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Autore: Applepagly    23/03/2015    1 recensioni
Nessuno ti vuole vedere.
Nessuno ti vuole parlare.
Nessuno ti vuole ascoltare.
Vista, voce, udito. Tutto ciò che ho sempre avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri non hanno mai avuto per me.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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La gabbia d'oro
 
Nessuno ti vuole vedere.
Nessuno ti vuole parlare.
Nessuno ti vuole ascoltare.
  Vista, voce, udito. Tutto ciò che ho sempre avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri non hanno mai avuto per me.
Io so vedere ed osservare, ma nel buio truculento l'unica cosa distinguibile è il nulla che si fonde con la propria anima; io so parlare e cantare, ma nella prigionia dell'oblio l'unica cosa pronunciabile è un tacito urlo di vendetta; io so ascoltare e capire, ma questa capacità è futile, se nessuno è disposto a vedere e a parlare con una fata legata alle catene del suo stesso orgoglio.
 Poi arrivasti tu; ti costrinsi a guardarmi, a rispondermi e ad obbedirmi, mio prezioso burattino di ghiaccio.
  Vista, voce, udito. Tutto ciò che non hai mai avuto per gli altri; tutto ciò che gli altri hanno sempre avuto per te.
E, quando un lampo di consapevolezza e sangue balenava sul tuo viso, il tuo sguardo era schernitore, la tua risata sardonica. L'unica cosa che non avevi dimenticato, in quel momento, era sapermi ascoltare.
 
  - Sei rimasta sola, Areta?
Una domanda retorica; come tutte quelle che le poneva, d'altronde. Perché la Madre sapeva e fingeva di non sapere. - Sì .- disse la bambina. - Nessuno vuole stare insieme a me, vero?
Non aveva mai visto il volto della Madre, ne conosceva solo il tono pacato e serio, autoritario. Ancora non aveva compreso di essere solo una marionetta assoggettata al folle giuoco del demone della rovina; e come avrebbe potuto? Così piccola, così innocente e dannatamente potente.
- Nel nostro sistema non è concesso di perdere tempo per soddisfare il capriccio di una sciocca infante.
 Una risposta glaciale come il cuore del demone della rovina.
- Chi potrebbe mai provare desiderio di starti accanto?- continuò, imperterrita. - Chi potrebbe sperare nella tua amicizia?
- Nessuno.- replicò quella, scoppiando in pianto.
- Non hai motivo di dar sfogo ai tuoi sentimenti, piccina. Non è colpa tua, se sei diversa da tutte noi... Ma, se diverrai abbastanza potente, forse un giorno l'intero sistema si piegherà al tuo volere, e la tua singolarità sarà fonte di ammirazione ed invidia. Trattieni le tue emozioni, piccina; mutale in un'arma infallibile.
  Si congedò, e la bambina tornò in solitudine.
Ma qualcosa cambiò, e una fiamma ardente andò pian piano sostituendosi al flebile bagliore.
 

  Sei rimasto solo, Jack?
Dove sono i tuoi amici? Dov'è la tua felicità? Dov'è lei?
Oh, beh, questa è una risposta semplice per com'è semplice la domanda; lei è morta, l'ho uccisa io.
E non perché sia stata la Madre, a stabilirlo; e non perché lei fosse una traditrice del sistema, no...
Perché è stato piacevole.
  Lei era divenuto il centro del tuo mondo, ormai, l'unica persona che ti fosse rimasta; nel momento stesso in cui entravo nella tua cella, impugnando uno strumento di tortura, la tua prima domanda non era cos'avessi intenzione di farti...
La tua prima domanda riguardava lei. Lei, lei, sempre lei!
Sempre a chiedermi come stesse, come l'avessimo trattata, se l'avessimo torturata! Sempre ad insultarci e a giurare vendetta contro di noi, quando, come risposta, venivi a sapere che, sì, l'avevamo torturata.
 Ti preoccupavi più per la sua incolumità che per la tua; e per questo motivo ti ho punito. Perché quella fata stava diventando la tua unica ragione di vita, e tu appartieni solo a me.
 Voglio vederti, vedere il tuo sorriso spento, i tuoi occhi assenti e il tuo corpo devastato dalla disperazione; voglio godermi il momento in cui anche la tua ultima speranza s'infrangerà.
 
