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Autore: Kerri    09/04/2015    6 recensioni
[CaptainSwan: AU] [Accenni Rumbelle, Snowing, OutlawQueen]
Emma Swan si è trasferita a New York a 17 anni, accettando una borsa di studio che le avrebbe cambiato la vita, lasciandosi alle spalle un'infanzia difficile, Storybrooke e il suo migliore amico. Ma ha dovuto vedere tutti i suoi sogni frantumarsi, schiacciati dalla consapevolezza di aspettare un figlio.
Adesso la sua vita si è stabilizzata, ha Henry, gestisce un negozio di antiquariato e non sa che la sua vita sta per cambiare drasticamente, riportando a galla i più nascosti fantasmi del suo passato.
Killian Jones ha un'unica regola nella sua nuova vita: basta impegnarsi. È uno degli architetti più promettenti di New York e un giorno, riceverà una proposta che potrebbe dare una svolta alla sua carriera. Ma per farlo, dovrà collaborare con una sua vecchia conoscenza, riaprendo ferite mai rimarginate.
Il destino, continuerà a prendersi gioco di loro e dei loro amici, tra incontri, scontri e colpi di scena. Ma riusciranno Emma e Killian a perdonarsi e a ricominciare? Riusciranno, insieme, a riscrivere il loro destino? E se questo non fosse stato ancora scritto?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La sveglia suonò come al solito alle 6.30. Con gli occhi ancora chiusi la giovane donna cercò di spegnere quel rumore assordante, in modo da riposare ancora un po’.
Si tirò le coperte fin sopra al naso quando qualcuno irruppe nella sua calda e oscura camera per aprire le finestre e illuminare la stanza.
Avrebbe tanto desiderato dormire ancora ma, a quanto pareva, quel qualcuno non era d’accordo con lei.
«Mamma, svegliati! Devi accompagnarmi a scuola!»
Chi avrebbe potuto essere se non suo figlio? L’unico uomo della sua vita da dodici anni ormai…
«Henry, che ore sono? Non passa l’autobus oggi?» disse stropicciandosi gli occhi e sbadigliando.
«No mamma, quindi alzati! Non voglio fare tardi!» urlò suo figlio, schioccandole un bacio sulla guancia e scendendo giù in cucina.
A malincuore spostò tutte le coperte e si alzò. La testa le girava ancora un po’, residui della notte precedente. Avrebbe preferito tanto dimenticare, lasciare tutto e andarsene. Ma non poteva. O non voleva?
Scacciò quei pensieri dalla testa e rovistò nel suo armadio, trovandovi un maglioncino azzurro. Poi si infilò i pantaloni del giorno prima e cercò di riordinare quanto meglio poté il disastro che era la sua camera. Raccolse gli avanzi di cibo cinese, vecchi ormai di qualche giorno e spostò la colonna di vestiti sporchi dalla piccola poltrona di fronte alla finestra, alla lavatrice.
«Mamma! Proprio oggi devi metterti a riordinare? Siamo in ritardo!»
Oh maledizione!
Suo figlio aveva ragione. Alle volte le sembrava che i ruoli fossero invertiti, che la bambina capricciosa da sgridare e mettere in punizione fosse lei, non Henry. Suo figlio era così intelligente, così brillante e sveglio che alle volte si domandava veramente se avesse preso qualcosa da lei.
«Arrivo ragazzino!» gli urlò, precipitandosi in bagno per rendersi più o meno presentabile. Dopo aver accompagnato Henry, sarebbe andata direttamente in negozio e non poteva rischiare che il suo aspetto spaventasse i clienti.
Si lavò il viso con acqua gelida, si spazzolò velocemente i denti e per i successivi dieci minuti cercò di coprire quanto meglio poté quelle orrende occhiaie che le incorniciavano gli occhi. Alla fine, il risultato non era dei migliori ma fu comunque soddisfatta.
Scese di corsa le scale, prese al volo le chiavi della sua adorata macchina, la sua borsa e la sua fidata giacca di pelle rossa e uscì, seguita a ruota da suo figlio.
