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Autore: Marian Yagami    17/11/2008    7 recensioni
In un mondo parallelo, umani e Starlight (luci stellari) vivono in armonia. A turbare questo equilibrio, però, ci si mette di mezzo il malvagio e spietato sovrano di un impero sotterraneo, che mira ad impossessarsi dell'incredibile e illimitato potere delle Starlight.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1


Nola correva a lato di una strada poco trafficata.

Il vento le sferzava il viso ma non le importava: l’importante era che lei fosse finalmente libera. Non avrebbe resistito un minuto di più in quel maledettissimo orfanotrofio di campagna, dove aveva passato i tre mesi più brutti della sua vita.

Da quando la sua nonnina, l’unico parente ancora rimastole in vita, se ne era andata, lei era rimasta sola al mondo, senza nessuno che potesse prendersi cura di lei.

Fu così affidata alle “cure” della direttrice dell’orfanotrofio, la signorina Simpleton.

Nola non si stupiva che la signorina Simpleton fosse ancora single nonostante avesse più di cinquant’anni, perché la sua mascolinità non poteva essere superata da nessun uomo esistente al mondo. Oltretutto il suo carattere freddo e insensibile la rendeva ancora più odiosa e detestabile.

Dal suo arrivo all’orfanotrofio, la signorina Simpleton la prese in antipatia, e nulla le fece cambiare idea.

- Da questo momento farai tutto quello che ti dirò di fare. Lavorerai e guadagnerai dei soldi, vedo che sei abbastanza grande per farlo. È finita la bella vita per te, è ora che tu sappia il significato di avere un posto nella società. – disse la signorina Simpleton, quando Nola, esausta per aver trasportato un bagaglio troppo pesante per le sue mani, entrò per la prima volta nel suo luogo di prigionia.

- La nonna non mi avrebbe mai lasciata lavorare! Ho solo sedici anni! – disse lei a denti stretti.

- Sfortunatamente tua nonna è morta, e niente potrà cambiare questa realtà! – rispose la signorina con un ghigno malvagio in volto.

- Questa sarà la tua camera d’ora in poi. – disse indicando una porta alla sua sinistra.

- Domani mattina alle sette ti farai trovare in sala da pranzo per la colazione, dopo di che deciderò il lavoro che dovrai svolgere. – continuò aspra, poi se ne andò.

Nola entrò nella stanza, osservandone l’arredamento con sempre maggior disgusto. Esattamente davanti alla porta si trovava una piccola finestrella con il vetro rotto, da cui entrava, abbondante, la pioggia. Sotto la finestra c’era una branda vecchia e smollata, su cui poggiava un consunto materasso mangiato dagli acari. Non c’era ne un cuscino ne una coperta.

La ragazza buttò la valigia in un angolo, e da una crepa del muro uscì uno scarafaggio, sicuramente disturbato dal tonfo.

- Aah! – gridò Nola, e sali sopra il letto, che fece strani scricchiolii.

Lo scarafaggio rientrò nel buco, e lei scese dal letto, sicura che non avrebbe retto il suo peso ancora per molto.

- C’è qualcuno? – chiese una voce proveniente dalla camera affianco a quella di Nola. Era una ragazza.

Poi all’improvviso un pannello di legno della parete si spostò, facendo passare una ragazzina bionda, che si ripulì il vestito sudicio dalla polvere del pavimento, e infine alzò la testa, mostrando due brillanto occhi azzurri.

- Tu sei la ragazza appena arrivata, vero? Tutti parlano di te! Ovviamente con me non parla nessuno, e non sei obbligata a farlo nemmeno tu, ma ci sono abituata ormai…-

Nola fissò intensamente quella ragazzina. Lo notava solo adesso ma, anche se i suoi abiti le davano l’aspetto di una poveraccia o di una mendicante, lei non era per niente sporca.

Certo era molto magra, ma le sue mani erano delicate e non c’era ombra di terra sotto le unghie, e i suoi capelli erano morbidi e fluenti.

- Io sono Nola, piacere! – disse, tendendo la mano alla ragazzina.

I suoi occhioni azzurri si illuminarono. – Allora tu parli con me! Io mi chiamo Arin! –

- Perché ti fanno dormire qui su in soffitta? Non hai paura? – chiese Nola.

