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Autore: Theredcrest    25/01/2015    3 recensioni
Il Varco è aperto. L'Inquisizione, formata dalle menti più brillanti del Thedas, combatte per liberare il mondo da un nemico che potrebbe rivelarsi impossibile da sconfiggere. Eppure, la speranza è ancora viva, riposta nelle mani dell'Inquisitore, dei suoi compagni e consiglieri. Ognuno di loro con le proprie esperienze. Ognuno con le proprie ferite.
Il Comandante Cullen è uno di loro. Segnato dal passato e dagli errori che lo tormentano, si concentra sull'Inquisizione per porvi rimedio e ritrovare una pace che non conosce da molti anni. Ma potrà mai farlo?
Attenzione: il testo contiene spoiler sulla trama del videogioco.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il ritorno a Skyhold fu più veloce del previsto, contando le nuove aggiunte al loro gruppo e la scorta che l'Imperatrice aveva voluto concedere loro fino al limitare dei Dales. Nonostante la rinomata durezza di Celene di fronte a qualsiasi evento potesse mettere in difficoltà il suo trono e il regno di Orlais, la sua rinnovata posizione di accordo tra le parti le aveva permesso di spingersi un po' oltre rispetto a quanto facesse di solito, non dovendo più preoccuparsi che Gaspard o Briala le tramassero alle spalle. Proprio per questo aveva preferito anche rimandare le trattative col Re del Ferelden, attendendo tempi migliori: ora che Alistair era a capo dei Custodi Grigi, e dopo che l'Orlais era stata per anni la casa dell'Ordine durante l'esilio dal Ferelden, non c'era motivo per mettere fretta ad un regnante ancora scosso dal ritorno della consorte e ad un paese che ancora dopo dieci anni si stava riprendendo dall'ultimo Flagello.
L'Eroe e Alistair erano solo le ultime tra le nuove facce presenti che li avrebbero accompagnati per tutto il viaggio: il mercante, Garrand, aveva finito i suoi commerci e li avrebbe seguiti fino alla fortezza per rifornire al meglio l'Inquisizione, e con grande gentilezza aveva messo a disposizione il suo carro e i suoi cavalli al Re e alla Regina. Iren, più che contento del suo nuovo ingaggio, si era messo a parlare coi soldati, mentre Morrigan accompagnava in silenzio i due Custodi con un bambino montato dietro di lei in sella, ben coperto da un ampio mantello di lana. L'Imperatrice l'aveva concessa loro in "dono" per aiutare l'Inquisizione nei difficili tempi a venire, ma molti temevano quella scelta, sia per il potere stesso che la donna ispirava, sia per gli sguardi furibondi che Alistair le lanciava. La Duchessa traditrice era stata dotata di una carrozza di fattura orlesiana appositamente costruita per il trasporto dei prigionieri e lì rinchiusa, senza che nessuno le rivolgesse la parola.
Gli animi si facevano più agitati quando invece si parlava di Elmer: Leliana si prendeva cura del suo naso rotto ad ogni sosta e la magia stava facendo il resto, ma ogni volta che cercava di chiedergli cosa fosse successo il mago tirava fuori ben poco oltre ad una lunga serie di imprecazioni di varia natura. Avevano viaggiato per molti giorni a suo dire, fino ad Amaranthine, ma lì il racconto iniziava a farsi vago e le urla di solito aumentavano. Irritato, lo avevano sentito esclamare di come fosse stato proprio l'Eroe ad averlo preso a pugni in faccia, ma dopo si era immusonito e non aveva più voluto saperne di dire altro, o almeno non alla Capospia. L'eretico chiedeva solo ed esclusivamente dell'Inquisitore che gli aveva dato la sua parola, e così quando si erano accampati Kassandre era riuscita a strappargli più di quanto non avessero fatto gli altri in molte ore.
Elmer le riferì di come il corvo avesse preso una direzione del tutto inaspettata, mentre si dirigevano dalle parti di Amaranthine, molto più ad Est di quanto avesse pensato di trovarsi. Da lì, il percorso era stato a ritroso fino a passare per Orzammar e arrivare, a sorpresa, ad Halamshiral. Di Harding e della sua scorta, Elmer aveva riferito di averli avvistati per l'ultima volta al passo di Gherlen, quando avevano provato a tendere un'imboscata alla Regina: dall'alto non aveva visto l'esatto svolgersi della vicenda ma stando alle sue parole, probabilmente lì si erano fermati, messi fuori combattimento dalla stessa persona che ora sembrava un pallido cadavere steso in una carrozza, in bilico tra la vita e la morte. Il mago l'aveva comunque rassicurata sulla loro sorte, riferendole che con tutta probabilità erano ancora vivi e vegeti, ma privi del suo filatterio che aveva visto andare distrutto durante la scaramuccia: con tutta probabilità avevano tentato di rintracciarli ma, privi dell'oggetto, si sarebbero diretti ben presto a Skyhold. A dispetto di questo, il mago aveva comunque proseguito il viaggio in forma di corvo, cercando di non far sospettare di nulla l'Eroe nonostante si sentisse osservato nelle rare pause che si era concesso, lontano dai minuscoli accampamenti della donna. Alla fine l'aveva scoperto e quando aveva tentato di fermarla riprendendo le proprie sembianze proprio davanti alle porte del Palazzo, lei l'aveva colpito frantumandogli il naso. Da lì, il resto della storia lo sapevano tutti: l'Inquisitore ringraziò Elmer per il suo contributo e gli assicurò una residenza. Inoltre gli promise che, fintanto fosse rimasto a Skyhold, nessuno l'avrebbe cacciato nè imprigionato, o peggio, portato in una torre. L'eretico sembrò gradire.
Con l'Inquisitore impegnato a interrogare Elmer e riferire ogni cosa a Leliana, a Cullen non era rimasto che assicurare la loro protezione per tutta la giornata e mezza di cammino a ritroso lungo la Via Imperiale fino al castello, con un occhio di riguardo alla Regina assistita in continuazione da Dorian e ad Alistair, il cui sguardo non poteva essere più truce. Il sesto senso del Comandante, maturato in anni di esperienza militaresca e di comunione con i compagni di camerata, gli suggeriva ci fosse più di quanto non era stato detto: la sua presenza passata inosservata al fianco del Re gli aveva permesso di sentire più di quanto volesse, e ora non sapeva se rammaricarsene od essere ben contento d'avere qualcosa su cui ragionare. Avrebbe lasciato comunque la decisione a dopo, per il bene di tutti: l'amico aveva bisogno di passare del tempo con la sua consorte e non intendeva certo privargliene per rispondere alle sue fastidiose, e forse anche inutili, domande. Continuò a tormentarsi però, instancabilmente, fino al ritorno alla fortezza.
