I
FIAMME
NERE
“Non
retrocedete!” gridò Phobos.
Si
portò una mano al viso,
pulendosi dalla polvere della battaglia. Circondato dai compagni, non
riusciva
ad udire la voce del suo padrone. Non riusciva più a
scorgerlo. Probabilmente
si era lanciato in prima linea, pronto ad affrontare il nemico
invasore. Lo
sperava.
“Dov’è
il sommo Ares?” chiese
un’amazzone, tenendo buono a fatica il suo cavallo.
“Non
preoccuparti per lui, pensa
a combattere!” la sgridò Phobos, cercando di
capirci qualcosa.
Quell’attacco,
mosso
all’improvviso, aveva colto molti di sorpresa. E di nuovo
lì, a difendere il
tempio di Athena. E perché?
Phobos si
chiedeva perché il suo signore ancora difendesse quel luogo,
invece di
ritirarsi nel suo palazzo in tracia e staccarsi dal passato.
Sospirò,
rispondendosi da solo. Il legame fra il suo capo e colui che
considerava un
fratello, Saga, non accennava a smorzarsi. Nonostante tentassero in
ogni modo
di separarsi, odiando pure Arles quel luogo d’infanzia e di
errori, finivano
sempre col cercarsi. Per sostenersi o ammonirsi.
“Perché
vi fermate?” gridò ancora
Phobos “Non abbiate timore alcuno del nemico, o vi
distruggerà!”.
Accompagnò
le sue parole con un
potente colpo fiammeggiante. La sua luce rossa attraversò
quelle ombre nere e
le dissolse. Ma dietro di loro già ne avanzavano delle altre.
Il buio
improvviso oscurò il
tempio delle vestali. Le donne, spaventate, si guardarono attorno senza
capire.
“State
calme” parlò loro,
dolcemente, Ninive.
Ora era lei
a capo di quelle
fanciulle, data la decisione di Hestia di sposare Saga e lasciare quel
luogo.
Ninive aveva accettato l’incarico senza timore o ripensamento
alcuno,
nonostante questo significasse rinunciare definitivamente a quella che
poteva
essere una vita con Arles ed i suoi figli. La decisione aveva fatto
alzare un
coro di voci e pettegolezzi. Nessuno sapeva il perché di
quella decisione
tranne lei, che non voleva svelarlo. In quel momento, assieme alle sue
consorelle, solo per un istante pensò a colui che combatteva
là fuori e si mise
a pregare. Tutte loro desideravano ardentemente la pace ma nessuno in
quel
Mondo pareva in grado di poterla mantenere. E il cielo si faceva sempre
più
nero…
“Torna
subito indietro!” ringhiò
Ares, nella testa del suo involucro Arles.
L’involucro
non rispose, continuando
a camminare. Vedeva il suo nemico, dritto davanti a sé, e si
dirigeva convinto
in quella direzione.
“Ti
ho detto di fermarti! Sei del
tutto scoperto, ti farai ammazzare!” insistette Ares.
“Ma
chiudi quella cazzo di
bocca!” sibilò Arles.
“Ma
non vedi che stai facendo?!
Se il nemico ti vede, sei morto! E mi serve questo tuo corpo, lo
sai!”.
“Questo
è il mio corpo e ci
faccio quel che voglio”.
“Questo
è il nostro corpo!
Fermati!”.
Ares
tentò di trattenere Arles,
che per un istante si arrestò e gemette per protesta. Ma poi
la volontà del
mortale fu più forte, e riprese il suo cammino. Con indosso
l’armatura del dio
della guerra e nelle mani la sua scintillante spada, guardò
negli occhi l’ombra
nera che oscurava il sole. Il Caos, padre di Gaia, colei che era stata
sigillata nell’ultima guerra, aveva perso il controllo e
sfogava la sua rabbia
su cavalieri e Dèi colpevoli. Dov’era quel verme
che aveva rinchiuso la sua
bambina? Dov’erano tutti quei moscerini inutili che lo
avevano aiutato?
Divinità inferiori, legate agli umani. Agli occhi del Caos,
feccia e nulla più.
E quella creatura minuscola che avanzava così
decisa…che credeva di fare?
