Nick:
HollyMaster
Tributo:
Mags
Turno:
Ottavo
Titolo
Storia: Il silenzio del cannone
Genere:
Introspettivo
Raiting:
Giallo/Arancione
Note:
Ho utilizzato la morte del libro e non quella del film dove Finnick
urla disperato ilnome di Mags.
Non è una storia lunga, (quando mai le mie?!) ma spero possa comunque andare
bene. Diciamo che il non farla troppo lunga è stata una scelta voluta. La sua
morte è gia stata affrontata nei libri ed è una morte
veloce, improvvisa che non ci da il tempo di immagazzinarla come si deve. E
quindi ho cercato di mantenerla così, aggiungendo i pensieri di Mags, ovviamente. Il tema principale è quello del sacrificio,
che ha segnato la vita della Mags di cui ho
raccontato più o meno dall’inizio fino alla fine, appunto.
Ti
lascio alla storia.
Ci
svegliamo di soprassalto tra le nostre stesse urla di terrore.
La
pelle brucia e si gonfia in bolle innaturali e pulsanti. Ne ho la gamba
interamente ricoperta il dolore è talmente acuto e persistente che la mia vista
si annebbia. Per un attimo dimentico dove sono, ma la visione di Finnick che, trasportando Peeta,
comincia a scappare mi ricorda dell’Arena, dei 75esmi Giochi.
La
Ghiandaia Imitatrice mi solleva da terra allontanandosi dal luogo in cui
avevamo deciso di fermarci per riposare. Per sorreggermi mi tocca la gamba
dolorante e tutto quello che vorrei fare è urlare, liberare i miei polmoni,
come se potesse darmi un qualche tipo di sollievo. Ma non lo faccio, so che non
aiuterebbe me e di certo non lei.
Una
nube densa e grigiastra ha inghiottito i nostri giacigli e si sta scagliando
contro di noi come una valanga di morte mentre cerchiamo di scappare il più
lontano possibile.
La
Ghiandaia fatica, sento il suo cuore pompare all’impazzata chiedendo sempre più
sangue; rallenta.
E’
solo una ragazza.
Mi
guardo alle spalle.
La
nube ci segue senza dare alcun segnale che si fermerà mai, ed è in quel preciso
momento che comprendo che presto dovrò fare quello per cui sono entrata in
quest’Arena.
La
sento parlare con Finnick, non vuole lasciarmi
indietro ma sa che non riuscirà a trarmi in salvo. E’ combattuta e la
comprendo. Per me è stato lo stesso con l’Elenco Bianco, ma per lei non ci
saranno scelte così ardue da prendere.
Quando
sono entrata nell’Arena sapevo che non ne sarei uscita.
Era
la Ghiandaia che doveva sopravvivere, vincere per poter portare avanti la
rivolta che rappresentava.
Quella
rivolta che egoisticamente mi sentivo di aver iniziato e portato avanti, per
quel che potevo. Nonostante gli errori, con Caleb, con l’Elenco Bianco e tutti
quelli che avevo mandato a morire.
Ero
felice di essere riuscita a conoscere ed aiutare colei che avrebbe riportato la
giustizia a Panem. Forse era quella la punizione per essere caduta nella rete
di Snow, per aver ceduto alle sue minacce. Ma mi
sarei sacrificata volentieri, per lei, per Finnick,
per tutto quello che rappresentavano.
Mi
ero sacrificata per Annie, offrendomi volontaria al suo posto, perché avevo
visto nel suo sguardo perso negli occhi di Finnick,
lo stesso mio quando i miei occhi incontravano quelli di Bellamy.
Mi
sarei sacrificata per Katniss, perché nel suo sguardo
vedevo lo stesso mio quando avevo deciso di lottare per i Tributi.
Mi
avvicino a Finnick e senza dire una parola gli stampo
un dolce bacio sulle labbra ancora zuccherate.
Sa
che è un addio. Non mi ferma.
Sa
che credo in lui e in Katniss, sa qual è la sua
missione.
Riprende
a correre, senza versare una lacrima.
Sono
davvero fiera di lui.
Di
nostro figlio.
Mi
incammino contro la nube mentre la Ghiandaia, sconvolta dalla mia decisione,
decide di rimettersi alla rincorsa di Finnick, che
sosteneva ancora il corpo di Peeta.
Mentre
mi muovo verso quella nebbia grigiastra un macabro sorriso si dipinge sul mio
volto pensando che il mio cuore non sobbalzerà più all’orribile suono del
cannone, perché quando suonerà le mie orecchie saranno sorde.
La
nube si avvicina.
Ne
vengo immersa.
La
mia pelle si gonfia, si riempie di pustole pulsanti e dolorose.
Le
mie gambe non riescono più a sorreggere il mio peso e decido che va bene così.
Mi
accascio a terra e finalmente capisco perché noi Tributi rimarremo tali per
sempre. Il mio ultimo pensiero non si rivolge né a Finnick,
né ai miei genitori, né a Bellamy, ma a Cornelius Snow: l’uomo che aveva rovinato la mia vita, a cui davo
tutte le colpe della mia infelicità.
L’uomo
che ora, ero sicura, rideva della mia morte.
Ed
era così che me lo immaginai, sorridente, con gli occhi spalancati in
un’inquietante espressione ghiacciata nel tempo mentre la freccia di Katniss Everdeen, quella che
rappresentava tutti noi Tributi, gli trafiggeva il cuore.
Lì,
stesa a terra, tra la nebbia più fitta, senza riuscire a vedere nulla tranne il
grigio cupo di quella nube chiusi gli occhi abbandonandomi al semplice dolore,
consapevole che non avrei sentito il sordo suono del cannone che annunciava la
mia morte rimbombare nell’Arena.