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Autore: Sara Saliman    14/04/2015    12 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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L’Averno era più freddo della Superficie, sebbene fossi così tesa da notarlo appena. I pavimenti, ornati di ricchi tappeti color sangue, erano di marmo candido e solcato da nervature rosate, simili a una rete di vene sottilissime. Le pareti di onice nera assorbivano la luce azzurrina delle fiaccole, restituendo riflessi sbiaditi di me e Minta. Ma mentre il riflesso della ninfa, benché sfocato, rimaneva sempre uguale a se stesso, il mio riverbero sui muri era più sfuggente: il più delle volte mi somigliava, ma a tratti sembrava appartenere a una Persefone più alta e aggraziata, dall’incedere più sicuro.
Sono seguita dallo spettro di me stessa, pensai col cuore in gola, mentre appuntavo lo sguardo sulla veste bianca di Minta e resistevo alla tentazione di voltarmi, per accertarmi che il mio riflesso avesse proprio le mie fattezze e non quelle di una me stessa che non conoscevo.
Le torce disposte lungo la galleria spandevano una luce fredda e soffusa, ma la tenebra si annidava contro i soffitti a cassettoni, si chinava a spiarmi dalla sommità delle colonne di alabastro rosa.
Non incrociammo nessuno, ma sentivo occhi invisibili spiarmi. Sospiri di rimpianto, risatine sommesse e un continuo, incessante digrignare di denti esalavano dalle ombre dietro le armature.
Giungemmo a una scala di marmo costeggiata da statue, e cominciammo a risalirla. La penombra si riversò dall’alto sui gradini come un fiume impalpabile, lambendo le nostre caviglie.
La sagoma flessuosa di Minta mi precedeva nel buio: in un altro contesto l’ondeggiare sensuale dei suoi fianchi mi avrebbe fatto sentire piccola e brutta, ma in quel momento acceleravo il passo per starle dietro, con l’angosciosa sensazione che, se mai mi fossi persa da sola su quelle scale, in quei corridoi, sotto lo sguardo cieco di quelle statue, mani bianche e lattiginose sarebbero emerse dalle ombre e mi avrebbero afferrata, trascinandomi all’interno della superficie lucida dei muri.
Finalmente raggiungemmo una porta di bronzo, e capii che la mia richiesta di essere condotta da Ade era stata esaudita. Mi aspettavo che Minta continuasse a farmi strada, invece la ninfa gettò all’indietro i folti capelli corvini e si fece da parte. Mi lanciò uno sguardo terribile, sfidandomi a procedere oltre.
Per un istante rimasi in piedi, immobile davanti alla porta di bronzo. Infine, soffocando un tremito, poggiai una mano sulla maniglia lucida e fredda e la abbassai. Mi aspettai che un cigolio tradisse la mia intrusione, invece la serratura scattò senza un suono e la porta si schiuse scivolando sui cardini senza fare rumore. Silenziosa come un topolino, la aprii quel tanto che serviva a sgusciare oltre la soglia, e mi trovai in una sala rettangolare, rischiarata da un grande camino acceso e dalla luce opalina che filtrava dalle alte e strette finestre. Tre figure erano in piedi, chine su un lungo tavolo rettangolare: complici i miei piedi nudi, sembrava che nessuno dei presenti si fosse accorto di me.
-Minosse ha scoperto tre nuove crepe sulla superficie ghiacciata del Cocito.- disse il più basso e giovane dei tre. Indossava uno strano copricapo di piume nere e quando aggrottò le sopracciglia una linea sottile gli solcò la fronte liscia, gettando un’ombra di disappunto sul suo viso androgino.
-Sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto.- replicò lapidario il dio che gli stava di fronte. Il suo volto era asciutto e angoloso, le labbra sottili e severe. Aveva zigomi alti, sporgenti sulle guance emaciate, e l’espressione distaccata di un asceta. Un paio di ali piumate nascevano tra le sue scapole e il dio le portava incrociate sul petto, così che esse avvolgevano la sua figura come uno spesso mantello di penne corvine.
