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Autore: teabox    17/01/2015    3 recensioni
Per Tom doveva essere solo una serata di beneficenza, l'ennesimo evento a cui partecipare perché gli era stato chiesto e perché non aveva potuto rifiutare. Per lei, invece, la questione era vagamente più complicata. Entrambi, comunque, erano ben lontani dal sapere o immaginare che il caso avesse in mente un piano tutto suo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tom non riusciva a parlare. L’aveva semplicemente seguita, quando lei con un sorriso un po’ troppo vivace gli aveva detto che era meglio muoversi dal Mondrian e camminare lungo la sala.

E lui non era stato capace di dire una parola. Lei, invece, che di solito non si lanciava mai in lunghi discorsi, parlava velocemente, come se avesse la necessità di coprire possibili silenzi o, forse, come se volesse evitare qualsiasi cosa lui avrebbe potuto dirle. 

 

Sarebbe bastato chiederglielo e Tom le avrebbe volentieri risposto che no, non aveva nulla da dire. Era troppo impegnato a cercare di rilassarsi e riprendersi quello spazio, quella distanza che c’era stata tra di loro fino a pochi attimi prima. 

Prima che lei si fosse appoggiata a lui, prima che la sua voce avesse sussurrato nel suo orecchio. Prima che il suo respiro avesse solleticato il suo collo, prima che il suo seno si fosse appoggiato al suo petto. Prima che il suo viso e le sue labbra si fossero trovate così pericolosamente vicine alle sue, prima che avesse maledetto le mani costrette nelle tasche perché tutto quello che voleva fare era toccarla.

Prima, in poche parole, che lei avesse deciso di fare di lui un’idiota con la testa piena di immagini e idee che non sapeva nemmeno come censurare.

 

Fu con un certo fastidio che ammise a se stesso quanto fosse stupido fantasticare su di una donna di cui non sapeva nemmeno il nome.

Quel pensiero lo bloccò sul posto. La guardò - nel mezzo di una frase su qualcosa di cui lui non aveva idea perché si era perso gli ultimi cinque minuti di conversazione - e non aspettò nemmeno che lei finisse quello che stava dicendo. 

«Come ti chiami?»

Lei si voltò, stupita e forse appena a disagio. «Scusa?»

«Nome strano.»

Lei gli rivolse uno sguardo impassibile. «Ovviamente quello non è il mio nome.»

Tom coprì velocemente i pochi passi che li dividevano. Non sapeva perché si sentisse così infastidito, ma in quel momento non era nemmeno interessato a scoprirlo. «Allora posso per favore sapere com’è che ti chiami?»

«E’ importante?»

«Sì.»

«Perché?»

«Perché sì.»

Lei gli sorrise appena canzonatoria. «Temo che dovrai elaborare un po’ più di così.»

Tom la guardò irritato. Si voltò allontanandosi di qualche passo, ma cambiò presto idea e tornò indietro - un sorriso falso sul volto - e la prese per un gomito, sussurrandole un “se vuoi seguirmi” che suonò più come un ordine che come una richiesta.

 

Lei si lasciò guidare da Tom fino alla stessa terrazza dove si erano trovati non molto prima, ma appena al sicuro da sguardi indiscreti, strattonò il braccio e si liberò dalla presa di Tom.

«Perché tutto dev’essere un mistero con te?», le chiese lui esasperato. «Perché per una volta non puoi semplicemente rispondere?»

Lei guardò altrove, le braccia abbandonate ai lati del corpo, le mani chiuse a pugni. «Non capisco il motivo-»

«Il motivo», la interruppe lui a corto di pazienza, «è che qualche mese fa eri nel mezzo della notte sul mio balcone e nel mio appartamento. Il motivo è che un attimo fa eri addosso al mio corpo. Il motivo è che tu mi chiami Tom e io non so come chiamarti.»

Si fermò per riprendere fiato e spostò lo sguardo da lei. Si passò una mano tra i capelli ed irrazionalmente gli venne da ridere. Sospirò, stanco. «Senti, lascia perdere. Lascia perdere tutto. Ovviamente sto intralciando il tuo lavoro e tutto questo, comunque, è solo uno sba-»

«Olive.»

 

Tom tacque. Non era sicuro di aver sentito bene perché era stato poco più di un sussurro, ma temeva chiederle di ripetere il suo nome.

