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Autore: Persej Combe    08/02/2015    1 recensioni
Negli ultimi mesi Sinnoh è stata colpita da un'anomala perturbazione che nel corso del tempo sembra continui a peggiorare sempre di più, mettendo a rischio l'intera popolazione della regione. In seguito, tuttavia, si scoprirà che la causa che ha generato il cataclisma sono in realtà i Pokémon Leggendari, il cui ordine è stato violato dal Team Galassia nel progetto di creazione di un nuovo universo.
Il Professor Platan, presa coscienza della pericolosità degli eventi, si precipiterà a Sabbiafine in cerca del suo mentore, il Professor Rowan, nella speranza di poterlo aiutare a sistemare le cose. Ad accompagnarlo ci sarà Elisio, diventato ormai una presenza costante, che nonostante le prime resistenze dell'uomo si ostinerà a volerlo seguire, per mantenere fede ad una richiesta fattagli dallo stesso Rowan.
Tra ricordi del passato, conoscenze abbandonate e ora ritrovate, incertezze e dubbi, riusciranno ad afferrare l'impalpabile ombra del vecchio Professore?
[Perfectworldshipping]
[Midquel della storia "Risplenderemo insieme nell'eternità di un mondo perfetto"]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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I
.Come uno spettro che ritorna.

 

Era stato un inizio un po’ burrascoso, senza dubbio.
La corsa in aeroporto, l’ansia di riuscire a trovare un posto per Elisio, l’angoscia nello scoprire che quello che avrebbero preso sarebbe stato l’ultimo aereo diretto a Sinnoh per l’intera settimana.
«Una settimana intera...» bisbigliò Platan sovrappensiero mentre guardava fuori dal finestrino. Elisio tuttavia ebbe l’impressione che in realtà del paesaggio di fuori non gliene importasse nulla. Non aveva nemmeno commentato quanto Kalos sembrasse piccola da lassù, come invece si era aspettato che avrebbe fatto. Di solito di considerazioni di questo genere ne faceva a bizzeffe.
«Signori, posso servirvi qualcosa?» una hostess si fermò accanto ai loro sedili con il carrello pieno di bibite, panini e dolciumi. Il rosso girò il viso verso di lei. Era una ragazza giovane, più giovane di loro due sicuramente. Due occhi verdi e dallo sguardo gentile campeggiavano sul suo viso rotondo tempestato di lentiggini. Era molto carina.
«Platan, tu vuoi qualcosa?» chiese al compagno, ma non ottenne risposta. Quello stringeva forte tra le dita il cappotto marrone scuro che aveva poggiato sulle ginocchia e continuava a fissare il finestrino, o forse il cielo, non sapeva di preciso dove stesse posando lo sguardo. Probabilmente neanche si era accorto del fatto che la ragazza si era rivolta a loro.
«Un caffè e un succo di frutta, grazie.» disse Elisio accompagnandosi con un sospiro un po’ fiacco. Pagò la hostess e la ringraziò con un sorriso. Poi tese a Platan il brik di succo.
«Perché io il succo?» brontolò aprendo l’involucro della cannuccia.
«Sei già nervoso di tuo, se bevi caffè è peggio.» asserì.
«Però viene un profumo...»
Reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi con uno sbuffo.
«Quando arriviamo vorrei passare un attimo a Sabbiafine, se non ti dispiace.» disse «Speriamo che anche in albergo ci sia posto per te, con l’aereo siamo stati fortunati... Accidenti, Elisio, mi hai sconvolto tutti i piani...»
«Nel peggiore dei casi potrei anche dormire in macchina. Non è un problema.»
«Andiamo, non dire sciocchezze...»
Per la prima volta in tutta la mattinata, Elisio lo vide accennare un sorriso. Platan si girò subito dalla parte opposta per nasconderlo. Ancora non era sicuro di aver scelto in modo giusto decidendo di portarlo con sé, tuttavia doveva riconoscere che come al solito la sua compagnia lo rallegrava e lo aiutava almeno un po’ a staccare la spina da quei pensieri cupi che lo attanagliavano. Ciò nonostante si ripeté, come già si era detto durante la corsa in macchina, che se se ne fosse presentata l’eventualità non avrebbe esitato a muovere un dito per proteggerlo.
«Com’è Sabbiafine?»
«Non ci sei mai stato?»
«Purtroppo no.»
«È un posto bellissimo. Quando cammini per strada, nell’aria c’è sempre il profumo del mare, e se tendi un po’ le orecchie, in lontananza riesci a sentire il rumore delle onde... È molto tranquillo. Rispetto a Luminopoli è un vero paradiso.»
«Penso che qualsiasi luogo rispetto a Luminopoli si possa considerare un vero paradiso. Per carità, è una città meravigliosa, ma spesso la trovo fin troppo caotica.»
«Concordo con te. Quando mi sono trasferito ci ho messo un po’ ad abituarmi ai suoi ritmi frenetici. Poi avendo vissuto una vita intera in un paesino di campagna come Ponte Mosaico... Mi sentivo un Magikarp fuor d’acqua. Spesso mi sono sentito un Magikarp fuor d’acqua, in verità...» le parole gli si erano affievolite in un sussurro.
Elisio smise di bere il suo caffè. Si girò verso Platan e lo osservò, impensierito da quella frase.
 
Quella goccia di caffè rimase intatta nella tazzina per tutta la durata del viaggio.