Tra i due, chino sul tavolo, scorsi un profilo puro che impiegai un istante a riconoscere. Ade non indossava mantello, giustacuore o armatura. Portava una casacca di velluto nero dagli inserti di cuoio e stava indicando qualcosa, sul piano del tavolo, con una mano affusolata che sembrava più adatta a impugnare una penna e intingerla in un calamaio, piuttosto che una spada. Per un istante ristetti, immobile, faticando a riconoscere in quella figura così dimessa quella dell’essere terrificante che mi aveva rapita.
-Rafforzeremo ulteriormente le difese.- stava dicendo in tono calmo. -Porremo fortificazioni qui, qui e…-
-Divino Ade, perdonate l’intrusione.-
Sussultai: mi ero completamente dimenticata di Minta. Mi voltai di scatto e le lanciai uno sguardo di rimprovero, ma Minta non parve affatto pentita per aver tradito la nostra presenza. Fissò il centro della sala come se io non esistessi: come se sperasse che, ignorandomi, avrebbe potuto cancellare la mia presenza. Quando mi voltai di nuovo verso il tavolo, mi trovai tre paia di occhi puntati addosso. Il desiderio di indietreggiare verso la porta per poco non mi sopraffece: a scoraggiarmi fu la consapevolezza che, per farlo, avrei dovuto avvicinarmi alla donna che tanto mi disprezzava.
Minta premette le mani in grembo e si inchinò con deferenza.
-Divino Ade, ho provato a dissuadere la vostra ospite, ma lei ha insistito perché la conducessi subito da voi.-
-Va tutto bene.- la rassicurò Ade. I suoi occhi neri erano puntati su di me con un’intensità vivissima, quasi dolorosa. -Benvenuta, Persefone.-
L’ovale pallido del suo viso era l’unica cosa familiare per me in quella sala: mi mossi in direzione della sua voce come per afferrarla e, stranamente, sentii che parte del mio nervosismo scivolava via, come una veste lasciata cadere sul pavimento e scavalcata con un passo.
Il dio con il copricapo di piume nere arricciò le labbra in un sorriso sornione, e due piccole fossette fecero capolino sulle sue guance tornite.
L’altro dio, quello col viso tutto spigoli e lineamenti taglienti, aveva un’espressione più difficile da decifrare.
-Così questa è la figlia di Demetra.- commentò. Il suo sguardo penetrante creava un vivido contrasto con la noncuranza della sua voce.- Molto graziosa.-
-Grazie,- risposi. Nonostante mi sentissi in soggezione, cercai qualcosa di gentile da replicare.-Tu hai davvero delle bellissime ali.-
Il dio fanciullo scoppiò in una risata languida e roca.
-Hai sentito, Thanatos? Impieghi secoli a farti una reputazione terribile, e una figlia dell’Olimpo ti smonta in due secondi!-
Guardai i due, arrossendo mortificata.
-Ho detto qualcosa di sbagliato?-
Ade scosse il capo.
-Niente di sbagliato.-Sollevò una mano pallida, il palmo rivolto verso l’alto. –Ti presento i miei più fidati consiglieri: Thanatos, la Morte…-
Il dio impassibile si inchinò rigidamente.
-…e Ipno, il Sonno.-
Il dio più giovane mi strizzò l’occhio, ridente, e il suo copricapo si aprì e si richiuse. Solo allora mi resi conto che ciò che portava sulla testa, e che avevo scambiato per un cappello, era in realtà tutt’altro: un paio di ali nere e lucenti che emergevano ai lati del suo volto e seguivano l’attaccatura dei suoi capelli dalla tempia fino alla nuca.
Sgranai gli occhi.
-Io ti conosco! Tu sei il dio che mi ha fatto addormentare!-
Ipno agitò una mano.