Lei si schiarì la voce. «Olive. Il mio nome è Olive.»

Tom la osservò. Una mano aveva catturato il gomito del braccio opposto, un qualcosa di delicato e quasi adolescenziale in quella posa. Le sorrise, anche se lei non lo stava guardando. 

«E’ un nome molto grazioso», le disse lentamente. 

Lei alzò gli occhi su di lui, inclinando appena la testa di lato con un accenno di diffidenza sul viso. 

Tom distese una mano. «Piacere di conoscerti, Olive.»

Lei lasciò passare un attimo prima di accettarla e stringerla con la sua. Tom, con un gesto di piccola stravaganza, se la portò alle labbra. 

«Per l’amor del cielo», commentò lei con un tono annoiato.

Tom rise. Apparentemente era tornata a non sapere che farsene della timidezza. Apparentemente era tornata ad essere se stessa. 

Olive, pensò Tom.

Come se quel nome racchiudesse il segreto per trattenerla. 

 

*

 

«Dunque», disse Olive con una nota divertita, «ora che siamo stati formalmente introdotti, avrei una domanda da farti.»

«Dimmi», replicò semplicemente Tom.

«Hai ancora grosso modo un quarto d’ora della tua mezz’ora con me. Preferisci passarlo girando per la sala ascoltando un’interessante lezione su allarmi a sensori di movimento, peso e pressione come quelli installati sui quadri di Lady Burke, o preferiresti fare qualcosa di più… artistico?»

Tom la guardò incuriosito. «E forse non del tutto legale?»

«Forse.» Olive agitò una mano nell’aria. «Ma non per te. Puoi stare fuori da quella parte.»

Lui infilò le mani in tasca e alzò le spalle. «Cosa vuoi che faccia?»

Olive strinse un po’ gli occhi. «Sei sicuro? Non vorrei mettere a rischio la tua reputazione.»

Tom fece un passo verso di lei, un sorriso sulle labbra. «Cosa vuoi che faccia?», ripeté.

 

Una parte di Olive sapeva che non avrebbe dovuto chiedergli quello che stava per chiedergli. Una parte di Olive sapeva anche che le possibili conseguenze erano numerose e non del tutto auspicabili. Una parte di Olive inoltre sapeva che sotto molti aspetti quello che stava per fare era un errore. Inspirò e trattenne il respiro un momento prima di espirare.

«Vorrei che mi seducessi.»

 

*

 

Il giorno dopo Tom si sarebbe svegliato alle sette e trentanove della mattina in un letto che non era il suo, in un appartamento in cui era entrato per la prima volta solo la notte precedente, in una parte di Londra che conosceva, ma non così bene. Avrebbe poi allungato un braccio cercando di rilassare i muscoli delle spalle e la sua mano avrebbe toccato la schiena calda di Olive, addormentata accanto a lui.

Immagini della notte appena passata avrebbero invaso la sua testa e, innegabile, un sorriso soddisfatto sarebbe comparso sulle sue labbra.

 

*

 

«Vorrei che mi seducessi.»

Tom era prevedibilmente scoppiato in una mezza risata, in cui aveva incastrato un “cosa?” decisamente incredulo.

Olive scosse la testa. «Forse ho usato le parole sbagliate. Lascia che ti spieghi. La galleria che si affaccia sulla sala da ballo si collega da una parte alla zona privata della residenza - camere da letto, soprattutto», indicò una serie di finestre al secondo livello della facciata che dava sulla terrazza e sul giardino. «Dall’altra parte, invece, sul lato della strada, ci sono i salotti e gli studi di Lord e Lady Burke, e della sua assistente personale. Che, poi, è esattamente dove devo andare io.»

«Ancora mi sfugge l’idea generale», ammise Tom con una scrollata di spalle.

«La galleria è esposta. Se io vado lassù da sola, sembrerebbe strano e potrebbe far sorgere domande ed attirare il tipo sbagliato di attenzione. Invece se andiamo lassù insieme e spariamo discretamente nella zona dei salotti, sembrerebbe soltanto che stiamo cercando un po’ di…privacy, per così dire. Inoltre, se non sbaglio, tu conosci Lord Burke, quindi non sembrerebbe poi così strano che ti possa prendere certe libertà.»

Tom non rispose subito, invece osservò Olive per qualche istante soppesando un’idea. «Ad una condizione.»

