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Autore: Luce_Della_Sera    08/01/2015    2 recensioni
Viviana è una adolescente, e come tale vive tutti i problemi della sua età; per questo vorrebbe tanto essere al posto di sua sorella minore, che è ancora nello spensierato periodo dell’infanzia.
Veronica è una bambina, ma non le piace esserlo: vorrebbe essere grande e avere più libertà, proprio come sua sorella maggiore.
Entrambe, quindi, pensano che l’altra sia più fortunata … così, la notte di Natale esprimono questo desiderio: “Quanto vorrei essere lei!”.
E da quel momento, tutto cambia.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9: lezione di ginnastica 

“Allora, bambini, copiate questo problema …”.
Viviana impugnò la penna, e sorrise. Gli altri bambini erano tutti concentrati, e man mano che la maestra snocciolava i dati si facevano sempre più seri e pensierosi. A lei invece quel problema sembrava così semplice! Quei piccolini non si rendevano conto della fortuna che avevano: li avesse avuti lei, compiti così facili da risolvere!
Quando ebbe finito di dettare, la maestra la fissò.
“Veronica, allora, hai capito il problema?”.
“Certo che sì!” le rispose lei, come se fosse una cosa ovvia.
“Sicura? Dici sempre così, e poi sbagli regolarmente! Eppure, lo sai che io sono disposta a spiegare le cose anche cinquecento volte, finché tu non hai capito bene tutto”.
Viviana s’irritò. Aveva sì l’aspetto di una bambina, ma non era stupida! Cosa voleva quella donna? Cercando di non essere troppo sfacciata, quindi, rispose che non aveva bisogno di altre spiegazioni e che aveva compreso tutto, cercando di ignorare lo sguardo scettico dell’altra.
Riuscì a risolvere l’esercizio in un paio di minuti e poi posò la penna, guardandosi intorno: tutti gli altri, com’era prevedibile, erano ancora intenti a fare calcoli. Alla maestra di sua sorella non sfuggirono questi suoi gesti, però, e fraintendendo tutto le si rivolse con tono rassegnato:
“Veronica,  ti sei già arresa? Vuoi darmi il quaderno, così controllo e ti dico subito dove hai sbagliato?”.
Viviana fece un cenno di assenso, e si alzò fingendo un’aria contrita: forse non era corretto, ma voleva prendersi una piccola soddisfazione! La ebbe in effetti qualche secondo dopo, vedendo l’adulta strabuzzare gli occhi.
“Ma … ma è tutto giusto! Brava!” sentendo questa esclamazione, gli altri bimbi alzarono le teste dai quaderni e si fecero attenti; Viviana, dal canto suo, si costrinse a sorridere con orgoglio. Non le sembrava di aver fatto qualcosa di eccezionale, ma sapeva che per la sua sorellina in realtà lo sarebbe stato, e non voleva comportarsi troppo diversamente da lei: i bambini erano più propensi a credere nella magia rispetto ai suoi coetanei, era risaputo: se qualcuno particolarmente fantasioso avesse intuito quello che era successo tra lei e Veronica, come avrebbero dovuto agire? Era meglio non rischiare!
Per fortuna, non dovette pensare a lungo a queste cose, perché la maestra, ancora esterrefatta, la mandò alla lavagna per mostrare agli altri come risolvere l’esercizio; stando girata di spalle, non si accorse che tutti i presenti nell’aula le fissavano, come era già accaduto il giorno precedente, la mano destra: era con quella infatti che teneva il gessetto.
 
 
Qualche ora dopo, la maestra di ginnastica li condusse in palestra: mentre scendevano le scale, la bimba con le trecce, che, ora Viviana lo sapeva, si chiamava Serena, le batté un dito sulla spalla.
“Che c’è?”
“Senti, Veronica … te lo volevo chiedere anche ieri, ma poi hai litigato con Erika per il panino e me lo sono dimenticato. Come mai adesso scrivi con la mano destra?”.
“Ehm …” Veronica deglutì, cercando una giustificazione plausibile. Sua sorella era mancina! Come aveva fatto a non pensarci? Non sarebbe mai riuscita a scrivere con la sinistra, ma non riusciva comunque a capacitarsi di aver dimenticato una cosa tanto fondamentale.
“Vedi, è che ero stufa di vedere gli altri sgranare gli occhi ogni volta che mi vedono scrivere. Non sono un fenomeno da baraccone!”.
“Forse hai ragione …” le rispose la bambina, poco convinta. “Ma a me fa un po’ strano, sai? Mi ci dovrò abituare! E poi, come hai fatto ad imparare così in fretta? Lo so che non è facile!”.
“Ehm … in realtà, mi alleno da tempo, a casa!”.
Serena fissò quella che credeva essere la sua amica con molto stupore. “Sarà … ma a me piacevi di più da mancina!”.
Viviana non seppe cosa rispondere a questa ultima esclamazione, e così continuò ad avanzare insieme a tutti gli altri bimbi, in silenzio.
 