Ghignò divertito. Arles rispose a quel ghigno, senza curarsi
dei martellanti
insulti del dio della guerra nella sua testa. Il Dio nemico pareva non
subire
alcun danno, nonostante gli attacchi di vari Dèi fra cui
Zeus.
“Amico…”
gridò Arles per farsi
sentire dall’enorme divinità Caos
“…vedo che entrambi abbiamo bisogno di
sfogarci. Facciamo così: sbrighiamo la faccenda fra noi.
Lascia perdere tutti
questi qui, che combattono per noia e non vedono l’ora di
smettere. Lotta con
me, che ne ho bisogno”.
“Umano,
tu sei pazzo” rispose
Caos.
“Può
essere” ammise Arles,
seguito da un “confermo” da parte di Ares.
“Come
speri tu di battermi, visto
che nemmeno l’attacco congiunto dei tuoi compagni riesce a
scalfirmi?” domandò
il nero nemico, piegandosi leggermente in avanti.
“Io
non spero di batterti. So di
non poterlo fare”.
“E
allora che vuoi? Suicidarti?”
“No,
a tagliarmi le vene sto poco.
Sento che tu attacchi per rabbia. Di questo posto non te ne frega un
cazzo. Hai
solo bisogno di sfogare la tua giusta rabbia. Io pure me ne frego di
questo
posto ed ho necessità di liberarmi di certe sensazioni.
Perciò vorrei che tu
combattessi contro di me. E me soltanto”.
“Ammiro
il tuo coraggio”.
“La
sua è stupidità” sbottò
Ares,
per qualche istante riprendendo il controllo.
Non ci
riuscì a lungo. Arles
socchiuse gli occhi e richiamò a sé tutta la sua
energia.
“Ma
che sta facendo?” si chiese
Saga, vedendo Arles avanzare veloce verso il nemico “Si
farà ammazzare!”.
“Ricorda
che è il Dio della
guerra” lo calmò Kanon “Sa quello che
fa…di solito!”.
“Non
sta seguendo una strategia.
È scoperto!”.
“E
tu non seguire l’esempio!
Resta qui, che il nemico è uno di quelli cazzuti”.
“Arles!
Cosa stai facendo,
fratello?!” gridò Saga e Kanon gli
tappò la bocca.
“Sono
io tuo fratello!” sbottò “E
smettila di cercare di attirare l’attenzione,
idiota!”.
“Non
hai nulla da perdere,
greco?” riprese Caos.
“No”
ammise Arles “Non sono
figlio di nessuno e, anche se senti una voce chiamarmi ̎fratello ̎, non
sono il
fratello di nessuno. I miei figli sono grandi, la mia donna non vuole
più
vedermi. Non ho motivo di restare. Il mio sangue ribolle di rabbia e
desolazione. Sono solo, eppure la mia anima ringhia. Ringhia
perché vuole
vivere e combattere”.
“Ammiro
la tua anima. La mia è
circondata da catene e sigilli e ormai prova solo rabbia”.
“Come
posso placarla?”.
“Perché
dovresti?”.
“Perché
quella fanciulla che vedi
laggiù è la mia bambina. Si chiama Ariadne e non
voglio muoia oggi”.
“Tu
non potrai mai fermarmi!”.
Caos, che
per qualche istante era
parso tranquillizzarsi, riesplose di furia ed espanse ulteriormente le
sue
dimensioni. Arles scattò in avanti, raccogliendo tutte le
sue energie e
roteando la grande spada del dio della guerra.
“War
Blood” gridò, alzando la
spada e lanciando il suo colpo.
Il rosso
sangue del supremo colpo
del dio della guerra colpì in pieno Caos. Trovandosi
più vicino rispetto ai
suoi compagni, riuscì ad arrecare un lieve danno al nemico,
che si irritò
parecchio e lo schiacciò in terra con due dita. Tenendolo al
suolo, rise e si
umettò le labbra. Quasi quasi poteva mangiarselo quel
microbo. Arles si dimenò,
riuscendo a liberare una mano. Scagliò un ulteriore colpo
sulle dita che lo
bloccavano e ritrovò la libertà.