Lei sorrise divertita. «Ah, sì?» 

«Questa volta non puoi dirmi cosa devo o non devo fare. Se vuoi il mio aiuto, facciamo a modo mio.»

Olive lo guardò dubbiosa.

«Non ti fidi di me?», domandò allora Tom.

Lei sospirò. «Ovviamenre no. Ma non credo di avere molta scelta.»

Tom lanciò un’occhiata alla sala da ballo. «Quando vuoi cominciare?»

Olive seguì il suo sguardo. «Ora?»

 

*

 

C’era un punto nella schiena di una donna, ben sotto le scapole ma prima della fine della schiena stessa, che era il posto ideale per appoggiare una mano senza essere sconveniente. 

Forse la mano di Tom era leggermente più in basso di quanto avrebbe dovuto essere, ma - come aveva sussurrato ad Olive - era un dettaglio che indicava una certa intimità tra loro due. 

Olive aveva quindi lasciato che il mignolo di Tom sfiorasse la curvatura del suo sedere, ma gli aveva comunque rivolto un sorriso asciutto che rendeva chiaramente l’idea che se solo la situazione fosse stata diversa, lei senza dubbio avrebbe saputo cosa farsene della mano di Tom.

Lui aveva trattenuto a stento una risata, che aveva trasformato all’ultimo momento in un sorriso probabilmente troppo divertito.

Sapeva perché si sentiva così euforico. Se avesse voluto, lo avrebbe potuto mettere in un centinaio di parole. Ma alla fine si riassumeva in una sola. Lei.  

 

«Possiamo salire, ora?», chiese Olive giusto in quel momento.

«Sto cercando di fare del mio meglio, tesoro», rispose Tom in un sussurro, prima di essere fermato dall’ennesima persona nella sala da ballo.

Erano rientrati da meno di dieci minuti e aveva già perso il conto di quante volte qualcuno li avesse bloccati ed interrotti lungo il tragitto verso la scalinata della galleria. 

Ogni volta era la stessa piccola pantomima fatta di sorrisi, saluti e scambi di convenevoli, prima dell’ovvia curiosità - espressa o non espressa - su chi fosse Olive. Al che Tom ogni volta spostava la mano sul fianco di Olive e la stringeva un po’ di più a sé, limitandosi però ad introdurla solo per nome, senza aggiungere altro. Se fossero stati in America, la cosa probabilmente non avrebbe funzionato - sarebbero seguite altre domande e richieste di chiarimenti - ma in Inghilterra gli Inglesi erano inglesi e non si spingevano oltre un limite cortese di curiosità.

 

Quindi Tom avrebbe potuto dire che, in fondo, era colpa di Olive. Lui sapeva come non fermarsi e non farsi fermare, ma con lei al suo fianco c’era più attenzione da evitare ed inevitabilmente il gioco diventava più difficile. 

Ma Tom si considerava una persona sincera. O, almeno, abbastanza sincera. Di conseguenza - anche se forse non lo avrebbe mai detto ad Olive - non poteva non ammettere a se stesso che la colpa piuttosto era sua. Gli piaceva avere Olive al suo fianco e non vedeva cosa ci fosse di male nel prolungare anche solo di un po’ quella situazione. 

Non che lei, però, sembrasse della stessa opinione.  

 

«Se solo tu potessi essere giusto un poco meno educato», gli fece presente con una certa impazienza, appena furono riusciti a liberarsi di nuovo. 

Tom rispose facendo scendere di qualche centimetro la mano sulla schiena di lei.

Olive la prese e la riportò al suo posto. «Non in quel senso», gli disse asciutta. Dovette inoltre aver colto qualcosa sul viso di Tom, perché gli lanciò un’occhiata di rimprovero. «Sembra che tu ti stia divertendo un po’ troppo.»

«Non immagini nemmeno quanto», rispose lui sussurrandole in un orecchio. 

Lei si scostò. Sembrò improvvisamente a disagio. Forse era addirittura arrossita. «Basta anche con i sussurri», lo ammonì con un tono appena brusco. «Fanno solletico.»

 

Tom evitò di commentare. Accennò qualche saluto diretto ad altre persone che conosceva, ma meno educatamente non si fermò. Invece spinse con delicatezza Olive verso la scalinata, ma prima che lei potesse mettere piede sul primo gradino, la prese per il gomito e la guidò qualche passo più in là. 