-Era mio dovere, cara: non c’è bisogno che mi ringrazi.-
Aprii la bocca per replicare che non lo stavo ringraziando, anche se certamente gli ero grata… il che significava che in effetti avrei dovuto ringraziarlo… ma Ade parlò prima che potessi incartarmi nelle parole.
-Credo che ci siamo detti abbastanza.- si rivolse ai due consiglieri.- Lascio pure a voi la scelta della modalità.-
-In verità,- protestò Thanatos -ci sono altre cose di cui dobbiamo ancora discutere…-
-…in futuro!- si affrettò a concludere Ipno, scandalizzato. Prese sotto braccio Thanatos e se lo trascinò verso la porta borbottando: -Ti prego, fratello! Dimmi che non devo spiegarti come e perché questi due vogliono rimanere soli!-
Erano così buffi che li seguii con lo sguardo, premendo entrambe le mani contro le labbra per non scoppiare a ridere.
Non appena la porta si fu chiusa dietro Minta, Thanatos e Ipno, la voce di Ade mi raggiunse come un refolo di aria fredda fra le scapole.
-Perdonali, di solito hanno più contegno.-
Mi voltai verso il sovrano dell’Averno, il sorriso che mi si congelava e infine mi si spegneva sulle labbra.
Se n’erano andati tutti: il mio rapitore ed io eravamo soli.
§§§§

Una mano appoggiata a sfiorare il piano di mogano e l’altra abbandonata lungo il fianco, Ade aggirò lentamente il tavolo, fermandosi a pochi passi da me. Mi fissava senza dire nulla, come fossi il cuore di un universo nuovo e sconosciuto. I suoi occhi neri, sorprendentemente penetranti, creavano un vivido contrasto con il diffuso pallore del suo viso.
-Perché mi guardi così?- domandai inquieta.
-Sto cercando di decidere cosa sei.-
-Non spetta a te stabilire cosa sono!-
Le labbra del dio si tesero agli angoli, le scurissime ciglia si abbassarono a ombreggiare gli zigomi.
Era irritato? Divertito? Avevo l’assurda sensazione che la mia risposta gli fosse piaciuta.
-Hai ragione,- concesse in tono blando. -non spetta a me.-
La sua espressione impenetrabile mi inquietava ed ero certa che lui lo sapesse, così fui presa alla sprovvista quando mi offrì uno scorcio del proprio stato d’animo, scegliendo con grande cura le parole.
-Sono molto… sorpreso. Non credevo che saresti venuta a cercarmi di tua iniziativa.-
Sentii il sangue affluirmi alle guance, il respiro accelerare.
-Certo che sono venuta a cercarti: desidero delle risposte!-
-Poni una domanda, allora.- suggerì Ade in tono di velluto. –I risultati potrebbero sorprenderti.-
Mi ritrovai a stringere i pugni.
-Prima di tutto, perché mi hai rapita?-
Mi aspettavo che negasse la gravità del gesto o almeno mostrasse un minimo imbarazzo, invece scrollò le spalle con grazia.
-Rapirti è stata una necessità. Non avresti accettato di seguirmi spontaneamente.-
-Come puoi saperlo? Non hai nemmeno provato chiedere!-
-Chiedere?- Ade sollevò le sopracciglia in un’espressione di puro sbigottimento. Poi chinò il capo e un tremito scosse le sue spalle. Sbettei le palpebre: il sovrano dell’Averno stava ridendo: non di scherno, rise proprio di cuore.
Rimasi esterrefatta da quel suono inaspettato e tutt’altro che sgradevole, ammutolita dal modo in cui quell’espressione gli illuminò per un istante tutto il viso.
Quando posò di nuovo lo sguardo su di me, il dio era già tornato all’abituale riserbo, ma uno scintillio indugiava sul fondo dei suoi occhi.