«Mamma! Dovresti fare colazione, la colazione è il pasto più importante della giornata!» la rimbeccò suo figlio, una volta saliti entrambi nel maggiolone giallo di Emma.
Rieccoci allo scambio dei ruoli.
«Ragazzino, dovrei essere io la mamma, non tu!» rise Emma, infilando le chiavi e mettendo in moto l’auto. Il bambino si limitò a sorriderle poi frugò nel suo zaino e ne estrasse uno dei suoi amati giornalini.
La sua scuola non era tanto distante dal loro appartamento, ma a New York, perfino alle sette e mezza del mattino c’era traffico.
«Se la maestra ti chiede qualcosa, digli che l’autobus non è passato e in città c’era troppo traffico!»
«Va bene, mamma! Ci vediamo dopo al negozio?»
«Sì tesoro, a dopo!»
Emma fissò suo figlio correre veloce verso l’entrata del grande edificio rosso scuro, sorrise e ripartì, risvegliata dal rumore del clacson della macchina dietro di lei.
Controllò l’orario e constatò che aveva ancora un’altra mezz’oretta così, memore del consiglio di suo figlio, si fermò a comprare un caffè con panna e cioccolato e una brioche alla cannella.
La giornata sarebbe stata lunga, come al solito.
 
Storybrooke, Ottobre 1996
«Ciao»
La piccola bimba si asciugò in fretta le lacrime che le bagnavano le guance rosee, si alzò in fretta dal suo nascondiglio, discostando un po’ le foglie e puntò i suoi grandi occhi verdi sul suo interlocutore.
Se era un altro di quegli idioti che la prendevano in giro, gliene avrebbe dette quattro. Si sarebbe difesa come si deve, era stufa di piangere nascosta nel parco della scuola.
«Cosa vuoi?» rispose infastidita.
Il bambino ci pensò su un momento. Si era accorto di lei soltanto qualche ora prima, quando i suoi stupidi compagni di classe avevano deciso di prenderla di mira. Adesso, dopo aver ottenuto ciò che volevano, erano ritornati in classe, ridendo e scherzando come se nulla fosse, come se non avessero appena fatto piangere una persona. E lui questo non poteva sopportarlo. Lui era un gentiluomo, glielo ripeteva sempre la sua mamma. Certo, prima che morisse.
I suoi piedi si erano spinti fin laggiù, nell’angolo più remoto del parco, aveva sentito i suoi singhiozzi e aveva intravisto un piccola macchia bionda tra i cespugli.
E così l’aveva trovata.
Timoroso aveva girovagato un altro po’, non voleva disturbarla o farla sentire a disagio, ma i suoi piedi lo riportavano sempre lì.
«Ti va di giocare con me?»
La bimba lo fissò ancora, cercando di capire quali fossero le sue reali intenzioni. Ormai aveva capito come andavano le cose, come funzionava il mondo, seppur non avesse ancora dieci anni. La realtà non è mai quella che sembra e quel bambino dagli occhi color del cielo, all’apparenza così gentile, poteva rivelarsi tutt’altro. E lei non aveva più le forze di litigare, di piangere o di fare qualsiasi altra cosa.
«Come mi hai trovato?» chiese, vestendo di durezza il suo tono di voce.
Il bambino sorrise, un sorriso che gli illuminò il volto e gli occhi, un sorriso birichino, di chi è stato appena colto con le mani nel barattolo dei biscotti appena sfornati.
«Non posso dirtelo! È un segreto!»
La bambina lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca semi aperta. Niente poteva mettere freno alla sua curiosità, alla sua voglia di sapere e di conoscere seppur ciò che aveva conosciuto fino a quel momento, non era stato tutto molto bello.
«Dimmelo!» ordinò perentoria. Quando si era rifugiata lì, l’aveva fatto con il chiaro intento di non essere trovata o disturbata. Se quel bambino l’aveva fatto, significava che aveva commesso degli errori e lei non poteva permetterselo.
