Libri > Omero, Varie
Segui la storia  |       
Autore: IrethTulcakelume    15/05/2015    1 recensioni
E' vero, anche i principi piangono di fronte al mare. Ma se c'è qualcosa di più vero ancora, è che perfino il mare ha imparato a piangere di fronte a loro.
Un amore che varca i confini tra giusto e sbagliato. Due nemici, finora troppo ciechi per vedere quanto questo confine sia labile. Ma la verità fa male.
La verità uccide.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Ettore, Patroclo
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PICCOLA PREMESSA: Dunque dunque dunque (dds piange)... questo capitolo mi sta molto a cuore. Da qui in poi ci sarà una svolta e, mi dispiace moltissimo dirlo, ma credo che tra tre... quattro capitoli, questa storia giungerà al termine. Ma non disperiamo! Deprimiamoci piuttosto per il capitolo... E' abbastanza incasinato, è tutto un rimbalzare da un punto di vista a un altro, quindi ho messo i nomi a ogni cambio. Volevo come al solito dedicare il capitolo alla mia beta vitadiunalettrice e a un'altra persona che capirà i motivi di questa dedica appena leggerà il capitolo.
Va be'... ciancio alle bande bando alle cance, vi lascio al capitolo!



 
Capitolo VI
 



Patroclo
Era tutto insopportabile, insostenibile… troppo. Stavo per scoppiare.
Appena Ettore se n’era andato, ero tornato nella mia tenda, forse per riflettere, forse per continuare silenziosamente la mia tortura auto-inflitta. Achille non era venuto a cercarmi.
Non dovresti stupirti, lui ora ama Ettore.
Ero davvero patetico: avevo preso a pugni tutto ciò che avevo trovato nella mia tenda fino a farmi sanguinare le nocche, non riuscivo a fermarmi – non volevo fermarmi. Non ero riuscito a smettere nemmeno quando mi ero accorto di essermi fratturato la mano sinistra, o quando calde lacrime avevano iniziato a solcare il mio volto, percorrendomi il pomo d’Adamo, andando a finire sul mio petto e perdendosi sul mio corpo, o bagnando il suolo.
Mi sentivo distrutto. Che cosa mi resta adesso? Che cosa mi rimane? Sono un nulla, a cui non è stato concesso di essere all’altezza del proprio amore, che cosa mi resta?(*) Queste domande continuarono a rimbombare nella mia testa, non c’era modo di scacciarle.
Mi fermai solo quando, troppo lacerato dal mio dolore, rimasi appoggiato con un pugno chiuso a un’anta dell’armadio, la testa china, gli occhi chiusi che non volevano vedere come mi stavo riducendo.
Scivolai per terra, portando la mia schiena contro la superficie legnosa. Mi addormentai così: premuto contro l’anta, le gambe lievemente piegate, le braccia abbandonate lungo i fianchi in una posizione scomposta.
Inaspettatamente, però, la notte mi riportò un po’ del coraggio e dell’orgoglio che avevo perso la sera prima. Mi sentivo sollevato, come se il tempo trascorso, per quanto ridotto, avesse allontanato ciò che avevo visto, rendendo i ricordi più nebulosi, meno reali.
Mi venne un’idea, forse folle, forse inutile. Prima che quello sprazzo di determinazione se ne andasse nuovamente lasciandomi da solo a combattere contro i miei sentimenti, mi recai nella tenda di Achille. Lo trovai che stava suonando la lira: avevo sempre amato ascoltarlo, mi infondeva una calma e una tranquillità che nient’altro era capace di darmi nei momenti di maggiore sconforto. E anche dopo ciò che avevo visto la scorsa notte, il dolce suono delle corde pizzicate mi fece sorridere. Restai a guardarlo per qualche secondo, come se dovesse essere l’ultima volta, e lui non si accorse della mia presenza, troppo concentrato sulla musica.
Quando terminò il brano, aprì gli occhi – li chiudeva sempre quando suonava – e mi vide. Il suo viso si distese in un sorriso tirato, falso, quasi colpevole, e in quel momento mi chiesi come avevo fatto a non accorgermi di come avesse cominciato a nascondersi dietro a una maschera anche con me. Mi fece male rendermene conto, ma feci finta di niente, mentendo. Dopo tutto, avevo imparato dal migliore.
- Cosa ti porta qui, Patroclo? – mi chiese.
La disperazione. – Devo parlarti. Sono settimane che manchi dalle battaglie, gli Achei ne risentono molto, Achille. Tanti dei nostri migliori guerrieri sono morti o giacciono gravemente feriti. Tutto questo non ti tocca minimamente?
Lui mi guardò con fare sconsolato, interrompendomi. – Mi hai già fatto mille volte questo discorso, cosa ti fa pensare che questa volta accetterò di tornare a combattere?
L’hai già fatto. – Aspetta, non voglio chiederti di riprendere gli scontri. Basterebbe che tu mi prestassi le tue armi e che io facessi credere di essere te. I nostri compagni sarebbero rincuorati e combatterebbero più fiduciosi, mentre i nostri nemici sarebbero terrorizzati pensando che tu sia tornato nelle nostre fila.
- No – mi rispose perentorio.
- Perché? – Perché vuoi togliermi la mia unica possibilità di riscatto? Indossare le tue armi sarebbe per me l’unico modo di sentirti ancora vicino…
- Rischieresti la tua vita. Non potrei proteggerti, non mi sento tranquillo a lasciarti combattere da solo – La sua voce era colma d’affetto… per un momento, riacquistai le speranze. Forse non tutto era perduto, non ancora.
Mi avvicinai a lui, ancora seduto con la lira stretta gelosamente tra le braccia, e gli sorrisi. – So badare a me stesso, non c’è bisogno che ti preoccupi per la mia incolumità. Sono cresciuto ormai, e sono stato addestrato dal migliore tra i guerrieri greci, no?
Achille sogghignò compiaciuto: in fondo gli piaceva essere elogiato. – Mm… forse potrei accettare, ma a una condizione.
- Tutto quello che vuoi – Ti darei tutto. L’ho già fatto, quindi che problema c’è?
- Dopo che avrai fatto scappare un po’ di Troiani, fermati e torna indietro. So che sei perfettamente in grado di combattere, ma non voglio mettere a repentaglio inutilmente la tua vita.
Il suo sguardo esprimeva tutta la sua preoccupazione nei miei confronti. Dopo qualche istante si alzò e mi venne incontro, abbracciandomi dolcemente, e io ricambiai la stretta.
- Torna da me, ti prego – mi sussurrò all’orecchio.
Sorrisi. – Va bene, tornerò. – Tornerò per te.
- Me lo prometti? – Rafforzò la stretta attorno alla mia schiena.
- Te lo prometto.
 
