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Autore: Elrais    07/04/2015    5 recensioni
"Non posso più tornare indietro". Questa è una delle frasi che Ciel ripete più frequentemente. E se invece questa possibilità gli venisse offerta? Cosa sceglierebbe?
Abbandoniamo gli scorci della Londra vittoriana per vedere il nostro Conte alle prese con due personaggi di un'altra Terra, una Terra antica e potente. Una Terra in grado di tendere la mano a un bambino e alla sua anima dannata... se solo egli deciderà di rimanere al di là della cortina di pioggia.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Undertaker
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono a Yana Toboso, che ne detiene i diritti.

Prologo
:

** Gli equilibri stanno lentamente cambiando. Chi vive da molto tempo, come le creature di questa Terra, se ne accorge facilmente: la linea netta tra luce e ombra si sta dissipando, i contorni sono sempre più indefiniti. Nei tempi antichi era facile distinguere il Bene dal Male, il Guardiano dal Profanatore. Gli Elfi camminavano ancora su questa Terra, personificazioni di una Madre che protegge i propri figli.
Ma ormai gli Elfi non sono più. Sono partiti, con lunghe navi veloci che solcano acque immortali, acque che da secoli riflettono la luce del sole e che per secoli ancora la rifletteranno. Ora è il tempo degli Uomini, ad essi è affidata questa Terra che si trasmuta, che cambia, che volge ad un altro giorno, uguale ai precedenti eppure radicalmente opposto.
Eppure non tutti sono partiti, alcune creature sono rimaste. Coloro che hanno nell’animo il cambiamento, coloro che sanno voltare il proprio essere per seguire il mutamento sono ancora qui. Non tutti gli Elfi sono partiti: alcuni sono rimasti per servire e proteggere.**

 
Capitolo 1: Intersezioni
 
I

Nella Quindicesima divisione del reame di Menior l’alba non sorgeva mai inosservata: la contemplavano i soldati sulla cinta muraria di difesa, grati che il loro turno di notte fosse finito; la contemplavano i contadini, già in marcia verso i campi fuori la città, intirizziti nelle loro vesti umide di notte; la contemplava Elanor dalla finestra della sua stanza, la fronte appoggiata al vetro freddo, in un rituale antico che ancora non si era spezzato. Ogni mattina di ogni nuovo giorno, il sole veniva salutato in una venerazione silenziosa.

“El, abbiamo un problema.”

Elanor sussultò, sorpresa: suo fratello Uriel aveva spalancato la porta della sua camera da letto senza bussare, e ora le stava a pochi passi di distanza, porgendole una lettera. Sulla ceralacca, il sigillo di Anior: il sigillo del loro Re.
Mentre la ragazza scorreva velocemente con gli occhi la missiva, suo fratello rimase appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto, lo sguardo cupo e imbronciato di un bambino scontento del mondo e una lunga cicatrice sulla parte destra del viso.
“Ho già avvertito gli Dei della Morte della giurisdizione competente” annunciò quando sua sorella richiuse la lettera, “se il varco si apre tra i nostri due mondi, è probabile che ci sarà qualche scambio di anime. Faremo il possibile per evitarlo, ma non possiamo essere sicuri che nessuno passi per sbaglio da una parte all’altra.”
Il ragazzo si portò la mano alla cicatrice, massaggiandola distrattamente. “Fortunatamente sembra che l’unico varco instabile sia quello che ci è stato segnalato, non dovrebbero aprirsene altri; un varco solo è facile da controllare, una volta che ci siano persone competenti da ambo i lati… ma non mi sono mai fidato molto degli Dei della Morte, sono troppo simili agli uomini nel carattere: è facile farli perdere.”
Elanor sorrise, guardando il volto preoccupato del fratello: “L’ho costruito io quel varco, sotto il comando di nostro nonno: così come l’ho chiuso una volta, lo richiuderò di nuovo. Su, non agitarti inutilmente, Uriel! Piuttosto, tu hai già mangiato?”
“Veramente, ancora no. Aspettavo di farti leggere la lettera.”
Elanor si ravviò i capelli color miele con un gesto sbrigativo e prese sottobraccio il fratello: “I problemi sembrano più grandi, quando si è a stomaco vuoto.”
 