Quello non rispose. Si limitò a porgerle la mano, accennando al grande edificio grigio alle sue spalle.
«Dobbiamo muoverci, la campanella sta per suonare!»
Non sapeva perché si fosse fissato tanto con quella bambina. Forse voleva solo scusarsi per il comportamento dei suoi compagni. Forse.
La piccola fissò il palmo bianco di fronte a lei per qualche secondo. Aveva imparato a non fidarsi degli estranei. Qualcosa però, negli occhi di quel bambino, le diceva che poteva fidarsi, che non era un mascalzone come tutti gli altri.
Nello stesso istante in cui la campanella suonò segnando l’inizio delle lezioni, la bimba afferrò la mano del bambino dagli occhi color del cielo, trascinandolo in una folle corsa fino alla porta della loro classe.
«A proposito, sono Killian Jones, al vostro servizio milady!» disse il bambino, inspirando quanta più aria possibile; poi mimò un grande inchino, sfiorando quasi il pavimento.
La bambina alzò gli occhi al cielo, posando le mani sui fianchi, riprendendo fiato per la corsa appena compiuta.
«Sono Emma, Emma Swan.» disse alzando un po’ il mento, per sembrare giusto un po’ più alta.
I due si squadrarono un altro po’, sorridendo. Poi Killian aprì la porta ed entrarono in aula.
«Swan! Jones! Siete in ritardo!» li sgridò la maestra.
«Ci scusi maestra Zelena, non accadrà più» si scusò Emma e alle sue parole Killian annuì col capo.
«Lo spero bene! Adesso filate al vostro posto!»
I due si diressero ognuno al proprio posto. Emma si accomodò come sempre all’ultimo banco della seconda fila mentre Killian si diresse verso la terza fila, accolto dai sorrisini idioti dei suoi compagni. Li ignorò volontariamente e si accomodò, proprio dietro il banco di Emma.
 
 
Da quando suo figlio aveva cominciato ad andare a scuola la sua vita si era trasformata in una folle corsa contro il tempo. Non che prima se la passasse tanto meglio.
Il padre di Henry l’aveva lasciata prima ancora di scoprire che fosse incinta. Non voleva dirglielo, perché non voleva che si sentisse obbligato a tornare con lei. Da allora non l’aveva più visto, non aveva più sentito parlare di lui, per quel che ne sapeva poteva essersi benissimo trasferito in Alaska. Ma ormai, ci aveva fatto l’abitudine. Lo odiava ma le aveva dato la cosa più bella e importante della sua vita.
Tuttavia, crescere un figlio da sola a diciott’anni, in una città come New York, non era stato per niente facile.
Per crescerlo aveva dovuto abbandonare un sogno, un sogno che custodiva nel cuore sin da bambina, un sogno che aveva portato lei stessa ad abbandonare qualcuno di importante tanti anni prima.
Per mesi, dopo aver scoperto di essere incinta, non era più uscita dal suo monolocale se non per recarsi a scuola. Ma perfino quel luogo divenne un inferno.
Vide sgretolarsi ogni suo desiderio davanti ad i suoi occhi, ogni suo sogno si volatilizzò.
Sopravvisse soltanto grazie ad una persona, una persona che continuò a credere in lei nonostante i terribili errori che aveva commesso, salvandola più di una volta dall’oblio. Oggi, aveva la fortuna di poter chiamare questa persona la sua Migliore Amica e non poteva immaginare una vita senza di lei.
«Swan! Che ci fai qui? Hai visto che ore sono? Dovresti già essere al lavoro maledizione! Non a poltrire in un bar!»
Ed ecco a voi, signori e signore, Regina Mills.
