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Autore: Nadie    09/02/2015    4 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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15. L'arte di riempirsi




Occhi Verdi indossa dei pantaloncini neri e una maglia grigia troppo lunga e troppo larga che le lascia scoperta una spalla.
«Buonasera.» le dice.
«Non dirmi ‘buonasera’.»
«Perché?»
«Perché non mi piace.»
«Perché non ti piace?»
«Tu non dirmelo e basta.»
«Buonasera.»
Lei lo fissa, come lo fissa? Lui non lo sa, non sa decifrare gli sguardi, i Suoi sguardi, ma poi come si fa a decifrare uno sguardo?
Lei lo fissa. Lo fissa punto e basta.
«Buonasera.» ripete «Non vuoi sederti?» le chiede e fa un cenno con il capo al posto accanto al suo, così vuoto e freddo, vieni a riempirlo, Prudence, vieni a scaldarlo.
Lei si avvicina, sembra a disagio, si guarda intorno e sembra voglia scappare, correre via, lontano.
Ma lo ha già fatto, è già scappata, corsa via, lontano.
Troppo lontano.
Si siede, cerca di mantenere quanta più distanza possibile tra il suo corpo e quello di Occhi Bui, ma che divano stretto! Non può allontanarsi tanto quanto vorrebbe, non può scivolare ai bordi, i bordi di un divano, i bordi di una casa, i bordi di un parco, i bordi di una spiaggia, i bordi di una città, i bordi di un mondo.
I bordi di una storia.
E i loro bordi, i bordi della loro storia, sono troppo vicini, ancora troppo vicini e così tanto vicini che Lei riesce a sentire odore di dopobarba, borotalco e un soffio di alcol e vorrebbe chiudere gli occhi, avvicinarsi solo qualche centimetro in più ed annusare, annusare quel buon profumo che sa di otto anni fa, che sa di quando le bastava solo un istante con Occhi Bui per scordarsi dei problemi.
Dopobarba, borotalco, alcol.
Madri che piangono, fratellini a cui badare, padri che scappano, case che scivolano via.
Dopobarba, borotalco, alcol.
Ma che importa? Che importa?
«Bevi qualcosa?» le chiede Occhi Bui, e manda giù un sorso di birra.
«Non mi piace…»
«… l’alcol. E le bottiglie piene di alcol e le persone piene di alcol. Me lo ricordo.»
«Allora non dovresti chiedermelo.»
«Magari sei cambiata. Si dice che il tempo cambi le persone.»
«A me non piacciono né il tempo né i cambiamenti.»
«Né le persone che ti dicono ‘buonasera’.» le sorride. Un altro sorso di birra e punta gli occhi bui sul pavimento.
Silenzio.
E quanto pesa il silenzio!
Se avessero chilometri di distanza tra loro e solo un filo gracchiante a tenerli uniti, allora sì che saprebbero riempire facilmente il silenzio: parlare è molto più semplice senza guardarsi negli occhi.
Ma adesso non c’è niente che li divida, niente che li nasconda e nessuno dei due sa più cosa dire.
Occhi Verdi armeggia con le maniche della sua maglietta troppo lunga, sembra così tesa e quasi spaventata, Lui vorrebbe poggiare una mano sulla sua spalla nuda e Prudence, cara Prudence, non avere paura, ormai non c’è più niente di cui avere paura.
Le si avvicina, dopobarba-borotalco-alcol, allunga una mano, dopobarba-borotalco-alcol, le sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, dopobarba-borotalco-alcol, Occhi Verdi si scosta velocemente, si fa più vicina al bordo del divano e abbassa lo sguardo.
Occhi Bui sospira. Un altro sorso di birra e ormai la bottiglia è vuota, andata, bevuta, finita.
Si alza, butta la bottiglia vuota nel cestino in cucina, poi torna a sedersi e ne prende un’altra dalla confezione appoggiata sul tavolino, proprio accanto a due candele.