Arrivare a Skyhold a tardo pomeriggio fu come essere di nuovo a casa, una sensazione che Cullen non provava più da tempo: finalmente smontato da cavallo aiutò gli uomini a togliere le selle e a raccogliere quel poco di viveri rimasti loro, complimentandosi per il loro lavoro e lasciando agli scudieri il compito di pulire gli animali e dar loro da mangiare. A Iren, rimasto spaesato dall'enorme portata della loro dimora, suggerì di prendersi un giorno prima di parlare con lui o col Toro, a capo del gruppo di mercenari chiamati "Furie Taurine", nel caso avesse voluto riprendere il suo vecchio lavoro. Fatto questo, si ritirò in fretta nelle proprie stanze, superando la porta e chiudendo all'esterno qualsiasi ulteriore problema che avesse voluto disturbarlo. Il legno accolse la sua schiena con benevolenza, mentre vi si appoggiava con un sospiro.
Il freddo della torre era il solito, pungente e secco. Parve accoglierlo come un benvenuto assieme ad un discreto malloppo di fogli impilati, la solita incombenza diventata così familiare da essere quasi piacevole dopo il ballo a palazzo. Il Comandante, cambiandosi solo sommariamente e rimandando a più tardi una buona lavata, si rimise celermente a lavoro attendendo le prime avvisaglie della sera per poter cenare e poi, finalmente, riposare in vista di un nuovo, impegnativo giorno. Ovviamente non dovette aspettare meno di trenta minuti perchè il primo disturbatore bussasse alla porta.
«Avanti» fece secco il Comandante, intingendo la penna nella boccetta di inchiostro, intento a fare un rapido resoconto del ballo da mostrare poi al Concilio di Guerra per programmare nuovi piani. Si accorse a malapena di Fergus che entrava con passo incerto, e alzò gli occhi su di lui solo quando fu alla scrivania.
«Vorrei chiedere un permesso di un giorno» gli chiese. Cullen non dovette nemmeno pensarci.
«Accordato.» Fu quando sollevò gli occhi sul viso dell'uomo che quasi se ne pentì, e non certo per cattiveria: riconobbe quel tipo di espressione, quella che aveva visto mille volte e immaginato sulle facce delle famiglie a cui mandava le lettere ogni volta che un soldato cadeva in battaglia - quello che avrebbe dovuto fare poi per i cinque valorosi uomini che avevano impedito alla Duchessa di assassinare Celene. Solo un lutto poteva provocare quello sguardo incerto, rosso e rigato dal sale lasciato da un lungo pianto. Fergus fece per andarsene quando il Comandante lo fermò, alzandosi dalla scrivania con la penna ancora in mano. «Perdonami la domanda, Fergus, ma... per cosa ti serve? E' successo qualcosa alla tua famiglia?»
L'uomo gli sorrise in maniera tragica, come se la sua sincerità fosse stata velata dal dolore. Si sorprese a pensare come Varric gli avesse dato del "troppo paterno" con i suoi uomini, dicendogli avrebbe scommesso sul fatto portasse le loro foto nel portafoglio. Forse non aveva tutti i torti, ma Cullen lo trovava semplicemente naturale.
«Mia sorella è qui.» Il Comandante abbandonò la penna sul tavolo, macchiando di inchiostro il rapporto a cui rivolse a malapena un'occhiata. Si avviò verso l'uomo, la fronte aggrottata.
«Dovresti esserne felice allora, o c'è qualcos'altro?» tentennò un attimo nella voce, ma tenne lo sguardo fisso su di lui. «Non vorrei mancarti di rispetto, ma se ci fosse qualcosa... se avesse bisogno di soldi o altro, sai che puoi-» Venne interrotto da un cortese diniego, mentre una punta di disperata ilarità si faceva strada sulle labbra dell'uomo.
«Mia sorella è Rachel. L'Eroe.»
Svariati secondi di quiete lo aiutarono a realizzare quello che gli era stato detto, e all'improvviso tutte le volte che aveva trovato familiare il viso di Fergus assunsero un senso. Fergus, valente guerriero scampato ad Ostagar e che evitava accuratamente di rivelare la sua provenienza, non era altri che il Teyrin Fergus Cousland di Highever, fratello della Regina e, a parte lei, ultimo esponente della casata. Non avesse avuto molti anni di esperienza sulle spalle sarebbe volentieri caduto sul pavimento fingendosi morto, un po' per la vergogna, un po' per quello che la rivelazione comportava.
«Io... perdonatemi» fece per abbassarsi in un inchino, quando Fergus lo fermò.
«Lasciate perdere le formalità. Sono un uomo qualunque davanti all'Inquisizione, e voi siete il mio Comandante. E' a voi che devo il mio rispetto.» Il sorriso del Teyrin stavolta fu meno doloroso e triste, e lasciò spiazzato il Comandante.
«I-io non vorrei farti attardare, allora.» Con un balbettio, lo accompagnò alla porta. «Sai almeno dov'è stata sistemata?» L'uomo gli rispose scuotendo la testa. Cullen fu felice di poter finalmente essere utile in qualche modo. «Andiamo, ti faccio strada.»
C'erano volute parecchie insistenze da parte dell'Inquisitore, ma quest'ultima alla fine era riuscita a convincere il Re di aver bisogno di un alloggio sicuro e lontano dalla chiassosa routine del castello dove la Regina potesse essere curata con calma, persuadendolo a sostare direttamente nelle sue camere. All'inizio Alistair non aveva ceduto facilmente, impuntandosi con una testardaggine che non gli aveva mai visto: nello smontare i cavalli mezzo campo era stato protagonista del breve, ma tesissimo, scambio tra Kassandre e il Re che pretendeva di non avere un trattamento diverso dagli altri ospiti. Il passaparola si era diffuso in fretta, ancor prima che Kassandre informasse personalmente i suoi consiglieri con poche parole prima di lasciarli ai loro doveri, una volta convinto il Re.
Quando entrarono negli alloggi, fu Dorian ad accoglierli assieme a Solas, impegnato a pestare diverse erbe in un mortaio posto su una scrivania lontana dal letto. Nonostante l'accorgimento, l'odore acre del composto si diffondeva per la stanza assieme ad un altro odore di fondo che non riuscirono a riconoscere, ma che si faceva più forte quando si avvicinarono al letto dove il Comandante aveva dormito, e che ora ospitava il corpo indebolito dell'Eroe. Il sentore di sangue e ferro e acido lì era più forte, ma ben presto si abituarono. Alistair, al capezzale della Regina, alzò lo sguardo addolorato su di loro mentre entravano: lo sguardo indagatore di Fergus lo trafisse, ma addolcendosi solo per un attimo quando gli si avvicinò e il Re gli offrì la propria sedia accanto a Rachel.
«Il solo motivo per cui non ti prendo a pugni è che conosco bene la testardaggine di mia sorella» lo ammonì lui.
«Fergus... sii gentile con lui» lo esortò la debole voce di Rachel. Era sveglia. Alistair abbassò la testa al pavimento, la vergogna stampata in volto.
«Mi dispiace» fu tutto quello che pronunciò, l'espressione stravolta.
«Beh, almeno è qualcosa.» Cullen ricordava Fergus come un uomo amabile e gentile, non duro o freddo come lasciavano suggerire quelle parole, ma supponeva vedere una sorella in quello stato potesse mettere alla prova chiunque. Non sarebbe stato da meno, se a Mia fosse stato torto un capello. Poi lo sentì sospirare, rassegnato. «Non turbiamo ulteriormente la quiete, il passato è passato.»