«Scusa Regina, sono un po’ stanca…» commentò Emma pensierosa, abituata ormai ai continui insulti della sua amica. Non se la prendeva più di tanto, dopotutto Regina era fatta così. E se lei era riuscita a sopportarla per tutti quei lunghi anni, be’ anche Emma aveva avuto tanta pazienza con quella donna. Erano due facce della stessa medaglie, uguali eppure così diverse…
Regina non era esattamente un tipo facile, anzi. Come lei, anche quella bellissima donna dai capelli corvini aveva sofferto e aveva numerose cicatrici sul cuore e sul viso, invisibili agli occhi del resto del mondo, fuorché ad Emma.
Regina sospirò teatralmente, alzando gli occhi al cielo. Poi la trascinò fuori dal piccolo bar e si incamminarono verso il negozio.
I tacchi a spillo della giovane Mills tintinnavano sul marciapiede. Emma si concesse due minuti per sbirciare la donna accanto a lei. Ogni giorno era impeccabile, mai un capello fuori posto. Quella mattina indossava un caldo cappotto nero che le arrivava al ginocchio, un foulard annodato distrattamente al collo, che le dava l’aria da attrice di successo e il solito e immancabile rossetto rosso. I suoi modi, un po’ bruschi ma decisi incutevano paura, era autoritaria, pignola e anche un po’ permalosa. Orgogliosa fino allo sfinimento e un po’ maniaca del controllo.
Questo era Regina Mills per il resto del mondo.
Ma se il mondo l’avesse vista con Henry, probabilmente non l’avrebbe mai riconosciuta. Quando era con lui, molto spesso visti gli impegni di Emma, Regina si trasformava e la donna austera diventava una mamma amorevole.
Alle volte Emma si sentiva sproporzionata, inadeguata se si confrontava a lei. Non indossava tacchi a spillo per uscire dalle feste del liceo, odiava le gonne e i vestiti ed evitava il più possibile di indossarli.
«Emma, mi ascolti?» sbuffò Regina, notando che la sua amica non dava segni di vita.
«Cosa?!» chiese la giovane Swan, ridestandosi dai suoi pensieri e ritornando alla realtà. Ormai erano arrivate e Regina stava rovistando nella sua borsa in cerca delle chiavi.
Emma fu più veloce, estrasse dalla tasca il mazzo di chiavi con la tartaruga ed aprì. Regina le riservò uno dei suoi sguardi glaciali, chiedendole probabilmente perché le avesse fatto perdere tutto quel tempo. Emma alzò le spalle ed entrò, accendendo le luci.
Ecco.
Inspirò forte l’odore di legno e si voltò verso la sua amica.
Quel posto l’aveva salvata dal baratro, era diventato il suo rifugio e doveva ringraziare solamente lei.
Il negozio “Once Upon A Time” era aperto ormai da ben dieci anni. Dopo aver lasciato la scuola, qualche anno dopo di lei, Regina aveva deciso di aprirsi un piccolo negozio di antiquariato, assumendo Emma a tempo pieno come commessa. Potevi trovarci di tutto: specchiere, vasi, quadri, vecchi mobili, libri, vestiti d’epoca, appendiabiti. Qualsiasi cosa.
Poteva sembrare un semplice negozio di antiquariato dall’esterno ma c’era molto di più. La proprietaria aveva deciso di rinnovarlo e le due giovani donne non si limitavano soltanto a vendere mobili e altri vecchi suppellettili. Si impegnavano ad arredare ed ideare qualsiasi stanza, camera o ufficio i clienti volessero. E gli affari, andavano piuttosto bene.
Emma poggiò le sue cose dietro il bancone e accese il piccolo computer. Regina intanto la guardava, cercando di farle capire quanto importante fosse ciò che aveva intenzione di dirle.
«Swan, per la miseria, adesso vuoi stare a sentirmi?» sbottò la donna dai capelli neri.
«Sì, scusa Regina, ti ascolto!» disse Emma seria, puntandole i suoi grandi occhi verdi addosso.
Regina sospirò e si appoggiò al bancone.
