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Autore: DulceVoz    02/03/2015    6 recensioni
Che ne sarà di noi? Questa non è una vera e propria domanda, è piuttosto una frase vaga che si ripetono tre fratelli, da quando la loro vita è stata sconvolta da una disgrazia più grande di loro, un uragano di sofferenza che ha stravolto duramente le loro giovani esistenze. Che ne sarà di noi? Si chiede una zia amorevole, che potrebbe trovarsi costretta a vivere con loro a causa di un testamento sorprendente, il quale la vedrebbe obbligata sotto lo stesso tetto anche con il suo peggior incubo, ovvero l’uomo che si interrogherà con la medesima questione, nascondendosi dietro ad una maschera di indifferenza. Dal dolore puo’ nascere amore? E, soprattutto… l’amore puo’ aiutare a superare un dramma tale? Questo e molto altro, lo dovranno scoprire i nostri protagonisti… perché a sanare le loro profonde ferite, dovrà pensarci proprio questo potente sentimento.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Diego, Leon, Pablo, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Allontanarsi o agire.Cap.19
 
Jackie prese a fissare con odio Angie, per poi studiare l’espressione di Pablo, ormai sbiancato completamente. “- Mi dispiace ma… ho avuto molto da fare, non hai idea cosa sia successo con la questione dell’affido dei figli di German!” Tentò di giustificarsi lui, vedendola ghignare amaramente, ignorandolo poi, per rivolgersi invece alla Saramego, rimasta stupita da cotanta sfacciataggine di quella bionda… certo era che se si comportava così, Galindo l’aveva dovuta ferire per benino, non c’era altra spiegazione. “- E tu chi sei? La nuova avventura di Pablo? E’ già riuscito ad ottenere quello che vuole o…? Ah, ho capito! Ti farà fare la modella sperando di essere ripagato come vuole…” Il tono allusivamente malizioso della cameriera fece diventare paonazza l’altra che non riuscì a proferire parola, immobilizzata. Che diamine voleva quella lì? “- Attenta con lui… ti farà soffrire. Lo fa con tutte e tu, di certo, non farai eccezione...” Sorrise con fare malefico, rivolgersi successivamente alla Ferro, la quale la interruppe ancor prima che lei potesse dire qualunque cosa... “- Se hai finito con la tua sceneggiata, noi staremmo parlando…” Esclamò seccata Priscilla, vedendola fare qualche passo indietro, rispettosissima del suo mito, la grandiosa direttrice di “Top”. “- Mi perdoni io…” “- Senti, tesoruccio… non ti prenderei nemmeno per portarmi il caffè in ufficio, figurarsi per un servizio per il mio giornale… non lavoro con persone così arroganti e indisponenti, sai? Dunque, sparisci o mi costringerai a lamentarmi di te con un tuo superiore: ci stai importunando.” Sentenziò, serissima, la madre di Ludmilla, scattando in piedi e tenendosi con le mani ancorate al tavolo, troppo stizzita per starsene ancora lì ad ascoltare le parole di quella insistente rompiscatole. “- Come vuole, signora Ferro…” Biascicò fredda Jackie, preoccupata: se perdeva quell’ennesimo posto di lavoro per aver infastidito i clienti non avrebbe davvero saputo cosa fare… e non sarebbe neppure stata la prima volta. In passato, le era già capitato quando ci provava con bei ragazzi da rimorchiare, nel discobar in cui lavorava, esattamente come aveva fatto con Galindo. “- Io… vado un secondo alla toilette, perdonatemi…” A rompere l’imbarazzante silenzio calato sul tavolo, ci pensò Angie che, prendendo un profondo sospiro ancora sconvolta, si alzò e si allontanò, sotto lo sguardo incerto di Priscilla e quello amareggiato di Pablo.