-A nessun Immortale verrebbe mai una simile idea. Siamo ciò che siamo, siamo ciò che rappresentiamo, siamo ciò che sappiamo di essere. In una parola, siamo déi. Prendiamo ciò che desideriamo e talvolta ci scomodiamo anche per meno: qualcosa o qualcuno che ci incuriosisce, che attira la nostra attenzione. - Ade scrollò le spalle. -Al pari dell’umano nella radura, tu mi appartieni: non mi sarebbe mai venuto in mente di chiederti cosa ne pensassi.-
Sentivo il cuore martellarmi il petto.
-Smetti di ripeterlo: è la seconda volta che lo dici! Io non ti appartengo! Riportami a casa!-
-Questo, dolce Persefone, non è proprio possibile.-
-Quando mio padre saprà che mi hai rapita verrà a riprendermi!-
-Certo, naturalmente.- Ade sollevò una mano in un gesto vago, elegante.-Tuo padre.-
Avrei voluto corrergli incontro e tempestargli il petto di pugni.
-Mi ascolti? Tu non puoi farlo! Non puoi strapparmi alla mia casa… a mia madre… e portarmi in questo luogo terrificante!-
Qualcosa di remoto, che non seppi definire, passò nel suo sguardo.
-Terrificante?- Il dio mi scrutò con un interesse che mi parve del tutto nuovo.-Dunque saresti terrorizzata?-
-Certo che lo sono!-
Ade mi tese una mano bianca e affusolata: la guardai trattenendo il respiro, senza osare avvicinarmi.
-Lascia che ti mostri una cosa.- suggerì in tono serico. -Se mi sto sbagliando, ti riporterò in Superficie oggi stesso. Lo giuro sullo Stige.-
-Lo stai dicendo per blandirmi!-
-Le mie intenzioni sono irrilevanti. Un giuramento sullo Stige è sacro, e io ne ho appena formulato uno.-
Mi strinsi nelle mie stesse braccia.
-Mi stai ingannando!- quasi gridai, fissandolo dritto negli occhi. -Non so in che modo, ma so che lo stai facendo!-
Un muscolo si contrasse sulla sua guancia, ed ebbi la sensazione che la mia accusa lo avesse ferito.
No, mi dissi. Non è proprio possibile.
Buffo come i gesti più piccoli, sommati gli uni agli altri, possano dare inizio a catene di eventi sempre più grandi che ci renderanno chi siamo. Forse, se avessi rifiutato quella mano, adesso racconterei una storia diversa. Invece scivolai verso Ade con riluttanza e lasciai che le sue dita fredde si chiudessero sulle mie.
Mi guidò verso lo specchio che campeggiava sul caminetto. La superficie d’argento ci riflettè entrambi: una fanciulla bionda e minuta, dagli occhi colore della terra smossa, che cercava di portare con dignità emozioni più grandi di lei; un dio nel fiore degli anni, selvaggi capelli di tenebra a incorniciargli il viso, e occhi che sembravano troppo vivi su un volto mortalmente pallido.
Ade scivolò alle mie spalle, lasciando la mia mano. Per un istante, quando quel fragile contatto si interruppe, mi sentii perduta: catturata dall’occhio dello specchio e inchiodata ad esso dal mio stesso sguardo. Ero insieme la farfalla morente e lo spillo che la trapassava.
-Osserva.- disse Ade, guardandomi attraverso lo specchio. Il suo viso era un ovale bianco incorniciato di nero, che sovrastava il mio. -Con quale sguardo fronteggi il sovrano dell’Averno. Osserva la linea tra le tue sopracciglia, le tue labbra serrate, le tue spalle contratte. Ascolta il tuo respiro concitato, il cuore che pulsa nelle vene del tuo collo.- Ade si chinò sopra la mia spalla. Le parole si srotolavano suadenti sulla punta della sua lingua, attraverso la sua bocca, per lambire infine il mio orecchio. Sebbene non mi stesse toccando, sentivo contro la pelle sensibile del collo il tepore serico delle sue labbra. -Dee più antiche di te, al tuo posto, sarebbero rimaste a tremare nella propria stanza finché il loro rapitore non le avesse raggiunte o le avesse mandate a chiamare. Al più, avrebbero tentato di fuggire. Tu no: tu sei venuta a cercarmi, esigi da me delle spiegazioni. In questo momento non c’è un briciolo di paura in te. Se volessi dare un nome a quello che vedo, direi che sei arrabbiata.-
Trasalii come se mi avesse schiaffeggiata.