  - Salute a voi, Lady Areta.- è il formale saluto rivoltomi da una fata di rango più basso. Segue un inchino profondo, come è consuetudine fare verso i propri superiori.
- Salute.- replico, oltrepassandola. Il tragitto per giungere alle segrete è piuttosto lungo, ma è necessario che un prigioniero tanto pericoloso sia sorvegliato laddove non può essere sentito. Laddove non si possono sentire le sue urla, i suoi gemiti di dolore.
  Ed ecco questa rampa di scale, che si snoda verso il basso.
Mi ero sempre chiesta a cosa servissero le scale, ad una comunità di fate che sono benissimo in grado di volare; poi un giorno scoprii che alcune di esse ne erano state private. E' così che viene punito il furto.
 - Salute a voi, Lady Areta!- ripete un'altra guardia, appena tocco terra - Quale metodo intendete usare, stavolta, per farlo parlare?
Un sadico sorriso si fa strada sul suo volto fanciullesco, e mi conduce allo stanzino in cui sono custodite centinaia di arnesi di varie tipologie; ma io ho in mente qualcosa di ben diverso.
- Per oggi non avrò bisogno di niente.- affermo. - Ho qualcosa che sarà ben più doloroso di una ferita.
La soldatessa annuisce, e mi fa strada verso la camerata dove risiede il mio burattino; la porta mi si chiude alle spalle, cigolando gravemente.
- Sei qui.- è il flebile respiro che proviene dal fondo della stanza.
- Non potevo certo mancare.- dico, avvicinandomi a lui; è completamente buio, ma io sono abituata a vivere nell'oscurità. - Come sta, lei?- domanda, apprensivo.
- Oh, lei sta bene. - sorrido. Ho intenzione di divertirmi un po'. - Anzi, direi che dove l'abbiamo mandata ora, sta anche meglio.
- Davvero?! L'avete trasferita?- chiede sorpreso. Quanto mi diverto, a sentirlo gioire per qualcosa di fittizio. - In un luogo in cui si sentirà a suo agio... Ah, no. Dimenticavo che lei avesse tradito il nostro sistema... e il tradimento è il peggior peccato, sai?- asserisco.
 Tace, interdetto; non riesce a comprendere il senso di ciò che dico.
- E' perfino più vile dell'omicidio... e chi se ne è macchiato brucia tra le fiamme dell'inferno, Frost.
Ora lo sto guardando negli occhi, nel blu magnetico di quelle iridi, in cui si fa strada un barlume di consapevolezza. E, subito, gli si mozza il fiato. - No...- singhiozza. - No...
Gli avvolgo il viso tra le mani, ma si divincola; - No... No...! No!
Delle calde lacrime gli rigano le gote, e io vi avvicino le labbra quanto basta per assaporarle.
- Piangi.- sussurro. - Piangi.
Ancora, tenta di sfuggire la mia presa, ma le sue intenzioni deviate da uno schiaffo in pieno volto; quanti ne ha già ricevuti?
- Come avete potuto?!- esclama, tra i singulti. - Lo avevi promesso! Avevi promesso che le altre fate non le avrebbero fatto niente!
- E' vero, - affermo, afferrandolo per i capelli. Voglio che mi guardi. - avevo promesso che loro non le avrebbero fatto niente. Sono stata io.
 