Il Teyrin poggiò una mano sulla spalla di un mortificato Re che tentò in tutti i modi di evitare il suo sguardo, rivolgendolo piuttosto alla sua amata. Con un cenno, si separò gentilmente da Fergus e si piegò sull'Eroe, lasciandole un bacio sulla guancia e farfugliandole qualche parole, prima di avviarsi verso di lui e verso la porta. Il Comandante lo guardò uscire, ma non osò seguirlo, timoroso di turbarlo. Piuttosto si diresse lentamente all'altro fianco della donna distesa in mezzo ai materassi, sedendosi su uno dei bordi e carezzandole lievemente una mano.
«Come stai, amica mia?» le chiese con un tono basso e apprensivo che non riuscì a trattenere. Cullen vide il suo volto pallido spostarsi per guardarlo. Rachel gli rivolse un sorriso, gli occhi vigili come li ricordava e non più coperti da quella patina vista al ballo. L'intrico di vene nere sulle sue guance si era fatto meno evidente.
«Cullen...» gli disse, provocandogli un sollievo che il Comandante non avrebbe mai immaginato di sentire. «Sei... cresciuto» sembrò sorpresa, osservandolo. «Mi riprenderò.» Si voltò in seguito verso il fratello. «Fergus... dovresti essere con Oriana e Oren, non qui.»
«La mia famiglia può attendere, se si tratta di mia sorella, non credi?» gli rispose benevolente lui.
«Dovresti tornare da loro... rischi di farti ammazzare, come quando sei andato a Ostagar.»
«E sono tornato, anche» rise piano l'uomo, scostandole i capelli neri dalla fronte. «Il Comandante Cullen ha cura di noi, non temere. Sono al sicuro.» Cullen non disse nulla, ma un moto d'orgoglio gli riempì il petto davanti alle parole del Teyrin. Aggiunse le sue parole alla lista dei propositi, per quando avrebbe dovuto cercare motivazioni riguardo al suo lavoro. «Te la senti di raccontarmi com'è andata?»
«Non ne sono sicura...» L'Eroe abbassò gli occhi, mesta. Il fratello annuì, e passarono molti altri minuti prima che qualcuno interrompesse il silenzio con un leggero bussare alla porta. Quando aprì, scoprirono che era l'Inquisitore.
«Comandante?» Cullen alzò gli occhi su di lei, vedendola posare lo sguardo prima su Fergus, poi sull'Eroe e infine su di lui. «Posso... disturbarvi un attimo? Avrei bisogno di parlarvi.»
«Certamente.» Rivolse un'occhiata all'Eroe, stringendole ancora la mano con un cenno che voleva essere rassicurante, prima di alzarsi e raggiungerla oltre la porta. Socchiuse l'uscio alle sue spalle, lasciandolo aperto solo di qualche dito.
«Dimmi pure.» L'espressione dell'Inquisitore vagò su di lui, insicura.
«Leliana mi ha mandato a cercarti. Vorrebbe che le raccontassi cosa è successo al ballo, durante la nostra assenza.» Le iridi verdi rivolte verso il basso gli lasciarono intuire qualcosa. «Le ho detto quello che potevo ma non ho... su di te non ho... potuto...» Comprese in fretta cosa l'Inquisitore esitava a dirgli: non aveva voluto raccontare di come avesse usato ancora una volta le abilità imparate da templare, nè delle conseguenze che avevano avuto. Probabilmente Leliana si era fatta delle domande a proposito e conoscendola, ne aveva dedotto più di quanto immaginasse, volendo delle spiegazioni direttamente da lui. Inoltre, probabilmente Cassandra l'aveva informata del fatto non prendesse lyrium da parecchio tempo, e la cosa iniziava a diventare sospetta ai suoi occhi dopo la creazione del filatterio: era di uso comune pensare fosse solo grazie al composto che i templari potessero esercitare i loro poteri, quando invece era vero solo in parte. A questo punto era necessario le spiegasse che prestava ancora fede alle sue intenzioni e non intendeva cedere, qualsiasi sforzo di volontà avesse dovuto attuare per sopportare il costante bisogno di fondo che lo lasciava solo per brevi istanti, tormentandolo ogni giorno con la costanza di una zanzara fastidiosa. Doveva chiarire, con Leliana e con l'Inquisitore. Stese le mani chiedendo silenziosamente le sue, che lei mise volentieri nei suoi palmi.
«Ti ringrazio. Apprezzo molto che tu...» perse le parole, imbarazzato. «Che tu mi abbia voluto proteggere.» Vederla finalmente alzare gli occhi, sorpresa, lo fece sentire meno incerto. «Kassandre, c'è una cosa che vorrei...»
Un sonoro singhiozzare alle loro spalle interruppe ciò che le voleva dire. Si voltarono entrambi verso la porta socchiusa, probabilmente chiedendosi se dovessero intervenire o piuttosto far finta di nulla. Fu Cullen ad aprirne discretamente uno spiraglio, portandosi un dito alle labbra guardando l'Inquisitore e sbirciando dentro. La scena gli fece gelare il sangue: Rachel si era seduta sul materasso e piangeva, abbracciata al fratello che cercava inutilmente di calmarla. Parlava a voce alta e con una concitazione tale che potevano sentirla persino da lì.
«Mi aveva detto che Teagan lo stava pressando di nuovo con la storia dell'erede, ma non ci volevo credere...» la sentì terminare la frase con parole sempre più acute. Il Comandante sapeva che si stava riferendo ad Alistair. «Poi, quella sera è arrivato nel salone dicendomi che non poteva più aspettare, che stava sentendo la Chiamata che udivo anch'io, che udivamo tutti quanti. Che anche riprovandoci non avremmo ottenuto niente, e che l'indomani avrebbe... preso due concubine. Cos'avrei dovuto fare?» Kassandre lo guardò, ma il Comandante non ricambiò la sua espressione interrogatoria: impallidito visibilmente, stava guardando il legno della porta con gli occhi sbarrati. Non riusciva, non poteva credere a quello che stava ascoltando.
«Cos'avrei dovuto fare?» sentì ripetere da Rachel, l'urlo soffocato nella maglia di stoffa del fratello. «Non potevo sopportarlo, non di nuovo... se si fosse trattato ancora una volta di salvarci, avrei potuto capire. Ma non quello, non così.»
"Ancora una volta." Stando a quanto l'Eroe diceva, Alistair aveva... tradito Rachel per salvare entrambi. Era forse quella la risposta al perchè non fossero morti uccidendo l'Arcidemone, come la tradizione dei Custodi rammentava? Kassandre lo strattonò per una manica, ma il Comandante puntò i piedi. A questo punto, doveva sentire.
«Così sono partita. Per cercare una cura, e un modo per noi... per me. Cosa sarei diventata, altrimenti? Sarei stata la regina incapace di dargli un figlio, morta prematuramente. Un fallimento» singhiozzò amaramente.