 
Sei del pomeriggio. I numeri lampeggiavano sul display dell’automobile. Il sole stava tramontando in fretta. Platan frenò all’improvviso di fronte ad un palazzo, lasciando dietro alle ruote una scia di sabbia dorata. Si slacciò la cintura di sicurezza ed aprì lo sportello.
«Elisio, vieni anche tu.»
L’uomo annuì e fece per seguirlo. Non appena Platan fu fuori dalla macchina, avvertì un brivido di gelo lungo le braccia. Ci sfregò sopra le mani per riscaldarsi e si guardò attorno. In un certo senso, Sabbiafine sembrava diversa. Faceva freddo, un freddo fuori luogo per una città così accogliente e familiare come quella. Ma il profumo del mare che tanto adorava c’era ancora, e c’era ancora anche il mormorio delle onde che in quei cinque anni di apprendistato aveva acquietato le sue notti insonni, quando non riusciva a dormire.
«Platan, la mia giacca è più pesante, se vuoi...» disse Elisio notando il modo in cui si stava stringendo nelle braccia.
«Non ce n’è bisogno. Sto bene.» replicò di getto. Neanche lo guardò in faccia. Si accarezzò il colletto del cappotto come a volerselo stringere davanti alla bocca, ma cacciò via quel desiderio malamente con una scossa di testa. Si carezzò un ciuffo di capelli, ed Elisio riusciva a percepire da quel tremolio delle sue dita l’inquietudine che lo stava assalendo. Gli si avvicinò in silenzio, come a fargli intendere di non doversi preoccupare, che lui era lì, pronto a sostenerlo. Platan recepì il messaggio. Prese la valigia e guardò intensamente l’uomo.
«Andiamo.» disse dopo un lungo silenzio.
Percorsero quei pochi metri che li separava da quello che Elisio più tardi scoprì essere il Laboratorio di Rowan con fare deciso. Prima di aprire la porta, tuttavia, Platan ebbe un ulteriore indugio. Per la testa gli passò qualche idea vaga, non sapeva come comportarsi e che cosa doveva fare. Chiuse la mano in un pugno e la avvicinò alla porta. La sfiorò impercettibilmente con le nocche per pochi secondi, poi allontanò di scatto le dita. Ci riprovò, ma si fermò di nuovo. E se Rowan non fosse stato lì? E se invece sì? Ma davvero in una situazione come quella poteva permettersi di bussare e chiedere il permesso per entrare? Ma sul serio, dopo cinque anni passati lì come se fosse stata casa sua, adesso si sentiva in dovere di bussare? Poi si ricordò che dietro aveva Elisio, quel povero, stupido, carissimo Elisio che aveva deciso di seguirlo in quella pazzia improvvisa senza batter ciglio. Cercò di atteggiarsi in un certo modo: non voleva fare brutta figura, nonostante di brutte figure fatte davanti a lui ne avesse già raccolta una lista lunghissima e interminabile nel corso di quegli anni; poi prese coraggio e senza badare più a niente aprì la porta con una forte spinta, precipitandosi dentro.
«Dov’è il Professor Rowan?» tuonò, il viso contratto in un’espressione severissima. Con gli occhi corse in ogni angolo della stanza con il cuore che batteva all’impazzata, riconoscendo quel posto e notando che non era cambiato di una virgola, finché ad un tratto s’incrociò di sbieco con quello di un uomo che lo stava fissando, con una cartella gialla fra le mani e gli occhiali sul naso: probabilmente lo aveva interrotto nella lettura. Platan si girò verso di lui e mantenne il suo sguardo rigido, rimanendo in attesa.
Il cappotto marrone, la valigetta stretta in mano, le sopracciglia corrugate in un atteggiamento austero. Trovava curioso quanto in quel frangente gli assomigliasse. L’uomo con gli occhiali sorrise in silenzio, sorpreso e felice insieme.
Elisio, ancora fermo dietro al compagno, osservava tutto senza fiatare.
«Non ci posso credere!» l’assistente finalmente si decise a parlare e si tolse le lenti, rivelando due occhi neri ed entusiasti «Platan, sei proprio tu? Rosabella! Rosabella, presto!» chiamò concitatamente la moglie che stava lavorando nella stanza vicina.
«Arrivo, arrivo! Ma insomma, cosa c’è?» la donna accorse mentre si stava legando i capelli verdi con un fermaglio dietro la testa. Non appena vide Platan si lasciò scappare un’esclamazione di stupore.
«Ma non mi dire! Platan, guarda come ti sei fatto bello!» gli andò incontro e lo abbracciò affettuosamente, lasciandolo disorientato: non aveva considerato neanche lontanamente l’eventualità di potersi ritrovare in quella situazione «Come stai? Ah, è passato tantissimo tempo!»
Alzò la testa dal suo petto e oltre le sue spalle scorse la figura di Elisio: «A quanto pare non sei da solo. Lui è un tuo amico?» chiese sistemandosi meglio gli occhiali rossi per osservarlo.
Elisio e Platan si scambiarono uno sguardo.
«Aspetta, aspetta!» Rosabella bloccò l’uomo prima che potesse risponderle «Preparo un po’ di tè e ci sediamo di là a berlo, così intanto ci racconti tutto con calma.» poi sorrise ad entrambi e se ne andò.
Edwin, l’altro assistente, si accostò a Platan e gli fece una pacca sulla spalla.
«Anche a Kalos è arrivata la notizia, non è così? Eri preoccupato per il Professore?» gli chiese facendo cenno ai due di accomodarsi.
