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Autore: Black_Tear    08/01/2015    0 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ero ferma.
La stanza girava.
Da quello che potevo vedere, era una bella stanza, dalle pareti color panna ed arredata con qualche mobile chiaro che però non riuscivo a distinguere bene. Gli oggetti giravano abbastanza lentamente per consentirmi di vederli, ma troppo veloci perché riuscissi a guardarli nel dettaglio.
Avevo la netta sensazione di non toccare i suolo, ma, non appena provavo a muovermi, percepivo chiaramente la superficie dura del pavimento. Era freddo. Probabilmente ero a piedi scalzi, ma non avrei saputo dirlo con certezza. Non ero nemmeno in grado di stabilire se fossi vestita. Non percepivo niente.
Confusione e pace convivevano nel mio corpo, producendo una sensazione indescrivibile che mi terrorizzò, anche se non ero in grado di capirne il motivo.
Sentivo i muscoli intorpiditi e pesanti, come se avessi dormito troppo a lungo e non riuscivo a camminare, solo a spostare i piedi di qualche centimetro. Passò un tempo che parve interminabile, durante il quale dovetti combattere contro la nausea, prima che riuscissi a fare un vero e proprio passo. Non appena posai il piede per terra, però, la stanza iniziò a roteare ancora più velocemente, destabilizzandomi. Il piede perse l'appoggio ed ebbi l'impressione di cadere in avanti. Cercai istintivamente di portare le mani avanti per attutire il colpo, ma mi accorsi con orrore di non riuscire a muoverle. Erano rigide lungo i fianchi, impotenti. Cercai di gridare, ma dalla gola uscì solamente un suono strozzato. Il pavimento in legno era ormai a pochi centimetri dal mio naso, quando improvvisamente la mia caduta si fermò.Rimasi qualche secondo orizzontale, sospesa a mezz'aria, a fissare le sfaccettature del legno scheggiato prima di alzare la testa, sperando che la stanza avesse smesso di girare. Constatai, invece, che i muri continuavano il loro moto. Provai a muovere il resto del corpo, senza successo.
Ero bloccata mentre tutto intorno a me continuava a muoversi.
Non passò molto prima che sentissi una lieve pressione sul polso della mano sinistra. La presenza del terreno tornò a farsi sentire sotto i piedi, anche se continuavo ad avere il mio viso ad un palmo dal pavimento. Mi stavo chiedendo come fosse possibile, quando la pressione sul polso mi costrinse a fare mezzo giro su me stessa, facendo in modo che dessi le spalle al "pavimento" e mi trovassi di fronte ad un uomo un po' più alto di me. Stringeva delicatamente il mio polso e con l'altra mano che premeva leggera sulla mia vita, mi traeva più vicina a lui.
Sapevo chi fosse ancora prima di alzare lo sguardo sul suo viso e incontrare i suoi brillanti occhi verdi e il suo sorriso beffardo.
-Meno male che passavo di qua, o avresti preso davvero una bella botta.-
Sorrisi, incapace di far uscire alcun suono dalle labbra.
Voltai la testa per controllare se ci fosse ancora il "pavimento" su cui stavo per cadere. Era sparito. Vedevo solo le pareti e i mobili girare.
-Che c'è?- chiese Dean.
Ogni parte di me voleva parlargli, spiegargli tutto, chiedergli dove fossimo, come ci eravamo arrivati e perché lui fosse così tranquillo, ma non riuscivo a proferire parola.
Tornai a guardarlo, scuotendo lievemente la testa. Il mio viso era ad un soffio dal suo, ma mi sentivo stranamente a mio agio.
Solo allora mi accorsi della musica. In qualche modo sapevo che c'era sempre stata, ma non ci avevo fatto caso fino a quel momento. E, quasi nello stesso istante in cui me ne resi conto, Dean iniziò a condurmi in una danza, seguendo le note. Mi lasciai guidare, ridendo. Non mi sarei mai aspettata di vederlo ballare.
Per qualche tempo mi dimenticai completamente di dove fossi e mi concentrai solamente sul suo viso. Non prestai più attenzione né alla musica né alla disavventura di qualche secondo prima. L'intorpidimento e la pesantezza dei muscoli, così come la confusione e la paura, erano spariti lasciando spazio ad una leggerezza dolce e piacevole.