«Ma tu sei l'Eroe del Ferelden, e sei mia sorella! Non esiste che tu sia un fallimento in una cosa qualsiasi» sentì rispondere Fergus. Lei tirò su col naso.
«Ti ricordi quando ti raccontai di Avernus?» gli chiese. «Avernus, il Custode Grigio che vive da più di cent'anni usando la magia del sangue.» Udì Fergus trasalire. «Lo incontrammo assieme a Giustizia, Anders e Oghren. Era stato il Comandante Sophia Dryden ad ordinargli di usarla, e ha trovato il modo di arginare la Chiamata. Diluirla..»
«Non dirmi che tu...» Il chiaro terrore del fratello venne subito represso.
«No» gli rispose l'Eroe. «Sono andata da lui. Abbiamo cercato insieme un'alternativa, ma ci è voluto... tempo, e a me non ne rimaneva. Il tonico che mi aveva offerto quando andammo da lui per la prima volta mi aveva dato la possibilità di sfruttare la corruzione che avevo nel sangue, ma ad un prezzo.»
«La tua Chiamata...»
«L'aveva anticipata. Era reale, più forte, e stavo morendo.» Cullen ingoiò il groppo più amaro della sua vita, sentendosi occludere la gola. Cercò senza pensare, in un gesto automatico, la mano dell'Inquisitore rimasta accanto a lui, e la strinse. Lei parve capire e non protestò. «Sono stata la sua cavia, per giorni, mesi. Alla fine abbiamo trovato qualcosa, un'alternativa di erbe... e lyrium. La fiala che gli ho dato gli garantirà la fertilità che l'Unione ci ha tolto. Potrà avere dei figli e altri trenta, quarant'anni di vita.»
«E tu?» chiese disperato il fratello, quasi ringhiando.
«Avernus sapeva dove mi sarei diretta. Sta preparando la mia, e ne preparerà uno per ogni Custode, ma ci vuole tempo. Gli esperimenti che ha fatto mi permetteranno di sopravvivere ancora per un po'. Almeno fino a quando non arriverà.»
«E lui lo sa?»
«No. Ma deve bere.»
«Io... io lo...» la voce di Fergus fremette di rabbia.
«Ti prego, Fergus. Giurami che lo convincerai a bere dalla fiala.»
«Non puoi proteggerlo ancora, dopo tutto questo.»
«Ma è il tuo Re, e il mio. E abbiamo bisogno di lui.»
«L'hai messo tu sul trono!» esclamò l'uomo, furibondo. «Tu gli hai permesso di diventare quello che è, sacrificando tutto. E lui, in cambio, stava per lasciarti morire!»
«Lo so» gli rispose lei con una fermezza antica, che le aveva sentito usare solo molto tempo prima. «Ma lo amo, e desidero che continui a vivere.» Le ultime parole si persero in un pianto sommesso, mentre gli occhi di Cullen guardavano sconcertati quelli di Kassandre, scossa almeno quanto lui.
«Perdonami» le sussurrò il Comandante, lasciandole la mano. Corse giù dalle scale e chiese di Alistair, seguendo il suo percorso fino alla taverna.

Entrò a passo svelto, aprendo la porta con tanta forza da sbatterla contro la parete con un tonfo sordo. C'erano pochi avventori data l'ora, alcuni intenti a godersi una pausa e molti altri impegnati a mangiare prima venisse il turno di guardia della sera o, per i commercianti che si andavano aggiungendo all'Inquisizione, il momento dell'inventario giornaliero. Qualche viso squadrò incuriosito il Comandante entrare e guardarsi attorno con occhi sottili, come se stesse cercando una preda, l'espressione che non lasciava intendere nulla di buono. Forse, qualcuno si chiese perfino con chi ce l'avesse, solo per scoprire che il suo insistente sguardo cadeva a vuoto qua e là senza posarsi su nessuno dei presenti. Con un grugnito insoddisfatto, si diresse al piano di sopra solitamente occupato dai mercenari del Toro, di cui solo Krem era presente in quel momento.
«Cerca qualcuno di particolare, Comandante?» gli chiese con voce stridula, un tono che all'inizio gli aveva fatto digrignare i denti di fastidio ma a cui ormai si era abituato.
«Il Re» buttò lì seccamente, vedendo il dito di Krem alzarsi per indicare una figura in ombra seduta lontana dal centro della sala, appoggiata di schiena ad un muro e una finestra. Rivolse al mercenario un cenno di ringraziamento prima di avviarsi a grandi falcate verso l'individuo che, come da previsioni, si rivelò essere Alistair. Il Re se ne stava a gambe incrociate su una sedia, illuminato da niente più che il riflesso delle luci del piano sottostante. Stava bevendo a canna a grandi sorsi da una bottiglia che sembrava di vino, il viso assorto persto tra le sedie e i tavoli di legno, le guance arrossate.
«Cosa stai facendo?» gli chiese Cullen raggiungendolo, rallentando il passo davanti a quello spettacolo miserabile. Alistair bevve un goccio prima di dimenare la bottiglia strascicando lievemente le parole, non del tutto lucido.
«A te cosa sembra stia facendo? Sto bevendo» gli rispose, la voce ruvida. «Sono un principe, e un dannato principe ha tutto il diritto di ubriacarsi.» Con le mani a pugno sui fianchi, il Comandante lo osservò trattenendosi appena dal volerlo prendere a pugni.
«Per prima cosa non sei un principe, sei il Re del Ferelden.» Gli puntò rabbiosamento un dito contro. «E secondo, come farai a guidare i Custodi in queste condizioni?»
«Eccolo, ci voleva lui col suo spirito pragmatico, il saccente dell'Ordine. Sei sempre stato quello fortunato» gli fece il regnante sporgendosi dalla sedia con un gesto che sembrava sfida «quello che aveva voluto entrare per dedicarsi ad un causa, mentre io ero il figlio bastardo, trascinato lì per caso. E guardami ora...» Cullen avanzò per toglierli la bottiglia dalle mani, mentre l'altro si ritraeva. «Sono su un trono che non ho mai voluto, circondato da persone che non desidero, con impegni che non posso mantenere... e ho quasi fatto ammazzare mia moglie.» Cercò di mantenere la calma, anche se le parole di Alistair avevano già mosso qualcosa in lui. Sapeva che stava tentando di piangersi addosso ed era una delle cose che meno sopportava, forse perchè consapevole fosse anche un suo difetto. Lo fulminò con lo sguardo quando agguantò il vuoto e invece che mirare ancora alla bottiglia, gli prese il colletto. Stavolta non fallì.
«Si può sapere che ti è preso?» sibilò il Comandante, avvicinandosi al suo volto. «L'uomo che conosco non si sarebbe mai compatito come stai facendo tu, adesso. L'Alistair che conosco...» esitò, e poi proseguì con un ringhio basso «...non avrebbe mai chiesto alla donna che ama di andare con delle cameriere.»
«Concubine» lo corresse l'altro, ricevendo in risposta uno strattone che lo fece gemere. Non gli chiese neanche come lo sapeva.