«Cosa stai facendo?», domandò lei confusa.

Tom lanciò uno sguardo veloce sulla sala. Come aveva immaginato, il punto in cui l’aveva fermata dava solo l’illusione di essere discreto ed intimo, quando in realtà era perfettamente esposto al resto della stanza - e alle persone che la riempivano. 

Tornò a guardare Olive e le sorrise piegandosi appena su di lei. «Quello che sto facendo si chiama “creare un precedente”.»

 

Olive socchiuse la bocca per dire qualcosa, ma Tom abbassò il viso sul collo di lei e le sfiorò la gola con un bacio, trasformando quello che lei era stata sul punto di dirgli in un invitante sospiro di sorpresa e piacere che per un istante riempì la testa di Tom.

Le mani di Olive si chiusero sui suoi avambracci, qualcosa nelle dita strette sulla stoffa della sua giacca che parlava di necessità e desiderio. 

C’era stata una linea, a quel punto, che Tom non aveva superato - un confine tra quello che erano lì per fare e quello che lui avrebbe voluto farle. Ma non era il posto, né il momento o il modo. Scostò allora le labbra dal collo di Olive e, ignorando quello che lei aveva detto, le sussurrò nell’orecchio.

«Andiamo.»

 

La prese per una mano e la portò alla scalinata, dove salirono i gradini con una calcolata fretta - la giusta dose di impazienza e controllo che avrebbe suggerito l’idea corretta a chiunque li avesse visti.

Si spostarono vicino la parete, di modo che fossero almeno parzialmente nascosti dalla sala da ballo, e si mossero velocemente verso la zona che dava sul fronte della villa. Solo quando si lasciarono alle spalle la luce brillante della sala e buona parte del rumore che includeva, Tom si sentì leggermente più rilassato. Sembrava fossero entrati in un mondo parallelo ed ovattato, fatto di luci soffuse e tappeti persiani. 

E in quel mondo parallelo, notò Tom con un che di divertito, Olive sembrava decisamente irritata.

 

*

 

Il giorno dopo Olive si sarebbe svegliata alle otto e dodici minuti con un noioso dolore al collo e alla schiena. Avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe ricordata di quello che era successo la notte precedente e avrebbe preso un cuscino per nascondere il viso e cercare di soffocare la sua stessa idiozia. Avrebbe quindi dibattuto con se stessa per quasi cinque minuti prima di sbirciare dal cuscino e accorgersi che Tom non era più nel suo letto. Si sarebbe dunque alzata e sarebbe andata in salotto, non rendendosi subito conto che indossava solo un paio di slip e una maglietta non abbastanza lunga.

E Tom, seduto sul divano con un libro di fotografie sulle gambe, avrebbe notato quel particolare.

 

*

 

«Mettiamo in chiaro una cosa», sibilò Olive liberandosi dalla mano di Tom, «non farlo mai più.»

«E’ stato così terribile?», domandò lui con finta innocenza. 

Lei strinse le mani a pugni, ma evitò di rispondere alla domanda spostando lo sguardo sul corridoio che si apriva davanti a loro. Non avrebbe mai ammesso che quel bacio stupido ed improvviso per un attimo le aveva quasi fatto dimenticare chi fosse e cosa fosse lì per fare. Tornò a guardare Tom con una nota in più di durezza. «Rimani qui. Se passa qualcuno, inventati qualcosa. Dovevi fare una telefonata o stavi cercando Lord Burke. Quello che ti pare.»

 

Non aspettò nemmeno che Tom rispondesse, si voltò invece e si diresse dove - grazie a due giorni passati a sorvegliare le finestre della residenza - sapeva essere posizionato lo studio dell’assistente personale di Lady Burke-Roche. Si fermò solo quando sentì altri passi dietro di lei. Si voltò e guardò Tom quasi con insofferenza. «Ho detto “rimani qui”.»

«E perdermi il divertimento?», chiese retoricamente Tom con una scrollata di spalle. «Allora, qual’è la porta che ci interessa?»

Olive scosse la testa e decise ufficialmente di rassegnarsi. In fondo non sapeva nemmeno perché volesse cercare di proteggerlo. Se Tom Hiddleston voleva cacciarsi nei guai, era affare suo. Fintanto, almeno, che non diventasse un intralcio per Olive o, anche peggio, un’incognita.

