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Autore: bambi88    12/12/2008    6 recensioni
Prima classificata al contest Metal di Laly e Hipatya
Kankuro, una finestra spalancata e una porta sempre chiusa.
Kankuro e una famiglia che va in pezzi.
Kankuro e la debolezza di non volersi salvare.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
La storia è stata divisa in piccole parti.
Spero di avervi incuriosito.
Un bacio
Roberta
Genere: Malinconico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Altri
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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contest metal 2 IV Atto

Wake up


Rumore di passi, ticchettio di stivali nuovi sul parquet lucido.
Kankuro mormorò un verso sconnesso, rotolando sul lenzuolo sudato.
Aveva sentito il portone aprirsi e la voce roca e famigliare della ragazza infilarsi noiosamente per le stanze vuote.
Se c’era una cosa che Kankuro conosceva bene era la routine delle sue mattine.
E l’entrata in scena di Temari, tacchi alti e costoso vestito di Armani indosso, era scontata come il sorgere del sole.
Sapeva dove aveva lasciato le chiavi, rubate e copiate chissà quando, e, saltellando allegramente, perché era sempre stata la più brava a mentire, aveva lanciato il sacchetto della colazione sul tavolino, accendendo la tv.
Probabilmente aveva messo a bollire il caffè, alzando il volume.
Quasi sicuramente aveva urlato un – buongiorno fratellone –, ignorando di essere la maggiore, e aveva iniziato a parlare di cose assurdamente banali.
Spesso Kankuro la sentiva urlare del tempo, della moda che tornava e ritornava negli anni o delle mezze stagioni che non c’erano più.
Ogni tanto, invece, si limitava a borbottare riguardo la sua complessata storia d’amore con il solito ragazzo, ed a versare con più veemenza il latte nella tazza.
Talvolta, ma solo quando la roba era stata buona e il cervello di Kankuro aveva ripreso a funzionare, lui si univa a lei.
Rubava un biscotto e lo masticava lentamente, facendosi sfuggire qualche battuta tirata per i denti.
Era allora che Temari riprendeva a ridere sincera e i suoi occhi verdi smettevano di fissare le braccia nascoste del fratello.
Si illudeva fosse tutto normale e continuava a fare colazione con lui, lamentandosi dei suoi assurdi turni in banca.
Poi, dopo essersi raccomandata su tutto e nulla, lo lasciava con un bacio sulla fronte, chiedendogli di richiamare Kiba, che aveva ripreso ad assillarla da quando Kankuro era sparito dal solito giro.
Lui annuiva, sempre, e le prometteva che la mattina dopo si sarebbe fatto trovare sveglio e attivo.
Lei, allora, si passava una mano tra i capelli e borbottava un – è tardissimo, chiamami a pranzo – e usciva, lanciandogli quell’ultima occhiata che sapeva tanto di – so che non lo farai-.
Ma questo accadeva sempre più raramente e Temari, da qualche mese a questa parte, si limitava a lasciargli i cornetti sul tavolino e a sistemargli la cucina.
Kankuro aggiustò il cuscino sotto la testa, pregando che la sorella se ne andasse in fretta. Doveva andare in bagno, ma non se la sentiva di incontrarla.
E, soprattutto, non se la sentiva di farsi vedere in quello stato pietoso.
La sentì aprire il rubinetto della cucina, il rumore della televisione sempre più alto, e gli sembrò, persino, di sentirla canticchiare..
Se c’era una cosa che lui e Temari sapevano fare bene era fingere di vivere normalmente,  mentre tutto il resto andava a puttane.



V Atto
I don't think you trust
In, my, self righteous suicide
I, cry, when angels deserve to die