- Oh, no! Si sta bene quassù, a parte quando piove, ma quando fanno belle notti si vede un cielo così limpido che puoi contare le stelle! –

Nola si sedette sul letto, e Arin le si avvicinò.

- Perché nessuno parla con te? – chiese ancora Nola.

Arin rimase in silenzio per un po’, mordicchiandosi il labbro inferiore.

- Mia madre era una strega. Cioè, la gente dice così, per screditarla, ma lei non era niente del genere! Preparava solo rimedi e infusi a base di erbe, non aveva mai fatto niente di male a nessuno. Poi un giorno, delle guardie dell’Impero del Fuoco bussarono alla nostra porta e la portarono via. Da quel momento la vidi solo in occasione del suo funerale, due settimane dopo. A dire la verità vidi le sue ceneri, l’avevano bruciata sul rogo . Avevo solo sei anni… Poi, non avendo altri parenti che volessero tenermi con se, venni mandata qui. –

A Nola salì un groppo alla gola. In confronto a quel racconto, la sua storia non era niente di speciale.

- Quanti anni hai? – chiese ad Arin.

- Tredici appena compiuti! – esclamò orgogliosa, sorridendo.

- È un miracolo che in questo posto qualcuno riesca ancora a sorridere! – disse, più a se stessa che ad Arin.

- Non preoccuparti, quando ci farai l’abitudine non è poi così male, anche se per farti un bagno decente devi per forza andare al fiume. Se qui all’orfanotrofio c’è il gabinetto è anche troppo! –

Quella notte Arin rimase a dormire nella camera di Nola, portando una coperta dal suo letto, e avvolgendosi entrambe per tenersi caldo a vicenda.



La mattina dopo, Nola venne messa ai lavori forzati in cucina e nel giardino.

- Lava le pentole! – sbraitava la signorina Simpleton. E ancora: - Strappa le erbacce! - oppure – Pulisci le camere! –

La ragazza non aveva un attimo di respiro e non poteva nemmeno ribattere, perché la signorina Simpleton aveva minacciata di toglierle tutti gli oggetti personali, comprese le vecchie foto dei suoi parenti. Tutti i giorni era una vera tortura.

Solo la notte poteva davvero tirare un sospiro di sollievo, tornando nella sua piccola camera, dove chiacchierava a bassa voce con Arin, per non farsi sentire.

A volte era Nola ad andare a trovare la ragazzina nella sua stanza. In realtà era una camera molto piccola, arredata solo da un letto. Alla parete era appeso un gancio che reggeva un vecchio straccio, che ad una seconda occhiata si rivelava per quello che era: un vecchissimo abito nero, tarlato e ammuffito.

- Quello era l’abito che indossai al funerale di mia madre.- spiegò un giorno Arin, mentre lo accarezzava, alzando un po’ di polvere.

Nola gli si avvicinò. Era molto piccolo, giusto per una bambina di sei anni.

Alla ragazza si strinse il cuore a ripensare alla storia di Arin, e vederle quell’espressione rassegnata in volto la fece intenerire ancora di più.

Gettò le braccia al collo di quella ragazzina, dal corpo talmente magro che aveva paura di farle male.

- Ahia! – esclamò Arin, e si districò da quell’abbraccio.

Nola la guardò spaventata. L’aveva forse stretta troppo? Ma vide che Arin si massaggiava un braccio, quindi capì che non era stata colpa sua.

- Che cos’hai? Fammi vedere. – disse Nola, avvicinandosi.

Arin la guardò spaventata e insieme imbarazzata.

- È meglio se non… - mormorò la piccola, ma Nola si era già fatta più vicina, e con un solo movimento alzò la manica del vestito di arin, che lei usava anche come camicia da notte.

Un gigantesco livido viola si estendeva dal polso e percorreva quasi tutto l’avambraccio, tracciando una forma allungata.

- Come te lo sei fatta? – urlò, più spaventata che arrabbiata.

Le guance di Arin si rigarono di lacrime, mentre le sue gambe cedevano e cadeva inginocchiata. – Io… non… il… ferro da stiro… la signorina Simpleton mi ha… - cercava di dire, ma i singhiozzi coprivano metà del discorso.

Incredula, Nola sentì crescere la sua rabbia e la sua avversità verso la signorina Simpleton sempre di più.

