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Autore: civetta_rossa    19/03/2015    1 recensioni
E' la prima storia che pubblico. Diversi sono i temi trattati: la guerra, l'amicizia, le migrazioni, la bellezza dei bambini,la ricchezza della diversità, l'amore per la propria terra. Ho scelto come protagonista Francesco, un bambino rapito dalla sua terra che con un compagno di fuga arriverà in Italia. Francesco inizierà questo racconto, poi voi scoprirete come andrà a finire. Ps. mi farebbe molto piacere leggere le vostre recensioni, sia positive che negative, perchè voglio capire se la scrittura fa per me o è meglio che mi dedichi ad altro ;)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo l’ora che ci fu concessa per prepararci, venimmo caricati a uno ad uno in dei camion fatiscenti. Io salii con altri 20 bambini nel più piccolo dei mezzi; con noi salii anche un ragazzotto di circa quattordici anni che ci ordinò di seguire i suoi ordini. Il viaggio fu lungo e silenzioso, poi ad un certo punto il ragazzo ci rivolse parole tutt’altro che incoraggianti:“ Come al solito il nostro compito è molto semplice: avanzeremo dove ci viene ordinato precedendo l’esercito; mi raccomando … se non volete morire, andate sempre avanti!”
Arrivammo ai piedi di una collinetta e il comandante schierò l’esercito; lui, che non aveva mai partecipato alle esercitazioni andò in fondo e, invece delle armi pesanti che avevano tutti, prese dalla sua auto una piccola pistola che infilò nei pantaloni. L’esercito iniziò ad avanzare sempre attento ai minimi rumori, nel timore potesse essere sorpreso dai nemici e l’avanzata fu piuttosto lunga; ad un certo punto a noi piccoli il comandante ordinò di correre avanti e di dare l’allarme in caso avessimo visto altri soldati.
Dietro noi “mocciosi” c’erano bambini più grandi di noi che già impugnavano armi. Li sentivo sempre piangere dopo le esercitazioni poiché avevano già ucciso. Oltre che per l’orrore dei crimini commessi piangevano anche perché si era radicata in loro una forte convinzione: pensavano che Dio li avesse ormai abbandonati e che non importava più quante persone o bambini fossero stati uccisi da loro. Non erano come i grandi, convinti che grazie alle armi sarebbero sempre rimasti invincibili e capaci di decidere le sorti di altri, erano semplicemente vittime.
Ci guardammo negli occhi e iniziammo a correre. Il ragazzo, che aveva compreso le nostre intenzioni, fu d’accordo con noi e urlò: “Dividetevi! Non andate tutti nella stessa direzione perché sarete più facili da prendere!”. Obbedimmo. Il campo purtroppo era privo di nascondigli e alberi e scappare non era un’impresa da poco. Io andai a sinistra e con me venne un altro bambino. Prima di seguirmi però mi chiese piagnucolando se poteva; “Nessun problema! Vieni pure!” ma dopo aver pronunciato queste parole pensai che se lui voleva venire con me forse io avrei dovuto sapere dove andare …
Non lo avevo mai notato prima. Aveva un colorito molto più chiaro del mio ed era un po’ diverso da tutti noi. Pensai fosse meglio non chiedergli niente anche perché in quel momento dovevo preoccuparmi di una sola cosa: correre. L’esercito, si accorse del nostro piano di salvezza quando noi eravamo ancora facilmente raggiungibili e dopo aver sentito molte bestemmie contro un Dio che forse era stato troppo buono con loro, iniziarono ad avanzare velocemente. Il comandante ordinò di proseguire avanti e di non badare a noi perché non ne valeva la pena; poi però dopo qualche secondo ordinò ai soldati più piccoli di acciuffarci e costringerci ad obbedire anche con le armi; si contraddisse di nuovo dopo pochi secondi e modificò i suoi ordini:” Alcuni di voi andranno a prendere quei piccoli inutili vigliacchi ma non dovete andare tutti perché altrimenti la prima linea rimane vuota e il nostro esercito sarà più vulnerabile! Non possiamo permetterci di perdere soldati adulti!”. Dopo un po’ di confusione per la divisione dei ruoli da parte del comandante, i piccoli si scagliarono contro noi piccolissimi che ormai eravamo molto lontani da loro.
