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Autore: Final_Sophie_Fantasy    25/05/2015    5 recensioni
Il Fato creò gli Dei; gli Dei l'Universo. La pace saturò in guerra; la guerra frantumò mondi e li convogliò in una dimensione. Un ciclo destinato a durare in eterno, Armonia e Discordia in lotta tra loro. Guerrieri convocati per porre fine al conflitto. Al tredicesimo ciclo, lo scontro sembra giungere al termine con la sconfitta della Discordia. Ma poiché senza l’ordine non si distinguerebbe il caos, senza quest’ultimo il primo cesserebbe. Così Shinryu tornò a purificare i guerrieri, invocati di nuovo a combattere al fianco dell’Armonia e della Discordia. Ma questa volta agli Dei è sfuggito qualcosa… o qualcuno…
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Aggiunta Copertina
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Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentiva umido contro il corpo.
Una calma corrente d’aria fresca la investì, le riempì i polmoni del freddo che portava con sé, pizzicandole il naso minuto. Nelle orecchie il piacevole scrosciare dell’acqua, lieve come una goccia che cade in una pozza.
Glush… glush…
Le pareva una ninnananna che la istigava ancora di più al sonno. Per questo tenne gli occhi chiusi ancora per un indeterminabile lasso di tempo, a respirare quell’aria pura e fresca e ad ascoltare quel piacevole rumore dell’acqua che tranquillamente le bagnava il corpo…
Aspetta… ACQUA?! 
Si rese conto solo in quel momento che tutto quello non era normale.
Fu allora che sbarrò gli occhi, stupefatta. Le sue iridi acquamarina risplendettero mentre le pupille trasmettevano quell’immagine così surreale.
Un terreno bianco, duro come il pavimento, coperto da un velo sottilissimo d’acqua. Ma visto dal suo punto di vista, sdraiata con il ventre rivolto in basso, quel sottilissimo velo sembrava un mare infinito con le sue placide onde. Poi, con sua sorpresa, notò che tutto intorno a lei, fin dove l’occhio si perdeva, si alzavano grandi aste bianche e frammenti di pareti concave. Non sapeva che materiale potesse essere, pareva marmo bianco. Ma quelle costruzioni erano troppo immacolate per essere fatte di semplice marmo.
Si alzò che la testa le girava. Una volta in piedi, barcollò per poi riuscire a reggersi sulle gambe.
Si guardò ancora intorno. Il paesaggio era sempre lo stesso e pareva perdersi verso l’orizzonte dove però una spessa linea scura preannunciava un cambiamento.
Alzò lo sguardo e spesse nuvole grigie accolsero i suoi meravigliosi occhi. Si muovevano, lente. Poi si accorse di un particolare. Dovette aguzzare la vista per rendersi conto che la vista non la ingannava. Erano fasci di luce verde, grandi archi che tagliavano il cielo, scie luminose che lo percorrevano per poi finire sfumando.
Si chiese cosa mai fossero.
Smise di guardare in aria, le girava troppo la testa per guardare i particolari.
Ma che diavolo mi prende? Perché sono così confusa?
Guardò dentro di sé fino a quando non si rese conto di un fatto. All’improvviso sentì un vuoto profondo, sorto con un’unica, sola domanda.
Chi sono?
L’ansia le strinse il petto e dovette poggiarci una mano sopra, come se quella avesse potuto prendere forma di una bestia e divorarla fino al midollo. Si costrinse alla calma e rifletté. Ma più pensava e più si rendeva conto che non aveva ricordi. La sua memoria era azzerata. Non sapeva nemmeno come era fatta, non sapeva come fare per riconoscersi, fisicamente e mentalmente.
Aveva bisogno di fare qualcosa, qualcosa per riuscire a calmarsi, qualcosa che le facesse capire che era viva, che esisteva. Camminò, dritta. La direzione non la conosceva né le importava. Tutto ciò che voleva era un’identità.
Abbassò lo sguardo e vedere i suoi piedi scrosciare nel lieve velo d’acqua fu un enorme sollievo. Li guardò con attenzione, senza fermarsi, perché vederli muovere le instaurava un senso di sicurezza. E dopo esserseli gustati a sufficienza, a guardarli così elegantemente coperti da lunghi stivali stretti da lacci e che arrivavano fino al ginocchio allargandosi, abbassò ancora di più lo sguardo e fissò quel poco del suo corpo che riusciva a vedere. Era magra, i fianchi stretti. Era coperta da un vestito he però non riusciva a immaginarsi. Era di un verde bluastro scuro e s’allargava sul fondo con a destra ampi stracci di tela bianca che le solleticavano le gambe nude.
E camminava sempre.
Sul petto non riusciva a vedere molto. Solo che era scollato e che i bordi erano sempre fatti di quella tela stropicciata e bianca che le fungeva anche da spalline. S’accorse che sulle spalle aveva un piccolo spallaccio in ferro, leggero se ci pensava. Era meravigliosamente decorato con fregi e simboli. Rimase ad ammirarlo a lungo, affascinata da un oggetto che all’apparenza sarebbe sembrato semplice. Se solo lei avesse riavuto un qualche ricordo con cui paragonarlo, probabilmente non avrebbe reagito così. Fu così che sorse la seconda domanda.
Da dove vengo?
Si diede solo una certezza: quel posto, quel dannato luogo in cui stava vagando alla cieca, sicuramente non era casa sua. Camminò ancora, avvicinandosi sempre di più all’oscuro confine.
Si guardò le braccia magre e nude. La candida pelle rosea, per qualche motivo, le diede sconforto. Era come se si fosse aspettata qualcosa di più. Non quella semplice carnagione molle e rosa. E così fu per le mani eleganti e piccole. Specialmente sul dorso di esse si era aspettata qualcosa. E invece niente. Si sentì delusa. Non solo per quello, ma perché ancora non si era vista in volto.
Con le mani si toccò il viso ma non scoprì niente che le fosse essenziale.Solo che pareva avere lunghe ciglia, si ricordava il colore degli occhi, un naso piccolo e lunghi capelli. Guardò proprio le ciocche di questi ultimi. Avevano un colore stranissimo, tra il bianco, il biondo e il nero sulle punte. Se li toccò e li trovò meravigliosamente morbidi e soffici. Sulla fronte aveva una frangia mentre quelli lunghi erano raccolti da nastri in quattro codini sciolti, due grandi dietro e due più piccoli più avanti. I capelli erano mossi verso la fine.
Fattasi un’idea di come era, allora, e solo allora, guardò dove era arrivata.
Si bloccò, ferma come un masso.
Il paesaggio precedente era completamente sparito. Niente ora era rimasto del piacevole sciacquio dell’acqua. Solo il silenzio. I suoi piedi ora calpestavano  una roccia marrone, nuda  e dura. Una collina, ecco dov’erano. Una collina ripida che aveva salito senza nemmeno rendersene conto. Il paesaggio intorno era una landa desolata, con alte montagne vuote. All’orizzonte un mare grigio scuro, con alte onde minacciose che si infrangevano sulle coste frastagliate a nord e sulle spiagge deserte del sud. Non vi era anima viva nel raggio di chilometri.
Anche il cielo era cambiato e nel modo più assurdo immaginabile.
Da esso arrivava una luce finta, non c’era un sole ad illuminare quella terra. Le nuvole non permettevano di vedere oltre. E poi c’era quella angosciante suddivisione. Verso nord, dove enormi montagne appuntite parevano eruttare lava, il cielo si tingeva di rosso. Alle sue spalle, a sud, dove dolci terre, vaste pianure e eleganti montagne innevate modellavano quelle terre, il cielo era luminoso.
Rimase a guardare quel paesaggio suggestionarla, spaventarla, intimorirla. E quel silenzio di tomba accompagnava il suo.
Si voltò per guardarsi alle spalle.
Non volle credere ai suoi occhi. A lei era sembrato di aver percorso appena qualche metro e invece il paesaggio che poco tempo fa la circondava era addirittura svanito dietro l’orizzonte. Non era possibile. Un brivido le corse lungo la schiena. Si sentiva schiacciata da quell’atmosfera soprannaturale. Pareva che in quel mondo niente seguisse leggi fisiche, l’etica delle cose non aveva alcun valore. La geografia stessa non era logica.
Per un istante cercò di trovare una spiegazione logica ma presto si arrese. Niente le importava più che trovare cosa era lei.
Si voltò, lasciandosi alle spalle quanto non era capace di capire e prese a camminare, sicura solo su una strada. Su quella determinazione che nessuno poteva toglierle, a cui lei non avrebbe mai rinunciato.
Capirò chi sono. Ricorderò il mio nome e da allora non sarò più debole.