“- Sei proprio un idiota! Se non fosse stato per me quella tipa sarebbe ancora qui ad infastidirci.” Esclamò la donna, non appena la Saramego scomparve verso i bagni. “- Non sapevo cosa fare… abbiamo avuto una relazione brevissima e…” “- …E tu sei un idiota, ribadisco!” Sibilò fredda la bionda, scuotendo il capo con stizza. “- Angie è innamorata di te, si vede… suppongo che ti stia allontanando soltanto per la situazione che avete… o per il semplice fatto che conosca la tua fama da playboy…” Aggiunse Priscilla, lanciandogli un’occhiataccia torva, facendolo deglutire rumorosamente… quella donna lo inquietava ma era chiaro che avesse capito perfettamente come stessero le cose. “- …Vai dalla Saramego e parlale, ORA!” Gridò infine la direttrice di “Top”, vedendolo alzarsi in stato confusionario. “- …Spiegale che vuoi cambiare, mettere la testa apposto… o te la stacco io, a morsi!” Mormorò ancora lei, facendolo accigliare. “- Io… ecco, penso di essermi innamorato di Angie, davvero, ma è una situazione delicata e…” “- Tu intanto valle a parlare, impiastro che non sei altro! Si vede lontano un miglio che ami quella donna, l’ho già capito da quando siete entrati! E sono sicura che lei ti renderà migliore… inoltre, non voglio perdere la mia stupenda modella a causa tua... VAI!” Galindo rimase impietrito: tutti in redazione dicevano che la Ferro avesse il potere di leggere la mente dei suoi interlocutori ma pensava fosse una leggenda metropolitana… e invece, a quanto pareva, era proprio così. Annuì veloce, iniziando a seguire lo stesso percorso fatto poco prima dalla Saramego ma, sul suo cammino, passando davanti alle cucine, trovò ancora la Saenz che lo bloccò per un polso, con stizza, non permettendogli più alcun movimento. “- Non solo mi hai snobbata in quella maniera, ma hai avuto anche la faccia tosta di ignorarmi per tutto questo tempo per poi presentare al tuo capo quella tua nuova fiammetta e non me? Me lo avevi promesso, maledetto!” Il sibilo di Jackie fece quasi accapponare la pelle all’uomo che comunque agitò il braccio per farle mollare la presa, lanciandole uno sguardo furioso. “- Tu non sai cosa diamine dici… Angie non è una ‘fiammetta’… lei è favolosa, non come te… e comunque, perché ti sia chiaro, io e te non siamo niente, non lo siamo mai stati e mai lo saremo!” Uscendo dalla toilette, la Saramego si appiattì vicino ad una parete, nascosta dietro alla porta, avendo sentito quelle parole dei due. “- Angie? E tra quanto la mollerai, una, due settimane? Sei proprio ridicolo!” Esclamò poi la bionda, spintonandolo un po’ ma non smuovendolo di un millimetro. “- Tu sei venuta con me quella notte perché ero ubriaco e pretendevi che io ti raccomandassi… e dici che dovrei essere io quello a vergognarmi? Ok, ho sbagliato… ma qui quella patetica mi pare sia proprio tu!” Quel gelido sussurro di Pablo, la lasciò di sasso per quella cocente verità, tanto che se ne rimase addirittura zitta. “- …Tu pensavi solo al tuo obiettivo, di me non ti importava nulla… a nessuno importa mai di me! E sai cosa ti dico? A Angie sì. Sono sicuro che a lei importo almeno un po’ e non perché voglia qualcosa in cambio.  L’ho dovuta  praticamente trascinare qui, pur sapendo che avrebbe cenato con Priscilla Ferro e sai perché questo? Perché ha un cuore sincero… non come il tuo, approfittatrice che non sei altro!”. A quelle parole la Saenz si allontanò furiosa, senza proferire parola, chiaramente stizzita da quelle cocenti verità sentenziate dell’uomo: l’ultima volta lui l’aveva cacciata di casa, poi, in seguito, lei lo aveva riaccolto nella sua solo per perseguire il suo interesse, ovvero  arrivare ad essere lanciata nel mondo della moda… il moro non aveva poi tutti i torti e il sentirselo dire in faccia le faceva male, molto male. Quando l’uomo rimase a fissarla allontanarsi, mentre la Saramego avanzava piano verso di lui, era di spalle e con aria davvero afflitta: Priscilla aveva ragione, era stato un idiota a non difendere subito la zia dei ragazzi ed ora lo avrebbe reputato solo un cretino e per giunta anche codardo. “- Pablo…” Una voce, la voce melodiosa che tanto amava, lo fece voltare di scatto e si ritrovò occhi negli occhi con Angie che prese a mordersi un labbro nervosamente, palesemente a disagio. “- Ho sentito e… hai ragione. Mi importa di te e tanto…” Iniziò, imbarazzata, vedendolo fare un passo verso di lei, fisso nel suo sguardo. “- Tu sei… diverso da quello che credevo: ti stai impegnando con i ragazzi, sei divertente, dolce… mi hai aiutata con il bar e… ed è proprio per questo che devo allontanarmi da te.” Sentenziò infine con voce più bassa e tono distrutto, sapendo che quella sarebbe stata l’unica cosa che non avrebbe mai voluto fare ma con la consapevolezza di non avere altra scelta. “- Io non posso, invece… non puoi chiedermi questo…” Sussurrò l’uomo, scuotendo il capo e accarezzandole piano una