«Sì, esatto.» annuì mentre si toglieva il cappotto e poggiava a terra la valigia «E già qua fuori ho sentito che la temperatura è molto più bassa di quella a cui ero abituato.» prese la giacca di Elisio e la appese assieme alla sua all’attaccapanni di legno là vicino.
«In realtà sono parecchi mesi che stiamo registrando questo abbassamento anomalo delle temperature, ma negli ultimi tempi la situazione ha cominciato a peggiorare. Pensa, addirittura a Duefoglie ha nevicato varie volte!»
Si incamminarono verso l’altra stanza.
«Duefoglie? Ma non è quella città che si trova qui vicino? Accanto al Lago Verità?»
«Già, proprio così. E a proposito del Lago Verità, di recente ci sono stati alcuni episodi riguardo ai tre laghi... Sembra che i Guardiani si siano rivelati.»
«I Guardiani?» si fermò in mezzo alla stanza e lo guardò sconvolto «Intendi dire Azelf, Mesprit e Uxie?»
«Secondo la leggenda, essi furono creati affinché mantenessero l’equilibrio fra gli uomini.» intervenne Elisio ad un tratto, da sempre affascinato dalle leggende e che per questo motivo sapeva qualcosa al riguardo «Se si sono rivelati, questo vorrebbe dire che...»
Platan si girò allarmato verso di lui, comprendendo ciò che stava cercando di spiegare.
«Mia figlia e il Professor Rowan giurano di averli visti con i propri occhi. Girano voci secondo cui gli uomini del Team Galassia si stiano impegnando per sottrarli al fine di raggiungere i loro scopi. Lucinda e un suo amico stanno cercando di fare in modo che questo non accada, affinché l’equilibrio di Sinnoh non venga compromesso.»
Mentre Edwin chiedeva a Elisio come si chiamasse, Platan pensò con orrore a ciò che stava accadendo. La situazione era molto più grave di quello che aveva intuito. La perturbazione che aveva colpito Sinnoh non era soltanto dovuta ad un casuale susseguirsi di eventi. I Pokémon Leggendari ne erano la causa. E se c’entravano i Pokémon Leggendari, allora non riusciva ad immaginarsi cosa sarebbe potuto accadere. Stando così le cose, erano in serio pericolo. Il Professor Rowan era in pericolo. Elisio era in pericolo. Lui stesso era in pericolo, ma di questo non gli importava poi granché. E poi c’era Lucinda.
Se la ricordava, Lucinda, piccina piccina, minuta, col viso rotondo e paffuto e due occhi grandi e curiosi, che gli correva incontro e si addormentava in braccio a lui mentre le raccontava di Kalos, delle cascate di Ponte Mosaico, della Torre Prisma che di notte splendeva più delle stelle. Quanti anni aveva adesso? Dieci? Dodici? Si vergognava ad ammettere che non se lo ricordava più.
«Il tè è pronto!» era Rosabella che li avvertiva.
Entrarono nell’altra stanza e si sedettero sui cuscini sul tappeto, attorno al tavolino di legno. La donna versò il tè in quattro tazze e portò qualcosa da sgranocchiare. In un primo momento Platan non disse nulla, ancora preso da quei ragionamenti che lo mettevano sotto pressione – Lucinda contro il Team Galassia? Ma Lucinda era una bambina! E il Professor Rowan stava davvero permettendo che una ragazzina potesse correre un rischio così grande? - , allora fu Elisio a parlare, a raccontare qualche episodio che avevano vissuto insieme e di se stesso. Sorprendentemente i due scienziati pendevano dalle sue labbra, Rosabella in particolare, e ascoltavano con attenzione ogni sua parola. Mandando giù un sorso di tè verde, Platan sorrise lievemente: Elisio era davvero un oratore, mai gli era capitato di incontrare qualcuno che, intento a sentire ciò che aveva da dire, si fosse annoiato. Aveva un sacco di ottime qualità, sapeva porre su di sé la giusta attenzione in modo strabiliante. E poi era bello, era proprio bello, con quegli occhi azzurri, quelle labbra piccole e rosee che tante volte avrebbe desiderato baciare, le spalle larghe, le braccia forti da vero maschio, non come le sue che erano così sottili, e poi...
E poi c’erano talmente tantissime altre cose che adorava di lui, troppe. Smise di pensarci nel momento in cui, nel lato opposto della stanza, poggiata su una cassettiera, vide qualcosa che rapì la sua attenzione.
Si alzò, muto, non emetteva neanche un respiro, come se l’unica cosa degna di importanza fosse diventata la vista. E dopo la vista fu il tatto, quando con le dita carezzò la superficie liscia della valigia.
“Se l’è dimenticata un’altra volta, come al solito...” pensò, e senza rendersene conto abbozzò un sorriso. Prese la borsa e rimase a contemplarla, rigirandosela nelle mani. Poi se la mise sulla testa e gli scivolò una lacrima dal viso.
Elisio aveva smesso di parlare, anche i due coniugi si erano voltati verso di lui. Il rosso si tirò su, sentendo il bisogno di dirgli qualcosa, pur non sapendo che gli era preso.
«Ma insomma, si può sapere dov’è? Io non ho ancora ricevuto una risposta...»
«Platan,»
«Si può sapere dov’è lui?! Dov’è?!» alzò la voce coprendo il tono tranquillo di Elisio e si girò, fissando i due assistenti. Rosabella abbassò la testa con fare colpevole, guardando il marito di sottecchi e pregandolo con lo sguardo di dirglielo lui. Platan mise la valigia a posto e sospirò.
