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Autore: Hermione Weasley    06/03/2015    3 recensioni
Dieci one-shot d'ambientazione ordinaria per disegnare l'evoluzione del rapporto tra Clint e Natasha.
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Eppure, che lo volesse oppure no, il giorno che aveva deciso di risparmiarla, aveva legato a doppio filo la sua vita con quella di lei: se Natasha si sforzava di non deluderlo, di ottenere il meglio da quell'opportunità che lui le aveva concesso, anche Clint sentiva il bisogno di dimostrarsi all'altezza della fiducia che (pure a fatica) la ragazza aveva riposto in lui. Non voleva deluderla e di certo non voleva essere indegno degli sforzi che lei compiva per non deluderlo a sua volta.
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[Clint x Natasha] [per Sheep01 :3] [Completa]
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A doppio filo'
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VI.

 

Gli schermi delle apparecchiature proiettevano baluginii ed ombre sinistre sulle pareti della stanza di controllo ormai deserta, mentre i filmati si susseguivano l'uno all'altro, senza sosta.

Gli occhi gli bruciavano per lo sforzo di rimanere sveglio e vigile, pronto a studiare il video successivo, quello dopo e quello dopo ancora: c'era un non so che di perverso e destabilizzante nel vedersi intento ad agire col mondo esterno come un automa. Gesti, spostamenti, manovre perfettamente calcolati. Neanche il benché minimo margine d'errore... non aveva mai pensato a se stesso come ad una macchina da guerra, un'arma. Loki era riuscito a togliere l'ingombro del suo libero arbitrio per sostituirlo con gelida efficienza d'assassino, spietato, preciso e letale.

Lo stomaco gli si strinse bruscamente al pensiero di tutto il sangue di cui si era macchiato le mani: quanti agenti – no, colleghi – era riuscito ad ingannare con la falsa promessa di un volto amico? Quante famiglie aveva gettato nella disperazione più nera? Se solo fosse stato più rapido, se solo fosse riuscito a sottrarsi all'incantesimo di quella divinità norrena da strapazzo... forse sarebbe fuggito, forse avrebbe potuto aiutare gli altri a mettere le mani su quel figlio di puttana. Forse. Forse...

“Clint.”

Si voltò di scatto verso la porta immersa nella semioscurità; la voce di Natasha l'aveva fatto trasalire.

“Che stai facendo?” Gli chiese, muovendo un misero passo verso di lui per lasciarsi investire dalla luce artificiale dei computer.

Indossava ancora la divisa, il volto ombreggiato da polvere e stanchezza, gli occhi appesantiti dal sonno e da ore di verbalizzazioni e resoconti post-missione. Fece saettare lo sguardo da lui agli schermi, irrigidendosi vistosamente, i pugni stretti lungo il corpo.

“Non s-stavo...,” tentò di spiegarsi, ma ci rinunciò in fretta. Non aveva né la forza, né la voglia di giustificarsi.

Natasha rimase immobile per un paio di secondi prima di decidersi a farsi avanti; gli si stagliò davanti e – prima che potesse impedirglielo – si sbarazzò dei video, degli articoli e dei rapporti sulle perdite subite relegati nelle rispettive schermate. Quando ebbe finito, c'era solo l'anonima aquila dello SHIELD ad osservarlo dal desktop.

“Non serve a niente,” la sentì dire. “Lo sai benissimo... che non serve a niente,” insisté a mezza voce, controllando a stento il proprio tono.

Non la stava guardando. Non era neppure sicuro di volerlo fare. Non che avesse la più pallida idea di quale sarebbe dovuto essere il passo successivo... o l'ideale corso d'azione da seguire.

“Clint. Clint... guardami.”

Due dita fredde lo costrinsero a rialzare il mento con un gesto delicato, ma deciso. I suoi occhi trovarono quelli di lei, verdi e stranamente indulgenti... avrebbe detto rassicuranti se non si fosse trattato di Natasha. Si limitò ad osservarla per quella che gli parve un'eternità, finché l'intimità di quel muto scambio di occhiate non cominciò a farsi scomoda.

“L-Lo so... lo so. Mostri e incantesimi...,” mormorò, scuotendo il capo come per sminuire l'intera faccenda.

“Non puoi farti questo. Non devi.”

“Perché no? Quello nei video sono io,” non riuscì a dissimulare l'irritazione che gli bruciava alla bocca dello stomaco.

Non importava quanto avrebbero potuto girarci attorno: era stato lui. Lui era il colpevole. Era rimasto sveglio per giorni, aveva calcolato, riflettuto e pianificato per conto di Loki, incessantemente. Aveva messo le sue conoscenze e la sua esperienza al servizio di un pazzo omicida con imperialistiche manie di grandezza, e l'aveva fatto... lucidamente. Certo, aveva tentato di combattere l'effetto dell'incantesimo, ci aveva provato fino allo stremo delle sue forze, ma era stato troppo debole. Troppo inutile.