Giravamo su noi stessi sempre più velocemente, fino a raggiungere la stessa velocità della stanza. Guardandomi intorno, sembrava che tutto si fosse fermato, mentre in realtà ero io che avevo iniziato a muovermi. O almeno, la pensavo così finché non mi accorsi che Dean non mi stringeva più e la nostra danza era finita assieme alla musica.
Fui assalita dal panico, guardandomi intorno cercandolo senza successo. Ero da sola.
La stanza era una camera da letto. Al centro della stanza era posto un letto matrimoniale sfatto, accanto ad esso, uno a destra ed uno a sinistra, due comodini di legno chiaro e dietro di me un armadio dello stesso materiale. Il pavimento era in legno, come quello su cui stavo per cadere poco prima.
Nella camera dei miei genitori era tutto esattamente come me lo ricordavo, tranne per un dettaglio: non c'erano finestre né porte. Sul muro, al posto della soglia, c'era un disegno stilizzato di una. Non appena lo vidi sobbalzai. Mi ricordava vagamente qualcosa, ma non riuscivo a ricordare cosa esattamente. Accennai qualche passo verso di esso e allungai la mano per sfiorare i suoi contorni neri. Sembrava cenere. Alzai lo sguardo sul suo volto per identificarla. Gli occhi erano stati disegnati in modo dettagliato, al contrario del resto del corpo.
Mi alzai in punta di piedi per guardarlo più da vicino, quando sentii un rumore di vetro infranto alle mie spalle.
Mi voltai, ma non c'era nessuno. Il cuore batteva all'impazzata e la testa aveva iniziato a girare, ma non era l'adrenalina questa volta. Ero terrorizzata e confusa. Dovevo uscire di lì, e la chiave per farlo era il disegno.
Tornai a guardarlo, ma era cambiato. Gli occhi erano sbarrati, rossi, e mi guardavano. La bocca si stava piegando lentamente in una smorfia i dolore, mentre lacrime rosso sangue sgorgavano dalle palpebre.
Poi accadde.
All'improvviso la donna si piegò su di me, spalancando la bocca in modo innaturale. Grida di bambini, donne e uomini si diffusero nella stanza, mentre il disegno sembrava contorcersi dal dolore, porgendomi le mani in cerca di aiuto.
Non glielo diedi.
Scappai, le mani nelle orecchie, e mi nascosi dentro l'armadio. Era più grande e meno buio di quello che mi ricordavo. Mi rannicchiai nell'angolo più lontano dalle ante con le mani premute sulle orecchie per non sentire le grida, ma non servì a niente.
Appoggiai la fronte sulle ginocchia e serrai gli occhi. Volevo che finisse tutto. Volevo tornare a fluttuare a mezz'aria con il naso che sfiorava il pavimento. Volevo tornare accanto a Dean.
Dopo un' infinità di tempo mi sembrò che le grida si fossero placate. Aprii gli occhi e tolsi le mani dalle orecchie.
Dall'esterno non proveniva un rumore, ma all'interno, accanto a me, erano comparse due persone. Una bambina di circa sei anni e una ragazza, la stessa che avevo visto nella foto del fascicolo.
-Cosa fate?- chiesi. Sapevo benissimo cosa stessero facendo, ma le parole uscirono senza che potesi fermarle.
-Giochiamo a nascondino con un mostro- disse tranquillamente la Me di dieci anni prima.
-Un mostro?-
Annuì.
-Come si gioca?-
-Non è molto diverso dal nascondino tradizionale: lui conta, tu ti nascondi e quando ha finito di contare prova a trovarti.-
-E cos'ha di diverso dal nascondino tradizionale?-
-Praticamente niente...Chi cerca è un mostro e se ti trova può ucciderti.-
Parlava tranquillamente, come se fosse la cosa più normale del mondo.
-Chi sta vincendo?- chiesi con voce tremante, anche se sapevo già la risposta.
-Lui. Pensa che ha già ucciso la mamma, Michael e Diana. Ma rimaniamo io e Cara. Penso che potremmo vincere noi due!-
-Non credi sia scontato nascondersi in un armadio?-
Alla mia domanda si voltarono entrambe verso di me, improvvisamente pallide, con gli occhi sbarrati dalla paura.
-Non dovevi dirlo- dissero in coro, prima che la porta dell'armadio si aprisse e venissero risucchiate fuori.
  
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