«Vorrei una risposta. Soltanto una risposta.» disse cercando di calmarsi, scorgendo una punta di spavento negli occhi di Elisio.
«È sul Monte Corona.» rispose Edwin.
«Monte Corona? Cioè, vorreste dirmi che in una situazione come questa il Professor Rowan così dal nulla ha lasciato tutto qui e se n’è andato su una montagna a fare meditazione? Ma fatemi il piacere!» concluse con una risata acida che squarciò l’aria.
A Elisio tremò una mano. Immediatamente la chiuse in un pugno sperando che non si notasse. Quel lato di Platan lo inquietava. Neanche nelle litigate ingaggiate fra loro – che seppur rare c’erano – l’aveva mai visto comportarsi in quel modo. Sembrava vuoto. Vuoto di speranza. Vuoto di vita. Non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
«No, Platan.» disse severamente Edwin, come a volerlo rimproverare per la sfacciataggine che aveva appena mostrato «È la perturbazione stessa che ha avuto origine dal Monte Corona. Il Professore è lì per questo. Ora smetti di fare il ragazzino e torna qui.»
Lo fulminò con lo sguardo e Platan sentì la schiena vibrare. Prese a fissarlo con due occhi gelidi, stizziti, collerici, indignati. Poi di nuovo soggiunse il pensiero di Elisio, che lo esortava a non dare in escandescenze di fronte a lui. Lo guardò con la punta degli occhi, poi gli si sedette accanto cingendo la tazza con le dita, lo sguardo di nuovo spento e calato sul liquido chiaro del tè.
«Scusatemi, giuro che non volevo... È soltanto che...» mormorò provando a giustificarsi. Allentò la presa e fece scivolare le mani sulla superficie del tavolo, sentendo dopo un po’ che Elisio gliene stava accarezzando una, chiudendola piano nel suo palmo.
«Va tutto bene. Non preoccuparti.» disse Elisio.
Rosabella li osservò, studiando i loro sguardi e il modo in cui essi si erano venuti incontro. Nascose un sorriso dietro le dita intrecciate davanti alla bocca e annuì.
«Platan, non tormentarti. Capiamo bene il tuo stato d’animo... Stiamo tutti come te, credimi.» disse dolcemente, come una mamma che consola il proprio bambino.
«Il Professor Rowan non ha voluto che lo seguissimo, nonostante ad un certo punto addirittura lo avessimo quasi costretto a portarci con lui.» aggiunse Edwin «Siamo tutti molto preoccupati. Ogni giorno la situazione sembra peggiorare sempre di più, eppure non riusciamo a trovare nulla che possa migliorarla.»
«Forse il Professore ha ragione: l’unico modo per cambiarla è affrontarla.» commentò la donna a bassa voce.
Per un lungo minuto rimasero in silenzio, rimuginando su quella frase.
A quel punto Platan sentì che non avrebbe smesso di perseguire il suo obiettivo, che anche lui avrebbe fatto qualcosa, che nonostante il Professore avesse deciso di andare da solo, lui avrebbe comunque continuato a cercarlo e che, quando lo avrebbe trovato, lo avrebbe aiutato a risolvere quell’arcano, perché dopotutto ancora si sentiva suo apprendista e forse non aveva mai smesso di esserlo.
Rosabella domandò ai due se volessero fermarsi a cena. Avevano finito di prendere il tè da un pezzo, ormai, e stavano passando il tempo a chiacchierare senza curarsi del tempo che passava.
«Beh, certo, mi farebbe piacere passare qualche altra ora con voi, dopotutto era da molto tempo che non ci vedevamo.» Platan accolse la richiesta «Tu che ne dici, Elisio? Ti va? Magari prima chiamo l’albergo per avvisare che arriveremo più tardi del previsto.»
“E soprattutto che siamo diventati due.” aggiunse nei suoi pensieri, perché nonostante se lo fosse ripetuto più e più volte, ancora non lo aveva fatto.
Quindi pochi minuti più tardi, prima di uscire per andare a casa di Edwin e Rosabella, si relegò in un angolo della stanza con il telefono in mano, ad aspettare che qualcuno dall’altro capo rispondesse.
«Quindi vorrebbe cambiare stanza?»
«No, non necessariamente. È che c’è stato un imprevisto e perciò mi chiedevo se vi potesse essere un’altra camera disponibile per il mio amico.»
La ragazza dall’altra parte cercava sul computer una stanza libera e si sentiva il rumore delle sue dita che battevano sui tasti.
«Mi dispiace, ma abbiamo terminato le camere singole. Però ci sarebbe una bellissima camera doppia che si è liberata proprio stamattina, potrebbe andare bene per voi?»
In quel momento soggiunse Elisio, che posò piano una mano sulla spalla dell’uomo. Platan allontanò la cornetta del telefono e disse: «Ah, arrivi proprio in tempo... È un problema per te se dormiamo nella stessa stanza?»
Elisio per pochi secondi s’irrigidì.
«No, figurati.» rispose poi, nascondendo un leggero imbarazzo dietro un sorriso «Trovato qualcosa?»
«A quanto pare sì, meno male... Anche stavolta ce la siamo cavata. Pronto?» riportò il telefono all’orecchio «Sì, va bene. Perfetto. Oh, la ringrazio molto, che gentile! Certo, buona serata.»
Presero le proprie cose e si mossero alla volta della casa dei due assistenti.
«Per lei questo e altro, Professor Platan!» mentre guidava per cercare parcheggio mimò la voce smancerosa della ragazza «Certe volte è davvero una fortuna essere il Professor Platan.» commentò.