guancia, con mano tremante, facendole socchiudere gli occhi con aria sognante. “- Nessuna donna mi ha mai fatto sentire nulla di quello che provo con te e… ed è incredibile.” Balbettò teso, perdendo, in un solo colpo, tutta la sua sicurezza da Don Giovanni. “- Pablo, io non ho mai avuto fortuna in amore, quasi non penso di meritarmela… e non posso rischiare, proprio con te… lo sai, lo sappiamo entrambi.” Mormorò, sentendo gli occhi cominciare a pizzicarle sempre di più, diventando improvvisamente lucidi. Galindo si ricordò improvvisamente di una conversazione avuta con lei in cucina, tempo addietro… gli aveva detto che, se mai si fosse innamorato di lei, avrebbe “- Perso in partenza…” ed ora gli era tutto molto chiaro. La bionda doveva essere stata ferita troppe volte in campo sentimentale e, insieme alle parole severe di Casal, ad impedire loro qualunque tipo di avvicinamento, ci si metteva il terrore di lei di ricadere in quella che considerava una vera e propria trappola che la terrorizzava. “- Non è detto che vada male, Angie…” Disse il bruno, continuando a tenerle il viso con dolcezza. “- Non è detto neppure che vada bene però, e in quel caso… avremmo un problema. Un grosso problema.” A quelle parole la bionda lo aggirò e sentì che una lacrima le stesse percorrendo rapida la guancia, tanto che la catturò al volo, prima di ritornare a sedersi di fronte alla Ferro. “- Va tutto bene?” Le chiese la donna, vedendola annuire e calare il suo sguardo sul piatto davanti a sé. Se prima pensava di essersi presa una cotta passeggera per Pablo, la cosa si stava complicando: adesso non riusciva a guardarlo negli occhi senza avvertire una miriade di farfalle svolazzarle nello stomaco, se lo sfiorava, anche per puro caso, credeva di impazzire… lo amava, lo amava troppo e il solo doverlo tenere distante la faceva soffrire, ma non poteva fare altrimenti. In quell’istante anche Galindo ritornò ad accomodarsi al suo posto e, tutta la cena, proseguì silenziosa, a parte le parole di Priscilla che spiegava loro il lavoro e i dettagli di quell’inserto di moda che voleva nella sua rivista. Pablo era devastato: perché la prima e unica volta che sentiva qualcosa di sincero nei confronti di una donna doveva farsi da parte? No. Galindo non ne aveva alcuna intenzione, non quando poteva seriamente aver incontrato l’amore, quello vero, quello da togliere il fiato e il sonno: avrebbe fatto di tutto per stare con Angie, anche a costo di beccarsi altri quattrocento cazzotti da Diego e, diamine, ci sarebbe riuscito.
 
 
La cena a casa La Fontaine era proseguita tranquilla: le ragazze e Ambar non avevano fatto altro che chiacchierare tra loro del più e del meno e Clement, rimasto seduto tra suo padre e Francesca, non aveva smesso un attimo di lanciare sguardi in direzione di Violetta, la quale sfuggiva alle sue occhiate, ignorandolo e concentrandosi sulla fitta conversazione di Camilla, riguardante la sua ultima gara di nuoto in cui era arrivata seconda per un soffio. “- Dai meritavo io, non c’è dubbio!” Sbottò la Torres, facendo ridacchiare la gemella di Leon. “- Hai perso, Cami, accettalo! Il cronometro non mente!” Rise, vedendola accigliarsi, offesa. La Castillo, cominciando a sentirsi piuttosto a disagio per gli occhi fissi su di lei di Galán junior, scattò di colpo in piedi, sotto lo sguardo perplesso di Francesca e della fidanzata di Seba, nonché di tutto il resto della tavolata, adulti compresi. “- Cosa c’è? Qualche problema?” Le chiese la mora preoccupata, vedendola scuotere il capo, tentando di apparire calma. “- No, no… vado solo a prendere il cellulare, credo di averlo dimenticato in casa…” Sorrise la ragazza, tenendosi con le mani alla spalliera della sedia nervosamente, scrutando con la coda dell’occhio che ancora il figlio di Nicolás la fissasse, interessato.  “- …Restate con Ambar, io torno tra cinque minuti.” Disse con calma, vedendo le amiche annuire perplesse e seguirla con lo sguardo. “- Dici che è successo qualcosa?!” Commentò Camilla, facendo sollevare le spalle all’altra, confusa. “- No… è distratta, ultimamente… quindi è probabile che abbia scordato qualcosa!” Sentenziò la sorellina della Castillo seria, azzannando poi l’ennesima patatina fritta, dopo averla intinta anche troppo nel ketchup. Le due amiche si lanciarono un furtivo sguardo e capirono al volo ciò che l’una voleva dire all’altra: Leon doveva essere la distrazione di Violetta, in quel periodo ancor di più… sì, era sicuramente così. Dopo alcuni minuti, Francesca, la Torres e Ambar si spostarono nella cameretta della La Fontaine, lasciando la cucina e avvertendo Marcela di riferire a Violetta, al suo rientro, che le avrebbe trovate di sopra a scegliere quale film vedere per passare la serata. Inaspettatamente, fu proprio in quel momento che Clement, trovando campo libero, scattò in piedi e disse di voler andare a trovare i ragazzi in