I due fratelli sedevano l’uno di fronte all’altra su una panca di legno scuro: di fronte a loro, ciotole di latte e pane. Erano vestiti semplicemente, quasi come garzoni: passando di sfuggita non avresti riconosciuto in Uriel il Governatore della Quindicesima divisione e in Elanor sua sorella.
Ma soprattutto, guardandoli nei loro miseri panni, non avresti riconosciuto in loro dei Miendul, stirpe reale elfica. Avresti potuto sicuramente notare il modo in cui i capelli color miele di Elanor mandavano riflessi quando toccati dal sole; avresti notato il colore dei suoi occhi, oro fuso; avresti veduto lo strano candore della pelle di entrambi, e i bagliori che di tanto in tanto illuminavano l’unico occhio che Uriel poteva ancora usare. Ma questo forse non sarebbe stato abbastanza, per riconoscere in loro il sangue della Terra.

Elanor si stiracchiò sulla panca, allungando le braccia affusolate: “Sappiamo esattamente dove finisce questo varco? Se non ricordo male, all’epoca li avevo tutti catalogati con ordine…”
“Sì, ho recuperato le scartoffie che avevi scritto.”
 Uriel tirò fuori dalla tasca interna della giacca delle pergamene ingiallite, friabili. “ Londra, Inghilterra. O meglio, un po’ fuori dalla città, sembrerebbe aperta campagna. Ma queste cartine non sono aggiornate: i varchi sono stati chiusi 450 anni fa, a quest’ora la città potrebbe essersi allargata. Probabilmente ora ci sono delle costruzioni in quel punto.”
“E gli Dei della Morte che dicono?”
“Mah, cosa vuoi che dicano.” Uriel si strinse nelle spalle. “Lo sai come sono fatti…il loro pensiero maggiore è evitare di fare straordinari non pagati. Sono preoccupati per le ramanzine che potrebbero ricevere dai piani alti, ma del fatto che alcune anime potrebbero perdersi sembra non gli importi. Mi sembra assurdo, considerando che è proprio il loro compito falciare gli spiriti degli uomini in punto di morte e accompagnarli all’Oltretomba a cui appartengono.”
Il ragazzo continuava a mescolare il suo latte con gesto svogliato. “Davvero, non riesco a capirli… eppure sono creature di Luce. Dovremmo stare dalla stessa parte.”
Elanor scoppiò in una delle sue risate argentine: “Ma quale parte? Gli equilibri stanno cambiando. Non ci sono più Elfi o Demoni che tengano… non mi stupirebbe se i primi a tradirci fossero proprio questi Dei della Morte che tanto decantiamo.”
La sua risata scemò in un sorriso nostalgico. “Te l’immagini la faccia del nonno? Fortuna che è partito assieme agli altri della nostra stirpe: non era proprio fatto per questo nuovo mondo…”

Un ragazzino dalle spalle esili, avvolto in una giacca più grande di lui, si avvicinò rispettosamente ai due Elfi.
“Perdonate l’intrusione, miei signori. È arrivata questa per il Governatore.”
“Grazie, Ren, puoi andare.”

Uriel aprì una pergamena gialla: Elanor, incuriosita, sbirciò un sigillo che non riconosceva.
Il fratello digrignò i denti: “Oggi non è giornata. Questa lettera viene dagli Dei della Morte della sezione inglese: ci stanno fornendo la topografia aggiornata della zona in cui il varco sfocia. Pare che ci sia solo una casa, una magione signorile.”
“Oh, ottimo! Perché dovrebbe essere una cattiva notizia?” esclamò Elanor, alzando lo sguardo dal sigillo, “io avevo paura che fosse stata invasa dalla periferia della città, con tutta la gente ammassata nelle case. Alla fine una sola villa è facile da controllare, no?”
“Sarebbe così, se fosse abitata soltanto da esseri umani… ma qui c’è scritto che il proprietario della villa è un bambino, un certo Ciel Phantomhive, e che il suo servitore è un demone delle Alte Schiere. Non scrivono quale sia il nome del demone, ma poco importa. Sta di fatto che i due hanno un regolare contratto.”
Uriel tacque per un istante, continuando a massaggiarsi la cicatrice. Poi mormorò: “Francamente, anche se al momento è soltanto un cane al guinzaglio, preferirei che quel demone stesse lontano dalla nostra Divisione.”

