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Autore: 0gattomiao    17/03/2015    1 recensioni
Il viaggio di un re verso il congresso indotto dal Magnifico Regis, re dei re, accompagnato da un duca apparso dal nulla un anno prima per lo scontento di molti nobili.
(Questa storia è stata scritta per il contest Fantasy tatoo creato da Yuko chan.)
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

Ignatio era il funzionario del Magnifico. Uno dei tanti. A ventisei anni si era conquistato un'elevata posizione sociale coltivando attentamente la propria cultura e le relazioni sociali. Impettito attendeva di poter accogliere uno degli ultimi arrivati al Congresso dei re, il sovrano di una delle regioni nordiche: re Dalach Islwyn Owain. In questa importante occasione il Magnifico aveva deciso di tenere sotto controllo tutti i regnanti radunandoli nella propria residenza estiva, il Palazzo Primavera, allontanandoli così dal grosso delle loro forze militari. Ovviamente l'invito non era stato posto in quel modo. Il corteo superò i grandi cancelli dorati e lui si inchinò profondamente alla figura in testa, un uomo alto, imponente e con una fiammeggiante chioma rossa. E così era questo il giovane re che in un anno aveva compiuto miracoli per il suo regno? Rimanendo chinato ed evitando di guardarlo negli occhi intonò: "Grande re del possente Nord, sua maestà il Magnifico Regis vi accoglie con gioia in questo che è il vostro primo Congresso e con generosità vi invita a disporre dell'intera area sud-est del Palazzo Primavera augurandosi che vi ponga a vostro agio in questo clima così differente. Per la comodità di tutti i regnanti in viaggio si darà via agli incontri una settimana dopo l'arrivo dell'ultimo sovrano." "Chi manca all'appello?" "Re Oghe delle Distese Erbose e la Regina Nevra delle Isole Legate, vostra maestà." Entrambi regni minori ma influenti sul commercio tra i regni maggiori, calcolò il re. Con un cenno ordinò: "Fammi strada".

Gli ampi alloggi erano più che sufficienti per il centinaio di persone al seguito, per lo più funzionari, un paio di ministri, le loro famiglie, generali e servitori. Una portantina finemente lavorata seguì il re nelle sue stanze, le tendine fermamente chiuse. Ignatio concluse i convenevoli e si avviò per i corridoi chiusi all'interno del palazzo. Quella portantina continuava a tornargli in mente. Si era documentato su tutti i re partecipanti, Dalach Islwyn Owain incluso. Era salito al trono cinque anni prima, a ventitré anni, dopo la morte del padre ucciso da una valanga durante una battuta di caccia. Al momento non aveva eredi e nessun matrimonio era in vista all'orizzonte. Le cose non erano cambiate dopo la morte del precedente re, il potere era solo passato ad altre mani. Fino a qualche luna prima, quando voci erano iniziate a circolare nelle diverse corti, anche in quella del Magnifico, sussurrando della crescente ricchezza nel nord. Quell'anno nessuno da Owain aveva intavolato le annuali trattative per l'acquisizione di granaglie, anzi, avevano sparso la voce che ne avevano da vendere. Questa follia aveva creato sgomento per settimane, molti avevano ipotizzato nell'ombra che fosse una tattica per abbassare il prezzo medio dei sacchi e inseguito comprarne. Parecchie spie avevano tenuto d'occhio i vari granai reali, ma la richiesta non era mai arrivata. Il che aveva infastidito parecchio gli altri regnanti, specialmente la fazione sud che disponeva di raccolti abbondanti e necessitava delle gemme delle prospere miniere nordiche. A tale fazione apparteneva lo stesso Magnifico. E di tutto questo l'unica informazione certa era che il re, durante la stagione della semina, aveva incontrato di persona gruppi di contadini. E ora quella portantina dorata, senza alcuno spiraglio. Una concubina? La futura regina? Si diresse verso le proprie stanze, scribacchio con precisione poche frasi. Quel pomeriggio, passando per caso davanti agli alloggi del re di Robeu, un biglietto fu consegnato a una delle dame di compagnia della regina Milla.

***

Il ragazzo sbuffò, lanciando un'occhiataccia alla dama accanto a lui. "Mi annoio. Voglio andare via. Quanto ancora dobbiamo aspettare prima di tornare indietro? Sono passate settimane!"