Uscì dalla stanza sbattendo la porta, prendendo per mano Arin e trascinandosela dietro.

Trovò la signorina Simpleton nel suo ufficio, molto più lussuoso e pulito di tutto il resto dell’orfanotrofio.

Sbattendo la porta annunciò il suo arrivo, e con la stessa rabbia le urlò in faccia. – Che cosa ha fatto? – gridò, perdendo definitivamente il controllo.

Allungò il braccio di Arin verso la scrivania e lo mostrò alla direttrice.

Lei fissò il livido per un momento, poi ritrasse lo sguardo e voltò la testa, come disgustata da quella visione.

- Allora! Mi risponda! – gridò ancora Nola.

- Che cosa dovrei dirti? – chiese la signorina Simpleton con voce calma e composta.

Nel frattempo davanti alla porta aperta dell’ufficio si era radunata una piccola folla.

- Per esempio potrebbe dirmi perché ha picchiato Arin con un ferro da stiro? –

La signorina Simpleton cominciò ad agitarsi e a sudare freddo.

- Come… chi ti ha… detto una cosa del genere? – farfugliò, poi tentando di ricomporsi, esclamò con voce più acuta del solito: - È stata lei vero? – indicando Arin.

- Tu, piccola, spregevole bambina, sei soltanto…-

- La smetta! – gridò Nola, frapponendosi tra Arin, che aveva ricominciato a piangere, e la signorina Simpleton, che per l’agitazione e la collera era rossa in viso e spettinata.

- In punizione! – esclamò la direttrice, ricomponendo il suo tono di voce freddo e pacato.

- Non tollero che nel mio istituto vengano messi in discussione i miei metodi di insegnamento. –

- Allora me ne andrò. Scapperò da questo posto, e lei non mi rivedrà mai più! – esclamò Nola, a cui quel tono di voce monocorde dava sui nervi.

- Che pensiero sentimentale! Sfortunatamente non sei ancora maggiorenne, perciò dovrai stare qui nella mia “prigione” ancora per due anni! –

Nola sbattè un pugno sulla scrivania.

- Lei è un mostro! – sibilò.

- Perfetto. Isolamento! – disse la direttrice. Si alzò dalla sua poltrona e la prese per un braccio. La trascinò fino all’esterno del caseggiato, portandola dentro un capanno pieno di balle di paglia.

- Questo è un posto dove porto a riflettere i ragazzini ingrati come te che non rispettano la mia autorità. Resterai qui dentro per una settimana. Ti verrà portato un pasto al giorno e i bisogni potrai farli qui dentro. – disse, e si avvicinò ad una botola vicino all’entrata del capanno. Alzò la copertura e si tappò il naso. Dal buco fuoriusciva una puzza nauseabonda.

La signorina Simpleton uscì dal capanno e chiuse l’entrata.

Mentre calde lacrime scendevano dalle guance di Nola, all’esterno si sentì un rumore di catene sfregate. Era stata chiusa dentro.

Si riscosse subito e si mise a cercare una via d’uscita.

Notò immediatamente quella che sembrava una finestrella. Si arrampicò su delle balle di paglia e raggiunse l’apertura. Era sbarrata da delle assi in legno.

Cercò di toglierle con le mani, con l’unico risultato di graffiarsi con le schegge e farsi uscire il sangue.

Trovò altre finestrelle sbarrate. Qualcuno sicuramente era riuscito a scappare, per quello erano state chiuse.

Rassegnata si accasciò sulla morbida paglia e finì per addormentarsi.



- Nola! – sussurrò una voce nella notte.

Nola credeva ancora di sognare, quando infine riconobbe la familiare voce.

- Arin! – esclamò Nola, improvvisamente sveglissima.

- Da questa parte! – sussurrò la ragazzina, bussando su un’asse di legno del caseggiato.

Nola la spostò, e dall’altra parte vide finalmente il dolce viso di Arin.

- Come facevi a sapere che qui c’era un passaggio?! – chiese, sorridendole.

- Quando ero più piccola sono stata rinchiusa qui molto spesso e molto a lungo…- disse la piccola.

Le due si guardarono e infine, tra le risate trattenute, si strinsero in un abbraccio.