Elanor non rispose. La sua attenzione era stata attratta dalla pergamena allegata alla busta: una cartina topografica e una breve descrizione del padrone della magione.
 “Ciel Phantomhive, 13 anni” lesse a voce alta, “orfano di padre e di madre. Dirige un’azienda di giocattoli e dolciumi e si occupa di risolvere i problemi e gli affari sporchi della Regina d’Inghilterra.”
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, fissando la lettera.
Il fratello scosse la testa: “A tredici anni dovresti leggere, studiare e obbedire ai tuoi genitori. I tuoi problemi maggiori dovrebbero essere ricordare i nomi dei Re e tradurre le lingue antiche, non occuparti degli affari di Stato e dirigere società.”
Le mani bianche di Elanor richiusero la lettera, piegandola distrattamente: “Hai ragione, fratello. Ma soprattutto, a tredici anni dovesti avere ancora il pieno possesso della tua anima.”
 

II

Una imponente magione, poco fuori la città di Londra, circondata da boschi ed ettari di terreno, isolava i suoi abitanti dalla vita frivola e pulsante della Capitale.

“Posso sapere cosa sta succedendo qui?”
“Sono mortificato, padrone. Non ho potuto impedirgli di entrare.”

Un ragazzino minuto era sulla sommità della scalinata d’ingresso della dimora: dimostrava meno della sua età, con quei tratti delicati e la pelle liscia. Aveva un’espressione di feroce disappunto sul viso, come quella di un bambino nel momento in cui scopre che il gioco tanto atteso non funziona come pensava.
Nell’atrio dell’enorme villa in stile vittoriano, il suo maggiordomo stava sbarrando il passaggio ad un uomo dagli occhiali spessi.
Entrambi erano vestiti con cura: il servitore nel suo frac nero, la giacca a coda di rondine, l’Albert che risplendeva d’argento; l’ospite indesiderato era in giacca e cravatta, la camicia inamidata. Un uomo comune, se non fosse stato per il sinistro luccichio degli occhi dietro le lenti degli occhiali.
Occhi verdi e insieme gialli.
Gli occhi di un Dio della Morte, uno Shinigami. Questi parlò: “Credimi, ragazzino, siete gli ultimi con cui vorrei avere a che fare. Ma purtroppo è una questione di mia competenza, e vi riguarda: prima mi fate spiegare cosa sta succedendo, prima la sbrighiamo.”
I due uomini si fronteggiavano senza arretrare, entrambi in attesa di una risposta.
Il bambino sospirò: “E va bene, Shinigami. Sarà meglio per te che sia una cosa davvero importante. Andiamo in salotto. Sebastian, servici del thè.”

Il ragazzino aveva fatto strada all’ospite lungo una serie di corridoi tortuosi, ma bene illuminati, finché non ebbero raggiunto una porta elegantemente intagliata. Il padrone di casa si era seduto svogliatamente su una poltrona, facendo cenno al Dio della Morte di accomodarsi su un divano damascato, proprio di fronte a lui. Su questo divano sedeva ora lo Shinigami, palesemente a disagio.

La villa vittoriana era curata nei minimi dettagli. Non un alone di polvere sul tavolo del salotto, non una sbeccatura sul servizio da thè.
“In parole povere, stanotte si aprirà un varco che potrebbe risucchiarci e condurci verso un’altra Terra.”
Ciel posò delicatamente una tazzina sul piattino di ceramica abbinato. “Voi avete il dovere di presidiare la mia casa affinché nessuno di noi passi attraverso questo passaggio, e lo stesso faranno altre persone incaricate dall’altra parte, in modo che nessuno si ritrovi qui per sbaglio. Dico bene?”
Il ragazzino scrutò incuriosito il volto del Dio della Morte che sedeva di fronte a lui: questi aveva rifiutato sdegnosamente i dolci e il thè che gli erano stati offerti ed era seduto sull’estremità del divano, come se qualunque cosa all’interno della villa fosse sporca e temesse di essere contaminato da un momento all’altro.
Parlava sputando sdegnosamente le parole dalla bocca.
“Esattamente. Le persone dall’altra parte, al contrario di noi, sono in grado di ristabilire l’equilibrio del varco e chiuderlo definitivamente. Quindi di fatto noi ci occuperemo solo di evitare che voi veniate risucchiati. Se non ci sono intoppi, tutto verrà concluso stanotte stessa.”