garage per vedere come se la cavassero con le prove del gruppo cosa che, invece, non fece affatto. Aggirò la casa per non passare di fronte al cugino e gli altri, allungando parecchio il percorso, deciso a conquistare, quella sera stessa, Violetta Castillo. Quando si metteva qualcosa in testa, sapeva bene quanto fosse difficile fargliela togliere, lui che era abituato ad ottenere sempre e comunque tutto ciò che voleva, essendo fin troppo viziato dal padre il quale, per sopperire alla mancanza della madre, morta tanti anni addietro, lo aveva ricoperto sin da piccolo di ogni bene materiale. Camminò a passo svelto e, con l’agilità di un gatto, scavalcò senza troppi problemi lo steccato, aiutandosi con la panca del gazebo accostato ad esso. Clement, con un piccolo balzo, atterrò nel giardino della casa di Violetta e notò subito la luce al piano di sotto accesa, rispetto al buio che dominava in tutte le altre camere. Un brivido gli attraversò la schiena: da quando il perfetto e unico erede della fortuna, a patto che ne fosse rimasta una parte, dei Galán, si introduceva come un ladro in una proprietà privata, solo per una ragazzina? Beh, a quanto pareva, proprio da quel preciso momento. Sentì la porta d’ingresso sbattere e subito si avvicinò alle scalette che davano sul portico, osservandola di spalle richiudere a chiave: era davvero bellissima, capiva perfettamente perché piacesse a Leon, non c’era dubbio che fosse una meraviglia della natura, per quanto lui fosse pienamente consapevole di non esserne innamorato per nulla. Se era lì lo doveva alla sua noia e al divertimento che avrebbe avuto nel vedere il figlio di Matias rimanere a mani vuote, battendolo sul tempo per rapire il cuore della castana… inoltre, il suo fascino Parigino lo avrebbe aiutato, ne era certo.
“- Ehilà!” Violetta sobbalzò e si portò una mano al cuore, spaventatissima, appiattendosi contro la porta. “- Clement mi hai… terrorizzata.” Commentò seccata, sforzandosi di sorridere e vedendolo avvicinarsi, mentre prese a scendere i gradini per poi ritrovarsi sull’erbetta del prato. “- Scusami, non era mia intenzione… ti ho vista uscire e non rientrare subito e… mi sono preoccupato.” Sorrise, incamminandosi accanto a lei sul vialetto, vedendola annuire. Se aveva deciso di tornarsene a casa anche se solo per dieci minuti, era stato per evitarlo, cosicché, a cena finita, lei sarebbe potuta rientrare tranquillamente a casa La Fontaine e dileguarsi con le amiche da quel tavolo per non vederlo ancora, magari per andare ad assistere alle prime prove del gruppo nel garage. “- Non mi ricordavo dove avessi lasciato il cellulare, sono troppo disordinata!” Inventò al momento, omettendo un dettaglio: il telefonino lo aveva sempre avuto in tasca, sin dall’inizio. “- E poi lo hai trovato?” Sorrise lui, parandosi di fronte alla giovane, a disagio e infastidita da tutte quelle occhiatine. Violetta avrebbe solo voluto ritornare dalle amiche di fretta, aggirandolo e gridandogli in faccia che non aveva la benché minima intenzione di illuderlo con un qualcosa che non sarebbe mai e poi mai accaduta. “- Sì.” Si limitò a dire, rendendosi conto di rispondergli a monosillabi. Che altro poteva fare? Se lo teneva distante lui non si sarebbe fatto idee strane su loro due, no? Da come l’aveva guardata quella sera era chiaro come il sole che fosse più interessato di uno che cercasse solo amicizia e, se la prima sera in cui aveva scambiato amichevolmente quattro chiacchiere con lui le era parso persino simpatico, doveva ammettere che ora era diventato sin troppo insistente per i suoi gusti e la cosa la seccava. Ripresero a camminare a passo lento ma Clement, accortosi che la giovane lo stesse letteralmente snobbando, incalzò azzardando un appuntamento. “- Che ne diresti di accompagnarmi a vedere un po’ il borgo uno di questi giorni? In realtà conosco poco anche Buenos Aires…” Iniziò, mantenendosi sul vago, lasciandola basita: in fondo non le stava chiedendo la luna, era solo un’uscita… però, rimase comunque convinta che, accettando, gli avrebbe lasciato intendere ancora di avere speranze, cosa che invece, non era. “- Magari potremmo invitare Leon…” Sorrise lei, ipotizzando che, se il ragazzo di cui era innamorata e che, finalmente, le sembrava dare i primi segnali di interesse, fosse stato presente, il francese non avrebbe potuto farsi idee sbagliate su loro due. “- Io, in realtà… preferirei andarci solo con te… non ho un ottimo rapporto con mio cugino.” Concluse lui in un mormorio nervoso, aggirandola di nuovo e avvicinandola di parecchio, resosi conto che fossero finiti proprio, volutamente da parte sua, davanti al garage dei ragazzi, i quali, presi dall’organizzazione delle prove, parvero non notarli subito, a parte Leon che, come Clement immaginava, fu subito risentito da quella scena. Cosa diamine faceva il cugino? Lo sfidava apertamente? Non gli era bastata