«Sei figlio di una cameriera, sai come ci si sente! Come hai potuto pensare che Rachel non se la sarebbe presa? Non so cosa tu le abbia fatto ma già una volta ti ha perdonato...» Alistair non disse una parola, lo sguardo basso. «...pensavi forse che ci sarebbe passata sopra di nuovo? Sai com'è fatta, lo sai meglio di tutti quanti. Sapevi che avrebbe preso le armi e combattuto per ottenere quello che voleva, come ha sempre fatto!» Il Re sembrava non avere intenzione di parlare ulteriormente, ma il Comandante giurò che non l'avrebbe chiusa così facilmente con lui: lo sballottò, scuotendolo, e avrebbe continuato fino a quando la lingua non gli si fosse sciolta da sè. Alistair lo fermò prima, alzando le mani e arrendendosi.
«Basta!» gli chiese disperato. «Basta! Per l'amor del Creatore...» prese un lungo respiro e poi lo guardò, occhi negli occhi. Il Comandante si sorprese di trovarlo così affranto, quasi sull'orlo del pianto. «Teagan... non avrei dovuto ascoltarlo, ma non potevo dargli torto. Siamo sposati da quasi dieci anni e non abbiamo ancora un figlio.»
«Sei il Re, dannazione, Alistair. Puoi fare quello che ti pare!»
«Ma credi davvero che anch'io non volessi? Saremmo ancora fianco a fianco e non lei in un letto ed io...qui» Lo vide portarsi una mano alla fronte, la voce in frantumi. «Ma quando abbiamo iniziato a sentire la Chiamata non sapevamo fosse una cosa di tutti i Custodi. Pensavamo... ho pensato fosse la fine per noi, per me... per lei.» Alistair singhiozzò, una mano sulla bocca che attutiva la voce impastata. Era rosso in viso, e tremava. «Volevo fare qualcosa, non era possibile fosse stato tutto inutile! Salvarsi dall'Arcidemone per poi morire così? Vivere insieme felici perchè poi tutto terminasse, così? Io...» Il Comandante perse all'improvviso la voglia di tenerlo per il colletto davanti alle sue parole. Lo tenne solo per aiutarlo a sedersi di nuovo sulla sedia e sedersi a sua volta, trascinandone una dietro di sè. Finalmente, docile, Alistair si lasciò togliere la bottiglia dalle mani solo per portarsele al volto e coprirsi. «Non sapevo dove altro sbattere la testa. Volevo rimanesse qualcosa di noi e... e abbiamo litigato. Mi ha detto che si sentiva inutile, incapace di fare quello che le donne dovrebbero saper fare meglio. Sapevamo fin dall'inizio che l'Unione avrebbe annientato quasi del tutto le nostre possibilità, ma volevamo comunque sperare nella fortuna.» Cullen gli mise le mani sulle spalle mentre Alistair se le portava ai capelli, artigliandosi il capo. «Sono stato un mostro. Le ho... le ho persino detto che avrei preso qualcuna che le fosse simile, che non avrebbe sentito la differenza a quel modo. Che sarebbe stato come avere un figlio nostro. Ma la verità è che non ne so niente, non ne ho mai saputo niente!» Ormai le lacrime gli scivolavano dalle guance in fretta, mentre Cullen gli stringeva le spalle in una morsa che voleva sostenerlo, e non più fargli del male. «Ho preteso di sapere cos'avrebbe provato, e il giorno dopo lei non c'era più. Ho pensato... ho pensato di tutto, che si fosse arresa alla Chiamata o che fosse scappata per ciò che le avevo detto, ma non avrei immaginato...» Lo sentì prendere il fiato con un rantolio «Che il Creatore mi perdoni, ho avuto così tanta paura...»
«E non sei stato il solo. Per il Creatore, Alistair, se non fossi mio amico...» Cullen stirò le labbra, trattenendosi a malapena.
«Lo so.»
«E te lo meriteresti.» Sospirò, rimanendo in silenzio per attimi. Si costrinse a soprassedere. «L'importante è che ora siate qui. E che lei sia al sicuro.»
«Al sicuro?» Alistair sorrise amaro, passandosi la lingua sulle labbra e assaggiando il sapore delle lacrime. «L'hai vista. La mia Chiamata o quella degli altri Custodi può essere fittizia, ma la sua... è inequivocabile. E' vera e la sta...» lo sentì esitare, piuttosto che dire che la stava uccidendo. «Non esiste un modo per scappare.»
«Ma Rachel l'ha trovato» gli fece notare Cullen.
«E l'ha dato a me!» esclamò Alistair, come se fosse una cosa ridicola. «Capisci? Lei ne ha più bisogno, eppure ha voluto darlo a me! Ho provato a dirle di no, a farle bere dalla fiala, ma...»
«Alistair, è quello che vuole. Dovresti assecondarla» provò a suggerirgli. L'amico scosse la testa.
«Non me lo merito. Non voglio che muoia, non per me. Non gliel'avrei lasciato fare contro l'Arcidemone in passato, e non le permetterò di suicidarsi adesso.» Il Re sembrava inamovibile a proposito. Il Comandante maledì la sua testardaggine, e anche la propria. Prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi.
«Se ti dicessi che la stessa fiala sta arrivando anche per lei, mi crederesti?» Sorpreso, l'altro lo fissò.
«E come fai a saperlo?»
«Non è importante» fece cercando di guardare altrove, per non rivelare l'imbarazzo di aver ascoltato di nascosto una conversazione che non avrebbe mai dovuto sentire. Asciugate le guance, il Re iniziò a tormentarsi le mani.
«Ti credo, ma anche se così fosse... potrebbe essere troppo tardi.» Cullen lo guardò aggrottando le sopracciglia.
«Rachel è sicura di farcela.»
«Ho conosciuto tante persone sicure di farcela. Anche Duncan, anche Calhain erano sicuri, e guarda che fine hanno fatto a Ostagar!» Evidentemente, i ricordi erano impressi e vivi nella sua memoria almeno quanto i suoi. Certe cose, si disse il Comandante, raramente si dimenticavano.
«Ti ama, Alistair. Credi che ti direbbe una cosa simile, se avesse anche solo il minimo dubbio di non poterti restare accanto?»
«Si» gli rispose lui, privo di dubbi. «Lo farebbe. E il peggio è che lo farebbe senza esitare.» Lo sentì accennare una risata incredula, scuotendo la testa. «Sono così lontani i tempi in cui ero io a proteggere lei sul campo di battaglia. In cui volevo essere il suo cavaliere ad ogni costo e cercavo rose da portarle ogni giorno, in mezzo al fango e ai cespugli.» Cullen non seppe come rispondere. Si ritrasse da lui finalmente lasciandogli le spalle e si sporse leggermente in avanti, incrociando le mani coi gomiti sulle ginocchia.