«E quelle altre volte no?» domandò sarcasticamente.
Entrambi sapevano la risposta molto bene, perciò dato che nessuno trovava necessario approfondire l’argomento, si limitarono a scambiarsi un’occhiata complice. Platan scorse il tetto della casa dei suoi vecchi amici e la indicò a Elisio.
«Sai, ritornarci dopo tanto tempo mi sembra così strano...»
 
Seduti alla tavola rettangolare, erano tutti in silenzio a bere la zuppa calda dalla ciotola: ognuno aveva bisogno di riscaldarsi dopo il freddo provato fuori. Elisio e Platan sedevano su uno dei due lati lunghi, dal lato opposto invece vi erano i due coniugi. Sul fianco più stretto, vicino al Professore, stava una bambina di quattro anni, la sorella di Lucinda che era nata dopo il suo ritorno a Kalos e che aveva appena conosciuto; ormai stava cominciando a mangiare da sola, ma ogni tanto ancora chiedeva alla mamma che la imboccasse. Di fronte a lei c’era il nonno. Non appena aveva visto Platan fare il suo ingresso in casa, l’aveva abbracciato e aveva pianto qualche lacrima di gioia. Teneva gli occhi su Elisio perché la nuora lo aveva informato di alcuni comportamenti che intercorrevano tra i due e la faccenda lo aveva incuriosito. Quindi ogni volta che Platan cercava di spiegare a Elisio come doveva tenere le bacchette in mano, si faceva scappare una risata bonaria ed esclamava: «Ma guardate questi bei giovanotti!»
E Platan sapeva, sapeva perfettamente che prima o poi sarebbe arrivata quella domanda. Elisio non sospettava minimamente, ma Platan sì, perché il nonno tutte le volte che era tornato a notte fonda, il giorno seguente a colazione glielo aveva domandato, facendogli puntualmente andare di traverso il riso che stava masticando. Sempre. Mai una volta che non se ne fosse accorto, il nonno, di quelle scappatelle notturne. Si era messo l’anima in pace e tra una scodella di verdure e un piatto di pollo fritto che si svuotavano, aspettava che gli venisse posta la domanda. Mentre parlavano di Sinnoh, di Kalos e di quegli anni che erano stati lontani, Platan ogni tanto si rivolgeva al suo compagno e lo vedeva che aveva ancora qualche difficoltà alle prese con le bacchette, quindi ogni tre per due gli prendeva le dita e gli rifaceva vedere il modo in cui doveva metterle sulla posata.
«Ti ricordi quando era Lucinda ad insegnarti?» gli chiese Edwin.
«Eccome se me lo ricordo!» sorrise, ricordando le ore passate a fare pratica, e la bambina che ridacchiando gli diceva: «Ma non così, così!» e gli faceva vedere il modo in cui le teneva lei «Hai capito?». Il giorno in cui finalmente aveva imparato, gli aveva regalato un disegno che aveva fatto a scuola di loro due che mangiavano noodles. Lo teneva ancora nel cassetto della scrivania della sua stanza nel Laboratorio.
«Quando tornerà le diremo che con Elisio sei stato un bravo insegnante!» esclamò l’uomo.
«Sì, ma ci sarà molto lavoro da fare...» sorrise divertito, ma non in modo maligno «Elisio, sei proprio un pessimo allievo...»
Si rassicurò nel vedere che stava ricambiando il suo sorriso.
«Lucinda si è proprio fatta grande, Platan, non immagini nemmeno.» Edwin intanto stava pulendo le lenti degli occhiali con un panno.
«È diventata una giovane donna, ormai.» commentò il nonno con un sospiro.
La piccolina, con la testa poggiata sul tavolo, con gli occhietti stanchi e le braccia incrociate sotto la guancia, emise uno sbuffo a sentire il nome della sorella che da tanto tempo non vedeva e di cui sentiva la mancanza.
«Tu ancora non hai pensato a metter su famiglia?» domandò di nuovo Edwin.
«Tesoro, come vai di fretta!» s’intromise la moglie «È diventato Professore da qualche anno e già dovrebbe pensare ai figli? Lascia che prima possa vivere pienamente questo momento!»
«Beh, ma almeno la fidanzata ce l’hai?»
Platan e il nonno si guardarono. Il vecchio sorrideva con gli occhi che gli si stringevano in due fessure, confusi fra le numerose rughe che aveva in viso.
«Mi ha preceduto.» sussurrò ridendo. Poi si alzò, fece il giro del tavolo e gli diede una pacca sulla spalla. Prese la bambina in braccio e si avviò per portarla a letto.
«Andiamo, gnometta, che è tardi...» le disse mentre le accarezzava la testa.
«No, non ho una fidanzata.» rispose l’uomo, che s’era preparato la risposta già da qualche quarto d’ora.
«Allora un fidanzato, magari?» chiese la donna con un sorrisetto, osservando Elisio di sottecchi.
«Un fidanzato?!» la sorpresa squillava nella vocina della bimba, che si dimenava fra le braccia del nonno «Ma zio Platan è un maschio! I maschi non possono stare insieme!»
«Ma certo che possono.» le disse pacatamente il nonno mentre saliva le scale «Giocano con le macchinine tutto il giorno e se le scambiano senza chiedere il permesso perché le condividono. E poi, quando se ne rompe una, l’aggiustano insieme.»
Platan sorrise, ricordando affettuosamente quanto adorasse le metafore del nonno. Poi scosse la testa facendo segno di “no”.