«Emma, mia madre sta morendo…»
Le parole restarono sospese nell’aria ed Emma dovette mettercela tutta per afferrarle e assimilarle. Cora Mills, una delle donne più ricche e potenti della città, stava per morire. Emma conosceva la madre di Regina, forse fin troppo bene. Era la preside della sua scuola, una donna forte e autoritaria, proprio come la figlia. A prima vista poteva sembrare piccola, non era molto alta infatti. Ma bastava guardarla bene negli occhi e ogni tua precedente impressione scompariva. Emanava una sorta di aurea magica, tutti cadevano ai suoi piedi, facendo tutto ciò che ella desiderasse. Emma si sentiva parecchio in soggezione con gli occhi di Cora Mills puntati addosso. Non poteva crederci che probabilmente, non li avrebbe più rivisti.
«Oh Regina, mi dispiace!»
Emma si alzò ad abbracciare la sua amica, benché sapesse quanto ella detestasse qualsiasi manifestazione d’affetto, a patto che non si trattasse di Henry.
Ma quella volta, Regina si lasciò abbracciare. Perfino lei stentava ancora a crederci.
«Vuole che io prenda il suo posto Emma!» sussurrò la donna.
La giovane Swan restò a bocca aperta. Regina e sua madre non avevano mai avuto un rapporto normale, alle volte si amavano, altre non si parlavano per giorni. Erano quasi sempre in conflitto, litigavano per delle piccolezze. Regina aveva dovuto lottare con tutte le sue forze per dimostrare al mondo che non era soltanto la figlia raccomandata e ricca della preside. No, lei aveva talento. Le cose però peggiorarono dopo la catastrofe e poco tempo dopo, Cora si ammalò.
Così Emma restò sorpresa quando Regina le diede quella notizia, anche se probabilmente non avrebbe dovuto. Cora non aveva altri figli e nonostante il suo conflittuale rapporto con Regina, le voleva bene.
«Cosa hai intenzione di fare Regina?» chiese Emma, sapendo in cuor suo già la risposta. Ormai conosceva alquanto bene la sua amica.
«Tu cosa credi Emma? Accetterò» rispose risoluta la Mills.
«Ma si può fare? È legale?» chiese Emma titubante.
Regina scoppiò a ridere.
«Ormai Swan, dovresti sapere che per mia madre, nulla è impossibile. Riesce a dare ordini persino da un letto d’ospedale…»
«E questo posto?» continuò Emma guardandosi attorno. Il negozio era di Regina, non il suo.
«È esattamente di questo che vorrei parlarti Emma. Voglio che lo gestisca tu…»
Emma restò a bocca aperta per la seconda volta in quella mattina.
«Cosa? Stai scherzando? Io non saprei da dove cominciare…» disse mentre cercava una vecchia scopa per spazzare via un po’ di polvere dal pavimento.
«Oh andiamo Swan, sappiamo benissimo che non è vero e che, quando ti applichi, riesci a mettere insieme qualcosa di gradevole…»
Per Regina, questa era la cosa più vicina ad un complimento ed Emma lo apprezzò.
 «E i fornitori? Gli ordini? Non conosco nessuno, non ce la farò mai da sola…» continuò Emma sconsolata, accasciandosi su di una vecchia sedia.
«Non preoccuparti, a questo ho già pensato io. Infatti stasera preparati perché usciamo con due tipi che hanno intenzione di vendere tutti i mobili della loro casa, in modo che tu possa conoscere loro e loro possano conoscere te. E poi se vorrai, potrai assumere qualcun altro…»
Regina usò quel tono che non ammetteva repliche, quel tono che usava di solito con i clienti un po’ troppo indecisi. Emma era entusiasta ma allo stesso tempo spaventata. Ce l’avrebbe fatta a gestire tutto da sola?
