto.
Rufy, invece, si illuminò in quell’istante. –Scusa,- disse educato, ma spaventando ugualmente a morte l’altro prigioniero, il quale credette per un istante che il deceduto avesse parlato. -Anche tu vuoi andartene?-
-Mon Dieu, un morto che parla! Guardie! Guardie, vi prego, aiutatemi!-
Una mano si appoggiò sulla sua spalla e la paura fu così tanta che il poveretto crollò svenuto nel giro di pochi secondi.
Quando rinvenne con la sensazione di essere preso a schiaffi, si ritrovò faccia a faccia con un ragazzino dall’aria distrutta che non aveva visto prima. Forse era arrivato da poco mentre lui aveva perso i sensi. Poi il ricordo dello scheletro parlante gli invase la mente e gli venne la pelle d’oca.
Abbracciò il più piccolo e lo trascinò dall’altro lato della cella, tremante.
-Ascolta, amico, non avvicinarti a quell’ammasso di ossa. E’ posseduto!-
Rufy inclinò il capo, leggermente in imbarazzo. –Uh? Ma no, cosa dici, prima ero io che parlavo. Tu non mi hai semplicemente visto.- gli spiegò mortificato, sorridendo colpevole quando l’uomo iniziò ad inveire contro di lui non appena scoprì la verità.
-Pazzo! Ti rendi conto della paura che ho preso?- sbraitò inferocito. Aveva fatto una pessima figura e sarebbe stato un disastro se si fosse venuto a sapere in giro. Lui, la Leggenda Vivente di tutta Parigi, spaventato da un moccioso burlone. Totalmente assurdo.
Si voltò per vederlo bene in faccia per ricordarne i tratti con lo scopo di ucciderlo il prima possibile, quando, guardandolo meglio, un brivido gli corse lungo la schiena.
-Ehi, aspetta un momento,- farfugliò indietreggiando, -Io ti conosco! Tu sei Rufy, il fratello di Ace!-
-Conoscevi mio fratello?- chiese il ragazzino, sentendo qualcosa incrinarsi nel suo petto e gli occhi farsi lucidi. Non era una novità, Ace era conosciuto e benvoluto da tutti in periferia.
-Certo che si! Siamo grandi amici!- affermò l’uomo, annuendo convinto e raccontandogli di quella volta in cui il ragazzo in questione era capitato nella taverna dove stava festeggiando e si era messo a mangiare e a bere con lui e i suoi compagni di contrabbando senza essere stato invitato. Un paio di spiegazioni e una scazzottata avevano sistemato tutto e i due erano andati subito d’amore e d’accordo.
-Non mi sembra che mi abbia mai raccontato di te.- confessò Rufy, pensieroso.
-Come è possibile? Io sono Bagy, Bagy il Clown! Sono famosissimo in città!-
-Bagy?- quel nome gli diceva qualcosa, in effetti.
-In persona! Impossibile che tu non sappia di me!-
-Mhm, sei quello che è stato sfrattato da palazzo e dalla compagnia teatrale?- azzardò Rufy, ricordando lo scandalo di cui avevano parlato per giorni i giornali. A quanto pareva un teatrante di corte, ricercato per aver messo le mani nelle casse reali, aveva tentato di truffare i cittadini fingendosi un pagliaccio del circo di nomadi che, puntualmente, faceva la sua apparizione a Parigi una volta ogni due mesi. Doveva per forza trattarsi di lui perché quei capelli inspiegabilmente azzurri, probabilmente una parrucca, e quel naso rosso, senza dubbio finto, potevano appartenere solamente ad un clown.
-Tutte chiacchiere senza fondamenta.- ribatté quello piccato. Possibile che la gente non avesse un minimo di rispetto per la sua persona? Maledetta quella volta in cui aveva smesso di fare il ladro professionista per iscriversi a recitazione.
Rufy ridacchiò, sinceramente divertito da quello strano tipo. Aveva sentito anche altre storie sul suo conto, per esempio che fosse un ladro e un assassino, ma non era affatto intimorito. Anzi, gli stava parecchio simpatico. Chissà da che parte stava.
Decise che glielo avrebbe chiesto prima o poi, ma aveva altre questioni da risolvere, per esempio escogitare un modo per uscire da quella misera prigione.
-Senti,- proruppe, interrompendo lo sproloquio di Bagy senza scusarsi, -Tu hai qualche idea su come si possa evadere da qui?-
Bagy lo guardò come se fosse impazzito. Quel moccioso aveva sul serio chiesto se esisteva un modo per andarsene? Va bene che non aveva la faccia di uno sveglio, ma non immaginava che potesse essere così ingenuo.
-Ragazzino, ma hai una vaga idea di dove siamo?- domandò, fissandolo interrogativo.
Rufy fece spallucce. –No.- rispose, quasi con ovvietà.