«Mi spiace deludervi, ma non ho neanche un fidanzato.» rispose.
«La verità è che Platan è innamorato unicamente del suo lavoro.» aggiunse Elisio «Aiutare gli uomini e i Pokémon a incontrarsi fra loro è qualcosa che lo gratifica molto. Non è vero?»
«Sì, Elisio, è una cosa che mi emoziona tantissimo!»
Decisero che anche per loro si era fatta l’ora di ritirarsi, così si apprestarono a distribuire gli ultimi saluti, a echeggiarsi a vicenda i “Buonanotte” e i “Sogni d’oro”, a raccogliere le proprie cose ed uscire di casa. Edwin, Rosabella e il nonno si affacciarono alla finestra per salutarli ancora, più che felici di aver potuto rivedere il loro rampollo e di aver conosciuto il suo amico.
«Ho vissuto cinque anni a casa loro e da allora non è proprio cambiato nulla...» pensò ad alta voce Platan, alzando lo sguardo al cielo. La perturbazione sembrava avesse voluto acquietarsi almeno un po’ e ora tra le nuvole diradate si poteva vedere la luna piena, bianchissima in quel cielo nero.
«Sono molto simpatici.» anche Elisio si era messo a guardare in alto. Poi, abbassando la testa, aveva scorto un piccolo sentiero che s’infilava nella macchia.
«Dove porta quella strada?» domandò.
«Ah, quella? Porta alla spiaggia.»
«Possiamo andarci un attimo?»
 
«E così è questa la famosa spiaggia...»
«Già.»
«Me ne hai parlato tantissime volte, avevo proprio voglia di vederla!»
Qui l’odore salino del mare era ancora più forte, ed Elisio inspirò profondamente, sentendo l’aria fredda bruciargli nelle narici e riscaldarsi nel petto.
«Che buon profumo...»
«Ti va di fare qualche passo? A stare fermi qui mi viene freddo.»
Camminando lasciavano le impronte delle scarpe sulla sabbia, che subito venivano coperte da altri granelli trasportati da un vento leggero. Passeggiavano lentamente, dopotutto erano stanchi e non volevano fare troppa strada per tornare indietro.
«Come ti senti?»
«Come mi dovrei sentire?»
Platan si tirò indietro i capelli con una mano.
«Non ne ho idea. È tutto strano. Tornare qui, vedere questi posti, cenare di nuovo con loro... È come uno spettro che ritorna.»
«Un déjà vu?»
«No, non un déjà vu. Le esperienze e i luoghi sono gli stessi di quei cinque anni, però» alzò la testa verso l’altro «è come se avessero un significato diverso, adesso.»
Elisio guardò dall’altra parte, si sistemò la sciarpa di lana davanti alla bocca e se la tirò su fino alle punte delle orecchie.
«Passeggiavate qui tutte le sere?» chiese.
«La maggior parte. Verso il tramonto, quando le lezioni erano finite o se ci prendevamo una pausa dalle nostre ricerche, venivamo qui e parlavamo. Ogni tanto confrontavamo le nostre opinioni su dei fenomeni che avevamo osservato in Laboratorio, oppure ci fermavamo a guardare qualche Finneon che faceva capolino dall’acqua, o semplicemente ci scambiavamo due parole sulla nostra vita privata. E anche se eravamo stanchi e non ci dicevamo niente, per me quelle passeggiate avevano un valore più prezioso dell’oro. Devo tante cose al Professor Rowan. Stare con lui mi ha aiutato a crescere, in un certo senso. Avevo solo diciassette anni quando mi sono trasferito qui a Sinnoh per studiare, ero proprio un ragazzino...»
«Secondo me sei ancora un ragazzino...» ridacchiò «Ma è una parte di te che apprezzo molto, a dire il vero.»
«Tu invece sembra che non lo sia mai stato e che sia nato già adulto,» ricambiò la presa in giro «però anch’io apprezzo questa tua maturità d’essere.»
«A volte capita di essere trascinati a forza in ruoli che non sentiamo nostri, ma che con il tempo malgrado tutto diventano la nostra stessa essenza, al punto che non sentiamo più di doverci ribellare ad essi. A me è accaduto molto presto.»
Platan lo osservò con la punta dell’occhio e vide che ancora si ostinava a non voler incrociare lo sguardo con il suo. Si chiese a cosa si riferisse con quella frase, ma non aveva intenzione di chiedere spiegazioni. Elisio sorrise, si era accorto che lo stava osservando, e finalmente si girò verso di lui.
«Non farci caso. Sono solo parole buttate al vento, tutto qui.»
«Come ti pare.»
Arrivarono di fronte ad un arbusto e tornarono indietro. Avevano le scarpe e i calzini pieni di sabbia, che per quanto fastidiosa riuscivano a sopportare. Per metà del percorso rimasero zitti, intenti ad ascoltare il suono delle onde che si abbattevano sulla costa e il fruscio degli alberi proveniente dal sentiero lì accanto. Ad un tratto Platan si fermò. Abbassò la testa e guardò l’acqua che gli bagnava la punta di una scarpa. Ripensò a tutte quelle scarpe che aveva rovinato passeggiando sull’orlo del mare, rapito dai discorsi del suo maestro. L’altro aspettava pazientemente.
«Elisio, ascolta.» alzò la testa verso di lui per assicurarsi di avere la sua attenzione. Lo vide annuire e continuò: «Ho intenzione di raggiungere il Professore sul Monte Corona, perciò già da domani vorrei mettermi in moto. Non so quanto tempo ci sia rimasto, quindi è necessario agire al più presto. Ma avrò bisogno dell’aiuto di qualcuno. Che ne dici?» gli tese la mano «Saresti disposto a seguirmi?»