Le candele!
Potrebbe parlarle di candele, di quando Lei gli diceva che a casa Sua non c’era elettricità ma, niente panico, Lei sapeva ritrovare la luce usando le candele; sapeva svuotare il buio con le candele e non le importava più nulla, della mancanza di elettricità, della mancanza di un padre o di una madre.
Prudence sa sopravvivere alle mancanze.
«Un’altra?» gli chiede Occhi Verdi, indicando la bottiglia di birra tra le sue mani.
«Un’altra.»
Fa per stapparla ma Lei gliela toglie di mano, poi afferra la confezione sul tavolo, va in cucina e butta tutto nel cestino.
Torna a sedersi.
Lui la osserva, le sopracciglia curve in un’espressione perplessa.
«Che cosa… ?»
«Il tuo fegato mi ringrazierà.»
«Che t’importa del mio fegato?»
«Non m’importa niente del tuo fegato, mi fa solo pena.»
«Il mio fegato ti fa pena? Perché, ci hai parlato?»
«No, ma se ci parlassi mi direbbe che è intrappolato nel corpo di un idiota.»
Silenzio. Un altro.
Lui se lo terrebbe volentieri, il silenzio. Gli piace, ha imparato a farselo piacere perché sa, adesso sa, che le parole hanno poteri troppo grandi, troppo spaventosi. Le parole sanno rovinare tutto e tutti.
Ma Occhi Verdi non ama i silenzi, Lei vuole parlare, anche del nulla; Lei vuole riempire i silenzi, cancellarli perché le pesano sulle spalle, la mettono a disagio, la fanno sentire nuda e piccola e fragile. Ma le parole no, le parole sono diverse, le parole sanno circondarla e stringerla e ripararla e Lei ne ha bisogno, ha bisogno delle parole.
«Come stai?» gli chiede, e spezza il silenzio.
«Mi chiedi come sto?» la guarda, seccato.
«Sì, perché?»
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
«Perché, c’è qualcosa di sbagliato?»
«No.»
«E allora?»
«E allora non dovresti farmi domande a cui puoi rispondere da sola.»
Lei non replica: sa che Occhi Bui ha ragione.
Basta guardarlo in faccia per capire come sta, basta osservare i suoi occhi neri-neri-neri così arrossati e stanchi, le occhiaie fin troppo evidenti; i capelli troppo cresciuti e la barba appena fatta che ha lasciato al suo posto qualche piccolo taglio.
E quella mano avvolta in una garza sporca di sangue.
Vorrebbe avvicinarglisi e lasciargli poggiare il capo sulla sua spalla nuda e dirgli che le dispiace, le dispiace per la sua mano ferita, per i taglietti sulle sue guance, per le occhiaie di chi non dorme più da troppo tempo e per quegli occhi neri e stanchi.
Ma resta lontana, vicino al suo bordo, aggrappata con le unghie al bracciolo del divano, e non può, non riesce a spostarsi neanche di mezzo centimetro.
«Benjamin, perché siamo qui? Cosa vuoi?»
«Anche a questa domanda puoi facilmente trovare una risposta da sola.»
«Bé, allora mi spiace» Occhi Verdi si alza in piedi «ma io e te non finiremo per sempre felici e contenti. E tu non puoi farci nulla, fattene una ragione.»
«Per farmene una ragione mi serve una spiegazione.»
«Una spiegazione a che cosa?»
«Al fatto che non possiamo aggiustarci. Dammi una spiegazione, dimmi perché e poi, te lo giuro, sparisco dalla tua vita per sempre.»
«A volte non c’è una spiegazione.»
«Invece c’è, c’è sempre una spiegazione. C’è una spiegazione per i buchi neri, c’è una spiegazione al riflesso condizionato; una spiegazione su come montare bene un tavolo o preparare un buon piatto di pasta. E allora c’è, ci deve essere una spiegazione, un perché anche per noi due.»