Si guardò intorno e capì che sì, ci sarebbe riuscita. Regina si sbagliava raramente e se credeva che lei, Emma Swan, avrebbe potuto gestire quel piccolo negozio da sola, allora ce l’avrebbe fatta. Non aveva nessuna intenzione di deluderla, anzi. Avrebbe tanto voluto trovare un modo per ripagarla, per ringraziarla per tutto ciò che aveva fatto per lei, perché continuava a fidarsi di lei, nonostante non aprisse il negozio tutti i giorni alle 8.30 e qualche volta si dimenticava di schedare qualche nuovo oggetto. Sì, ce l’avrebbe fatta e Regina sarebbe stata fiera di lei e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Non sapeva, però, che il destino aveva ancora qualcos’altro in serbo per lei, qualcosa che avrebbe riportato indietro i suoi più antichi rimpianti, i suoi più oscuri fantasmi.
 
 
Emma adorava la maestra Zelena, era la sua insegnante preferita. Le piaceva ascoltare le sue storie, le piaceva la sua voce e le piaceva il modo in cui i suoi occhi si illuminavano tutte le volte che parlava del suo paese natale, a detta sua, lontanissimo da Storybrooke. Più volte aveva desiderato che fosse lei la sua mamma, così avrebbe potuto vivere per sempre con lei e le sue torte di carote.
Quel giorno però, non riusciva proprio a concentrarsi. Non riusciva a stare dietro a quel fiume di parole che fuoriusciva dalla bocca della sua insegnate.
L’incontro con quel bambino l’aveva resa inquieta.
Chissà perché aveva deciso di assecondarlo? Insomma, non era da lei dopotutto.
Sentì una leggera pressione sulla spalla, che, volontariamente, ignorò.
Chi si credeva di essere? Davvero credeva di avere con lei tutta quella confidenza soltanto dopo una corsa nel parco? Non che lei avesse corso nel parco con qualche altro bambino…
Stufa, Emma si girò, stando ben attenta a non farsi vedere dalla maestra e restando folgorata dal sorriso del bimbo dietro di lei. C’era una piccola finestrella, segno che il bambino aveva avuto di recente una visita del topino dei denti. Fortunato lui! Chissà cosa gli aveva portato…
Emma dovette trattenersi dal non sorridere anche lei; invece mise su l’espressione più corrucciata e stanca possibile per fargli capire di non insistere ancora. Con lei, non attaccava.
Il bambino fece scivolare sul banco un piccolo fogliettino che Emma raccolse al volo, timorosa che Zelena potesse sgridarli ancora.
 
Se vuoi sapere il mio segreto ci vediamo al cespuglio alla fine delle lezioni.
Ti mostrerò il mio mondo, Swan.
-K.

 
«Emma!»
Emma sussultò. La maestra Zelena l’aveva colta di sorpresa. Alzò lo sguardo, accartocciando il bigliettino tra le mani, decisamente troppo sudate.
«Vuoi ripeterci la storia del “Brutto Anatroccolo”, spiegandoci anche cosa si intende per morale? »
Fortunatamente conosceva quella storia e sapeva anche cos’era la morale.
Per tutto il resto della lezione Emma non si girò più e Killian non la infastidì.
La bimba continuava a fissare il grande orologio appeso in classe, proprio sopra la lavagna. Man mano che la lancetta si avvicinava alle dodici, il cuore di Emma batteva sempre più velocemente.
Andarci avrebbe significato dargli una chance, fidarsi, per la prima volta nella sua vita, di un’altra persona, per di più non-femmina.
Non andarci, invece, avrebbe significato forse perdere l’unica occasione per poter conoscere quel bambino misterioso e irritante, per poter scoprire, chissà, i punti deboli dei suoi compagni stupidi e potersi, finalmente, vendicare di loro.
La campanella suonò.
Emma raccolse le sue cose, ormai aveva preso una decisione.
Si voltò verso di lui, ma Killian era già scomparso.
 
«Regina, puoi scordartelo! Non indosserò un vestito per degli stupidi fornitori!» si lamentò Emma al telefono.
«Swan, per l’amor del Cielo, sforzati, per una buona volta, di toglierti di dosso quei jeans e quelle scarpe da ginnastica!»
«Ma sono comodi!» protestò Emma e in quel momento, si sentì tanto una bimba piagnucolona.