- Nola devi scappare! – esclamò all’improvviso Arin. Si fece da parte e mostrò alla ragazza una valigia piena.

- È la tua valigia. – spiegò Arin. – Ho raccolto tutte le tue cose, non ne ho dimenticata nessuna! E ho messo anche delle provviste! Sai, volevano bruciare i tuoi averi, ma li ho recuperati tutti prima che ci riuscissero! – disse fiera, sorridendo.

- Che cosa è successo?! – chiese Nola allarmata.

- Ho sentito la direttrice che parlava al telefono con qualcuno… Non so chi fosse… Diceva che voleva mandarti in un posto strano… Si chiamava Hans… Hansest… -

- Hansenouth! Il manicomio! Vuole mandarmi al manicomio?! –

Anche Arin rimase scioccata a quella scoperta.

Nola uscì in fretta dal passaggio, ritrovandosi al buio della notte, illuminato solo da uno spicchio di luna.

- Ho sentito che alla fine del tuo periodo di isolamento sarebbero venuti a prenderti! - disse Arin, con le lacrime che minacciavano di invadergli le guance.

- Arin, dimmi esattamente che cosa hai sentito! – la scongiurò Nola, chinandosi un poco verso la piccola.

- Diceva… La signorina Simpleton diceva che avevi avuto uno scatto d’ira e che era meglio rinchiuderti perché… potevi essere un pericolo per noi bambini…-

- Sarebbe lei da rinchiudere! Se solo sapessero come è gestito questo orfanotrofio la metterebbero subito in prigione! –

Respirava con affanno a causa della rabbia, ma dopo due boccate di aria fresca si riprese.

- Ti conviene andare, adesso. –

Nola annuì, e dopo un rapido sguardo, le due si abbracciarono nuovamente.

- Grazie per tutto quello che hai fatto per me! – mormorò Nola, schiacciando la testa nei morbidi capelli di Arin.

- Sono io che devo ringraziarti, senza di te non ce l’avrei mai fatta! Hai portato un po’ di felicità nel mio piccolo mondo. –

È ancora una bambina, ma parla come una donna!”

Le due si sciolsero dall’abbraccio.

- Arin, ricorda una cosa: anche se saremo lontane, noi due saremo sempre sorelle, d’accordo? – disse Nola, poi, salutandola con la mano, si diresse di corsa verso il sentiero che portava alla strada asfaltata.

Arin rimase un po’ a guardare, gli occhi velate dalle lacrime, poi decise finalmente di tornare nella sua camera.

Sono sicura che tornerà a prendermi, molto, molto presto!” pensò.



Improvvisamente lo stomaco di Nola fece un rumore, molto somigliante ad un ruggito furioso.

- Forse è ora che metta qualcosa sotto i denti! –

Impresa impossibile, dato che quella strada proseguiva imperterrita in mezzo alla campagna, senza l’ombra di una casa ne una stazione di servizio nel raggio di chilometri.

Si fermò sul ciglio della strada e aprì la valigia e trovò un pacchetto involto e chiuso da spago. Lo aprì, e dentro trovò tre panini con il prosciutto assieme a dei pezzi di formaggio, in seguito notò che in un angolo della valigia c’era anche una bottiglia d’acqua.

Arin, sei davvero una ragazza d’oro!” pensò Nola, mentre addentava un panino, con le lacrime agli occhi.

Improvvisamente un rumore la fece sobbalzare, veniva dalle sue spalle, e si avvicinava pian piano. Si voltò, aspettando in ansia di sapere di cosa si trattasse. Poi, dalla cunetta della strada, vide spuntare un piccolo camioncino, che trasportava qualche gallina.

Il camioncino si fermò a pochi passi da lei, e il guidatore abbassò il finestrino. Era un vecchietto dallo sguardo simpatico.

- Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora? – chiese il vecchietto.

- Io… perché, che ora è? –

- Santo cielo! Sono le sei di mattina! –

- A dire la verità…- fece per spiegarsi Nola.

- Vuoi un passaggio? – chiese ancora il vecchietto.

Lo sguardo di Nola di illuminò. – Certo! – rispose d’un fiato.

- Bada bene però, dovrai stare seduta tra le galline, qui davanti non c’è posto! – disse, e da dietro la spalla del vecchio spuntò la testa di un vecchio segugio dall’aria vissuta.