“Perché non te lo meriti,” esalò la donna.

“Il merito non ha... n-non ha niente a che vedere con q-questa storia,” sussurrò scontrosamente, distogliendo nuovamente lo sguardo.

“Cos'ha a che vedere con questa storia, allora?”

“Pensi che non mi sia r-reso conto di niente... che non... che non fossi ancora là dentro? Ma m-mi ricordo tutto. Ho sentito tutto.”

“Ma non hai potuto fare niente.”

“S-Sono stato debole.”

“Nessuno ti ha addestrato a resistere a dei fottuti sortilegi, Clint.”

La spirale d'ansia e nausea che gli aveva intrappolato le viscere si serrò improvvisamente, facendolo rabbrividire.

“Gli ho r-raccontato tutto. Tutto quello che so... i segreti dello SHIELD, i tuoi...”

“Non m'importa, Clint.”

“Importa a me,” le parole gli scivolarono di bocca più duramente del previsto.

“Cosa vuoi fare, allora? Compiangerti? Convincerti che tutto quello che hai fatto, l'hai fatto coscientemente?” Turbamento e rabbia si mescolarono nella sua voce.

“Non ho detto questo.”

“E' esattamente quello che hai detto.”

“No, Natasha...”

“Loki ha fatto di te quel che meglio credeva,” sussurrò, avvicinandosi di un passo alla sua sedia, “Loki ti ha ordinato di uccidere, Loki ti ha ordinato di dirgli tutto, Loki ti ha manipolato come un burattino, Lo-”

“Lo so!” L'angoscia gli era montata in petto come un fiume in piena, ma la voce gli era uscita sommessa e strozzata.

“Tutte le giustificazioni e le rassicurazioni che andavano bene per me, per te non sono abbastanza?”

Il tono di Natasha era cambiato: adesso c'era incertezza, imbarazzo, paura. Sapeva che non era mai riuscito a persuaderla del tutto che ciò che le era successo erano state atrocità magistralmente orchestrate da un abile burattinaio, che lei non era stata che una pedina, una vittima in quel gioco di sangue, morte e complotti politici; si era impegnata ad impararlo, però, a saper distinguere le sue colpe da quelle che le erano state imposte senza possibilità d'appello.

E adesso che gli stava succedendo la stessa cosa, non aveva neppure intenzione di ascoltarla? Se lui era colpevole, lo era anche lei: il doppio filo che li legava si era annodato inestricabilmente. Non c'era modo di odiare se stesso e perdonare lei senza una massiccia, quanto ridicola dose d'ipocrisia.

La consapevolezza lo colpì come un pugno allo stomaco.

Natasha si era accorta di aver fatto breccia nel caos di vergogna e colpa in cui versava attualmente: continuava a guardarlo nella speranza di strappargli una qualche parola rassicurante... una conferma, forse.

Fu costretto ad ignorarla, mentre l'ansia cominciava a togliergli il respiro. Si riappropriò del quadro comandi, più che intenzionato a riaprire il fascicolo sulle perdite che lui stesso aveva inflitto allo SHIELD.

La donna restò immobile solo per un istante prima di muoversi alla periferia del suo campo visivo. Sperò che se ne sarebbe andata, che l'avrebbe lasciato a crogiolarsi nel suo brodo; la porta che si richiudeva arrivava a confermare il suo assunto...

Ma un attimo dopo le mani di Natasha erano sulle sue spalle, a respingerlo contro lo schienale della sedia; il calore della sua labbra morbide e ferite nello scontro di New York si impose su quelle di lui, scuotendolo come una scarica elettrica. Il suo corpo e la sua mente parvero riprendere improvvisamente vita, destati all'attenzione.

Sollevò le mani, pronto ad assecondare l'assurdo istinto che gli suggeriva di respingerla, di chiederle che diavolo le fosse saltato in mente; eppure quando le sfiorò le braccia la stava già baciando, con foga e urgenza e una punta di sgomenta disperazione. Perché il gelo allo stomaco si era finalmente trasformato in calore, perché l'odore di Natasha era vicino e familiare, perché le sue labbra erano come non aveva mai osato immaginare, perché percepiva il cuore di lei battere all'impazzata in prossimità del suo... perché si sentì tutt'a un tratto vivo e presente e reale.

Si aggrappò a quella sensazione così come si stava aggrappando a Natasha; incastrò le dita tra le sue ciocche rosse, sporche e polverose per la battaglia, mentre la donna si arrampicava su di lui, schiacciata tra il suo corpo e il lato della scrivania. La baciò finché gli rimase aria nei polmoni, scostandosi solo quando non gli fu concesso fare altrimenti: annaspò quasi fosse riemerso da una lunga apnea in quel preciso istante.