 “Posso sapere chi sono queste persone in grado di giocare con dei varchi? È un’abilità piuttosto rara. Noi Demoni non sappiamo farlo.” Il servitore in frac sorrise. “E neppure voi Shinigami, per quel che ne so.”

Il maggiordomo non si era allontanato un attimo dalla sedia del padrone. Ogni suo movimento era destinato a lui. Ogni sua parola era detta perché il suo padrone la sentisse.
Il Dio della Morte avvertiva quel legame, e ne provava ribrezzo.
“Non sono informazioni che posso darti, e comunque non ti riguarda. Tornerò con altri, questa sera. Domani mattina sarà tutto finito.” Il Dio della Morte si alzò dal divano ed uscì, senza salutare.


Padrone e servo rimasero in silenzio per qualche istante. Quindi Ciel sospirò, riprendendo in mano la tazzina da thè. “Sebastian, vai a chiamare il resto della servitù e fa’ venire tutti qui. Ordinerò loro di trascorrere la notte nella mia casa di Londra, con la scusa di un qualche incarico da parte della Regina. Meno gente c’è nella magione, minore è il rischio che qualcuno venga risucchiato nel varco. Domani mattina li faremo tornare.”
Ma il maggiordomo non si mosse.
“Padroncino, devo avvisarvi.”
 La sua voce era preoccupata: il ragazzo lo guardò stupito. Era raro, per lui, vedere il suo servitore preoccupato per alcunché.
“Il problema non è tanto essere risucchiati, quanto il fatto che nella Terra d’Alda, dove mi pare di capire che sfoci questo varco, i miei poteri sono molto limitati. È una terra strana, ostile a noi demoni: ci sono forze antiche che non posso superare.”
Ciel fissava il suo maggiordomo con la tazzina rimasta a metà strada tra il tavolo e la sua bocca. Sebastian parlava tenendosi il mento con la mano, le sopracciglia corrucciate:
“Inoltre, le creature che dall’altra parte si occuperanno di ristabilire l’equilibrio potrebbero essere Elfi. Non mi viene in mente nessun’altra specie in grado di usufruire di capacità così elevate: contro di loro, persino qui, i miei poteri non valgono. Non vi farebbero del male, ma preferirei evitare di mettermi nella situazione di avere le mani legate.”
“Quindi voi demoni non siete poi così speciali” lo stuzzicò il ragazzo. “C’è qualcuno a cui persino tu devi sottometterti! Forse ho sbagliato a cedere la mia anima proprio a te…”
Un bagliore rosso di collera passò veloce negli occhi del maggiordomo: ma era già scomparso sotto un sorriso mellifluo. “Mi spiace non essere abbastanza per voi, padroncino. Ma ormai la scelta è fatta: avete stipulato un contratto con me e non potete cambiare.”
Il ragazzo si limitò ad uno sbuffo, che poteva essere una risata o un singhiozzo. “Lo so, Sebastian. Lo so.”
 