«Portagliene una. Il giardino dentro Skyhold ne è pieno.» Lo sapeva perchè era impossibile non notarle: si arrampicavano sui muri, attorcigliandosi sulle pietre del chiostro in strani arpeggi. Kassandre rimaneva ad ammirarle molte volte e nonostante non avesse esattamente il pollice verde, si dava da fare nel tempo libero perchè rimanessero in vita assieme ad una piccola cultura di radice elfica. «Portagliela e parla con lei. Non potrete capirvi fino a quando vi rinchiuderete nel silenzio. Dille che quello che sai te l'ho detto io, se vuoi.» Sapeva che razza di conseguenze avrebbe potuto portare, ma non si sarebbe certo tirato indietro. Aveva origliato accidentalmente, chissà per quale invisibile intervento, e ora gli veniva data la possibilità di far fruttare quello che aveva ascoltato in modo positivo. Si sarebbe preso volentieri tutte le responsabilità del caso. «Ma parlale. Ha ancora bisogno di essere protetta da te, almeno quanto tu hai bisogno di tornare ad essere quel cavaliere che cercava nel fango.»
Si alzò, e il viso di Alistair tornò nascosto tra le mani.
«Io la amo.»
«Lo so» gli rispose. «Vai e diglielo.»
Cullen non aggiunse nient'altro. Si voltò, sorpassò Krem e lentamente scese le scale, abbandonando la taverna e Alistair coi suoi pensieri.

Dopo le pressioni continue, gli infiniti imprevisti ed ogni sorta di evento, il Comandante se ne tornò nella torre, non volendo più saperne di niente e nessuno almeno per quel giorno. Anche se sembrava un pensiero piuttosto egoistico, era anche vero che la stanchezza accumulata tra ballo, viaggio e ritorno gli pesava sulle spalle come un macigno facendogli strascicare ogni passo guadagnato verso le sue stanze: sarebbe stato tutto più facile se avesse ripreso col lyrium, ma testardamente si richiuse la porta alle spalle, scacciando quel pensiero con la stessa forza. Un attendente lo attendeva alla scrivania.
«Comandante?»
«Niente rapporti per oggi» fece rude, portandosi una mano alla tempia. «Per favore Jim, diresti alle lavoranti di preparare qualche secchio di acqua calda? Vorrei ripulirmi.»
«Nessun problema, Comandante.» Cullen lasciò che passasse per l'uscio alle sue spalle e lo richiuse di nuovo, trattenendosi a malapena dal chiuderlo a chiave a più mandate. Quando mai non avrebbero avuto problemi nell'Inquisizione? Oltre a Corypheus, un altro migliaio di cose premevano su di loro, su di lui, come pesi che a poco a poco rischiavano di farli barcollare tutti. La condizione politica tra il Ferelden e l'Orlais, il ritorno dell'Eroe, l'autoelezione di Alistair a guida dei Custodi e le importanti informazioni che non aveva ancora riferito loro erano già più di quanto potesse sopportare da solo, assieme all'incessante incombere del Magister e dei templari rossi di Samson. E a proposito di Samson, era stato proprio il capo dei Venatori a parlarne per schernirlo... ma cos'aveva detto esattamente? Non lo ricordava, era troppo stanco e di malumore.
Cullen salì per la scala a pioli fino alla camera, issandosi faticosamente. Tirò fuori da sotto il letto il grosso catino che usava per farsi un bagno nel riserbo più assoluto dei suoi alloggi e, rabbrividendo per l'aria fredda che ne proveniva, andò a riparare le finestre sempre aperte posizionando dei pezzi di stoffa sui chiodi che aveva infilato nelle interstizioni della pietra proprio sopra di esse. Una volta ottenuto un ambiente perlomeno riparato, finalmente iniziò a togliersi l'armatura. Liberarsi da quella sorta di gabbia costrittiva a cui era legato tutto il giorno per una rara volta lo sollevò, alleviandogli la tensione che sentiva tra le scapole. Si slacciò gorgiera, spallacci e platta e li gettò sul letto senza troppi complimenti, poi fece volare i bracciali e un gambale a terra, la tunica gettata da qualche parte. Mentre finiva di levarsi l'ultimo pezzo, Jim rientrò nella stanza sottostante, accompagnato da un elfo volenteroso che lo aiutava a portare due dei quattro secchi ricolmi di acqua bollente. Il Comandante si sporse a dare una mano da sopra una volta finito con l'ultimo gambale, aiutandoli a portarli su per la scala a pioli prima di ringraziarli e congedarli, lasciando detto a Jim di portarne un altro ad una mezz'ora di distanza da modo si potesse risciaquare. Attese che se ne fossero andati prima di svuotare tutti i secchi nel catino, sollevando una nuvola di vapore che riempì immediatamente la stanza appannando tutte le superfici.
Con un lungo sospiro, il giovane si liberò del sotto-armatura di lana follata rimanendo a torso nudo. Recuperò dal cassettone una saponetta avvolta in un panno ruvido e si tolse anche i calzoni comprensivi del resto, entrando con attenzione nell'acqua bollente, un poco alla volta per abituarsi alla temperatura. Alla fine, si distese accogliendo con gioia il calore dell'acqua, iniziando a dare di saponetta e panno per togliersi tutto il lordume accumulato in quasi quattro giorni di cavallo. La ferita alla spalla, ormai niente più che un taglio, bruciava mentre si ispezionava a strigliava a fondo, necessitando di un minimo d'attenzione. Il Comandante pensò che più tardi l'avrebbe disinfettata con cura, ma per ora non vi badò, bagnandosi e insaponando anche i capelli che ripresero ad arricciarsi come d'abitudine. Affondò la testa nell'acqua piegandosi più che poteva e, sbuffando, se li lisciò all'indietro come suo solito, allungandosi a rilassarsi con le braccia sui bordi e la testa appoggiata al catino.
Passò a mollo poco più di quindici minti quando un certo trambusto venne da sotto, il cigolio della porta che si apriva. Il Comandante, ad occhi chiusi, non vi badò molto, pensando che probabilmente fosse Jim o un qualche altro soldato a portargli sulla scrivania i soliti rapporti. Era talmente concentrato a non badare a quella sciocchezza che non notò il rumore di stivali che si arrampicavano sulla scala con un po' di fatica, nè alla testa incorniciata di capelli neri che sbucò dalla botola tentanto di vedere attraverso la cortina di vapore che riempiva completamente la camera. Poggiò una gamba tranquillamente a ridosso del catino, il piede che ciondolava fuori dall'acqua.
«Comandante?»
Non lo stavano chiamando. Piuttosto, il suo titolo risuonò come una domanda retorica. Cullen socchiuse gli occhi lanciando uno sguardo al disturbatore seriale di quella serata e per poco non annegò, facendo un saltone sul posto.
«Per il Creatore!» Cercò di mettersi seduto in ginocchio, con l'acqua insaponata che gli arrivava a malapena ai fianchi nascondendogli le nudità. Si aggrappò al bordo del catino, vedendo l'Inquisitore osservarlo imbarazzata con un ginocchio poggiato sul pavimento di pietra e l'altro piede ancora a ridosso della scala, intenta a tenere come meglio poteva un piatto e una brocca.
«Non... scusa!» Kassandre si alzò in piedi in tutta fretta, cercando un posto in cui sganciare il bottino velocemente. «Non ti abbiamo visto a cena e ho pensato...» Poggiò il piatto sul cassettone, ma una parte del contenuto della brocca gli si rovesciò addosso. «Accidenti! Se lo avessi saputo prima...»