 
Qualche istante dopo, si raggrupparono tutti intorno all’insegnante, che disse:
“Avete tutti le tute? Bene. Allora, cominciamo come sempre con qualche giro di corsa!”.
Viviana scattò, insieme a tutti gli altri: correre non le piaceva, ma non poteva certo rifiutarsi! Forse, però, anche fare una corsetta sarebbe stato facile: dopotutto, era pur sempre tornata ad essere una bambina delle elementari.
Aumentò il ritmo, compiaciuta, e non poté trattenere un sorriso. Quant’era facile la sua vita! Non sapeva quanto sarebbe durata la magia del desiderio che aveva espresso, ma sperava durasse in eterno, o quantomeno molto a lungo: era troppo divertente avere ancora otto anni! Superò tutti con grande facilità, e quasi si sentì in colpa: poteva infierire in quel modo su dei bambini? Era una cosa onesta da fare? Non ebbe tempo per approfondire la questione, però, perché girandosi appena vide che più lei avanzava, più gli altri sembravano rallentare e la guardavano stupefatti. Persino la maestra sembrava attonita!
“Ma cosa gli prende, a tutti quanti?” si chiese, e si fermò di botto, voltandosi definitivamente con aria parecchio interrogativa.
Serena, che era dietro di lei, per poco non andò a sbatterle contro. “Ma cosa ti prende, ultimamente?” le chiese. “Di solito quando corri, ehm … non sei molto veloce. Arrivi sempre per ultima!”.
“Ah, davvero?” fece Viviana. Strano: aveva visto correre sua sorella, e non se la cavava male! Possibile che fosse talmente timida da trattenersi, a scuola? Non le piacevano le competizioni, lo sapeva, ma possibile che quella per lei fosse una sorta di gara? E se anche così fosse stato, perché non tirava fuori almeno un minimo di competitività? Non aveva orgoglio?
“Devo parlarle, quando esco da qui” pensò. Iniziò a chiedersi se conosceva davvero sua sorella minore, e perché in generale lei non volesse confidarle tutte quelle cose: di che aveva paura? Del suo giudizio?
“Devo aiutarla. Devo spiegarle che non deve prendere tutte le cose come se fossero una gara! Magari così, quando e se torneremo noi stesse, la vita non le apparirà più tanto complicata”, decise cinquantacinque minuti dopo, mentre tornava in classe con gli altri, che la guardavano come se fosse una miracolata.
 
 
“Allora, hai capito cosa intendo dire? Non devi sentirti in competizione, non devi temere niente … i tuoi coetanei sono persone come te!”.
Era sera, e con la scusa di farsi aiutare per i compiti (i genitori non lo sapevano, ma in realtà era lei che aiutava la sorella a farli, studiando in quel modo anche il programma della sua vera scuola per mantenersi al passo), Viviana si era infilata in quella che fino a qualche settimana prima era stata la sua camera, e ne aveva approfittato per fare a Veronica il discorso che si era prefissa.
“Non è vero”, le rispose la piccola, scendendo dal letto su cui era seduta e iniziando a dondolarsi da una gamba all’altra oscillando come un pendolo: faceva sempre così quando era nervosa. “Loro sono migliori di me!”.
“Migliori di te? Ma Vero, cosa cavolo dici? Hai solo otto anni, ma sei praticamente una biblioteca vivente! Hai letto più libri non solo di me, ma di tutti i membri della nostra famiglia messi insieme. Gli altri bambini non arriveranno mai al tuo livello! Se proprio fossi tanto diversa da loro, quindi, al massimo saresti superiore, non inferiore!”.
“E’ vero, leggo tanto. Ed è per questo che gli altri mi prendono in giro … dicono che conosco tante parole strane, e ridono di me! A volte mi dicono che sono un vocabolario, e lo dicono che come se fosse la cosa più stupida del mondo. Mi fanno sentire sbagliata!”.
“Ma certo che ridono di te. Lo fanno perché si sentono inadeguati!”.
“Cosa? Ma che dici? E’ un controsenso!”.
“No invece! Ascolta: tu sei una tipa seria, stai sulle tue, non partecipi spontaneamente ai giochi, ti ci vuole più tempo per capire le barzellette, leggi tanto ma al contempo adori i cartoni animati e ne parli spesso, molto di più degli altri bambini. Questo agli occhi degli altri purtroppo ti rende strana … ed è per questo che gli altri ti prendono in giro. Per farti accettare, devi essere più come loro!”.
“Cioè, devo reprimermi? Ma così non sarei più me stessa!”.
“Se vuoi essere accettata, devi scendere a compromessi. Non devi cambiare proprio del tutto, ma venire incontro agli altri!”.
Veronica stava per ribattere, indignata, ma fu interrotta da sua madre, che aveva aperto la porta della camera senza bussare e passava lo sguardo dall’una all’altra, allarmata.
“Tutto bene, ragazze? Non è che state litigando?”
“No, mamma, tutto a posto!” risposero le due sorelle, in coro.
“Se lo dite voi”, disse la donna, richiudendo in fretta l’uscio con un’espressione tra lo stupefatto e il poco convinto dipinta sul volto.
Veronica e Viviana aspettarono di sentire la madre allontanarsi, poi si guardarono, incerte se aggiungere o meno qualcos’altro a quanto si erano dette pochi istanti prima. La minore voleva raccontare anche una cosa relativa all’impegno nello studio, legata implicitamente al suo essere tanto differente dagli altri, ma rinunciò: sospettava che la sorella non l’avrebbe mai capita. Si aspettava parole di conforto da lei, e invece aveva ottenuto solo consigli sciocchi; quindi, come poteva pensare che l’avrebbe aiutata? Quanto alla più grande, invece, voleva parlare ancora, mantenere il punto e spiegarsi meglio … ma qualcosa le disse che non ne valeva la pena. Forse, se avesse continuato a parlare avrebbe finito per confondere la sorellina, anziché farle capire dove sbagliava nei suoi ragionamenti! Sentiva però che il silenzio era troppo pesante, doveva essere necessariamente rotto: quindi, disse la prima cosa che le venne in mente, e che le sembrava anche la più adatta date le circostanze.
“Passami i quaderni, dai: ti faccio i compiti!”.
  
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