Elisio guardò sorpreso la sua mano. Era proprio lui a chiedergli di stargli accanto, lui stesso che quella mattina lo aveva cercato di respingere. Sorrise e gli strinse la mano, sentendo che era fredda e rabbrividiva proprio come la sua.
«Non pensare alle mie dita che tremano, perché non è per incertezza: sono più che sicuro della mia decisione e ti seguirò dovunque tu voglia andare. Anch’io voglio ritrovare il Professor Rowan, e questo è il minimo che posso fare.»
Continuarono a tenersi le mani qualche secondo in più del dovuto per offrirsi reciprocamente un po’ di calore. La temperatura era scesa di molto, ed entrambi pensarono che era giunto il momento di andare in albergo a coricarsi, al caldo, al riparo dal gelo che imperversava fuori. Era stata una lunghissima giornata, eppure anche le giornate che paiono non finire mai durano ventiquattr’ore come tutte le altre. Fra le strade di Sabbiafine il vento era meno forte, ma il freddo persisteva comunque. Cercarono di ricordarsi dove avevano parcheggiato la macchina e vi si diressero a passo svelto.
«Se vuoi guido io, mi sembri un po’ stanco.» propose il rosso vedendolo stropicciarsi un occhio per la stanchezza.
«Grazie per l’interessamento, ma la macchina è mia e la guido io.» ribatté.
«Come vuole lei, Professore...» alzò la testa in alto e roteò gli occhi a sinistra.
Oltrepassarono il Centro Pokémon, venendo abbagliati per qualche secondo dall’insegna luminosa che invitava i giovani Allenatori in viaggio a fare una pausa lì per riprendere le energie. Platan la guardò distrattamente, finché non udì una voce femminile provenire dal lato opposto della strada.
«Andiamo a casa, Clefairy. Ci facciamo una camomilla con un po’ di miele e poi ci mettiamo a nanna.»
Il Professore si voltò e osservò insistentemente la donna che stava camminando nella direzione inversa alla loro, riconoscendo il viso roseo di Clefairy incorniciato dalle braccia di lei, strette amorevolmente attorno al Pokémon. La donna alzò lo sguardo e si girò a sua volta, sentendo i suoi occhi addosso. Mentre allungava il collo, una ciocca di capelli le cadde sul viso, sfuggita alla lenta presa del fermaglio chiuso in cima alla testa. Rimasero a contemplarsi per lunghi secondi, e lei arrossì. Platan no, Platan la guardava e basta, come incantato. Oltre la corta frangetta, gli occhi le cominciarono a brillare e le labbra piccole e un po’ carnose le si dischiusero, lasciando fuoriuscire un sospiro incredulo. Sbatté le ciglia e lo guardò ancora. Poi fece scorrere lo sguardo fino ad incrociare il volto di Elisio. Ritornò su quello di Platan. Sorrise. Gli rivolse uno sguardo tenero e pieno di speranza. Infine se ne andò, riprendendo la propria strada.
Platan non si muoveva e continuava a guardarla. Sospirò.
«La conosci?» chiese Elisio.
«Sai, Elisio, nel corso della nostra vita incontriamo infinite persone. Alcune restano, altre se ne vanno. Ma per quanto la loro assenza possa farci stare male dobbiamo continuare ad andare avanti.»
E continuarono ad andare avanti fino a quando raggiunsero l’automobile. Elisio si fermò accanto allo sportello e mise la mano sulla maniglia, pronto per entrare.
«Platan, apri?» gli chiese, dato che nemmeno aveva ancora messo la mano in tasca per prendere le chiavi.
«Scusami.» disse scuotendo un po’ la testa «Scusami, mi ero distratto. Ecco, ora le prendo.» e si metteva a frugare nelle tasche dei pantaloni. Tuttavia non le riuscì a trovare, quindi ricontrollò un paio di volte, tastandosi sulle cosce e scavando più affondo nelle tasche ma sentendo il vuoto.
«Forse nel taschino del cappotto?» suggerì Elisio mentre si strofinava le mani.
«Santo cielo, è vero...» bisbigliò distrattamente. Le tirò fuori e sospirò.
«Elisio, forse è meglio che guidi tu.» aprì la macchina e poi gli diede le chiavi «In effetti non me la sento. Però la strada te la indico io.»
Nella mezz’ora che seguì non si dissero molto. Platan apriva bocca soltanto per far sapere a Elisio quando e dove svoltare, se prendere un bivio oppure un altro, o al massimo per fare qualche vaga considerazione: «Rosabella non usava quella tovaglia molto spesso, soltanto nelle occasioni importanti. Il nostro ritrovo dev’essere stato molto importante.», «Mi ricordo che il nonno aveva quei vestiti anche allora. Chissà se se ne sarà comprati di nuovi? Qualche Natale fa volevo spedirgli una sciarpa che avevo visto alla Boutique di Luminopoli, ma alla fine non ero più riuscito a trovare il tempo per andare in negozio. Mi dispiace.», «Lei era così dolce... Aveva delle maniere talmente gentili, e i suoi occhi erano bellissimi.», «È come uno spettro che ritorna...». Elisio provava a fargli qualche domanda incuriosito da quei numerosi spunti che gli stava offrendo, ma presto il discorso andava scemando perché Platan era restio a rispondere, e alla fine a parlare rimaneva soltanto il ticchettio della freccia inserita.