Non so dire chi sia più vecchio, se il cane o il padrone!” pensò Nola, mentre saliva nel cassone.

- Ancora una cosa, dove vai di preciso? –

- Oh, non ho una meta precisa, mi porti fin dove deve andare lei, poi da li vedrò io… -

- Se per te va bene cosi… Ah, stai attenta a quella gallina con le penne rosse, è molto permalosa!- rise il vecchio, mentre dava gas al camioncino sgangherato.



Il camioncino arrivò ad una piccola fattoria, circondata da campi coltivati e da vari frutteti.

Nola scese dal furgone, e così anche il vecchio e il cane.

- Questa è la “Fattoria delle Margherite”- annunciò fiero. – Era il nome che le aveva dato mia moglie…- continuò, questa volta con una nota di malinconia nella voce.

Fece scendere le galline dal cassone, che cominciarono a beccare qua e la nel terreno.

- La ringrazio per il passaggio, ma ora è meglio che vada! – disse Nola, con un sorriso, ma non fece in tempo a fare un passo che si accasciò per terra.

- San Tommaso! Ma tu sei morta di sonno! Da quando non chiudi occhio? –

- Forse… quasi due giorni? – rispose lei, rimettendosi in piedi.

Solo in quel momento si accorse di quanto fosse stanca. L’euforia della fuga glielo aveva fatto dimenticare.

- Vieni, puoi sdraiarti nella camera di mia figlia, lei ha lasciato questa casa da molto tempo, ormai. –



Nola riaprì gli occhi, e in un primo momento non capì dove si trovasse. Quando vide la testa di un anziano segugio a pochi centimetri dalla sua, ritrovò improvvisamente la memoria.

Si alzò dal letto e si guardò intorno. Si trovava in una stanza piccola e sobria, ma molto accogliente. Non ricordava neanche come ci fosse arrivata, tanto era assonnata.

C’era un letto, coperto da una trapunta patchwork molto campagnola, un piccolo armadio in legno e una scrivania. Affianco al letto si trovava una piccola finestrella sulla quale era poggiato un vaso di fiori.

Uscì dalla camera, e trovò la cucina solo seguendo un delizioso profumo molto invitante. Il segugio la seguì come una guardia del corpo.

- Finalmente ti sei svegliata! Giusto in tempo per il pranzo! – esclamò il padrone di casa, che indossava un buffo grembiule da cucina e impugnava un mestolo sporco di salsa come fosse una spada.

- Hai dormito un giorno intero, proprio come un ghiro, e sai una cosa, non so neanche il tuo nome! – disse, mentre porgeva una ciotola di stufato alla ragazza.

- Mi chiamo Nola. – disse, mentre prendeva la ciotola e si sedeva al piccolo tavolo apparecchiato per due. – E lei, come si chiama? –

- Il mio nome è Talbot, e lui e Boris. – disse indicando il cane. Prese una ciotola di stufato e si sedette anche lui a tavola, mentre Boris gironzolava attorno alla sua ciotola.

- Allora, qual buon vento ti porta da queste parti? – chiese Talbot.

- A dire il vero… Sono scappata, ecco! Da quell’orfanotrofio disperso nella campagna! – Nola non capiva come le parole le uscissero così spontaneamente, ma era sicura che di quel vecchio ci si poteva fidare ciecamente.

- Intendi l’orfanotrofio della signorina Simpleton? – esclamò Talbot, svegliandosi immediatamente da quella calma che lo avvolgeva.

Nola annuì, mandando giù il brodo caldo e gustoso. – Proprio quello…- La ragazza si aspettava come minimo una bella ramanzina, ma la reazione che ebbe il vecchio la colse completamente impreparata.

Iniziò a tremolare e a far muovere i folti baffi, come se stesse per starnutire, finché non esplose un una sonora risata.

- AH! AH! AH! Non ci posso credere! Finalmente qualcuno che si ribella a quella vipera travestita da donna! Era ora! – esclamò, e poi tornò a ridere.

Nola, sbalordita da quella reazione, iniziò a ridere assieme al vecchio, fino a quando fece male la pancia ad entrambi.

Ripresero fiato, ansimando tra risatine e boccate d’aria.