***

Achille
La richiesta di Patroclo mi aveva messo in difficoltà: non sapevo perché, ma avevo un cattivo presentimento. Tuttavia, la sua determinazione mi aveva convinto ad accettare, ponendo la condizione che tornasse dopo aver messo in fuga i Troiani.
Anche se riponevo grande fiducia nelle sue doti di guerriero, mi sentivo inquieto, come se un grosso peso gravasse sul mio petto.
Non potevi immaginare che quel peso non fosse sul tuo petto, ma sulla sua testa.
Cercai di scacciare quei pensieri, e imbracciai nuovamente la lira, come sempre facevo nei momenti di maggiore inquietudine. Iniziai a pizzicare le corde con lentezza: una melodia triste, insegnatami quando ero ragazzo, quando ancora vivevo a Ftia.
Era la canzone che Patroclo preferiva tra tutte.
 
***

Ettore
Un’altra giornata di combattimenti, un’altra alba tinta di sangue, un altro sole infuocato, soffocante. Quella sembrava essere una giornata come tutte le altre, una giornata dipinta di rosso da un pittore crudele. Poi, in lontananza, un nostro compagno urlò terrorizzato: - Comandante! Comandante! Achille è tornato in battaglia!
A quelle parole, mi lanciai nella direzione indicata dal soldato. Dovevo essere io il primo a giungere, altrimenti qualcuno avrebbe potuto ucciderlo. Non sapevo ancora come, ma dovevo salvarlo a tutti i costi: non potevo perderlo proprio ora che avevo capito di amarlo. Proseguii, finché non vidi un luccichio più forte degli altri risplendere tra le armature degli Achei: non c’erano dubbi, erano sicuramente le armi di Achille. Sembravano quasi emettere luce propria tanto rilucevano sotto il sole cocente. Combatteva come una furia, non si fermava un secondo, mieteva vittime tutto intorno a sé, quasi fosse animato da un’ira folle.
 
***

Achille
Il ritmo della canzone si fece più rapido, incalzante, come un guerriero che si lancia in battaglia sicuro della vittoria. Le note erano un continuo su e giù, i movimenti della mia mano si facevano sempre più rapidi, fino ad arrivare a un punto di sospensione. Mi fermai, le dita ancora tremanti a una distanza quasi infinitesimale dalle corde.

 
***
 
Ettore
Mi avvicinai sempre di più, quasi spaventato: c’era qualcosa che non andava. Non avevo mai visto Achille combattere in quel modo in quei dieci anni. Non era l’ira a costringerlo alla lotta, mi resi conto: era la disperazione, una disperazione cieca, e io non capivo il motivo di questo cambiamento improvviso. Cos’era mutato in quella notte? Che cosa aveva provocato in lui questa reazione?
Continuai a procedere, finché non gli fui di fronte. Allora capii: quegli occhi, quegli stramaledetti occhi, non erano i suoi. Erano di un azzurro glaciale, colmi di angoscia e allo stesso tempo di un freddezza matematica, calcolatoria, privi di quelle sfumature violacee che avevo imparato a riconoscere.
Ecco qual era il suo nome. Patroclo. Un macchina da guerra.
 
***

Achille
La canzone riprese il suo ritmo iniziale, lento e triste, ma con una sfumatura più angosciosa, quasi consapevole che presto avrebbe riacquistato la velocità di prima. Era uno dei momenti che più amavo: quel modo strascicato di procedere mi lasciava sempre a bocca aperta.