-Io… arrabbiata?-
Ade fece un passo indietro, sparendo dalla superficie d’argento, e allora fui io a voltarmi verso di lui e a cercare il suo sguardo.
-Che cosa puoi saperne tu della paura?- mi rivoltai come una bestia ferita.
Il dio scrollò le spalle con eleganza, come per lasciarsi scivolare di dosso la mia accusa. Si appoggiò al piano del tavolo, stringendone i bordi con entrambe le mani. Mi fissò con aria assorta, e all’improvviso sperai che non mi rispondesse, che reputasse la mia domanda troppo sfacciata per degnarla della propria regale attenzione. Invece, dopo un lungo istante, prese a raccontare:
-Quello che io so sulla paura, l’ho imparato molto presto dal mio stesso padre. Fu così anche per i miei fratelli e sorelle, anche se a volte, guardandoli, ho il sospetto di essere l’unico a ricordare come fosse. Eravamo schiacciati l’uno sull’altro in un luogo stretto e buio, così caldo, umido e maleodorante da rendere doloroso anche solo respirare. Gli acidi vischiosi nel ventre di Crono ci bruciavano la pelle, la gola e gli occhi: dopo un po’, tenerli chiusi divenne inevitabile. Eravamo stretti gli uni agli altri in quel buio che si contraeva, impregnati dello stesso odore e sudore e delle stesse lacrime. Eravamo immortali e anche nostro padre lo era, per cui per quel che ne sapevamo, la nostra tortura sarebbe durata per sempre. Estia ci abbracciava con dolcezza incrollabile. Consolava ognuno di noi, ma io potevo sentire il dolore e il panico che riusciva a celare a tutti gli altri.- Ade si voltò a fissarmi assorto, come se riemergesse a fatica da profondità oscure, riluttanti a lasciarlo andare.- Demetra c’era, ma capisco da come mi guardi che non te ne ha mai parlato. Forse sono davvero l’unico a ricordare.-
Sentir pronunciare il nome di mia madre in quel contesto, da quelle labbra esangui, mi fece tremare. Mia madre col suo sorriso luminoso e i profumati capelli color grano. Mia madre, che era la dea più generosa e piena di vita che conoscessi.
Mia madre aveva davvero vissuto una cosa così orribile?
Conoscevo la storia: anche lei era stata prigioniera nel ventre di Crono insieme a tutti gli altri. E no, non mi aveva mai parlato di quei giorni – di quegli anni – né io l’avevo mai razionalmente messa in relazione a quegli eventi.
Troppe mie convinzioni si stavano sfaldando una dopo l’altra. Ade era l’aratro che lasciava il solco, e io non ero più terra solida e compatta, ma zolla rivoltata.
-Io non mi arrabbio mai.- dissi con voce esile. Mi sembrava l’unica certezza a cui potessi aggrapparmi, con la stessa spasmodica fermezza con cui avevo cercato di prolungare l’esistenza dei miei fiori ormai appassiti.
-Eppure adesso lo stai facendo.- constatò Ade.
Potevo davvero negarlo?
Fin dal primo istante aveva parlato per confondermi, eppure tutte le sue osservazioni erano veritiere. Chinai il capo, sconfitta.
-Hai ragione, dopotutto non sono più così spaventata. Il che rende nullo il giuramento che hai fatto. Ma del resto sapevi di avere ragione, o non avresti giurato.-
Ade non commentò la propria vittoria né la mia sconfitta. Disse invece:
-La creatura arrabbiata e determinata che ho intravisto somiglia ben poco alla Kore pavida e indifesa di cui avevo sentito parlare. E allora, dolce Persefone, torniamo alla spinosa domanda di prima: se non sei la Kore timida e inerme, che cosa sei?-
Non era brutale né tantomeno crudele, ma incideva preciso, come un coltello affilato.