 DIE


Temari gli passò il pezzo di cioccolata, gli occhi arrossati e asciutti.
La poliziotta che li sorvegliava lanciò loro un’occhiata dispiaciuta, per poi riprendere a fissare la finestra chiusa.
Il nastro giallo passava attorno la maniglia, attorcigliandosi lungo la lampada.
Kankuro tirò su col nasino, le guance infantili piegate verso il basso, molli.
-    ma la mamma dove è andata?- chiese poi, nuovamente, guardando verso la poliziotta, ora più decisa che mai a continuare a fissare la porta.
Lui grugnì, storcendo la labbra nella sua classica smorfia che Karura definiva “semplicemente adorabile”.
Tutto quello che aveva capito era stato che la mamma non stava bene e che la depressione post qualcosa l’aveva portata via.
Ma per Kankuro era difficile capire perché la mamma, quella mattina, lo avesse infilato nel lettone accanto a Temari, e avesse ignorato il pianto di Gaara, nella culla.
E quello non lo faceva mai.
Lei urlava, di solito, e si teneva la testa tra le mani, piangendo.
Kankuro, la manina ancora ancorata a quella della madre, si era limitato ad obbedire, chiedendole solo di avere il pupazzo che zio Sasori aveva regalato a Gaara.
Perché era geloso di quel fratellino piccolo e pelato, dagli occhi grandi e dal pianto facile.
La mamma allora gli aveva detto di fare il bravo e aveva sussurrato a Temari di tenerlo stretto.
Poi si era voltata, il viso nascosto sotto al solito sorriso delle foto.
Li aveva salutati, aprendo la finestra.
Poi era saltata.
Kankuro si era irrigidito, afferrando poi la manina di Temari e chiedendole – dove va la mamma? –
Lei non aveva risposto, e il labbro aveva iniziato a tremarle.
Non si erano mossi dal letto, confortati solo dall’ultima frase di Karura, quel “tienilo stretto” che continuava a sbattere nelle loro teste.
Qualche minuto dopo la poliziotta era entrata in camera, sul volto un’espressione preoccupata e Gaara tra le braccia.
E tutti avevano iniziato a parlare di depressione post partum.
- era strana ultimamente, diceva che Gaara fosse il demonio, e se me lo sta per chiedere eravamo prossimi al divorzio –
Kankuro sollevò lo sguardo sul padre, seduto tranquillamente ai piedi del letto.
L’uomo in divisa guardò con preoccupazione i bambini, chiedendogli poi se volesse cambiare stanza.
-    loro madre è una suicida, dovranno abituarsi al pensiero – li fissò glaciale – devono essere pronti a quello che li aspetta, da oggi in poi, la gente farà delle domande – si interruppe – lo fa sempre -
Kankuro rispose allo sguardo del padre, gli occhi verdi, ma che tutti scambiavano per castani, spalancati.
-    c’è altro che potrebbe esserci utile? – chiese ancora il sergente, osservando altri agenti dalle tute bianche rilevare impronte sull’imposta della finestra
-    Karura non accettava le mie frequenti assenze per lavoro e la sua angoscia ricadeva sui bambini, su Gaara in particolare. Non voleva altri figli, ma io ho sempre voluto una famiglia numerosa – il dottor Sabaku smise di parlare, gli occhi castani duri – sono solo sollevato che si sia uccisa. Temevo facesse del male ai miei figli –
Si alzò, il lenzuolo che frusciava sotto i pantaloni costosi – ora devo tornare al lavoro, se non le dispiace – sibilò, raccattando la giacca dalla sedia.
La stessa dove Karura si era poggiata un attimo prima di tuffarsi, sorridendo.
Ma solo Kankuro e Temari potevano saperlo.
La bambina smise di giocherellare con le dita sporche di cioccolata, fissando il padre stringere la mano al poliziotto.
- vai via? – sussurrò, agitando i codini sfatti.
Il padre si voltò verso di lei, osservandola distrattamente – verrà a prendervi nonna Chiyo, fate i bravi –
Temari si avvicinò a Kankuro e lo abbracciò, mozzandogli il fiato, almeno per un istante.
-    devo tenerti stretto – spiegò poi, voltandosi verso l’altra stanza, dove Gaara dormiva placido.
Kankuro si agitò tra la sue braccia, irritato – ma mi fai male!- si lagnò, gli occhi gonfi di pianto – e io da nonna Chiyo non ci voglio andare –


VI Atto


Wake up


Tum Tum Tum.
Se c’era qualcosa di sicuro, oltre Temari e le sue visite ( anche se temeva che un giorno all’altro sarebbe inesorabilmente cessate, vittima del suo menefreghismo, o di sua una sniffata letale ) era quel fottuto mal di testa che gli dava il vero buongiorno.
Puntuale quasi quanto la sua radiosveglia ( ormai fedelmente ancorata alle undici e tre quarti) iniziava come un fruscio nella testa.
Un’interferenza fastidiosa nei suoi sogni.
Un dolore soffuso alle tempie.
Era allora che Kankuro capiva che la notte era finita e che era tempo di far finta davvero di vivere.
Si alzò, tirando via le coperte dall’ampio torace, chiedendosi da quanto indossasse quella canotta scura.
Sembrava ricordare di esserci nato dentro.
Cercò di mettere a fuoco le immagini sbiadite della stanza, per niente aiutato dalla vista offuscata e dal martellare nel cranio.
Tum Tum Tum
Avesse avuto il suo vecchio senso dell’umorismo ( quello che gli faceva fare sguaiate risate con Kiba Inuzuka, dividendo una birra nel retro del bar della madre ) avrebbe persino composto un piccolo rap.
Tum Sono un cretino che la sera si fa lo shottino
Tum Sono un coglione e come me ce n’è uno su un milione
Tum sono un demente e mi distinguo tra le gente.
-    ma vaffanculo, Kankuro – grugnì, tirandosi forzatamente a sedere – prendi la tua fottuta aspirina e smetti di pensare, stronzo –
Insultarsi di prima mattina era di buon auspicio.
Già.
Poggiò il piede a terra, facendo frusciare il tappeto colorato.
Alzò lo sguardo, osservandosi allo specchio.
Occhi nocciola ( aveva rinunciato a ricordare a tutti fossero verdi)  e naso schiacciato.
Un sorriso gli increspò le labbra, quando lo accarezzò.
Quella forma schiacciata era anche merito di quel cretino dell’Inuzuka.
Con buona pace di Madre Natura.