la raccomandazione che gli aveva fatto alla grigliata? E lei perché non diceva nulla? Sembrava piuttosto sotto shock, era evidente. Ok, stavano solo parlando, doveva controllarsi. Provò a voltarsi e a concentrarsi come se nulla fosse su uno spartito che stava scribacchiando Seba: dovevano comporre un brano se davvero volevano presentarsi al concorso e loro, cantando solo pezzi già famosi, non ne avevano di propri, se non appena qualche bozza. Con la coda dell’occhio continuò a seguire la scena: la Castillo era immobile e Galán le aveva preso ad accarezzare una guancia, avvicinandosi sempre di più a lei la quale, pietrificata, doveva ammettere che non voleva che quel tizio la sfiorasse nemmeno con un dito. “- Clement, senti…” Balbettò, afferrandogli il polso e facendogli smettere di toccarle la guancia, ormai paonazza. “- Non c’è bisogno che tu mi dica nulla, sul serio… so di piacerti.” Ammise fiero di sé con un tono altezzoso che fece assumere un’aria sconvolta alla castana. Che diavolo stava dicendo? E con quanta sicurezza poi? “- No, mi dispiace, ma io non… non…” Mentre lei cercava le parole giuste per respingerlo, si accorse che La Fontaine, ad ampie falcate, li stava avvicinando, sotto lo sguardo sconvolto di Seba e quello confuso di Diego che sentì solo l’impulso di tirare un pugno sul naso al francesino… come osava prendersi tutte quelle confidenze con la sua sorellina? Calixto prontamente lo tenne per un braccio: ci avrebbe pensato Leon, era suo cugino e avrebbe dato una lezione a quel montato di Galán. “- Che succede qui?” Chiese ai due, arrivando di fronte a loro e incrociando le braccia al petto, fissando il ragazzo che scrollò le spalle con noncuranza. “- Parlavamo. Hai qualche problema?” Ghignò Clement, facendogli saltare i nervi. Ora l’aveva davvero stancato. “- Leon, io non…” Provò Violetta, tentando di giustificarsi. “- Lo so, ti ho visto allontanarlo, tranquilla. Conosco mio cugino e ho capito che fossi a disagio con lui…” Cominciò Leon, fissando la ragazza, per poi puntare i suoi occhi verdi in quelli dell’altro con determinazione: “- …Quindi, prego il qui presente Galán di allontanarsi di almeno dieci metri da te o lo farò io, ma con le maniere forti.” Sentenziò, provando a mantenere la calma per non fare a botte con il figlio di zio Nicolás. “- Si puo’ sapere che ti prende? Tu non sei il suo ragazzo!” Sbottò acidamente l’altro, agitando le braccia stizzito e perdendo il suo solito aplomb impeccabile. “- Sì, ma ti ho già detto di stare al tuo posto, e poi la stavi infastidendo, era evidente.” Clement deglutì rumorosamente: il suo piano di baciare Violetta davanti al cugino era miseramente fallito e ancora non lo credeva possibile. Come mai la ragazza lo aveva respinto? Inoltre, non aveva messo nemmeno in conto che quell’idiota di suo cugino sarebbe potuto arrivare lì ad interromperli… lo aveva sempre reputato un codardo un po’ stupido come suo zio Matias ma, a quanto pareva, si sbagliava di grosso ed ora non poteva fare altro che arrendersi, per quanto gli facesse male ammetterlo persino a sé stesso. “- Violetta ti stavo forse importunando?” Domandò a tradimento il francese, vedendola sbiancare: la Castillo non rispose subito, stava cercando le parole giuste per dirgli che, in effetti, tutta quella intraprendenza da parte di quel tipo che a stento conosceva, piacere di certo non le faceva. “- Ehi tu!” Diego, seguito dal batterista, era evidentemente riuscito a liberarsi della presa di quest’ultimo e arrivò correndo verso i tre con aria minacciosa. “- …Giù le mani da mia sorella o te la farò pagare. Ho già quasi rotto un setto nasale, e con te potrei portare a termine il lavoro.” Concluse serissimo e con una calma spaventosa il fratello maggiore di Violetta, vedendo Clement indietreggiare di qualche passo. Il francese, finalmente, girò i tacchi e se ne ritornò in casa, sbattendo con stizza la porta, imprecando qualcosa in uno stretto dialetto parigino, sotto gli occhi della band e della ragazza. “- Perdonami Leon, io…” “- Non ti devi giustificare, è lui che ti disturba, lo avevo già intuito…” Sentenziò, senza permetterle di finire, il gemello di Francesca, dolcemente. “- …Va tutto bene…” La ragazza, improvvisamente, gli si gettò tra le braccia sotto lo sguardo un po’ geloso del maggiore dei Castillo che si voltò dal lato opposto e quello divertito di Seba che accennò un applauso soddisfatto per come si fossero concluse le cose. Violetta si sentì protetta da quelle forti braccia e una calma inspiegabile si impossessò di lei, “- Ti accompagno dalle ragazze, saranno di sicuro già di sopra…” Le sussurrò dolcemente, depositandole un bacio sulla sommità del capo e sciogliendo quella stretta. A passo lento, i due si avviarono verso l’entrata della villetta La Fontaine e, anche Leon, dovette ammettere che tenere stretta così la Castillo gli aveva fatto bene, dannatamente bene.