***

Arrivò su una collina ancora più alta, questa volta restando con i sensi acuti per accorgersi se qualcosa cambiava. Non accadde niente.
Aveva le gambe addolorate e per arrampicarsi su quella ripida collina si era graffiata le mani fino a farle sanguinare. Ma con fatica e sudore aveva terminato la scalata, giungendo in un punto abbastanza alto per poter scorgere ancora meglio il paesaggio.
Scorse le stessa lande di prima, continenti deserti. A sud le tranquille terre illuminate, a nord le spigolose montagne incandescenti. Le guardò con gli occhi fissi, meravigliata, ipnotizzata dalla loro forma che nella ente le muoveva qualcosa, parevano la fonte dei suoi ricordi. Così alte, imponenti, forti. Nessun vento sarebbe stato capace di eroderle. Sembravano lame che uscivano dal terreno e quell’aura rosso fuoco le faceva apparire  ancora più minacciose.
Aguzzò la vista e guardò oltre la coltre di gas. C’era una montagna, nascosta dietro il fumo e le basse, scure nuvole del nord. Era enorme, gigantesca, la cima svaniva oltre il cielo tempestoso. Oscura, trasmetteva una sensazione di terrore.
All’improvviso, sentì un rumore alle sue spalle. Passi metallici, un cigolare sinistro di ruggine. Spostò un piede per voltarsi, spaventata. Trovò il vuoto. Cadde indietro.

 



Ciao a tutti!
Ecco il secondo il capitolo. Lo so, vi starete chiedendo: " ma chi diavolo è sta qua di cui non sappiamo nemmeno il nome?". In effetti qui ho voluto introdurre lentamente il nuovo personaggio, passo dopo passo. Ho voluto curare di più i paesaggi e la loro stranezza, poiché la dimensione, come avrete capito e da come leggerete nei prossimi capitoli, non segue nessuna legge della fisica. La geografia stessa cambia, non spesso, ma lo fa.
Spero le mie descrizioni siano state sufficentemente chiare, la mia grammatica "italiana" e ovviamente che la storia vi stia interessando.
Al prossimo capitolo!
 

   
 
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