“Sei
proprio fastidioso!”
commentò il Caos, trovando la cosa quasi divertente
“Annienterò la tua anima”.
Arles
ghignò di nuovo. La sua
spada ed il suo cosmo erano pronti a colpire ancora. Saltò,
accompagnato dai
colpi di altre divinità, ed affondò la spada in
quell’ombra che però non perse
nemmeno una goccia di sangue. Venne ricacciato indietro e cadde. Si
pulì la
bocca dall’ikor divino che il nemico aveva fatto sgorgare e
preparò un altro
attacco. Ma si fermò. Sentiva qualcosa di strano dentro di
sé. Partiva dal
cuore e, ad ogni battito, pareva espandersi per le vene. Sì
portò la mano
sinistra al petto e subito anche in lei avvertì la stessa
sensazione.
“La
mia…anima?” gemette.
“Che
succede?” domandò Ares,
senza capire.
Percepiva
l’involucro del suo
mortale ospite perdere sintonia con la sua anima. Dal cuore, che
lentamente
Arles percepiva sempre più pesante e freddo, si espandeva un
dolore che
scorreva poi nelle vene. Il muscolo pulsante divenne nebbia e poi si
contrasse.
Come una supernova, si contrasse e poi esplose, divenendo fiamma nera.
Arles
gridò. La sua anima bruciava e così anche il suo
corpo. Lingue di fiamme nere
iniziarono a consumarne le carni e le ossa. Ares lottò
disperatamente per
arrestare il processo ma non ci riuscì. Il suo involucro
mortale non era più in
grado di ospitarlo e dovette abbandonarlo, senza poter far altro.
Rimase a
guardare Arles che si consumava, fra le grida. Perché il suo
cuore non cedeva?
Perché non cessava di battere, permettendogli di morire? Il
Caos si chiedeva la
stessa cosa, vedendo quel misero essere contorcersi.
“Il
tuo animo è forte, creatura.
Non me l’aspettavo” commentò il nemico.
Arles non
poté controbattere,
perché ormai le fiamme ne stavano avvolgendo il viso. Poi,
finalmente, corpo ed
anima si arresero e cessò di vivere. Ares lo capì
e d’istinto, tentò di
vendicare il suo prezioso involucro. Sapeva di non poter fare molto ma
era pur
sempre il Dio della guerra! Fece per attaccare quando una luce
abbagliante lo
fermò.
“Tornatene
da dove sei venuto,
creatura della notte!” tuonò una voce, che
arrestò ogni movimento.
Lentamente,
apparve. Ahriman, Dio
del cielo, magnifico e avvolto da luce e ardente cosmo, si
mostrò. Fra le nubi,
con le ali spalancate, fra le mani stringeva lo scettro simbolo del suo
potere
così come sul capo indossava la corona.
“Urano.
Nipote mio. Come stai?”
domandò Caos, per nulla impressionato da
quell’entrata in scena.
“Starei
molto meglio senza
vederti” rispose Ahriman, con la voce del Dio del cielo.
“Svolazza
altrove!”.
“Evapora!”.
Ahriman
alzò lo scettro ad
astrolabio e questi brillò, scagliando una fascia di luce
contro il Caos.
Questi si raggomitolò leggermente.
“Ti
ricordo, Caos, che sei stato
sigillato, millenni orsono. Non ti è concesso uscire dal tuo
palazzo nero, pena
la morte. Sai bene che devi rientrare immediatamente, oppure ti
dissolverai. E
so che non è quello che vuoi”.
“Cosa
ne sai tu di quel che
voglio? Ho perso la mia bambina!”.
“Io,
pochi secondi fa, mio padre.
Eppure sto qua, fermo, e non sfogo la mia collera a casaccio contro di
te.
Anche se potrei. Ti invito, anzi, a tornartene a casa prima che il
sigillo
faccia effetto”.
Per qualche
attimo i due si
fissarono. Il Caos espanse la sua ombra, andando ad accarezzare per un
istante
tutto il grande tempio. Poi si ritrasse e svanì.
Era sceso
uno strano silenzio.
Ahriman atterrò dolcemente, con un singolo battito
d’ali. Da tempo non si
mostrava, dall’ultima guerra in cui era divenuto Dio del
cielo.