 
 
“- Ti rendi conto di quello che ha fatto ieri sera tuo cugino?” Diego, seduto sotto la quercia sul retro di casa sua, stava parlando con Francesca che, tenendo d’occhio Ambar che scorrazzava allegramente con una bambola di pezza nell’erba del giardino, un po’ più incolta in quella zona della villetta, lo ascoltava attenta. La La Fontaine sospirò profondamente nel sentire quelle parole: già aveva ascoltato la versione di Violetta della notte prima e quella di Leon che era stata molto più furiosa e ricca di imprecazioni nei confronti del francese, cosa che l’amica aveva evitato, seppure leggesse nei suoi occhi quanto avrebbe voluto fare lo stesso. “- Clement è strano… ho come la sensazione che abbia intuito che Vilu piaccia a mio fratello e che l’abbia voluta in tutti i modi tentare di conquistare a scapito di Leon…” Concluse seria la ragazza, fissando l’orizzonte: che il cugino non fosse uno stinco di santo lo avevano intuito sin da quando era piccolo ma gli avevano lasciato tutti un po’ di fiducia, magari sperando che potesse essere cambiato, essendo ormai grande… peccato che avessero sbagliato nel crederlo capace di essere diverso da quel moccioso di undici anni che rovinava la vita ai suoi cuginetti. “- Sì, lo credo anch’io… se si avvicina ancora alla mia Vilu… lo gonfio!” Sbottò Castillo, tirando un pugno sull’erba con nervosismo, facendo sobbalzare la ragazza e scusandosi poco dopo, essendosene accorto. “- …Perdonami è che… mi irrita terribilmente questa storia.” Sentenziò, serio, perdendosi per un secondo nei grandi occhi castani della giovane: Francesca era andata lì solo per portargli dei suoi appunti di matematica e inglese, poiché la giovane voleva aiutarlo a rimettersi in sesto con i voti, considerato lo stato d’animo dei primi mesi dell’inizio dell’anno scolastico del figlio di German, durante i quali non aveva reso un granché. Trovandosi però lì, la bruna era rimasta a chiacchierare con lui che stava già tenendo sott’occhio la sorellina, evitando che potesse farsi ancora male, correndo. “- Hai ragione, anch’io sarei furiosa… è tua sorella, ci tieni tanto a lei, è chiaro che sia arrabbiato!” Esclamò Francesca, seria, per poi aggiungere subito: “- …Ma devi mantenere la calma. Leon sa come gestirlo, fidati.” Commentò, alludendo al fatto che bastasse il suo gemello a mettere le cose in chiaro con Clement. Diego sorrise a quelle parole, fidandosi della giovane. Quasi improvvisamente, al solo perdersi nel suo sguardo, si rese conto ancora una volta di quanto Francesca riuscisse a farlo sentire vivo, come non succedeva da mesi, eppure aveva quasi paura di quella sensazione così decisa, provocata da una ragazza tanto fragile e impacciata, per quanto forte gli fosse sempre apparsa, sin da quando erano diventati amici. “- Fran! Diego! Venite a giocare con me!” Ambar, apparendo da chissà dove di fronte ai due, li tirò entrambi in piedi e, allegra, si piazzò davanti a loro che la fissavano, un po’ interdetti per quell’improvvisa idea della rossa. “- Giochiamo a nascondino!” Esclamò la bimba, vedendo il fratello sbuffare sonoramente per poi sorriderle forzatamente, mentre la bruna era già pronta ad organizzare quella gara. “- Io conto e voi vi nascondete, va bene?” Propose allegra, facendo ruotare di nuovo gli occhi al cielo a Diego. “- Devo andare a studiare i tuoi appunti!” Tentò disperatamente di salvarsi con quell’ultima spiaggia lui, indicando con un cenno del capo il mucchio di bloc-notes, fotocopie, quaderni e raccoglitori ancora sotto all’albero, all’ombra del quale erano seduti fino a qualche secondo prima. “- E dai, che qui la secchiona sono io! Avrai tutto il tempo per metterti a ripassare dopo aver giocato con noi!” Ammiccò la mora, scuotendolo per una spalla con la mano e vedendolo, finalmente, sciogliersi in un’ aria più rilassata e abbozzare persino un altro mezzo sorriso rivolgendosi prima a lei e poi alla sorellina che esultò, soddisfatta di essere riuscita a coinvolgerli. “- Io conto fino a sessanta… voi nascondetevi per bene… ma tanto comunque vi trovo!” Ridacchiò Francesca, vedendo la piccolina annuire serissima, con la chiara intenzione di impegnarsi per vincere: si sarebbe andata a nascondere in camera di Violetta… e la sorella, era sicura, l’avrebbe coperta. “- Ok… io inizio, via! 1…2…3…” Francesca si appoggiò con le braccia alla parete