  - Eccola, Madre! E' lei!- esclamò una giovane fata, con voce affannosa.
La matriarca avanzò lentamente verso la piccola figura che, con aria impaurita, cercava di liberarsi dalla stretta morsa di quei lacci. Che aveva fatto di male? - Sarebbe costei?- sentì chiedere dalla donna.
Non poteva vederla, era tutto buio. - Quanti Inverni hai, piccina?- chiese, avvicinandosi a lei. Riuscì a scorgere il bagliore di quegli occhi; e li scoprì verdi, come le foreste e le praterie d'estate.
Due grandi smeraldi la scrutavano curiosi. - Trenta... trenta Inverni.- mormorò tremando.
La Madre rimase sorpresa; com'era possibile? - Così giovane... eppure così pericolosa...- le sussurrò.- Dimmi, piccina: sai cos'hai combinato?
  Quella scosse la testa; voleva solo essere lasciata libera. Sarebbe tornata nel bosco a giocare con i suoi amici, a guardare le stelle nel cielo e a contare le foglie della grande quercia della radura. - Hai distrutto il Regno, piccina. Migliaia di fate hanno trovato morte per colpa tua. Adesso, spetterebbe a te assaporarla.- proseguì la donna. La piccola fatina fu presa dal terrore.- Ma possiamo trovare un compromesso; sei d'accordo?
L'altra annuì; e molto tempo dopo, avrebbe preferito non averlo fatto. - Scelta saggia. Guardia!- chiamò la matriarca. - Va' a preparare la gabbia d'oro, subito!
 

  Da giorni non sta più mangiando.
Durante il lungo periodo in cui è stato qui, ha difficilmente toccato cibo; ma la speranza della libertà, la speranza di essere lasciato andare, un giorno, gli dava una motivazione più che valida per ingerire il minimo indispensabile. Adesso è diverso.
- Non avrebbe senso essere libero.- replica lui. - Non se non c'è lei.
E' questo che non comprendo. Pensavo si sarebbe presto dimenticato, di quella fata.
Pensavo di allentargli in qualche modo le catene, così; o forse le ho allentate solo a me? No, ho fato la cosa giusta. - Mi odi, non è così?- domando, afferrandogli la chioma. Sottili filamenti albini mi scivolano tra le dita; non sono più soffici come la prima volta che li presi nel palmo della mano.
- No.- la risposta mi lascia perplessa.
  Ho passato gli ultimi trecento Inverni ad addestrarmi con i prigionieri più temibili che avessimo. Mi sono state insegnate tecniche di ogni genere, procedimenti che implicavano l'utilizzo di strumentazioni varie e complesse. Ma uno dei carcerati, ripeteva sempre che il modo più doloroso per ferire un essere vivente fossero i suoi sentimenti.
 Ho torturato ognuna delle vittime che il prefetto del reparto militare mi inviava; ladri, assassini, traditori, stupratori... Gente di ogni tipologia. Alla fine di ogni tortura, facevo loro una promessa; e la mantenevo sempre. Mi vedevano sparire e ritornare il giorno dopo, con la testa della persona a loro più cara in mano.
E allora, urlavano, straziati. Mi avvicinavo loro e pronunciavo la mia domanda, che è sempre suonata più come un'affermazione. - Mi odi, non è così?
  Perché? Perché ora non ottengo questa certezza?
- Non potrei mai odiare una creatura spacciata.- sorride amaramente Jack. Spacciata?
- Cosa ti fa pensare che io sia spacciata?- chiedo. Verrà punito, per la sua insolenza. - Guardati. I tuoi panni sono logori, la tua pelle dilaniata. E tu, nel tuo squallore, hai ancora il coraggio di ridere?
Non smette di sorridere. Punta i suoi occhi nei miei. - Sì. Tu eri spacciata sin dalla prima volta che comparisti su quella soglia, quando sibilasti il mio nome con disprezzo. Lo ricordo ancora.
 