Quell'imprecazione, unita al suo viso imporporato perfino dietro il velo di vapore, fece ridere di gusto il Comandante che di solito l'aveva vista molto meno intimidita di così.
«Tranquilla, non dai fastidio.» Si tirò indietro i capelli con un gesto, poggiando le braccia sul bordo.
«Dove... dove posso lasciarli?» Kassandre cercò di evitare accuratamente di guardarlo, anche se il Comandante era convinto d'aver intravisto un'occhiatina o due in sua direzione. Le indicò un tavolino vicino al catino, quello dove di solito appoggiava i vestiti puliti che invece aveva sparso per la stanza. Sopra c'erano solo degli asciugamani di cotone. «Grazie» gli riferì andando a posare il tutto lì sopra. Cullen, a guardare il suo viso, si aspettava che scappasse subito a gambe levate come d'altronde avrebbe fatto lui, al suo posto. Invece l'Inquisitore rimase di spalle per poi voltarsi verso di lui, cercando di guardare a terra piuttosto che il suo torso.
«Puoi venire, se vuoi. Sono ancora nell'acqua, e poi mi hai... già visto...» tossì impacciato, ricordandosi dello spettacolo che aveva dato a fine partita di Grazia Malevola, e si meravigliò anche un po' della proposta non proprio convenzionale. Pensava che l'Inquisitore avrebbe gentilmente declinato, ma invece la osservò avvicinarsi esitante, inginocchiandosi sul pavimento davanti a lui.
«I tuoi capelli...» fece lei ridacchiando, allungando una mano per spostarglieli.
«...sono ingestibili, lo so.»
«Di solito non li hai così. Gli fai qualcosa?»
«Te lo ha detto Leliana?» Cullen rise, sentendosi leggero. «Se non lo facessi non riuscirei a tenerli a posto, quindi la risposta è si.» Sentì le sue dita spingergli una ciocca per poi abbassarsi lungo il collo. Le unghie a fior di pelle gli provocarono un brividò, e seguì il gesto socchiudendo appena gli occhi, fermandolo quando gli arrivò ad una spalla. Sapeva controllarsi, e sapeva anche a che punto stessero i suoi limiti. Non voleva fare nulla di cui si sarebbe mai pentito. Intrecciò la propria mano alla sua, schiarendosi la gola in un sussurro roco.
«Quella cosa che ti volevo dire...» Con ancora la mano nella sua, lei gli portò un indice alle labbra.
«Aspetta, ti prego.» Le sembrò così a disagio che si zittì, mentre lei lo osservava con una varietà d'espressioni che non le aveva mai visto addosso, e forse anche un po' di timidezza. «Prima c'è... una cosa che vorrei chiederti.» Il suo tono era serio, tipico di quando stava per iniziare un discorso importante. Il Comandante pensò che in fondo avrebbe potuto rimandare di qualche minuto se c'era altro che aveva una priorità, e annuì.
«Dimmi pure.» Lei esitò, giocherellando col bordo del catino, prima di sollevare gli occhi su di lui.
«Cullen, sai che tengo a te, e-» la sentì soffiare, perdendo le parole.
«Cosa c'è?» la squadrò preoccupato, le sopracciglia aggrottate. Aveva come l'impressione che qualcos'altro sarebbe andato storto, quella sera, e quasi non si mosse per paura di scatenarlo. Lei sembrò trattenersi e finalmente dare un respiro alla frase che stava cercando di formare.
«Hai lasciato i templari, tutti lo sanno. Ma nonostante questo ti... fideresti di un mago?» La domanda lo sorprese. Credeva di non aver mai lasciato intendere di avere qualcosa contro i maghi nonostante la sua passata formazione. Sicuramente all'inizio avesse spinto per contattare i templari per chiudere il varco, ma il suo consiglio era stato guidato dalla logica più che dalla diffidenza: non gli sembrava una buona idea concentrare troppa magia nella Breccia con la possibilità di ottenere l'effetto opposto e, invece di chiuderla, vederla ingrandirsi. E ciònonostante, quando Kassandre aveva scelto di contattare i maghi di Redcliffe e conosciuto Dorian, un tevinteriano, un mago che avrebbe anche potuto essere un pericoloso magister, l'aveva lasciata agire senza lamentele. Con timore e sempre vigile, ma senza lamentele. Per questo non capiva.
«Perchè me lo stai chiedendo?» le domandò, sinceramente stupito.
«Potresti pensare a me come a qualcosa di più?» Lo sconcertò più la frase, così diretta e inaspettata, piuttosto che la risposta che avrebbe voluto darle, ma lei parve intendere male la sua reazione. La guardò abbassare le spalle e distogliere lo sguardo, e Cullen si affrettò a balbettare qualcosa per recuperare. Alistair gliel'aveva detto, ma quanto ci aveva davvero creduto? Non pensava che lei, sul serio, potesse considerarlo come interesse più che militare.
«Potrei, ecco... io... lo penso.» Perchè quello che diceva strideva sempre così tanto con quello che desiderava? Cercò disperatamente di raccogliere le idee. «E ho pensato anche a cosa dire, in una situazione del genere. E a cosa dovrei fare.» Si portò una mano alla fronte, piegandosi sul bordo.
«Allora, dimmelo. Cosa dovresti, e cosa vorresti.» Immaginava si stesse tormentando esattamente come lui, se non di più stando alla sua faccia. Stava prendendo le redini della conversazione con una sicurezza che aveva solo nella voce, e a volte nemmeno. «Cos'è che ti blocca?» Il Comandante prese un lungo sospiro. L'acqua che gli bagnava la pelle si stava lentamente intiepidendo, e per una frazione di secondo pensò quanto tutto fosse ridicolo: stavano sul serio parlando di quello nel bel mezzo del suo bagno? Ogni luogo era buono, immaginò. Ma forse sulle mura, in armatura, dietro la sua tunica e il manto di pelo si sarebbe sentito meno vulnerabile che nudo nel catino, senza sapere dove appoggiare gli occhi.
«Sei l'Inquisitore. Siamo in guerra, davanti ad un pericolo più grande di noi, di te. E tu...» Esitò, guardandola colpevole. Non tanto perchè sembrava lontana nel suo ruolo di Araldo, quando di fatto Kassandre cercava di rimanere il più vicino possibile ai bisogni della sua gente, quanto perchè lei era la preda principale, si rese conto d'aver pensato. C'era la possibilità che qualcosa staccasse la testa a lui o a lei molto prima che arrivassero a vedere la fine dei loro nemici. Avrebbe fatto male se fosse successo, perchè l'aveva già provato e sapeva cosa significasse dover occupare il vuoto lasciato da una persona. Era disposto ad accettarlo? «...non pensavo nemmeno fosse possibile, dopo quello che hai visto di me.»