Indugiò sulle sue labbra arrossate, dischiuse sotto l'impeto di un respiro sconnesso, sulla ferita all'angolo della bocca che rischiava di riaprirsi. Prima di potersene rendere conto, ci passò sopra il pollice, sgraziatamente; il gesto – si accorse – l'aveva fatta rabbrividire.

Risalì fino ai suoi occhi, ritrovandoli più verdi, intensi, supplici... o forse stava solo vaneggiando, forse erano solo i deliri di un povero idiota che non poteva più fidarsi di se stesso. Inevitabilmente compromesso com'era.

Natasha gli fermò il viso con una mano, trovando la cerniera della propria divisa con l'altra. Clint trattenne il respiro e lei con lui, mentre il tempo si fermava per un interminabile istante...

“Sì o no, Clint...,” bisbigliò, a malapena udibile, la voce bassa e vellutata.

Gli stava davvero chiedendo il via libera? Studiò la sua espressione alla ricerca di un qualsiasi segno di inganno... ma non appena il suo cervello ebbe formulato la possibilità che Natasha gli si stesse offrendo contro il proprio volere, solo per confortarlo e farlo sentire reale, si rese conto di quanto la prospettiva suonasse assurda. Natasha non gli aveva mai fatto nessuno sconto, non l'aveva mai protetto con l'ignoranza, non l'aveva mai consolato per le stronzate che aveva combinato se non dopo averlo messo davanti alla verità dei fatti, per quanto brutale potesse essere. Natasha non indorava la pillola e non sminuiva mai la portata di alcunché. Natasha non lo compativa e non lo teneva all'oscuro di niente. Natasha, per lui se non per nessun altro, era come la vedeva. Se si mentivano, lo facevano con la consapevolezza di essere smascherati nel momento esatto in cui la bugia veniva pronunciata. Nessuno dei due si illudeva più di poter ingannare l'altro; se lo facevano, c'era sempre un'implicita richiesta di sospensione dell'incredulità ad accompagnare la menzogna. Una tregua, forse. La promessa di una sincerità futura, certamente. Avevano sempre giocato a carte scoperte, anche quando faceva male, perché sarebbe dovuto cambiare tutto proprio adesso?

No, se era lì, a riscaldarlo col calore del suo corpo, allora voleva esserci; se l'aveva baciato era perché voleva farlo, e se sembrava che gli si stesse offrendo, in realtà gli stava chiedendo il permesso di averlo: se lo stava toccando, era perché aveva bisogno di farlo.

“Clint...,” il suo respiro tornò a carezzargli il viso.

“S-Sì,” smozzicò a fatica, quasi incredulo.

La vide trattenere il respiro e poi annuire una sola volta.

La divisa di lei finì sul pavimento insieme alla poca lucidità che gli rimaneva: si lasciò aiutare a spogliarsi dello stretto necessario prima che Natasha gli fosse di nuovo addosso, nuda e fremente e calda. La sua pelle era una mappa: bianca, candida, violacea in corrispondenza delle contusioni, rossastra in quella delle ferite, irregolare in prossimità delle cicatrici. Continuò a baciarla mentre le esplorava con le mani, i seni rotondi e perfetti, i capezzoli che si irrigidavano al passaggio delle sue dita ruvide; le curve dei suoi fianchi e del suo sedere, sotto la cui morbidezza si nascondeva l'insidia dei muscoli temprati da ore ed ore di estenuanti allenamenti. Natasha poteva essere una trappola mortale abilmente mascherata dall'invitante promessa di un corpo perfetto.

Ma quella notte, nella stanza di controllo deserta, gli permise di toccarla e baciarla, di lasciarsi sprofondare dentro di lei; e Clint la strinse a sé, aiutandola a spingersi su di lui, ancora e ancora, finché non furono entrambi sudati, ansanti, disperatamente avvinghiati l'uno all'altra. Mentre l'orgasmo gli annebbiava il cervello e i sensi, si sentì precipitare nel verde umido dei suoi occhi, nella sua espressione vulnerabile e sorpresa, nel principio di panico che le leggeva in fondo allo sguardo.

La chiamò per nome e sperò di essere capace di ritrovare la via del ritorno.


 

Natasha non gli aveva detto chiaro e tondo che aveva intenzione di trascorrere la notte con lui: si era limitata ad accompagnarlo fino alla stanza che gli era stata temporaneamente assegnata allo SHIELD Center, le divise frettolosamente reindossate alla meno peggio.

L'aveva lasciata fare: aveva paura che stare da solo non avrebbe fatto altro che istigarlo ad infilarsi nell'ennesima spirale fatta di senso di colpa, lacrime e vergogna cocente.