 

Lo superò senza nemmeno guardarlo e contò le porte. Quando arrivò alla terza, si fermò. Tom - Olive in qualche modo ridicolo se lo sentiva - era a soli pochi passi dietro di lei.

Abbassò la maniglia della porta, ma la serratura era chiusa. Dettaglio prevedibile, pensò. 

Così prevedibile, infatti, che era arrivata preparata per quella evenienza. 

Si girò, bloccandosi solo un attimo prima di finire contro Tom, quindi con uno sguardo appena esasperato lo spostò di lato. 

 

Sull’altro lato del corridoio, quasi di fronte alla terza porta, una poltrona in stile Luigi XV sembrava giusto aspettare lei. Si sedette e senza pensarci - ancora irritata da Tom, dalla sua cocciutaggine e dal bacio sul collo - prese l’orlo del suo vestito e lo alzò, scoprendo una gamba e la giarrettiera che ne decorava la coscia, insieme ai sottili strumenti da scasso che vi aveva infilato prima di lasciare casa.

Un fischio lungo e sottile la interruppe nel mezzo della scelta dei tre più adatti. Guardò Tom alzando un sopracciglio. «Una signora dev’essere sempre pronta a tutto», commentò asciutta, tornando a scegliere i ferretti. Riabbassò poi l'abito e passò di nuovo accanto a Tom, mettendosi a lavorare sulla serratura. 

 

Lui si piegò accanto a lei, osservando quello che stava facendo. «Forse dovrei precisare che non mi riferivo ai tuoi strumenti che, per carità, per quanto interessanti, non sono interessanti come…il resto.»

Olive non rispose. Anche avesse voluto, aveva un ferretto per mano e il terzo in bocca, ed era comunque troppo concentrata sul meccanismo della serratura. 

Dopo poco un piccolo rumore meccanico annunciò che la porta si era aperta. Olive estrasse i ferretti con un sorriso ed abbassò la maniglia. E non poté fare a meno di sentirsi un po’ soddisfatta dell’espressione di ammirazione che era comparsa per un attimo sul viso di Tom. 

 

Scivolarono dentro lo studio ed Olive accostò la porta con delicatezza, guardandosi un istante attorno per decidere da dove cominciare. 

«Cosa stiamo cercando?»

«Tu non cerchi nulla. Tieni d’occhio la porta e il corridoio», rispose Olive avvicinandosi alla scrivania che dominava la stanza. Sembrava la cosa più logica.

«Correzione, allora. Cosa stai cercando?»

Olive aprì uno dei cassetti delle scrivania e ne estrasse dei documenti. «I quadri hanno dei sensori sulle cornici e sul retro. Se un quadro viene spostato o rimosso, i sensori attivano l’allarme. La sala da ballo, inoltre, ha dei sensori di distanza - come quelli che trovi nei musei, per capirci. Se ti avvicini troppo, scatta l’allarme. Ma stasera, ovviamente, è tutto disattivato. Troppe persone e, in generale, un basso rischio che possa succedere qualcosa.»

«Dunque?», domandò Tom guardandola mettere via i documenti che aveva velocemente cercato ed estrarne altri da un altro cassetto.

«Dunque la cosa mi ha dato da pensare. In quale altra situazione gli allarmi devono essere per forza disattivati?» Le dita di Olive si fermarono su di una cartelletta azzurra con un’elegante goffratura nel centro. La aprì e scorse i documenti che conteneva, fermandosi su di uno in particolare. Alzò gli occhi su Tom e con un piccolo sorriso glielo mostrò. «Lascia che ti presenti Rosie O’Caffrey, che tramite la Harrow&Wealdstone da dieci anni si prende cura della pulizia della residenza di Lord e Lady Burke.»

«Ma certo», disse Tom animato, «non puoi certo pulire con il rischio di far scattare gli allarmi della casa ad ogni passo.»

«Esattamente», rispose Olive con un sorriso. «Il che si traduce anche in una delle poche occasioni in cui un ladro, con un po’ di ingegno, potrebbe approfittare per rubare qualcosa. O di cui io potrei approfittare per mettere alla prova i sistemi di sicurezza.»

 

«Certo che per una persona sola una casa di questa grandezza è una mole di lavoro non indifferente», commentò Tom.