- Come posso ringraziarla per l’ospitalità, signor Talbot? – chiese Nola, non ancora ripresasi dalla risata.

- Oh, non devi ringraziarmi, a questo vecchietto basta la tua presenza per sentirmi felice. Sai, non ridevo così da un sacco di tempo ormai! Mi ci voleva questa ventata d’aria fresca!-



Boris russava, sdraiato sul tappeto della cucina, mentre Talbot era impegnato ad accendersi la pipa seduto sulla sedia a dondolo.

- Lo sa, alla sua età non dovrebbe fumare! – lo apostrofò Nola, che lavava i piatti.

- Me lo diceva sempre anche mia moglie! – sospirò Talbot, e si alzò, dirigendosi verso la credenza. Fece cenno a Nola di avvicinarsi e da un ripiano prese una foto incorniciata. Ritraeva un uomo di mezza età che abbracciava una donna più bassa di lui, e tra i due si trovava una ragazza poco più grande di Nola. Affianco alla ragazza stava seduto un giovane segugio dall’aria fiera.

- Questa era mia figlia…- disse, indicando la ragazza nel centro. - Dieci anni fa si sposò con un ricco industriale, e da allora si trasferì a River Town. Da allora venne a trovarmi dalla città qui in campagna, sempre più raramente, finché un giorno non venne più. Per me era molto difficile andare a trovarla, anche perché io e mia moglie eravamo molto impegnati qui alla fattoria, perciò da allora non ho più avuto notizie della mia bambina, la mia piccola… Susie… -

Talbot sfiorò la figura della figlia, con gli occhi umidi. Nola lo osservò, comprensiva: anche lei provava nostalgia, ripensando alla nonna.

- Lei invece era mia moglie… Marta… La donna più dolce del mondo! Era sempre sorridente e anche se qualcosa andava storto l’allegria l’accompagnava ogni giorno! Dopo la partenza di Susan non fu più la stessa… Sorrideva sempre meno, e arrivò al punto di ammalarsi, una malattia che non le diede tregua, che me la portò via per sempre… -

A quel punto Talbot venne colto dalla commozione e si coprì gli occhi con la mano libera.

Nola gli circondò le spalle con un braccio, dandogli leggere pacche sulla schiena.

- Non preoccuparti! – disse, dopo essersi ripreso. – Qui con me c’è sempre Boris a tenermi compagnia, poi ci sono le galline e persino la mucca Mafalda! –



Le galline razzolavano tranquille, ma Nola non si era ancora abituata a quel via vai. Certo, in tre giorni di vita campagnola aveva imparato un sacco di cose, compreso raccogliere le uova senza schiacciare nemmeno un pennuto.

Portò il cesto delle uova in casa, e si mise a preparare il pranzo.

Talbot era andato a mungere una pecora, perciò in casa con la ragazza c’era solo Boris, che gironzolava senza una meta. Mentre Nola impastava il pane, il segugio si sedette vicino a lei e la fissò intensamente. In un primo momento, la ragazza non diede peso allo strano comportamento del cane, ma sentendosi osservata, lo fissò anche lei.

Gli occhi di Boris avevano uno strano luccichio, come se fossero proprio occhi umani.

Ho il sospetto che questo cane capisca tutto quello che diciamo…” pensò Nola, tornando all’impasto.

- Bene! Vedo che stai preparando il pranzo! Cos’è? – chiese Talbot, tornato in casa, mentre alzava il coperchio di una pentola che cuoceva sul fuoco.

- È una vecchia ricetta di mia nonna, una specie di tradizione di famiglia: verdure con farro, orzo e carne…-

- Ottimo! Squisito! – cominciò a esclamare il vecchio, che assaggiava.

- Ehi, ne lasci anche per il pranzo! – disse Nola.

Dopo pranzo Talbot si sedette nella sua sedia a dondolo, guardando un po’ la tv, mentre Nola era seduta a gambe incrociate sul tappeto della cucina, e faceva dei massaggi circolari sulla pancia di Boris.

- Signor Talbot, da quando Boris fa parte di questa famiglia? – chiese Nola, che fissava nuovamente gli occhi espressivi del cane.