A pochi metri da me si apriva una foresta che sarebbe stata la salvezza mia e del mio compagno di viaggio. Avendo capito che eravamo ormai troppo difficili da raggiungere iniziarono a sparare. Io e Johnny, così mi supplicò di scrivere sulla sua lapide qualora lo avessero preso, salimmo sopra un albero e ci salvammo. “Preso!” urlavano e poi ridevano. Che atrocità! Ridevano perché erano riusciti a decidere il giorno, l’ora, il minuto e il secondo in cui rispedire in cielo un bambino che era riuscito a compiere cinque anni dove averne compiuto uno è già un’impresa. Io non potevo finire così! La mia vita secondo me aveva assunto un significato perché ne era costata un’altra; dovevo riuscire a vivere due vite.
Arrivò un bambino di quelli che dovevano acciuffarci e iniziò ad urlare all’impazzata contro di noi iniziando a sparare colpi in aria. Eravamo terrorizzati ma entrambi capimmo era molto più saggio restare in silenzio. Un serpente si dirigeva verso di noi … Non voleva noi; osservava attentamente un appetitoso nido di uccello pieno di uova. Il mio compagno lo capì prima di me e mi guardò terrorizzato. Cosa fare? Per fortuna il nostro piccolo inseguitore terminò le pallottole e senza tante parole feci l’azione più infame di tutta la mia vita. Senza esitazione presi il nido e centrai in testa il nostro “cacciatore” mentre il mio compagno mi guardava con ammirazione. Il serpente seguì attentamente le mie mosse mentre il nostro ex-giustiziere accortosi del pericolo imminente si riparò la testa con le braccia. La padrona del nido, appena tornata dalla caccia scese in picchiata verso di lui. Decisi di chiudere gli occhi e misi la mano anche in quelli di Johnny che scoprii si stava divertendo tantissimo. Il bambino, quando ricominciammo a guardare, urlava ma per fortuna né il serpente né il volatile gli avevano fatto del male; le uova però non erano più intatte e il liquido viscoso fuoriuscito da esse si era impiastricciato fra i suoi capelli. Egli sapeva che se fosse tornato a mani vuote, disobbedendo al comandante, la punizione sarebbe stata dura e quindi iniziò a scappare.
La vera e propria battaglia non fu nell’esercito ma nei giorni successivi contro un nemico molto più potente di qualunque altro: la natura. Le foreste in Africa non sono il miglior posto per vivere perché i rischi sono innumerevoli. Sopravvivemmo solo grazie alla nostra mente che non si affliggeva e andava sempre avanti non pensando mai al passato. Molti bambini non si pongono questi problemi, non vogliono sopravvivere, non vengono costretti a fare ciò che non vogliono fare ma io e Johnny si. Proprio queste circostanze ci fecero diventare amici e giorno per giorno la nostra amicizia andò rafforzandosi.
Poche ore dopo la fuga ci rendemmo finalmente conto della guerra che stavamo per affrontare ma Johnny, diversamente da me, era armato. La sua arma era molto più potente di una pistola, di un fucile o di un cannone: aveva con se un pacco di fiammiferi che trovò alla base pochi giorni prima. Erano cento fiammiferi e la cosa era molto entusiasmante all’ inizio. Mi entusiasmò di meno sapere che aveva buttato la scatola e li aveva nascosti nei calzettoni ma mi rassicurò il fatto che avrebbe provveduto lui all’estrazione ogni volta fosse stato necessario. La foresta era molto fitta e doveva essere mezzogiorno quando iniziammo a camminare senza meta addentrandoci sempre più. Il nostro pranzo che facemmo durante il cammino fu a base di frutta che trovammo su diversi alberi. Ad un certo punto i rami diventarono così fitti da impedirci di vedere la luce del sole, quindi rallentammo la nostra andatura.
Iniziò a fare freddo. Dopo molto tempo riuscimmo finalmente a vedere il cielo, che ormai si era completamente oscurato, ma entrambi concordavamo sul fatto che se ci fossimo addormentati in quella foresta così piena di pericoli sarebbe stato molto difficile risvegliarsi. Poco dopo avvistammo una strada asfaltata, in pessime condizioni ma dove la vegetazione e gli animali non erano riusciti a mettere piede. Niente ragni, niente serpenti e niente insetti! Era la nostra salvezza! Sfiniti, spezzammo alcuni rametti pieni di foglie che scuotevamo facendo cadere tutti gi abitanti e ci coricammo a lato dell’asfalto adagiandoli sopra di noi per cercare di sentire meno freddo.