Lei scuote la testa e non riesce a guardarlo, non riesce a guardare occhiaie-taglietti-occhi stanchi-mano ferita, non può.
Gli volta le spalle e punta gli occhi verdi contro la parete di fronte illuminata dalle candele; e resta a guardare il bianco sporco del muro, la polvere sulle mensole e tra i DVD appoggiati uno all’altro e le ragnatele che pendono dal soffitto.
Vorrebbe poter aggiustare quella parete, le dà fastidio vederla così ridotta.
Vorrebbe riverniciala di un bianco luminoso, togliere la polvere dalle mensole e rimettere in ordine i DVD, e raccogliere, raccogliere tutte le ragnatele e gettarle via.
Parete nuova, pulita, spolverata e ancora in piedi, mai crollata e le piacerebbe, le piacerebbe poter essere una parete spessa e solida, nascosta in una casa calda e profumata; ritta in piedi di fronte ad un divano su cui due innamorati si abbracciano stretti senza bisogno di parole.
Sente il fiato di Occhi Bui sulla sua pelle, le sue dita gentili che si stringono attorno alla Sua spalla nuda e le labbra che si accostano piano al Suo orecchio.
«Non andare via.»
Vorrebbe trovare la forza di voltarsi e abbracciarlo stretto e devi sapere, caro Occhi Bui, che le persone si riempiono a vicenda, che il mondo non è poi così grande e che niente succede per caso.
Devi sapere, caro Occhi Bui, che le persone non sono altro che vasi di carne destinati a riempire e riempirsi e non sai quanti scambi astratti e invisibili che accadono ogni minuto, ogni istante in questo mondo!
Devi sapere, caro Occhi Bui, che le persone possono, le persone sanno legarsi strette come nodi su una fune spessa; che esistono fili fatti apposta per legare gli esseri umani e che tra me e te c’è un filo stretto, un laccio ben legato che non ci permette, che non mi permette di andare via.
E queste verità assolute – fidati che sono assolute e incontrastabili – le ho scoperte in questi otto anni e le ho raccontate a mia figlia, quando ancora non sapevo che forma avesse, quando ancora non sapevo come potesse essere il suo viso; quando ancora non potevo immaginare quanto sarebbe stato bello guardarla aprire gli occhi per la prima volta, sentirla piangere perché ha bisogno di me e del mio latte; guardarla camminare con la sua andatura da papera e inciampare ogni due passi.
«Non andare via.» ripete Occhi Bui e Lei si volta, occhi neri e stanchi-occhiaie-taglietti sulle guance-mano ferita sulla sua spalla nuda, chiude gli occhi, dopobarba-borotalco-alcol, avvicina il viso a suo e non può fare altro che baciarlo.
Lo bacia, lo bacia come se potesse ricucire i tagli, lenire il bruciore, cancellare le occhiaie e la stanchezza e la tristezza; lo bacia come se potesse far risplendere la parete e l’intera casa; come se potesse riavvolgere il lungo filo del tempo e rimettere le lancette indietro di otto anni e forse ci riusciranno, un giorno.
Si dice che esistano dimensioni spaziotemporali in cui il tempo può essere ripercorso, mandato avanti e indietro secondo leggi precise della fisica e chissà che non sia possibile anche per loro!
Ma adesso importa poco.
Adesso il tempo potrebbe anche non esistere ed esistono solo Occhi Bui ed Occhi Verdi e le loro labbra che sanno riparare tagli e squarci che sembravano insanabili.
Esistono solo vestiti inutili che cadono a terra, mani che si intrecciano e un pavimento troppo freddo contro la loro pelle; e lui vorrebbe essere delicato, vorrebbe saper usare un tocco lieve e leggero sulla pelle di Occhi Verdi ma c’è un gran bisogno di stringerla che pulsa sotto la sua carne, e si spinge, si spinge dentro al corpo della ragazza che ha tra le braccia, stringe forte le Sue mani e non la sente neanche più, la ferita di vetro nella carne, adesso va bene, va tutto bene
Adesso non ci sono più vuoti incolmabili dentro al suo petto, adesso non ci sono più mancanze che non lo fanno dormire la notte, adesso c’è tutto, adesso è completo e pieno, così pieno da poter scoppiare.