«Eppure sono ancora qui, o sbaglio?» La sentì lasciargli la mano, fino ad ora unita alla sua, e posargliele entrambe su di un avambraccio come a volerlo rassicurare. «Non sono scappata davanti all'ex-templare. Non scapperò davanti al mio Comandante.» Aveva la stessa sicurezza che usava davanti alle decisioni difficili, a quelle che intendeva affrontare assieme alle conseguenze. Le aveva sentito quel tono addosso decine di volte davanti al tavolo da guerra, mentre parlava delle scelte da compiere con lui, Leliana e Josephine: con quello era stato sancito il destino di nobili, paesani e cittadini. Con quello, erano state costruite torri di guardia e conquistate fortezze, mossi soldati e respinti demoni. Prendendo quel coraggio che di solito usava sul campo di battaglia, Cullen decise di non voler essere da meno.
«Mi sembrerebbe di chiedere troppo» si sporse verso di lei, portandole due dita al profilo della mascella e scendendo fino al mento. Avvicinò pericolosamente il proprio viso al suo. «Ma vorrei...»
«Comandante!» Cullen si costrinse a prendere un lungo respiro tremante, sopprimendo con forza l'istinto assassino che per un momento parve danzargli negli occhi. Si staccò lentamente da Kassandre per voltarsi con perfetta sicurezza e precisione verso la recluta che l'aveva interrotto proprio mentre stava per baciarla. «Vi ho portato il secchio che avevate chiesto.»
L'Inquisitore distolse lo sguardo, imbarazzata, mentre Jim appariva dalla botola sollevando a fatica il secchio che il Comandante gli aveva riferito di portargli prima, lo sguardo entusiasta per aver eseguito bene una richiesta ancora puntato al pavimento e alla scala, scommetteva, per non volare di sotto. Sempre non ce l'avesse spinto lui. Cullen si sporse senza esitazione per afferrare una largo panno di cotone, legandoselo in vita con cura mentre si alzava dal catino, incurante del fatto si fosse bagnato ai bordi. Gli bastò un passo per esserne fuori.
«Cosa?» gli ringhiò addosso, senza porre alcuna vera domanda. L'uomo finalmente salì sul pavimento col secchio e gli si avvicinò, stando attento a non rovesciarlo. Alzò lo sguardo su di lui.
«Il secchio che avevate chiesto per il bagno.» Cullen ringraziò il Creatore che fosse una recluta di Leliana e non una delle sue, perchè la tentazione di tappargli la bocca con un calzino stava diventando insopportabile da sostenere. Si limitò a non parlare, facendo due passi verso di lui con l'omicidio che scorreva prepotente nei suoi pensieri: un'occhiata eloquente e la maggiore statura fecero il resto nell'intimidire l'uomo. Jim sembrò scorgere l'Inquisitore dietro di lui, intento ad alzarsi, e arretrò di un passo mentre lui avanzava riducendo ulteriormente le distanze. «O... ve lo posso lasciare vicino alle scale... certo.» Lo vide indietreggiare rapidamente fino a raggiungere la botola e mollare lì il secchio in una discesa rocambolesca, e molto rumorosa.
«Se hai bisogno di-»
Non le lasciò il tempo di parlare. Cullen si voltò e la baciò con foga, spingendola contro di sè e soffocandole un gemito di sorpresa che accolse nella propria bocca con piacere. La sua pelle bagnata le impregnò la giacca e i capelli, da cui gocciolò qualche stilla d'acqua. Se solo avesse percepito la più minima ritrosia nell'Inquisitore si sarebbe staccato e non avrebbe continuato oltre, ma lei gli posò le sue mani sui fianchi e il suo disperato bisogno venne corrisposto mentre assaporava la sua lingua, scendendole lungo l'arco della schiena con le dita. E fu sempre lui a staccarsi, anche se a malincuore, quando dopo lunghi secondi si accorse che il desiderio stava per offuscargli la ragione: la lasciò delicatamente, con un sospiro che gli fece vibrare i polmoni come se non avesse mai respirato davvero in vita sua.
«Mi dispiace» accennò un sorriso insicuro. «E' stato... improvviso?» Cercò le parole. «... bello.» Kassandre lo osservò con un sorrisetto che voleva prenderlo in giro.
«Da quanto lo volevi fare?»
«Da più di quanto vorrei ammettere» le rispose sincero, intrecciandole le mani dietro la schiena. Kassandre gli poggiò il capo al petto con un silenzio in qualche modo rassicurante.
«Cullen?» gli chiese poco dopo. «Quello era un bacio? Perchè è stato tutto molto confuso, e non ne sono sicura.» Il Capitano rise, intuendo cosa gli stava chiedendo. «Mi aiuteresti a verificare?»
«Certo» le rispose in un sussurro. Si avvicinò, stavolta con voluta calma, e la baciò di nuovo.
 



Ed eccoci nuovamente con l'undicesimo capitolo! Lo metto a quest'ora perchè adesso, oltre agli impegni normali sono entrata a far parte dello staff di quel già citato (da qualche parte) live di gioco di ruolo dal vivo, con conseguente lavorone la domenica per concordare trame e spianare i guai dei giocatori xD insomma, morirò giovane xD
A parte questo faccio una piccolissima spiegazione per la presenza di Fergus e il fatto Oriana e Oren siano ancora vivi: nella mia storia quando Fergus ha lasciato per la prima volta il castello di Higever per dirigersi verso Ostagar, la moglie e il figlio l'hanno accompagnato per un pezzo fino a lago Calendhan prima di separarsi lungo la strada per dirigersi verso Redcliffe seguendo la via Imperiale e quindi evitando del tutto il flagello, arrivando qui *dopo* che il Custode aveva già risolto la faccenda dei non morti - Redcliffe nel mio gioco è stata la prima tappa. Invece Fergus ha tagliato direttamente in mezzo al Bannorn verso Lothering e Ostagar e qui è stato ferito, e la storia la conoscete tutti xD
Mi perdo poco in chiacchiere perchè purtroppo devo scappare a travestirmi da Vinter - per puro piacere di dirvelo, sperando di non annoiarvi, sono il tenente di quest'ordine in gioco molto templare, rigido negli addestramenti, fedele alla religione dei Divini Gemelli e molto sospettoso nei confronti dei maghi xD il problema (o non-problema) è che sembro Fenris con le orecchie da mezzelfo e la parrucca bianca. Oddiooooo xD Comunque, stavo perdendo il punto: d'ora in poi (dato il lavoro in più) la cadenza della FF diventa settimanale, con un capitolo pubblicato ogni domenica! Lo faccio non tanto perchè mi piaccia, ma perchè ho notato in questa settimana che sono riuscita a malapena a finire quello che stavo scrivendo (e che comunque secondo me è decisamente corto, anche se molto vario di contenuti) e non voglio assolutamente bloccarmi nella scrittura o farvi aspettare al di fuori di una certa cadenza. Spero non mi assassiniate per questo xD
Detto questo, spero la lettura vi sia piaciuta, se volete regalarmi altre foto osè di Cull- *si blocca, recupera la bava e la dignità* ...ah-ehm! Dicevo se volete darmi ancora tanto amore e dolcezza in qualsiasi forma, oltre che i vostri commenti, morte, distruzioni, libri volanti e orchetti assassini, come sempre sono ben accetti!
A presto col prossimo capitolo!
  
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