III

Per l'ora di cena di quella stessa sera, il salotto della magione signorile, ovvero il punto in cui secondo i calcoli degli Shinigami doveva aprirsi il varco, era completamente irriconoscibile: il tavolo da pranzo era stato spostato di lato, in modo da creare uno spazio vuoto al centro per rendere più agevoli i movimenti; le credenze piene di porcellane pregiate erano state riposte in altri ambienti della casa.
Shinigami in giacca e cravatta passeggiavano nervosamente nella stanza svuotata.
“Sarebbe meglio se anche tu andassi da qualche altra parte, sai? È pericoloso qui.”
Lo stesso Shinigami che la mattina aveva portato la notizia dell’apertura del varco ora stava osservando Ciel con sguardo sprezzante. Palesemente, quel lavoro non gli piaceva affatto.
Il ragazzino gli rispose con un sorriso serafico: “È casa mia, vorrei controllare che non buttiate tutto all’aria. E poi mi piace l’idea che siate costretti a proteggere della feccia come me e il mio maggiordomo. Non credo che mi ricapiterà spesso l’ occasione di vedervi così in difficoltà.”
Per un attimo, Ciel fu certo che lo Shinigami stesse per impugnare la sua falce. Ma fu solo un istante.

Mentre il Dio della Morte si allontanava, Ciel sentì il suo servitore ridacchiare alle sue spalle: “Siete davvero un ragazzino indisciplinato, padroncino. Ad ogni modo, avete ragione: sarà divertente vederli faticare per proteggerci. Anche se, ovviamente, per contratto la vostra salvezza è la mia priorità.”
Il demone si avvicinò al bambino, chinandosi su di lui: “Finché non avrete compiuto la vostra vendetta e il contratto tra di noi sarà valido, farò in modo che nulla e nessuno possa sfiorarvi.”
Ciel lo guardò dritto negli occhi. “È quello che devi fare, se vuoi guadagnarti la cena. Non ho certo venduto la mia anima per ottenere in cambio un servizio scadente.”
Il ragazzino si lasciò andare sullo schienale della poltrona, accavallando le gambe magre. “Comunque, controlla che non mi mettano a soqquadro la casa. E preparami qualcosa di dolce, sarà una nottata lunga.”
 

**Forse voi non avete mai visto cosa succede quando due mondi si mettono in contatto, e me ne dispiaccio, perché è uno spettacolo da non perdere. Dovete pensare a due estranei che si tendono la mano e si mescolano: l’uno dà all’altro ciò che possiede, e quando lo scambio termina nulla è più come prima. Può essere uno scambio turbolento e impetuoso, oppure dolce come il vento d’estate: questo dipende dai caratteri delle persone che popolano i due mondi, così come un dialogo dipende dalla personalità degli individui che lo portano avanti. **

 
Ciel, che si era aspettato in quel varco una dichiarazione di guerra e di disordine, si trovava di fronte alla delicatezza più assoluta: osservava, così come Sebastian e gli Dei della Morte accanto a lui, un cancello dagli infissi dorati, con incise parole che non sapeva leggere.
Non riusciva a vedere cosa ci fosse al di là: le immagini attraverso il cancello gli giungevano sfocate, come attraverso una cortina di pioggia.
Però la voce che arrivò era limpida: “Mi chiamo Elanor, e accanto a me c’è mio fratello Uriel. Siamo della stirpe dei Miendul, Re quando gli Elfi regnavano su queste terre. Ci occuperemo di risanare il varco che si è aperto.”
“Sì, mia Signora. Noi Dei della Morte abbiamo circondato la magione e faremo in modo che possiate lavorare indisturbati.”

Sebastian, ritto accanto al padrone, lo osservava di sottecchi: l’anima del ragazzino era sempre più corrotta, sempre più colma di disperazione…ma ogni tanto, quando meno se lo aspettava, emergeva qualche spiraglio di luce. Qualche momento di verità in tutte quelle bugie. Il demone osservava il padrone, che era rimasto incantato dal riflesso dorato, e sentiva la preoccupazione nascergli dentro: il richiamo della luce aveva ancora presa sull’anima del suo pasto.
“Forse, padroncino, lo Shinigami ha ragione nel dire che sarebbe meglio che voi vi allontanaste. Vi preparerò del latte col miele e ve lo porterò in camera.”
Ciel ebbe un moto di fastidio: “Sono io che decido quando ritirarmi. Voglio restare a vedere come si conclude questa storia… piuttosto, Sebastian, avvicinati anche tu al varco con gli Shinigami, credo che abbiano bisogno di aiuto.”
Con cautela, infatti, gli Dei della Morte si erano avvicinati al cancello dorato e ne tenevano le inferriate, quasi temendo che potesse spalancarsi del tutto.
Il demone eseguì l’ordine senza ribattere, dimostrando la preoccupazione nel serrarsi della mascella.
Ciel osservava la scena a distanza, chiedendosi cosa stessero facendo dall’altra parte del varco: seduto su una poltrona, si lasciò cullare dal riflesso dorato, fino ad addormentarsi.
 