  Gli andò incontro, e gli fu dinnanzi in un guizzo.
Jack non aveva mai visto molte fate e nessuna gli era mai parsa bella come Dentolina; ma questa... questa era qualcosa di stupefacente. La slanciata figura di colei che lo avrebbe presto massacrato gli stava di fronte, e il ragazzo poté notare le profonde cicatrici che le rigavano il corpo.
Sottili vene smeraldine giocavano ad accarezzarle la pelle verdognola, fino ad intrecciarsi e a disegnare grandi, possenti e luminose ali. - Chi sei?- le domandò.
Non ottenne mai risposta, nemmeno negli anni a seguire. La fata gli strappò un bacio, un bacio che portava con sé un sapore ferroso. - Fredde.- gli soffiò lei. - Le tue labbra sono fredde.
Gliele morse fino a farle sanguinare; poi le riavvicinò. - Ora vanno meglio.
Il ragazzo non capì più cosa stesse accadendo; - Che problemi hai?- domandò, ridendo. Non che gli dispiacesse ricevere un bacio da un simile spettacolo, ma...
Subito uno schiaffo lo centrò in pieno volto, sulla guancia destra. Fu molto strano perché, guardando con la coda nell'occhio, vi scorse una singolare ustione nera. - Non osare, Frost. Non osare.
- Non devo osare a fare cosa?- rise sornione. Ben presto avrebbe imparato a mettere freno alla sua spavalderia. In tutta risposta, l'ustione cominciò a bruciare, sempre di più, sempre di più; fino a quando non perse quasi del tutto i sensi. L'ultima cosa che vide furono due grandi occhi verdi. Erano freddi e crudeli; ma dentro di essi, vi poteva chiaramente notare la confusione.
- Iniziamo a giocare, che ne dici?
 

  Non voglio la sua commiserazione; non voglio quella di nessuno.
- Non posso odiare qualcuno che non conosce l'amore.- continua, imperterrito. - Sarebbe come rubare a chi non ha niente... E, per quanto tu possa aver fatto soffrire lei, immagino di poterti perdonare.
  No, questa non è compassione. Come si chiamava...? Empatia? No...
- Jack...- mormoro. Mi zittisco; questa non è la mia voce. Dev'essersene accorto anche lui, perché ha sgranato gli occhi.
Io conosco questa voce, - Vuoi vedere una cosa?- è la stessa che avevo molti Inverni fa; prima che la mia pelle divenisse verde e come lei i miei occhi; prima che il sorriso diventasse sghembo e sanguinoso.
  Seguimi, Jack. Vieni a vedere la gabbia d'oro.
 
 
Angoletto tutto mio:
Buon pomeriggio a te, che sei arrivato/a alla fine di questo... ehm, racconto!
Ebbene... Questa storia è nata qualche mese fa; avevo iniziato la sua stesura circa a dicembre e poi il file è rimasto sepolto nel computer. Oggi, poiché particolarmente ispirata per cose strane e particolarmente angst, ho deciso di riprenderla in mano, ed eccoci qui.
Non è una long lunga (toh ,che gioco di parole!), durerà al massimo uno, due capitoli ancora, più o meno così. Spero di non averti sconvolto troppo... Non mi sono mai cimentata in una storia del genere; l'idea mi era venuta da un disegno che avevo fatto di questa fata da me inventata, Areta, la protagonista, che allora era ancora senza nome e senza lesioni mentali.
So già che molti criticheranno negativamente questa storia; forse perché troppo forte ed inadatta ad un contesto come "Le 5 Leggende". Ma io vi dico che questo racconto non è mirato a sfigurare personaggi come Jack o Dentolina, rendendoli troppo maturi rispetto a come appaiono nel film. Le ho solo riproposte in una situazione diversa. In ogni caso, fatemi sapere cosa ne pensate, anche con una critica, che io apprezzo purché costruttiva!
E ora vi saluto, altrimenti queste note si fanno più lunghe del capitolo... Alla prossima!
TheSeventhHeaven
 
  
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