Regina sbuffò.
«Non ne sei capace, Swan? Ti chiedo solo di essere presentabile, tutto qui. »
La donna riattaccò ed Emma continuò a fissare lo schermo del cellulare per un bel po’. Regina sapeva bene quanto Emma amasse le sfide, così gliene aveva presentata una su di un piatto d’argento.
Ti stupirò, Regina.
Fosse l’ultima cosa che faccio.
 
Emma si incamminò verso la sua camera e cominciò a rovistare tra i suoi vestiti. Doveva ammettere che i suoi vestiti eleganti si limitavano ad un vestito nero, semplice, senza spalline con una gonna lunga fino al ginocchio e un vestito rosso, decisamente troppo attillato, che Regina le aveva regalato quando ancora nutriva qualche speranza riguardo il suo stile.
Li scartò entrambi.
Optò invece per un paio di pantaloni neri e attillati e un top bordeaux che aveva comprato qualche settimana prima in saldo. Completò il tutto con una collana e un filo di trucco.
«Mamma!»
«Che c’è Henry?» chiese la donna mentre fissava gli alti tacchi a spillo che Regina sicuramente si aspettava che indossasse.
«Regina è arrivata e mi ha detto di dirti di metterti i tacchi, immediatamente!» gridò suo figlio, trattenendo a stento le risate.
Emma sospirò. Raccolse tutte le sue cose, la borsa, le chiavi del maggiolino, il suo giubbino di pelle nera e diede un bacio ad Henry, raccomandandogli di fare il bravo. Infine si infilò quelle trappole mortali.
Regina gliel’avrebbe pagata.
Ringraziò mentalmente quel giorno in cui Henry la pregò di acquistare l’appartamento nel condominio con l’ascensore. All’epoca non credeva le sarebbe stato così utile.
«Swan, sono colpita! Hai fatto un buon lavoro…» disse Regina non appena si fu accomodata in macchina.
Emma le riservò un’occhiataccia. I piedi le facevano già male.
«Grazie, ho imparato dalla migliore!» disse, mal celando il suo tono sarcastico.
Regina se ne accorse ma non vi badò. Amava i complimenti al contrario della sua amica.
«Allora dove andiamo? »
«Al Blue Mermaid Restaurant» disse Regina, con un sorriso.
 
 


Salve a tutti! :)
Eccoci qui con il primo vero capitolo! Spero vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato! Aspetto i vostri pareri… :D
Per il momento abbiamo conosciuto meglio Emma, il suo lavoro e il suo rapporto con Regina! Mi diverte troppo scrivere dei loro battibecchi, spero piacciano anche a voi!
Tuttavia non potevo non inserire Killian in qualche modo! E così, assistiamo al primo incontro tra due bambini di dieci anni, già segnati dalla crudeltà del mondo.  
Le domande ora sono: chi ci sarà mai al Blue Mermaid Restaurant?  Cosa accadrà in quel ristorante? Che cosa sta combinando Killian nel frattempo? Che cosa Emma preferisce dimenticare? Che cosa è successo a Regina?  La piccola Emma ha seguito Killian nel bosco?
Spero di avervi incuriosito almeno un po’! :)
Mi dispiace avervi traumatizzato con il prologo, non era mia intenzione! Anche se mi ha fatto tanto tanto tanto piacere ricevere i vostri pareri, vi ringrazio tantissimo! <3
Fatemi sapere cosa pensate anche di questo capitolo! Il prossimo arriverà presto, devo rivederlo ma è già scritto. Vi dico solo che alcune delle domande di sopra, avranno una risposta!
Un bacio a tutti e alla prossima,
Kerri :*


Ps: il titolo del capitolo è un verso della canzone di Christina Perri "The Words". Ho visto il video 38943828! Ditemi che non sono l'unica! ^^"
Pss(l'ultimo lo giuro): pretendo il nuovo episodio!! Non ce la faccio più!! T.T 
   
 
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