Delle braccia forti lo presero alla vita, con delicatezza. Il ragazzino si raggomitolò contro il petto del suo servitore. “È tutto finito, Sebastian? Avete chiuso il varco?” mormorò senza aprire gli occhi.
“Avevate detto di voler guardare e poi vi siete addormentato. Non si fa così, Conte. Meno male che ci sono io qui, a soddisfare la vostra curiosità.”
Il cuore di Ciel perse un battito: spalancò gli occhi, e invece delle iridi castane del suo demone, si trovò a fissare quelle giallastre dello Shinigami disertore, i capelli argentati che gli ricadevano sul viso. Con la coda dell’occhio percepì Sebastian allontanarsi dal cancello dorato e buttarsi verso di loro, seguito da quattro Dei della Morte che evidentemente consideravano la situazione troppo rischiosa per lasciar stare.
 
Ma gli shinigami disertori hanno molte doti, tramite le quali riescono a sfuggire al giusto castigo dei loro superiori per secoli e secoli: non sarebbe stato facile prenderlo.

Temendo che potesse fuggire dalla magione, gli Dei della Morte si posizionarono all’altezza delle finestre e della porta del salotto, mentre Sebastian puntava dritto verso la coppia, le iridi rosso fuoco.
Il disertore sghignazzò: “Ci tieni proprio alla tua cena, eh?”, quindi virò, cercando una via di fuga di lato. Uno degli dei della Morte che era di vedetta accanto alla porta gli si buttò contro.
 “Sta cercando di scappare con il ragazzino in braccio” urlò uno Shinigami che era rimasto attaccato al cancello. “È il disertore che sta facendo esperimenti sui cadaveri! Due di noi rimangano qui di guardia, gli altri cerchino di bloccarlo.”
 Nel giro di una frazione di secondo, la coppia shinigami e bambino fu circondata: Sebastian si parò di fronte ai due.
Il disertore gli sorrise. E, inspiegabilmente, cominciò a correre a sua volta verso di lui.
Un attacco frontale? Portando il padroncino in braccio? pensò il demone, confuso. Ma dove vuole arrivare?

Cinquanta metri. Venticinque. Dieci. Due. Mezzo metro. Le due trottole impazzite continuavano a correre l’una verso l’altra, una delle due portando il suo fagottino in braccio. Si sarebbero scontrate e il ragazzino sarebbe rimasto schiacciato in mezzo.
Gli Dei della Morte cominciarono a chiudere il cerchio, ma la falce del disertore non poteva essere scalfita dalle loro: si fece spazio facilmente.
Sebastian sterzò, per evitare di urtare il suo padrone e contemporaneamente colpire lo Shinigami di taglio. Il disertore respinse il colpo e fece per dirigersi verso una delle finestre rimaste scoperte.

“Di qui non passi!”

 Gli Dei della Morte che erano di guardia al cancello si pararono tra il disertore e la via di fuga. Sebastian gli era dietro: il colpo vibrato con l’argenteria andò a scontrarsi contro la falce dello Shinigami.
“Che senso ha questa farsa? Pensi davvero di riuscire a scappare? Tutte le uscite sono controllate”.

Fu una frazione di secondo. Il tempo che occorse allo Shinigami per spingere il demone da una parte con la sua falce e lanciare con forza il ragazzino all’interno del cancello dorato, nel frattempo rimasto senza guardie.

“Ti mando un regalo, dama Elanor, abbine cura. E ricordati: i varchi non si aprono mai per caso.”

Sebastian vide con sgomento le porte del cancello chiudersi con violenza e poi svanire. Rimase immobile a fissare il punto in cui il suo padrone era scomparso: solo la carta da parati del salone, intonsa. 

   
 
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