Aveva annunciato di volersi fare una doccia e l'aveva lasciato a preoccuparsi della preparazione del letto, troppo piccolo per accoglierli tutti e due (non che la cosa lo preoccupasse in alcun modo).

Si era spogliato con gesti meccanici e quasi incoscienti, il pensiero fisso a quello che era appena successo nella sala di controllo, incapace – però – di focalizzarsi su niente in particolare, la mente troppo stanca e debilitata per registrare niente che non fosse un diffuso e beato sollievo.

Raccolse i suoi vestiti in una pozza indistinta sul pavimento, accostandosi alla porta del bagno. Solo in quel momento realizzò che la doccia di Natasha si stava prolungando un po' troppo: erano stati in missione insieme una quantità spropositata di volte, si erano alternati l'uso del bagno in gran parte di quelle, e Clint sapeva che la donna non era tipo da trattenervisi inutilmente. Era una questione di praticità ed efficienza, campi in cui Natasha eccelleva.

Esitò per un paio di secondi prima di decidersi a bussare.

“Se finisci l'acqua calda, ti tocca dormire per terra.”

Nessuna risposta.

“Natasha...”

Niente.

“... entro, ma non farmi male, okay?”

Aspettò ancora un po', giusto per darle il tempo di farsi sentire, ma il silenzio dall'altra parte della porta era camuffato solo dallo scendere incessante dell'acqua.

Il vapore lo investì non appena si azzardò ad aprirne uno spiraglio. La sagoma di Natasha, rannicchiata oltre il vetro della doccia, catalizzò la sua attenzione.

“Tasha...,” si ritrovò a sussurrare, percependo immediatamente che c'era qualcosa che non andava.

La schiena rivolta nella sua direzione, era appoggiata all'angolo formato dalle pareti della doccia, le mani a coprirle il viso e le spalle scosse da brividi malamente trattenuti.

Si fece strada nella nuvola argentea che andava diradandosi verso la camera da letto, aprendo il box per raggiungerla, l'intimo ancora addosso e nessuna intenzione di fermarsi a liberarsene.

“Nat,” la chiamò, mentre l'acqua – praticamente bollente – rischiava di ustionarlo.

Ne regolò la temperatura, rendendosi improvvisamente conto che Natasha stava piangendo.

“Natasha... c-che...”

Ebbe a malapena il coraggio di sfiorarle una spalla, ma fu sufficiente a farla voltare verso di sé. Non si azzardò ad incrociare il suo sguardo; neanche se avesse voluto, avrebbe avuto il tempo di guardarla in faccia, tanto era stato repentino il movimento: gli aveva gettato le braccia al collo, stringendolo con così tanta forza da fargli quasi male.

Gli ci volle un attimo di troppo per capire che lo stava abbracciando e che se non l'avesse sostenuta, probabilmente le gambe non sarebbero riuscite a sostenerla. La presa era ferrea e convulsa, come avesse temuto di vederlo sparire di nuovo, di perderlo... una volta per tutte. Perché stavolta aveva rischiato di rimetterci sul serio, perché nessuno le aveva dato una garanzia che – al concludersi del dominio di Loki sulla sua mente – sarebbe rimasta anche solo l'ombra di chi era stato prima, perché ci era mancato tanto così che sparisse, portandosi via tutto quello che avevano condiviso senza possibilità di riscatto.

Per tutto il terrore che provava tutte le volte che temeva di perdere qualcuno, per tutta la sofferenza e l'angoscia che certe uscite di scena dalla sua vita gli avevano procurato, Clint non si era mai soffermato a pensare che, un giorno, si sarebbe potuto trovare dall'altra parte della barricata, che avrebbe potuto significare qualcosa... per qualcuno.

Il pensiero gli mandò un brivido giù per la schiena.

L'attirò tra le sue braccia e non la lasciò finché non ebbe smesso di tremare.



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Note: per questa one-shot mi sono ispirata a questa fanart promptatami dalla sclerobetasocia Eli :) Ammetto di essermi un po' affezionata a questo "capitolo", quindi spero piaccia anche a voi! Anche in questo caso l'atmosfera non è granché ordinaria e si rifà direttamente al primo The Avengers. Dalla prossima in poi torneremo su scenette molto più quotidiane (più una sorta di spin-off che si colloca tra VI e VII e che verrà pubblicata dopo A doppio filo).
Anyway, grazie a chi legge, apprezza, commenta :3 soliti ringraziamenti alla socia (gli dei soli sanno cosa farei senza poter sclerare/disperarmi/delirare per ore sulla Marvel senza di te, penso mi avrebbero già portata alla neuro con QUEI fotogrammi maledetti impressi nella retina o qualcosa di altrettanto drammatico ù_ù).
Buon weekend a tutti e alla prossima settimana!
Serena.
  
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