VII Atto

 Grab a brush and put a little (makeup)
Grab a brush and put a little
Hide the scars to fade away the (shakeup)
 

Tre tempi:

Primo tempo:
-    se credi che questa la passi liscia Sabaku, te lo scordi –
Kankuro sollevò lo sguardo dal sedere di Kurenai Yuhi, professoressa della sezione B, incrociando gli occhi dorati di Kiba Inuzuka.
Matricola e promettente testa di cazzo.
-    credevo che la Yuhi si facesse fottere da Sarutobi, non da un pivello come te -  rispose Kankuro, riprendendo a masticare la chewing gum.
Kiba gli si avvicinò, gli occhi ridotti a fessure – Ino Yamanaka. – scandì – ti dice qualcosa? –
L’altro sollevò gli occhi al cielo, infastidito – no – mentì – dovrebbe? – chiese ancora, le labbra feline distese in un sorriso soddisfatto.
Kiba scrollò le spalle nel giubbotto di pelle, inquieto – ieri l’hai portata a fare un giro in moto –
Il Sabaku schioccò le dita – ora ricordo! - l’interruppe – ma sbagli su un particolare: ieri me la sono scopata sulla moto –
Il grugno dell’altro si piegò in una smorfia nervosa e i pugni si chiusero a scatto lungo i fianchi.
Kankuro deglutì silenziosamente, cercando di non distogliere lo sguardo dall’altro.
Ok, forse non era quella la versione esatta del giorno prima.
Quella bastarda della Yamanaka gli si era effettivamente buttata addosso, chiedendogli un passaggio.
Kankuro all’inizio aveva cercato di tergiversare, evitando di buttare lo sguardo nella scollatura della matricola.
Ma poi aveva ceduto e, maledetti ormoni, si era ritrovato nel viale alberato di un ricco villino.
Che non aveva l’aria di essere casa Yamanaka.
-    Grazie, Sasuke mi starà aspettando da ore! – aveva squittito Ino, lasciandoli un buffetto sulla guancia – sei stato un tesoro –
Nessuna scopata.
Nessun bacio.
Niente di niente.
Ma la soddisfazione di vedere Kiba incazzato non gliela avrebbe tolta nessuno.
Kiba sollevò gli occhi ad incrociare quelli dell’altro, lo sguardo feroce.
-    tu me la paghi!- aveva urlato, poggiando il peso sulla gamba destra e roteando sui fianchi.
Kankuro ghignò di rimando, cercando di spostarsi verso destra.
Troppo lento.
Il pugno gli colpì lo zigomo, e un dente crocchiò sinistramente nelle orecchie.
-    Bene Inuzuka, vediamo che altro sai fare – biascicò dopo qualche secondo, impiastricciando le parole col sangue.


Secondo tempo:


-    Kankuro, puoi passarmi il burro? –
Il ragazzo sussultò, seduto tra la vecchia nonna e la sorella maggiore.
-    certo, padre –
Temari gli lanciò un’occhiata tra il risentito e il preoccupato.
Il grosso ematoma sulla guancia era lì, fresco e targato Inuzuka, inutile il tentativo di coprire lo spacco sul labbro e la ferita alla mano.
-    come va la scuola? – il padre riprese a tagliare la carne, lanciando un’occhiata furtiva a Gaara, seduto ben lontano da lui.
Kankuro provò ad aprire bocca, interrotto però dalla voce di Temari.
-    come sempre padre. I voti di Kankuro sono migliorati e, nonostante l’aspetto, anche quello in condotta –
Il dottor Sabaku incurvò le sopracciglia – mi fa piacere – incurante del tremore delle mani di Kankuro, saldate attorno alla forchetta.
-    Gaara, tu hai niente da aggiungere? –
Il rosso incrociò lo sguardo del padre, vagamente risentito – no – scandì lento, allontanando il piatto con un gesto piccato – torno a casa di zio, non vuole che torni troppo tardi –
Kankuro gli rivolse la stessa occhiata atona di Temari quando lo vide alzarsi da tavola, il vestito della domenica largo sulle spalle magre.
Gaara era stato il primo pezzo della famiglia a cedere, chiedendo di andare a vivere con lo zio materno ad appena otto anni.
Il padre ingoiò il boccone con estrema lentezza, per poi tornare con lo sguardo sulla figlia.
-    riparto per Londra domani, fatemi sapere se avete bisogno di denaro –
Kankuro afferrò il bicchiere stringendolo nervosamente tra le dita.
Non è dei tuoi soldi che ho bisogno.
Guardami papà, guarda la mia faccia.
Non mi chiedi che è successo?
- certo – biascicò, intromettendosi – come sempre, padre -



 
Terzo tempo:

Kankuro gettò i pantaloni nell’armadio, infilandoli, con strana ed inaspettata precisione, tra un maglione nero e due paia di calzini sporchi.
Se lo avesse visto la nonna come minino avrebbe urlato tanto da riesumare i morti.
-    Kankuro, sto entrando –
Il castano roteò gli occhi, infastidito.
Temari non avrebbe mai imparato a chiedere qualcosa.
Temari faceva, che tu fossi volente o nolente.
-    che onore averti qui sorellona – mormorò il ragazzo, guardandosi imbronciato allo specchio – che cazzo, l’Inuzuka mi ha aperto la faccia come una noce – sbottò poi, portandosi due dita al labbro pulsante.
La bionda chiuse la porta alle spalle, camminando scalza sulla moquette colorata – devi piantarla di fare a cazzotti con il primo che passa – sibilò, gli occhi ridotti a fessure – e poi non avevi detto che Kiba ti stava simpatico? –
Il fratello si gettò sul letto, un ghigno famigliare sul volto ammaccato – che c’entra in tutto questo la simpatia? – disse, reprimendo una risata.
Temari incrociò le braccia sotto al seno, facendo frusciare la stoffa della camicia da uomo che indossava come pigiama.
Le lettere S.N. tuonavano, ricamate sul taschino, ricordando a Kankuro che per la sorella il suo periodo nero era appena finito.
E che un altro, nero solo per lui, era appena iniziato.
-    se vuoi attirare la nostra attenzione non è così che la avrai – mormorò poi Temari, sedendosi accanto all’altro ed accavallando le gambe nude – non puoi ridurti così per Lui, Kankuro. E nemmeno per Gaara –
Il fratello abbassò lo sguardo, mentre la guancia tornava a dolergli.
Temari gli afferrò una mano, fissandolo con i grandi occhi chiari – domani vuoi farti vedere così a scuola? – disse poi, improvvisamente leggera.
Kankuro la fissò sbigottito, negando poi con la testa – mi stai dicendo che nonna mi lascia dormire domani mattina? – chiese, negli occhi la vaga speranza di bigiare la scuola.
La bionda si imbronciò, colpendogli la testa con uno schiaffo – ti piacerebbe! – rise poi – ti trucco un po’, così i lividi si vedranno di meno – concluse, il sorrisetto furbo sulle labbra.
Kankuro si imbronciò – io truccato come una femminuccia non vado da nessuna parte! –
L’altra rise, saltellando fino al suo viso – su, non sarà così traumatico, mio viril fratello – gli lasciò un buffetto sul naso, rotolando sul copriletto – ci metto un minuto a farti diventare più bella di Charlize Theron, fratellone -
Lui fece scattare il mento – stronza – per poi vederla ondeggiare fino alla porta – a domani, allora – rise lei, facendogli l’occhiolino.
Kankuro l’osservò distratto, mentre lei reclinava il viso, il ghigno divertito che ancora non se ne era andato dalle labbra.
E quando la porta si chiuse, nascondendola alla vista, Kankuro si chiese quanto trucco dovesse servire per mascherare davvero quello che stava diventando.
Forse solo Temari ( quella stessa Temari che si era nascosta dietro rimmel e un’altra acconciatura, prima di incontrare signor – quel ragazzino di - S.N ) poteva davvero saperlo.



Seconda parte...ce ne saranno forse altre due.

Ringrazio coloro che hanno letto e lasciato una recensione alla prima parte, i primi atti ^^

Vi lascerò i dovuti ringraziamenti all'ultimo capitolo ^_^

Un bacio!

Roberta
  
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