"Duca" tentò di rabbonirlo "solo un'altra luna, le trattative non sono ancora concluse e i vari re hanno molto di cui parlare." "Parlare di cosa? Di quanto sia comodo il trono o di come andare a caccia? Sono stufo di essere rinchiuso qui. Di annoiarmi. Voglio uscire. Fuori, fuori, fuorifuorifuorifuorifuorifuorifuorifuori..." cantilenò il duca. Duca di cosa, poi? Non aveva nemmeno un metro di terra da dichiarare suo. La dama sorrise incoraggiante, rassicurandolo: "Sono certa che il re organizzerà qualcosa per il vostro divertimento, appena finirà la riunione. Rubi stesso gli riferirà i vostri sentimenti riguardo la permanenza in queste stanze, non è vero?" richiamò l'uomo che in un angolo tentava di passare inavvertito. Il duca non degnò di uno sguardo la guardia, balzò in piedi e con decisione si diresse verso una delle porte interne. "Io esco adesso" stabilì. La guardia e la dama si scambiarono un'occhiata preoccupata. "Duca, non potete, il re ha dato ordini precisi. Nessuno deve incontrarvi." "Al diavolo il re." disse, spalancando le porte.

"Permettete almeno alle ancelle di vestirvi in modo adeguato" lo supplicò la donna. "Per favore?"

Il duca gettò uno sguardo alla semplice sottoveste che indossava e cedette. "Se non sono pronto entro il suono della prossima campana uscirò comunque, anche nudo se necessario!" Le ancelle esclamarono sbigottite, affrettandosi a condurlo dietro i paraventi. La dama lanciò un sorriso d'intesa alla guardia che uscì trafelata verso la porta dei giardini. "Affrettati" gli raccomandò.

 

La giornata luminosa esaltava gli alti arbusti ornamentali. Girovagando non aveva scorto nemmeno un albero che superasse i muri di cinta del giardino. Solo gli spessi arbusti isolavano gli stagni a cascatella davanti alla residenza del re di Owain. E, fatta eccezione per le dame di compagnia e dei soldati in lontananza, non c'era nessuno. Il suo umore peggiorò, seduto all'ombra di un porticato osservando il cielo senza nuvole. "Rubi" chiamò la guardia. "Si duca?" "Manda via tutti, voglio stare solo." "Come desiderate" si inchinò la guardia, eseguendo l'ordine e facendo rientrare le dame.

Ignorava il motivo, ma da quando era uscito vecchi ricordi non smettevano di riaffiorare. Si sfiorò la schiena. Era nato dalla codardia, quell'odioso tatuaggio che lo teneva in vita. Tentò di scacciare i ricordi che sorsero prepotenti, portando a galla quella notte, quando tutto era finito e aveva dato via all'orrore.

Da sempre Glide si era opposto ai suoi viaggi nel reame terrestre, ma Glide si opponeva a tutto ciò che era divertente. Quindi, da sempre, Amame aveva scavalcato i suoi ordini. La notte era stata tranquilla, le stelle lucenti si erano riflesse nella sorgente nascosta tra gli alti picchi, in uno dei boschi più isolati, una piccola valle bloccata su tre lati da precipizi invalicabili. Lente volute di vapore si erano alzate invitanti, irresistibili. La quiete regnava, il fruscio lento e costante del vento come coro. Le piume si arruffavano sempre, se immerse in acqua calda per troppo tempo. Amame odiava volare con le piume arruffate, tornando a casa i suoi fratelli l'avrebbero deriso, chiamandolo Pulcino. Lui non era più un pulcino, l'anno prima aveva compiuto il rito del cambio, era grande. Solo i suoi stupidi fratelli non sembravano accorgersene. Specialmente Glide. Lui lo chiamava Pulcino anche senza le piume arruffate. Prese forma umana, appoggiando delicatamente il piumaggio sulla sporgenza di un ramo spezzato a un paio di passi dalla fonte. "Mmm" gemette. Sarebbe dovuto venire più. Molto più spesso, riflette stiracchiandosi. Galleggiò rilassato a pelo d'acqua, osservando il firmamento, la brezza fresca gli accarezzava le parti esposte.

Un fruscio, l'ondeggiare di un ramo. Voltandosi col cuore in gola, colse la fuga rapida di un'ombra. Il mantello era svanito.