I primi raggi del sole ci svegliarono e senza colazione camminammo vicino alla strada con la convinzione che da qualche parte doveva pur portare. Quando il sole fu molto alto nel cielo la nostra fame divenne insopportabile ed entrammo nuovamente nella foresta; dopo pochi minuti ci ritrovammo nel cuore di essa. Con stupore incontrammo degli uomini che purtroppo non avevano affatto buone intenzioni. Capii subito chi erano: dei bracconieri. Mio padre li detestava. Ci avvicinammo in punta di piedi verso il loro camion e entrammo da un’enorme portiera nel posto di guida. Loro non potevano né sentirci né vederci perché in quel momento erano alle prese con una scimmia. Non sapevamo perché eravamo entrati lì ma il motivo ci fu subito chiaro: c’era uno zaino pieno di cibo: barrette di cioccolato, frutta , verdura e tonno in scatola e per finire anche un coltellino. Era evidente che i due bracconieri avevano da fare un viaggio piuttosto lungo. Misi lo zaino, che era piuttosto pesante, in spalla e dissi a Johnny di prendere i rivestimenti dei sedili che pensai potessero essere molto utili per dormire.
Chiudemmo la portiera e ci allontanammo ma per nostra sfortuna i due si accorsero di noi. Iniziarono a spararci contro ma riuscimmo a scappare; nascondemmo il nostro bottino in una piccola grotta e senza esitazione ci fingemmo morti: sentivamo spesso i soldati parlare di questa tattica infallibile.
I due bracconieri nonostante pensarono fossimo morti ci presero a pugni e a calci urlandoci contro miliardi di maledizioni, cercando di sfogare la loro ira contro due cadaveri. Sembra assurdo ma l’uomo può arrivare anche a questo quando ormai la coscienza, i sentimenti e la ragione sono stati calpestati per bene dalla violenza e dalla convinzione che il fine giustifica i mezzi. Sapevamo che dovevamo subire in silenzio perché la minima emissione di voce o il più piccolo movimento ci sarebbero costati la vita. Finirono dopo un paio di minuti che a me parvero interminabili e ci iniziammo ad alzare solo quando non sentimmo più i loro passi che si allontanavano. Perché eravamo saliti nel camion? Abbiamo agito d’istinto? Perché ci hanno fatto del male? Abbiamo sbagliato. Ma era il caso di essere così violenti? I nostri genitori ci avrebbero trattati così?
Quando ci alzammo i nostri piccoli volti erano colmi di lacrime che ognuno aveva versato in silenzio. Avevamo ferite ovunque e senza parlare piangemmo per un po’. I bambini piangono come molti grandi; a volte si piange senza motivo ma noi oltre che per il dolore piangevamo per quel gesto orribile contro noi che avevamo rubato del cibo e qualche rivestimento di sedile. E’ lecito rubare a chi ruba? Loro rubavano alla natura e noi a loro. Ovviamente capimmo di aver sbagliato e dopo l’ira contro i due concludemmo che era stata un’ottima punizione. Coraggiosi come due bambini che si trovano catapultati improvvisamente in un mondo a cui non devono appartenere ,dopo esserci sfogati, una volta asciugate le lacrime, andammo verso la grotta. Con nostro orrore notammo che era piena di insetti ma Johnny uscì dai calzoni un fiammifero. “Gli animali hanno paura del fuoco. Vai a prendere un ramo di foglie secche! Veloce!”; non mi offesi affatto per il suo tono, uscii e feci come aveva detto (a novembre era facile trovarli). Entrai e lui sfregò un fiammifero contro una pietra ruvida ma non si accese. Ne sprecammo molti ma alla fine, dopo un po’ di tentativi, accendemmo il ramo e scacciammo molti insetti che ci impedivano di arrivare al nostro bottino. Prendemmo tutto ma pensammo fosse meglio dormire altrove. In pochi minuti ritrovammo la strada. Arrivati sull’asfalto mettemmo i rivestimenti per auto dentro lo zaino che decidemmo di portare sulle  spalle un giorno ciascuno.
   
 
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