della casa e cominciò a contare lentamente coprendosi gli occhi con le stesse, dando il tempo ai due di correre via di lì per cercare di non farsi trovare da lei. Ambar fece cenno al fratello che sarebbe rientrata nella villetta e lui annuì rapido, facendo veloce le scale della sua casetta sull’albero, avendola precedentemente indicata alla piccola. La La Fontaine arrivò al sessanta e, subito, prese a guardarsi intorno, interrogandosi su dove i fratelli Castillo si fossero cacciati, iniziando da alcuni cespugli cresciuti nelle aiuole, ormai non più curate, di cui ricordava si occupasse sempre Esmeralda. Troppo facile lì, nessuna traccia dei due. Mentre faceva per dirigersi sul lato davanti della casa sentì qualcosa che la fece sobbalzare. “- Ahi!” Imprecò qualcuno, facendola sghignazzare e alzare il capo di colpo: Diego doveva essere sulla quercia e, probabilmente, essendo piccola l’abitazione in legno tra i rami, doveva anche aver dato una testata sotto al tetto di quest’ultima. La bruna finse di non aver sentito e, piano, iniziò ad arrampicarsi lì sopra, sperando vivamente di non cadere da quell’altezza o si sarebbe fatta male sul serio: voleva beccarlo di soppiatto per spaventarlo e ridere un po’ con lui. “- Tana per Dieguito!” Esclamò infatti una volta in cima, facendolo sobbalzare, e dare una seconda testata, cercando poi di dissimulare il dolore solo perché ci fosse lei a fissarlo. “- Dovresti correre di sotto a questo punto…” Scherzò Fran, restando sulla scaletta e osservandolo con aria divertita: Diego sbuffò, massaggiandosi con una mano la sommità del capo con cui aveva sbattuto e, piano, si avvicinò all’uscita della casetta. “- Precedenza alle signorine…” Sorrise alla mora, indicandole che dovesse scendere per prima, poiché insieme non avrebbero potuto farlo: lei ghignò soddisfatta per averlo beccato e, con un piccolo balzo, riatterrò nel prato, attendendo che anche lui facesse lo stesso. “- Potevi correre a tana e non lo hai fatto…” Le fece notare il ragazzo confuso, mostrandole con un gesto della mano il punto in cui la giovane avesse iniziato a contare poco prima. “- Eri lì sopra, sarei stata avvantaggiata… facciamo che, al mio tre, partendo entrambi dai piedi della quercia, dobbiamo raggiungere il muro… chi lo tocca per primo, è salvo.” Esclamò diplomaticamente lei, facendo anche sogghignare Castillo per quel tono tanto solenne. “- 1, 2 e… 3!” Iniziò, cominciando a correre prima verso la parete, seguita dal moro, poi deviando per vedere se lui puntasse a salvarsi o la seguisse, allungando ancora di più lo spazio che li separava dal lato della casa che, in fondo, non era nemmeno troppo ampio. “- Dove vai?!” Esclamò sorpreso Diego, vedendola fare il giro dell’albero, prendendo ad andarle dietro. Era divertito. Rideva. E a Francesca rideva il cuore nel sentirlo almeno un po’ più sereno del solito, distratto da quello stupido gioco che, seppure per pochi minuti, aiutava la sua mente ad allontanare i pensieri tristi che continuavano, seppur meno di prima, ad attanagliarla. “- Fran!” Gridò lui con il fiato corto, vedendola continuare a sfuggirgli, quella volta però avvicinandosi paurosamente alla “tana”. Per fortuna, il ragazzo riuscì a raggiungerla e le bloccò un polso, vedendola però sbilanciarsi paurosamente e poi… un tonfo. Il giovane, nell’erba, era steso sotto di lei e sghignazzava ancora, ascoltando lei fare lo stesso: d’un tratto, smisero quasi simultaneamente di colpo, e parve che solo in quel momento si fossero resi conto di essere l’una distesa al suolo sull’altro, in una posa alquanto ambigua. Francesca rimase immobile, le guance cominciarono a tingersi di rosso e sentiva improvvisamente caldo, molto caldo. Diego, dal canto suo, era rimasto paralizzato dalla bellezza della ragazza e dal suono melodioso della sua risata rendendosi conto di quanto, quella giovane, lo facesse impazzire. Che diamine gli stava accadendo? In un secondo, invertì le posizioni lasciandola di stucco per quel movimento repentino, ma la La Fontaine lo lasciò fare, imbarazzata, sentendo il cuore batterle all’impazzata, quasi fino a volerle schizzare fuori dal petto: il volto di Castillo era sempre più vicino al suo, sempre di più e, improvvisamente, riuscì persino ad avvertire il suo respiro ancora affannoso e bollente, sulla sua bocca, prima che il ragazzo la facesse