Lo guardai avvilita.
-Perché mi vuoi qui?-
Ade si staccò dal bordo del tavolo e ne indicò la superficie con la mano aperta.
-Lascia che ti mostri l’Averno.- sussurrò.
Seguitai a fissarlo, senza muovere un passo per avvicinarmi.
Il dio sollevò il mento verso di me: una luce che avrebbe potuto essere divertimento si contorceva in fondo ai suoi occhi.
-Non vuoi capire qualcosa di più di questo luogo che trovi così estraneo?-
Con un tremito realizzai che aveva nuovamente ragione: io volevo capire. Ade se n’era accorto ancor prima di me e si offriva di esaudire quel desiderio nemmeno formulato, usandolo naturalmente a proprio vantaggio.
Vacillai, sopraffatta dalla sensazione di stare combattendo una lotta impari, la cui posta in gioco neppure conoscevo.
Mi avvicinai al tavolo di mogano e vidi che sulla sua superficie era in realtà incisa una mappa. Ade ne indicò le linee salienti.
-L’Averno è circondato dall’Acheronte, e strutturato in cerchi concentrici. Come hai visto, le Ombre vengono traghettate da Caronte nell'Anticamera del Sottosuolo, dove vengono giudicate da Minosse. L'Averno vero e proprio inizia subito dopo l'Anticamera, con lo Stige, la palude Stigia e i Campi del Pianto. Subito all’interno si estende il Prato degli Asfodeli, dove risiede la gran parte delle Ombre dei mortali. Ancora più internamente, circondate dal placido letto del fiume Lete, ci sono le Isole dei Beati, o Campi Elisi. Esattamente al centro di questi, si trova la collina sotterranea su cui dimoriamo noi dèi inferi, e il lago ghiacciato del Cocito, sotto il quale si spalanca la voragine del Tartaro.-
Guardai la mappa, sfiorandone la superficie con le dita.
-Dunque le Ombre degli umani abitano tutto l’Averno, mentre gli dèi inferi, pur andando e venendo a piacimento, vivono perlopiù sulla collina. Esattamente come gli dei superni, pur andando e venendo a piacimento nelle terre degli uomini, abitano perlopiù sull’Olimpo. A vederlo così, il Sottosuolo sembra un riflesso della Superficie.-
Sentii Ade scivolare alle mie spalle.
-L’intuizione è corretta, ma puoi andare oltre.- Sentii il suoi capelli di tenebra solleticarmi la guancia, le sue labbra sfiorarmi l’orecchio. –Immagina, Persefone: se non esistesse alcuna cornice, ma solo uno specchio infinito, come potresti dire da quale parte dello specchio ti trovi? Come potresti dire quale dei due mondi sia reale, e quale riflesso? Se non ci fosse modo di distinguerli, si rifletterebbero l’uno nell’altro, ma sarebbero entrambi reali.-
La voce di Ade era suadente e ipnotica, le sue parole mi avvolgevano lentamente in spire. Non capivo dove volesse condurmi, ma una consapevolezza vibrava in ogni fibra del mio essere: il dio avrebbe potuto usare la verità per stritolarmi, invece stava facendo in modo che ne venissi cullata.
Mi sottrai il terreno da sotto i piedi, e al tempo stesso hai cura di afferrarmi al volo.
Pensai a una voce simile alla sua, ma femminile. Pensai a Estia e a ciò che mi raccontava nelle lunghe sere accanto al focolare: le storie di noi divinità, il modo in cui gli umani ci vedevano e ci rappresentavano, e che le parole di Ade stavano collocando in un tutto coerente, nel contesto del quale acquistavano un senso preciso.
Mi balenò in mente un pensiero strano: noi dèi non narravamo storie sul nostro passato, sul nostro presente o su noi stessi; erano gli umani a farlo.