E’ stupido, pensò Bagy, scuotendo il capo. Sospirò sconsolato, allargando le braccia come a voler abbracciare l’intero edificio. –Siamo rinchiusi nella Bastiglia, la Fortezza inespugnabile, il Santuario delle Forze dell’Ordine, l’Inferno dei carcerati, il Punto di non ritorno!- terminò macabro.
-E allora?- gli venne chiesto con indifferenza, ma a quel punto la sua pazienza si era esaurita.
Afferrò il moccioso e lo scrollò a destra e a sinistra senza curarsi di fargli male. Probabilmente dovevano averlo torturato prima di rinchiuderlo, altrimenti non si sarebbe spiegato quella sua ingenuità.
-Sei sordo? Ho detto la Bastille!-
Rufy si grattò la testa, pensieroso. Certo, aveva capito che stavano parlando del penitenziario peggiore della città, quello enorme e brutto, senza colori, ma perché Bagy continuava ad agitarsi? Era una prigione come un’altra, potevano benissimo evadere.
Si guardò attorno per farsi una migliore idea dell’angusto spazietto a loro riservato, fermandosi ad osservare la piccola finestrella che lasciava passare un filo di luce e aria pulita. Avrebbero usato quell’apertura per mandare un messaggio o per segnalare la loro posizione ai compagni, di certo se ne sarebbero accorti quando avrebbero fatto le ronde in incognito.
-Prendimi in braccio.- ordinò al suo nuovo amico, saltandogli addosso e arrampicandosi sulle sue spalle senza attendere nemmeno il permesso.
-Ehi, ma che fai? Levati di dosso, moccioso!-
-Fermo, vai più a sinistra! No, non da quella parte, à gauche!-
Rischiando di cadere e di perdere l’equilibrio più volte, in un sottofondo di borbotti, insulti e maledizioni che destarono anche il resto dei prigionieri nelle celle affianco, i quali allungarono il collo oltre le sbarre per curiosare e scoprire chi aveva tante energie da sprecare facendo baccano, Rufy riuscì ad aggrapparsi al ripiano della piccola finestra e a sporgersi verso l’esterno, guardando in basso.
Non immaginava che fossero così in alto, ma non sarebbe stato un problema.
Si tolse la camicia rossa che stava indossando e la legò alle sbarre, assicurandosi che sventolasse fuori in modo da essere visibile ai passanti. Era certo che a qualcosa di buono sarebbe servito.
-E adesso che si fa?- gli domandò Bagy una volta che il ragazzino tornò con i piedi per terra, sedendosi accanto a lui con un sospiro stanco e dalla nota rassegnata.
Rufy tirò su col naso, stringendosi nelle spalle. –Aspettiamo.- disse semplicemente, starnutendo l’istante dopo. –Ohi, prestami la tua giacca, ho freddo.-
-Te lo puoi scordare, brutto impiastro!-
All’imbrunire, Rufy aveva guadagnato un nuovo cappotto e Bagy si malediceva per aver indossato una camicia troppo leggera quando era uscito di casa quella mattina.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Buongiorno ^^
Sono un po’ di fretta, se ci sono errori li correggerò presto perché, anche se il capitolo era già pronto, mi sono presa all’ultimo per rivederlo e or il lavoro mi aspetta, stasera ci sarà un bel diciottesimo da festeggiare, la notte sarà giovane e io domani sarò uno straccio. YEEEE.
Dunque, per chi non ci stesse capendo un accidente avviso che dal prossimo capitolo si capiranno molte più cose, questa è ancora un’infarinatura generale.
Qualcuno si è chiesto cosa ci facesse Koala con la ciurma di Barbabianca. Beh, diciamo che mi serviva una scusa per far prendere a Sabo una bella cotta per lei ^^ Non sarà tutto canon, alcune cose le ho cambiate per comodità, ma più o meno non distruggerò tutte le basi di OP.
 
Bene, capitolo revisionato e corretto, con aggiunta di immagini che ieri non sono riuscita a mettere ^^
https://scontent-b-cdg.xx.fbcdn.net/hphotos-xap1/v/t1.0-9/s526x296/1902824_1583276841891152_4008948130538364570_n.png?oh=2d9177ccd03f648613715792206d7e18&oe=552C29E0 Bagy.
 
https://fbcdn-sphotos-b-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xpa1/v/t1.0-9/10885591_1583276805224489_745714689518258276_n.png?oh=7672c3c7cfa0c78f62ecdfb3592d3145&oe=5534E665&__gda__=1429690845_555714e3aa00b78261d12e920fd8953a Marco.
 
https://scontent-b-cdg.xx.fbcdn.net/hphotos-xap1/v/t1.0-9/10849894_1583276771891159_5150425834204807030_n.jpg?oh=60bf3ed7d2608275a60f3eb0ca15d395&oe=55305DBD Thatch.
 
Ringrazio tutti per le recensioni al capitolo scorso, mi fa davvero piacere che abbiate apprezzato l’idea ^^ e grazie anche ai vecchi e ai nuovi lettori.
 
Alla prossima settimana!
See ya,
 
Ace.
  
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