 
***

Ettore
Stava compiendo una strage, dovevo fermarlo: non gli avrei permesso di uccidere i miei uomini lasciandolo impunito. E poi… stava indossando le sue armi. Che diritti vantava su di lui? Come osava fare sfoggio di un oggetto così personale? Come osava fingere di essere Achille?
Sentii la rabbia montare dentro di me, come il cavallone di un onda che si alza imponente, e mi lanciai contro lui, ingaggiando un duello all’ultimo sangue. Mi riconobbe subito, e un sorriso compiaciuto si dipinse sul suo volto: credeva di avere la vittoria in pugno, difeso dalle divine armi di Achille.
Povero illuso.
Lo ferii più volte, la battaglia era equilibrata, ma a un certo punto lui mi colpì con la spada nella zona vicino all’addome, e io persi l’equilibrio, ma non cedetti. Rimasi in piedi, fermo, il busto lievemente piegato in avanti per il dolore, e resistetti.
Improvvisamente, sentii la ferita cicatrizzarsi; strabuzzai gli occhi, ma subito una voce profonda mi parlò. Sembrava provenire da ogni parte, come avesse il dono dell’ubiquità. Non temere, principe Troiano. Febo Apollo è dalla tua parte, l’Acheo non può torcerti un capello.
Guardai per qualche istante Patroclo. E ora come farai a vincere?

 
***

Achille
Di nuovo, la musica cessò. Una pausa più lunga dell’altra, più carica di tensione, quasi di aspettativa. Sfiorai con la punta delle dita alcune corde contemporaneamente, e sentii la tensione fluire nel mio sangue.

 
***

Ettore
Sentii una forza sconosciuta invadermi le membra, come un fuoco che divampa durante un incendio. Imbracciai la lancia con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto, e in quel momento seppi che chi l’aveva disegnato era lo stesso artista sanguinario che aveva tracciato con il suo pennello le lunghe giornate colorate di rosso di quegli anni di assedio.
 
***

Achille
Le note incalzavano di nuovo, diventavano rapide, dolorose. La fine della canzone si stava lentamente ma inesorabilmente avvicinando. Pensai a Patroclo, e mi chiesi se stesse già tornando, se fosse riuscito nel suo intento. Poi, inevitabilmente, la mia mente corse a Ettore; sperai che stesse bene, che non fosse ferito gravemente.

 
***

Ettore
Mi avvicinai al mio avversario: il sangue gli colava dalle ferite che gli avevo inferto precedentemente.
- Cosa credevi di fare indossando le sue armi?
Schivò il mio colpo, ma riuscii comunque a ferirlo di striscio
- Ti avevo avvertito di stare attento a ciò che facevi la scorsa notte – sibilai, pieno di un risentimento che non avevo mai provato in vita mia. Forse non mi udì, ma non mi interessava: l’unica cosa importante era vedere il terrore cieco nei suoi occhi.
- TI AVEVO AVVERTITO! – Questa volta urlai, e mentre stringevo saldamente nella mia mano la lancia ero quasi in grado di vedere Atropo, l’ultima Moira, “l’inflessibile”, avvicinare le lame al filo della vita di Patroclo.
- E adesso, muori. – Affondai la punta della mia arma nel suo fianco, dove l’armatura lasciava scoperta la pelle. Cadde come un albero reciso alla base, troppo debole per reggersi da solo, colpito troppo in profondità per sopravvivere. Il sangue iniziò a sgorgare copioso dalla ferita mortale che gli avevo inferto, zampillava dalla sua bocca. Prima che la sua anima raggiungesse il regno di Ade, un ultimo sussurro lasciò le sue labbra screpolate. – Non sai a cosa vai incontro.
 
***

Achille
Con gli ultimi accordi, la canzone terminò, ma io esitai, come ogni volta, a lasciare la lira. La tenni tra le mani ancora per qualche secondo, cara compagna di giornate trascorse in solitudine tra le mura del palazzo di Ftia, poi la appoggiai sullo sgabello su cui mi ero seduto e mi avviai fuori dalla mia tenda.
C’era uno strano trambusto, gente che piangeva, che si strappava i capelli. Mi avvicinai correndo, e quello che vidi mi fece crollare in ginocchio.
Una sola domanda aveva trovato un varco nella mia mente colma di cieco dolore. Chi?
 
***
 
Ettore
Quando Patroclo morì il sole era alto, ma io sentii ugualmente un brivido correre lungo la mia schiena. Rimasi a lungo lì, immobile, anche quando portarono via il suo corpo esanime.
Aveva ancora gli occhi aperti.

 
 
 
 
 
(*) citazione tratta dall’episodio 67 di Saint Seiya “Battaglia senza vincitori”. Eh… niente, io ho una malattia per quell’episodio (e per quella canzone! Dai, sfido chiunque a non amare “Sorrow”, è meravigliosa), non potevo non trovare un buco per queste frasi. Anzi, sapete cosa faccio ora? Vi metto il link di questa canzone, perché io la amo e la amate anche voi. Io lo so. https://www.youtube.com/watch?v=43uPlJ4gVec
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Omero, Varie / Vai alla pagina dell'autore: IrethTulcakelume