Erano forse, gli umani, uno specchio nello specchio?
-Zeus Ctonio.- dissi in un soffio. Ade non disse nulla e io non mi voltai, e tuttavia lo sentii sorridere. -Gli umani ti chiamano “Zeus Ctonio”. Mio padre è “Zeus Olimpio”, Mentre Poseidone è “Zeus Ennosigeo”.-
-Continua.- mi invitò Ade. Avvicinò il naso ai miei capelli, aspirandone il profumo: la stessa cosa che aveva fatto in riva al lago Pergusa poco prima di rapirmi. E anche se non mi stava davvero toccando, e anche se io non potevo davvero vederlo, riuscivo a sentire gli angoli delle sue labbra curvarsi all’insù, riuscivo a percepire una luce di trionfo diluire l’oscurità nei suoi occhi.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla mappa: mi svelava maggiori dettagli man mano che ne percorrevo le linee.
-Tre sovrani, tre fratelli, tre Regni… tre realtà che si specchiano l’una nell’altra.- La voce mi si spezzava, eppure adesso vedevo: vedevo tutto così chiaramente che non potevo fare a meno di dirlo, per timore che la visione mi sfuggisse, o peggio: diventasse ancora più chiara e mi annientasse. -Zeus ed Era regnano sull’Olimpo, Poseidone e Anfirite negli abissi: il Mondo è diviso in tre Regni, ma solo due di essi sono retti da una coppia di sovrani.-
-Non più, mia dolce.- Le labbra di Ade mi sfiorarono una tempia, così vicine che potevo sentirne il calore.
Lui è davvero un serpente, realizzai. Non avrei dovuto lasciare che mi prendesse per mano.
Sentii le spire in cui venivo cullata serrarsi con dolcezza insidiosa: tutto quello che riuscii a fare fu socchiudere gli occhi e reclinare il capo all’indietro, mentre un brivido di resa e di aspettativa mi correva lungo la schiena.
Ade mi appoggiò le mani sulle spalle, le dita allargate in una presa rapace. Con un gesto delicato ma fermo mi fece voltare: mi ritrovai a fissare le tenebre, mi ritrovai a fissare i suoi occhi.
-Il Cosmo non si contrappone al Caos: piuttosto, lo contiene. Ma l'Ordine, per essere tale, richiede simmetrie.- Con un gesto cauto, il dio mi scostò i capelli dal viso e me li sistemò dietro l’orecchio con le punte delle dita. -Adesso anche l’Averno ha la sua coppia di sovrani.-
E senza attendere la mia risposta, si chinò sulle mie labbra e mi baciò.
§§§§

Note dell’autrice (altrimenti dette: ohibò, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo!):
Cari tutti, che posso dirvi? Ho avuto un bel po’ di skleri di cui vi risparmio la descrizione dettagliata, in favore di una pratica gif. Mi scuso se non ho risposto singolarmente a tutte le recensioni che avete lasciato: le ho lette e apprezzate una per una, e mi sono state di grande conforto mentre tiravo testate nel tentativo di riprendere la storia da dove l’avevo lasciata (allego altra pratica gif). Un sentito grazie a voi che avete letto, apprezzato, recensito e persino chiesto in pvt che fine avessi fatto.
E adesso poche note (ma, come sempre, ben confuse):
1- Il titolo del capitolo è un piccolo omaggio al Sandman di Gaiman.
2- in questo capitolo la storia comincia a capovolgere il mito e, pur ricalcandone i contenuti, a diventare... altro. Vorrei un po' sapere come vi sembra questo primo cambio di prospettiva: vi fa storcere il naso? state preparando i pomodori da tirare? Datemi un feddback prima che l'ansia mi uccida (e se io muoio, chi la scrive la storia? EH?)
3- Visto che siamo in tema di diapositive, vi passo due meravigliosi disegni di Ayami Kojima raffiguranti (secondo me) Ipno e Thanatos.

That's all, folks! Un abbraccio,
Saliman
   
 
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