Nasconde il viso nell’incavo del Suo collo e resta ad aspettare che i respiri ritornino regolari e che i cuori si calmino e sorride, sorride nascosto tra la pelle e i capelli cresciuti di Occhi Verdi perché ora sì, ora sì che sta bene.
 
 
 
 
Il freddo duro del pavimento lo costringe a svegliarsi, apre gli occhi nella luce di cera che illumina la stanza ed Occhi Verdi è lì, girata verso di lui ed ancora addormentata.
Si alza in piedi e recupera i pantaloni, poi prende Prudence tra le braccia e la porta in camera sua, camera loro.
La adagia piano sul letto e la copre con le lenzuola, poi le si stende accanto e le bacia la fronte.
Lei apre gli occhi e si guarda attorno, il ricordo di quella stanza le toglie quasi il fiato. Si mette a sedere e si stringe le ginocchia al petto.
«Tutto bene?» le chiede.
«Assolutamente no.»
«Perché?»
«Non so cosa dire.»
«Non sai cosa dire?»
«Proprio no.» scuote la testa e lo fissa con i suoi grandi occhi verdi.
«Magari non c’è niente da dire.» con la mano ferita le sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, Lei lo afferra per le dita, toglie la garza sporca dalla sua mano e studia la ferita irregolare che gli taglia la pelle.
«Magari dovresti curare questa ferita, che ne dici?»
«È un graffio.»
«E com’è che ti sei graffiato
«È una storia troppo cruenta, meglio se non te la racconto… magari ne resti impressionata.»
«Sono una donna forte, posso sopravvivere.»
«Sicura?»
«Sicurissima.»
«Okay, allora: ho tirato un pugno ad uno specchio.»
Si mette a sedere e Lei lo osserva, perplessa.
«Cosa ti aveva fatto quel povero specchio?»
«C’era un tizio dentro che continuava a fissarmi.»
«Ti fissava?» gli chiede e sorride.
«E con che insistenza!»
«Ah, io non sopporto la gente che fissa altra gente!»
«Nemmeno io.»
«Hai fatto bene a tirargli un pugno.»
«Lo so.»
La bacia, posa le mani sulla Sua schiena e la bacia, la bacia, la bacia finché Lei non lo ferma e abbassa lo sguardo.
«Adesso devo andare.»
«Perché?»
«Devo andare.»
Si alza, avvolta nel lenzuolo bianco, e torna in salotto a recuperare i suoi vestiti.
Lui la segue e resta a guardarla mentre si riveste, poi i loro occhi si incontrano e Lei accenna un sorriso.
«Quando ci rivediamo?»
«Non lo so, oggi lavoro fino a dopo mezzanotte.»
Lui annuisce e abbassa lo sguardo, poi la sente avvicinarsi e prendergli il viso tra le mani.
«Guarda che non sto scappando.»
«Lo so, altrimenti avrei già messo un bel lucchetto alla porta.»
Gli sorride, poi avvicina le labbra al suo orecchio e «Buon Compleanno, Ben» sussurra, gli schiocca un bacio sulla guancia e se ne va.
 
 
 
 


...
Ciao, ciurma di lettori!
Mi trovo nell'insolita situazione di non sapere proprio cosa dire, non mi viene nemmeno da sparare una delle mie solite boiate, sarà colpa del capitolo? Sarà colpa della serie tv di Sherlock che mi sta facendo disagiare alla stragrande? Chissà!
Però ho ancora qualche parola per poter ringraziare, come sempre, chi legge.
A presto,
C.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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