Arrivarono a Giubilopoli che, scesi dalla macchina, non riuscivano a tenersi in piedi. Giunti in albergo e ritirata la chiave, per salire in camera presero l’ascensore, nonostante a piedi fossero solo due rampe di scale. Elisio aprì la porta e Platan si precipitò sul letto più vicino.
«Questo è mio!» disse buttando a terra la valigia e accucciandosi contro il cuscino.
Elisio non lo contestò, stanco com’era non riusciva più a emettere una parola. Silenziosamente fece il giro della stanza e si fermò di fronte all’armadio che aveva accanto al letto. Sistemò velocemente le proprie cose e si preparò per andare a dormire. Si diresse verso quello che doveva essere il bagno, aprì la porta e vi guardò dentro.
«Mi lavo i denti, poi te lo lascio.» disse a Platan facendo uno sforzo. L’altro annuì, alle prese con i propri vestiti che stava infilando alla rinfusa dentro l’armadio. Quando si ritrovò da solo prese dalla borsa un’agenda dove da un po’ di tempo si era appuntato qualche notizia sulle condizioni di Sinnoh. Scorse qualche pagina e nel momento in cui trovò uno stralcio di spazio da riempire, si appuntò velocemente quello che era venuto a sapere da Edwin, sperando che l’indomani sarebbe riuscito a decifrare la propria scrittura. Poi chiuse il quadernino, lo mise sul comodino, si infilò sotto le coperte. E si addormentò come un sasso. Elisio tornò in camera e si apprestò a fare lo stesso, non aveva neanche la forza di accendere il lumetto per continuare il libro che aveva iniziato qualche sera prima. Che tanto se anche lo avesse fatto, nemmeno sarebbe riuscito a mettere a fuoco la vista per leggere, probabilmente. Tuttavia si svegliò un paio di volte perché dalla finestra vicina s’imbucava un fastidiosissimo spiffero di vento che ogni volta lo faceva tremare dal freddo. Inizialmente sorvolò, ma dato che la cosa si ripeteva, alla fine si vide costretto ad alzarsi per prendere una delle coperte più pesanti che l’albergo aveva messo a disposizione degli ospiti. Ma mentre stava per rimettersi a dormire, qualcos’altro lo bloccò, perché aveva sentito che Platan lo aveva chiamato: «Elisio, abbracciami...»
Elisio rabbrividì, fissandolo con uno sguardo turbato. Non essendo sicuro di ciò che aveva sentito, disse: «Platan, che cosa...?»
Vedendo che non rispondeva si alzò di nuovo, preoccupato che gli potesse essere accaduto qualcosa. Si accostò silenziosamente al suo letto e lo osservò per una decina di secondi. Dormiva.
Altre volte era successo che in quelle sere, assai rare, passate a dormire insieme, lo avesse sentito parlare nel sonno. Non gli aveva mai dato tanto peso perché non era mai riuscito a cogliere un senso in quelle frasi spezzate e lasciate in sospeso nel silenzio della notte, ma in quel momento, che per la prima volta si era sentito chiamare, che si era sentito al centro dei suoi sogni, non era in grado di ignorare quella preghiera.
E sulla sua faccia, tra le sue labbra e nelle palpebre serrate, scorgeva quell’inquietudine che per tutto il giorno non lo aveva mai abbandonato, nonostante nel corso della serata sembrava fosse scomparsa, come se neanche nel sonno riuscisse a trovare pace. Quell’immagine gli faceva pena, e se ne rattristava. Fosse stato per lui, l’avrebbe sempre voluto vedere felice. Perché era bello quando era felice, ed era innamorato del suo sorriso e del suo sguardo ridente.
Gli posò una mano sulla spalla e lo accarezzò con lentezza. Lo sentì tremare sotto le sue dita. Era così nervoso, così teso, così... fragile nella sua sicurezza apparente. Si era accorto perfettamente che nel corso della giornata aveva cercato di mostrarsi risoluto nelle sue azioni di fronte ai suoi occhi, ma sapeva bene che il suo animo in realtà era continuamente pervaso da dubbi e incertezze.
Che peccato.
Lo guardò ancora, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Poi di nuovo sentì la sua voce sussurrare la richiesta.
E ricordandosi di tutte quelle richieste che lui stesso aveva fatto in un tempo lontano e che non erano mai state esaudite, decise di accontentarlo.
Si infilò tra le coperte, piano, e titubante si strinse a lui, poggiando la testa contro la sua schiena. Venne pervaso dal suo profumo, un profumo che sapeva di mare, di sabbia, di conchiglie, e dal calore del suo corpo. Sentì Platan ammorbidirsi a contatto con il suo abbraccio, rilassando la schiena e le spalle.
«Elisio...»
«Sono qui, Platan...» bisbigliò in risposta, ricordandosi che stava dormendo e che non poteva sentirlo solo qualche istante dopo aver chiuso bocca.
«Sono qui.» ripeté però.
Strofinò la testa sulla sua schiena e in poco tempo si addormentò, cadendo in un sonno profondo e dolcissimo, come da tanto tempo non gli accadeva.


 



Eccoci al primo capitolo!
Come forse avrete notato sto cercando di fare un po' un'unione tra le storie di Pokémon Perla/Diamante e Platino. Sinnoh mi è sempre sembrata una regione simil giapponese-asiatica...
Per il momento non ho molto da dirvi, spero che come primo capitolo vi sia piaciuto!
A presto! :D
Persej Combe
 
  
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