- Ormai da più di dieci anni! In verità mi stupisco che sia ancora vivo, data la sua età, ma finché resta a farmi compagnia…

A dire il vero era uno strano cane anche da piccolo. Ogni volta che parlavamo di qualcosa, Boris si sedeva vicino a noi e ci fissava, come se stesse ascoltando anche lui. Ora che siamo rimasti noi due soli sono io che parlo con lui, e lui mi ascolta sempre, come quando era piccolo. –

Un rumore interruppe la loro conversazione.

Somigliava a quello del camioncino di Talbot, ma era molto più profondo e scombussolato. Nola si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Un furgone bianco, tagliato da una striscia azzurra in orizzontale, passò velocemente davanti alla fattoria.

- Tsk! Quel furgone passa qui davanti da un po’ di tempo ormai. Quelli di Hansenouth si stanno dando da fare, ultimamente! –

Nola si voltò, allarmata.

- Hansenouth? – chiese, trattenendo il fiato, ma non aspettò una risposta. – Quanto tempo è passato da quando sono venuta a stare qui? –

- Beh, direi sei giorni…- rispose Talbot.

Più un giorno rinchiusa nel pagliaio fanno una settimana! Quel furgone sta venendo a prendermi!”

- Devo scappare! Non posso restare qui, metterei in pericolo anche lei! – disse, e corse in camera a preparare la valigia.

- Perché, è successo qualcosa? – chiese Talbot, seguendola.

- Quelli stanno cercando me! Spero non abbiano ancora scoperto la mia fuga! –

Talbot corse in cucina, prese un fazzoletto e lo riempì di pane, frutta, formaggio, lo chiuse con un nodo e lo portò da Nola, che nel frattempo trascinava la valigia verso la porta.

- Dimmi dove vuoi andare, ti accompagno io! – esclamò Talbot, uscendo prima di lei e salendo sul camioncino.

Nola si bloccò, con la valigia ancora in mano.

Non aveva mai pensato di dover andare da qualche parte. In quell’ultimo periodo era stata sballottata da un posto all’altro, e non si era mai fermata a riflettere su cercare un posto dove stare.

- Io… non so dove andare… Se restassi qui è probabile che mi trovino molto presto, ma è probabile che mi trovino anche se vado in qualsiasi altro posto…-

- Facciamo così. – propose il vecchio. – Ti accompagno fino al limitare della foresta, poi da li prosegui da sola, va bene? –

- Oh… va bene! – accettò infine, e salì sul camioncino.


Arrivarono in breve tempo al confine con la foresta.

Al momento di dirsi addio, Nola divenne molto triste.

- Mi dispiace di averle causato tutto questo disturbo… Avermi ospitato a casa sua, avermi fatto fuggire… Io… non so proprio come ringraziarla! –

- Ma scherzi? È solo grazie a te se ho ritrovato il mio buonumore! Non preoccuparti, andrà tutto bene, e se cerchi ancora un posto dove stare, vieni pure alla Fattoria delle Margherite!-

Nola e Talbot si abbracciarono, poi, prima che lei scendesse dal camioncino, il vecchio disse: - Seguendo quel sentiero arrivi ad un piccolo villaggio di mercanti, potrai trovare ospitalità, sono della brava gente! –



Mentre il camioncino se ne tornava a casa, Nola si incamminava spedita sul sentiero. Il peso della valigia la rallentava molto, e questo la faceva imbestialire. La strada si era aperta su degli estesi campi coltivati, e qua e la si scorgevano piccole fattorie.

Il sole stava ormai tramontando, e finalmente all’orizzonte si riuscì a scorgere il piccolo villaggio. Entusiasmata, Nola accelerò il passo, ma il sentiero era troppo sdrucciolevole e cedette di lato.

Nola sentì la terra mancarle sotto i piedi, finché non si ritrovò a rotolare per una scarpata.

Quando riaprì gli occhi, per un momento credette di sognare. Davanti ai suoi occhi si trovava un meraviglioso ragazzo dai capelli corvini, con gli occhi di diverso colore, uno grigio e uno viola.

La ragazza si mise a sedere, dolorante e sporca di terra.

- E tu chi sei? – chiese il ragazzo, chinandosi verso di lei.




Vi è piaciuto il primo capitolo? Spero tanto di si! Lasciatemi tante recensioni, anche chi non lo avesse apprezzato (le critiche sono molte volte costruttive!) ^^

Grazie per averlo letto!

  
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