“È
tutto finito” parlò, dopo
qualche istante di silenzio “Potete tornare a casa”.
Ma nessuno
si mosse. Alcuni
feriti si accasciarono, stanchi. Nessuno di loro era in gravi
condizioni. Il
nemico si era limitato a rispedire indietro i colpi degli avversari.
“Fratello…”
mormorò Saga,
rimanendo immobile con lo scettro di Athena fra le mani.
Kanon fece
una smorfia. Non
sopportava sentir chiamare Arles “fratello”.
“Su,
zio, non essere triste”
quasi sorrise Ariadne “C’è Ahriman qui.
Sono certa che lui ha la soluzione”.
“Sorellina,
per quanto io sia
potente, non posso riportare in vita un corpo distrutto. Non
è rimasto nulla di
lui”.
“E
la sua anima?”.
“Come
quella di Ares, sono certo
che ha già una sua sistemazione”.
“Quindi
mi stai dicendo che tu,
Dio supremo del cielo, non puoi fare niente?”.
“Non
posso competere con il
volere del Caos”.
“Ma…quindi…papà
è…”.
“Non
piangere” parve sfottere
Ahriman “Non ci ha cresciuti. Potevamo anche vivere senza mai
venire a
conoscenza della sua vera identità”.
“Ma
stai parlando di Arles,
nostro padre. Come puoi…”
Ahriman
alzò una mano. Non voleva
sentire altro. Vivendo solitario nel grande palazzo del cielo, iniziava
ormai
ad avere dentro sé quella fredda indifferenza tipica delle
divinità. Riprese il
volo, lasciando alla sorella solo una delle sue piume fra le mani.
“Re
Ahriman” chiamò qualcuno.
Altri
invocarono il nome di
Arles, senza capire bene l’accaduto. Non era rimasto nulla
del cavaliere, se
non un segno lievemente bruciato d’erba e qualche goccia di
ikor. L’anima di
Ares non c’era più e questo spaventava Phobos.
Era rimasto
di nuovo solo! Solo,
senza un padrone ed un signore da seguire. Che fosse segno, con la
morte del
Dio della guerra, che finalmente era giunto un tempo di pace? Che
l’alba di un
mondo senza conflitti potesse avere inizio?
“Pura
utopia” si disse, subito.
Ora era lui
a capo delle truppe di
Ares e lo avrebbe atteso. Sapeva che sarebbe tornato e fino a quel
momento lo
avrebbe aspettato e venerato come in vita. E il Caos
l’avrebbe pagata cara.
“Placa
il tuo animo” suggerì
Hypnos, che aveva combattuto negli eserciti di Hades in quello scontro
“Il Caos
non è creatura che si può vincere. Io lo so bene.
Ho vissuto al suo fianco,
assieme al resto della mia famiglia, a lungo. Poi, quando si
combatté la
battaglia in cui furono posti i suoi sigilli, io e Thanatos fummo
assoldati da Hades
ed ora dimoriamo nei campi elisi”.
“Ma
se è sigillato…perché è
apparso?”
“È
una creatura troppo potente.
Non la si può rinchiudere in una giara o in una scatola.
Tutte le divinità
alleate con Zeus, i suoi fratelli ed i vari discendenti, sono riuscite
a creare
un blocco. Ma questo non è sufficiente a trattenerlo nel suo
palazzo. Specie se
mosso da rabbia cieca come prima”.
“E
allora questi blocchi a che
servono?”.
“Non
può più creare, così da
evitare che generi cose al di fuori dell’ordine del Mondo.
Non può più avere figli,
né lui né gli altri abitanti della sua casa nera.
E non può uscire dal palazzo
se non per un periodo limitato. Inoltre, i suoi poteri sono stati
notevolmente
diminuiti. Fosse stato potente come alla notte dei tempi, con
quell’attacco
d’ira avrebbe distrutto l’universo”.
Phobos non
disse altro. Vide le
divinità rientrare nelle loro case, tranne Saga. Questi
riuscì solo in seguito
a tornare alla sua dimora, impietrito da un senso di vuoto assoluto che
non
aveva mai provato prima.