combaciare con la sua. Francesca credé di sognare e, chiudendo gli occhi, schiuse le labbra, lasciandosi travolgere da quel turbinio di emozioni che Diego le stava facendo provare con quel bacio, il suo primo bacio. Quando il fratello di Violetta si staccò da lei, rimase a fissarla, un po’ teso… l’aveva baciata. L’aveva baciata ed era felice, si sentiva… bene. Diego si sollevò facendo leva sulle braccia e aiutò lei, allungandole una mano, a fare lo stesso, osservando il suo viso, ancora paonazzo per l’emozione e non resistendo all’istinto di accarezzarle una guancia che sentì ardente, restando in piedi di fronte a lei. “- Io… mi dispiace se sono stato un po’ avventato ma… non so cosa mi sia preso.” “- Non sei stato avventato.” Balbettò a disagio la ragazza, abbassando poi gli occhi sulle sue scarpe, tesissima ma felice. “- Io non ho idea di cosa tu mi abbia fatto ma… tu mi piaci, Fran, e… sento che con te ogni mio pensiero negativo sparisce, che con i tuoi consigli, le tue parole, la tua dolcezza io… io ho ricominciato a credere che devo farmi forza, andare avanti e… diamine, che sto dicendo?! Mi sento ridicolo!” Imprecò poi, facendola sorridere teneramente e allontanandosi un po’ da lei, cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro. “- Anche tu mi piaci, Diego. E molto.” Esclamò quasi intimorita dalle sue stesse parole Francesca, puntando di nuovo i suoi occhi nocciola in quelli verde smeraldo di lui che si incantò a guardarla. “- …Non sei ridicolo, io… ho sempre saputo che il vecchio Castillo fosse nascosto ancora dentro di te… e volevo solo farlo riaffiorare, per il bene delle tue sorelle, per il tuo, soprattutto.” Iniziò la bruna, vedendolo corrucciare le sopracciglia, confuso. “- …Ti faceva male indossare quella maschera di freddezza… soffrivi e non te ne rendevi nemmeno conto: non eri più tu. Quello non era Diego. E né Angie, né le tue sorelle, né nessun altro avrebbe voluto mai vederti così.” Aggiunse lei, facendo qualche passo verso il ragazzo che annuì: era vero, maledettamente vero e faceva male sentirlo. “- I tuoi genitori non… non avrebbero voluto vederti stare male per quel cambiamento, oltre che per il dolore causato dal loro incidente…” A quelle parole, alla stessa La Fontaine sfuggì un singhiozzo, catturando con lo sguardo una lacrima che scivolava sulla guancia del ragazzo a quelle parole. “- …Era normale che stessi così, che ti chiedessi perché fosse capitato a voi, perché tutto quel dolore a cui si aggiungeva anche quel peso da fratello maggiore che ormai gravava sulle tue spalle… non sentirti in colpa per questo.”Aggiunse poi lei, capendo che quel pianto silenzioso in cui era scoppiato lui, fosse dovuto soprattutto al fatto che si sentisse responsabile del suo comportamento ai danni delle sorelle e della zia che aveva tenuto per tutto quel tempo. Francesca, con mani tremanti, gli tenne il volto e, di colpo, lo lasciò per poi attirarlo a sé, stringendolo in un forte abbraccio, sentendolo continuare a singhiozzare tra le sue braccia. “- Sssh, ci sono io con te… e ti aiuterò, te lo prometto.” Gli sussurrò la bruna all’orecchio, accarezzandogli piano la schiena. “- Grazie, Fran. Davvero.” Balbettò lui, staccandosi da lei e asciugandosi gli occhi con la manica della giacca. “- Non devi ringraziarmi… ti giuro che ti sarò accanto da oggi in poi. Sempre, Diego. Sempre.” Sorrise dolcemente Francesca, stringendo le sue mani con quelle di lui. Diego capì che non si era sbagliato nel crederlo: una ragazza come la sorella di Leon era un tesoro prezioso, e non gli bastava averla come amica… con quel bacio ne aveva avuta un’ulteriore conferma: amava Francesca, la amava con tutto sé stesso e voleva dimostrarglielo in ogni maniera possibile, da quel momento in avanti.
 
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Ciao a tutti! :)
Aw, la Leonetta, aw! Quell'abbraccio! :3 Etgtfsgr sclero! :3 Qualcuno rispedisca Clement con un calcio nel didietro in Francia! >.<” E Jackie, poi! D: E’ proprio ridicola! >.<” Il discorsetto di Pablo… Angie lo ha sentito, aw! Nonostante tutto, però, continua ad allontanarlo! :’( Infine, abbiamo i Diecescosi! :3 Sto ancora sclerando anche per la loro scena, aw, sono tenerissimi! :3  Grazie a tutti davvero e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)
  
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