Sconvolto e tremante inseguì il ladro sotto la flebile luce lunare, fino a ritrovarsi disorientato nel cuore della boscaglia, perso e vulnerabile. Scosso da singhiozzi al pensiero delle conseguenze, aveva con voce tremula tentato l'ormai scomparso ladro con promesse disperate. Il respiro affannato di un corpo nel quale non era abituato a stare, la conoscenza che non sarebbe mai riuscito a tornare nel regno dei cieli, erano esperienze che lo stavano distruggendo.

I tremiti sconvolti diventarono veri e propri sconquassi mentre per la prima volta nella sua esistenza scopriva cos'era il freddo gelido degli alti picchi del Nord. Percepiva il mantello allontanarsi, il ladro, portandosi via la sua essenza, ciò che lo rendeva chi era, lo lasciava accasciato lì, senza più forze, troppo debole per fare altro che giacere, sempre più debole.

Mani calde, forti, lo sollevarono da terra. Nel silenzio dell'alba, mezzo morto congelato, fu premuto contro un amplio torace, bollente. Umano. Con la pelle insensibile, senza forze, pianse.

 

Fu portato in un accampamento poco lontano da quello che, come scoprì più tardi, era il re.

"Una simile meraviglia non può essere terrena, perché tale grazia non appartiene al nostro mondo" disse qualcuno.

"Ladro." Un sussurro aspro fu tutto ciò che riuscì a pronunciare. Tutto ciò che la poca forza rimasta gli permise di dire sulla rabbia e l'odio che lo scuotevano nel profondo, per l'enormità dell'affronto subito, mentre l'energia necessaria alla vita gli veniva drenata via. Perché la sua essenza era lì, in quella tenda, nascosta da quell'essere infido che non lo poteva ingannare.

"Ladro." Oh, se solo le parole fossero state pugnali.

Impietoso il suo carnefice lo fissò negli occhi. "Nel reame umano vigono le regole umane. Ti sei addentrato a tuo rischio e pericolo, consapevole. Qui non valgono i tuoi privilegi divini." Amame non riuscì a bloccare un gemito rabbioso. Lo sapeva, l'aveva saputo, per questo aveva scelto gli impenetrabili picchi come sua sede di riposo dalle frustrazioni celesti, l'unico luogo in cui poteva sfuggire dall'attenzione opprimente di Glide.

Non voleva cedere a quello sguardo perspicace, non voleva cedergli quella soddisfazione, ma era sempre più difficile rimanere sveglio, cosciente. Perdeva le forze, la volontà si infiacchiva.

Ormai sul punto di scivolare via, la sua attenzione fu ricatturata dal bastardo.

"Stai morendo." Quell'osservazione era così sciocca da non valere nemmeno l'insulto che avrebbe voluto sputargli in faccia. "Ti propongo un accordo" disse la figura sfuocata davanti a lui. Amameo sentì l'amaro in bocca: oltre al danno la beffa. Che patto si poteva forgiare con lui ridotto allo stremo e il bastardo che gli aveva portato via tutto di fronte a lui? "Nelle mie stanze nel palazzo di Piccone c'è una clessidra d'osso: giura di servirmi per il tempo di un suo giro e, oltre alla vita, potrai avere la libertà." Gli venne da ridere e nel silenzio aspettante si udì il suo gorgoglio strozzato. Piuttosto mi ammazzo da me. Non si sarebbe mai inchinato a quel verme.

"Ti nominerò duca, nessuno, oltre a me, nessuno ti sarà superiore" lo spronò impazziene il verme.

Non voleva accettare, l'idea di servirlo anche solo per un minuto era ripugnate.

Glide l'avrebbe cercato per Cielo e Terra, prima di rassegnarsi. Si sarebbe logorato le possenti ali nella sua futile ricerca. Una parte di sé non riusciva a immaginarlo rassegnato. Avrebbe atteso, per sempre, il suo ritorno nei Cieli. La scelta lo straziava, straziante era il dolore che provava il suo orgoglio all'inchinarsi. Ma voleva vivere.

Annuì, un cenno di pochi millimetri ma sufficiente.

 

Tornò alla realtà. La cara, vecchia, odiosa realtà. Dove un cielo sereno splendeva e lui, senza ali, non poteva solcarlo. 

  
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