«Non è da sola», rispose Olive estraendo altri tre schede dal fascicolo. «Deepti Majumdar, assunta cinque anni fa. Sandra Duncan, assunta l’anno scorso. E…»

Olive guardò perplessa l’ultima scheda. 

«Cosa c’è?», le chiese Tom raggiungendo la scrivania. Olive gli passò il documento e lui lesse ad alta voce. «Phyllis Fowler. Assunta…un mese fa. Graziosa», aggiunse picchiettando la piccola foto-tessera spillata alla scheda. «Dov’è il problema?»

«Il problema», disse Olive riprendendo il documento e mettendolo al suo posto dentro la cartelletta, «è che se “Phyllis Fowler” è chi credo che sia, non si sognerebbe mai di mettersi a pulire case. A meno che non ne possa uscire con le tasche piene di gioielli.»  

Tom tamburellò le dita sulla scrivania. «E pensi che potrebbe anche essere interessata ad un quadro o due?»

Olive si morse un labbro. Chiuse il fascicolo e lo ripose dentro il cassetto, esattamente come lo aveva trovato. «Forse», disse facendo qualche passo verso la porta. «Ma prima di fare qualsiasi cosa-»

 

Si bloccò alzando un dito per segnalare a Tom di non dire nulla. Ancora distanti, ma sempre più definiti si potevano sentire avvicinarsi un gruppo di passi. 

Tom ed Olive si scambiarono un’occhiata agitata. Lei si guardò poi attorno - i passi sempre più vicini - e senza trovare nulla che potesse aiutarli, ritornò su Tom.

«Per l’amor del cielo», sussurrò con fastidio a se stessa, prima di fare l’unica cosa che sembrava possibile fare. Appoggiò le mani sul collo di Tom e gli fece abbassare un po’ la testa, esitando un brevissimo istante prima di baciarlo. 

La sorpresa, per Tom, sembrò durare solo un attimo. Quasi immediatamente chiuse le braccia sulla schiena di Olive ed approfondì il bacio, stringendola a sé - le mani, quelle mani, che suggerivano e lasciavano immaginare un’infinità di altre cose deliziose che sarebbero state capaci di fare. 

 

La porta dello studio si aprì improvvisamente e Tom ed Olive si allontanarono l’uno dall’altra con un nervosismo che solo in minima parte era preteso.

Lord Burke-Roche - che stava parlando con qualcun altro - si era interrotto e li guardava confuso e divertito. «Tom?»

Tom si schiarì la voce. «Philip, buona sera. Noi stavamo…eravamo…», inciampò sulle parole con un’insicurezza così genuina che se Olive non avesse saputo meglio, avrebbe creduto reale. «Sono terribilmente dispiaciuto per…per la situazione.»

Lord Burke lanciò un’occhiata discreta ad Olive e rise. «Niente di cui essere imbarazzato, Tom.»

Alle sue spalle qualcuno si schiarì la voce. Olive guardò con una nota di panico l’assistente di Lady Burke entrare nello stanza. «La porta dello studio era chiusa», disse freddamente.

Tom guardò con la coda degli occhi Olive. Lei fece un passo in avanti e sorrise. «Temo di no. Noi l’abbiamo trovata socchiusa.»

«Impossibile. Mi accerto sempre di chiuderla ogni volta che lascio la stanza», replicò lei stizzita.

«Ma se fosse stata chiusa, Tom e la sua amica non sarebbero potuti entrare», le fece notare Lord Burke. Le diede una piccola pacca sulla spalla. «Su, su. Non è la fine del mondo, errori capitano anche alle persone migliori.»

Lei sembrò sul punto di voler ribattere, ma strinse le mani e tacque, riservando uno sguardo poco caloroso ad Olive e Tom.

Tom si schiarì la voce. «Mi scuso ancora per l’incidente, Philip. Ce ne andiamo subito.»

Olive prese la mano che lui le offrì e salutò imbarazzata Lord Burke. L’ultima cosa che sentì fu l’assistente di Lady Burke ribadire che era certa di aver lasciato la porta dello studio chiusa.

Percorsero il corridoio in silenzio, ma quando raggiunsero la galleria Olive si accorse che Tom stava tremando. Lo guardò preoccupata, prima di rendersi conto che stava solo cercando di non scoppiare a ridere.

Tornò a guardare di fronte a sé, una risata nervosa sulle labbra, il sapore di Tom ancora sulla bocca. 

  
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