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Autore: alicecascato    15/06/2015    0 recensioni
Dal primo capitolo:“-Non finirà mai.”
“Chi te lo dice?” Ashton calciò un sasso ed esso finì dentro al lago,ed era proprio così la vita,tanto fragile da essere affogata con una sola spinta.
“Va sempre avanti,non si ferma mai.” guardai dritta davanti a me.
Sentii i suoi occhi puntati addosso come volessero trapassarmi.
“In realtà,tu potresti fermarlo.”
“Tu ne sei capace?” lo guardai con l'intenzione di entrargli dentro.
“No.” camminò più veloce e io rimasi ferma.
“E allora facciamolo insieme.” alzai la voce e lui si fermò voltandosi.
“Aspetta,che cosa? Io-”
“Salviamoci.”
Aveva il mondo negli occhi e tutto stava cadendo,cercai di afferrarlo al volo.
“Credi sia possibile?”
“Hai detto che io potrei farcela,farò in modo che anche tu ci riesca.”
Mi sorrise in modo elegante e composto,come cercasse di proteggere quell'equilibrio sterile,come se mi importasse.
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=8satmt7xMgs
Genere: Drammatico, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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L’inverno era ufficialmente iniziato, la pioggia colava lungo le pareti dell’istituto, gli alberi avevano perso tutte le loro foglie e l’asfalto era diventato nero come la notte.
Scesi dalla macchina di papà, il senso di colpa aveva attaccato il mio stomaco appena sveglia; doveva essere la nostra occasione per passare del tempo insieme, ma niente.
“Papà mi dispiace tanto.”
“Non ti devi preoccupare.” La sua maglietta grigia era piena di pioggia.
Lo abbracciai e mi avviai con la mia borsa su una spalla.
Quando mi voltai lui era ancora lì e mi salutò con la mano ancora una volta.
Entrai dall’entrata principale, il corridoio era deserto e le luci erano basse, se non per una, forte e potente, doveva essere la Sala Riunioni, da lì arrivavano delle voci ovattate.
A passi leggeri mi avvicini alla porta.
Riconobbi la voce di mia madre, feci per tornare indietro, ma poi ricordai a me stessa che non potevo scappare da lei per sempre.
Comunque non mi avrebbero mai fatta entrare, perciò salì le scale fin che non arrivai al piano della mia stanza.
La domenica è il giorno libero per tutti, molti vanno  a casa o escono con gli amici, ma forse quel giorno poteva essere diverso.
Mi risparmiai di bussare ed entrai direttamente.
Amber era ancora nel letto.
“Diamine Heather!”
Non riuscii a trattenermi e risi buttandomi sul mio letto.
Si voltò dall’altra parte, io necessitavo di una doccia più di qualunque cosa al mondo, e credetemi, non lo dicevo in senso metaforico.
Mi svestii ed entrai in bagno, aprii l’acqua e ci andai sotto senza dar troppo importanza al fatto che fosse fredda, avevo così tante cose a cui pensare eppure riuscivo a concentrarmi solo su Ashton, desideravo scrivergli ancora, il bisogno di sentire la sua voce ardeva in me incontrollabile, mi ritrovai con le unghie conficcate nelle cosce per cercare di sentire qualcosa che non fosse la mancanza.
 
 
 
Bussai alla porta della serra sebbene fosse aperta.
“Solo un secondo!” Gridò mia madre dal fondo della stanza.
La vidi nascondere una boccetta dal liquido viola dietro ad una pianta e sistemarsi i capelli.
Fui portata immediatamente a chiedermi se non stesse aspettando qualcuno.
“Okay, entra pure.”
Entrai nella stanza circondata da colori tropicali.
“Heather!” Esclamò con palese finto entusiasmo.
Lei rimase lì in piedi, con le braccia a penzoloni, un sorriso stiracchiato sulle labbra, senza avanzare di un solo centimetro.
Pensai a quello che mi aveva detto mio padre e a passi lenti e corti mi avvicinai a lei.
Quando fummo a meno di un metro di distanza, lei mi accarezzò una spalla e con un sorriso perfino più finto dei precedenti,  sussurrò:
“Sono davvero felice che tu sia viva.”
“Anche io.” Risposi senza dare troppa importanza alla durezza del mio tono, la sua freddezza mi rendeva così nervosa.
“Certo che lo sei.” Rispose lei senza sembrare minimamente toccata dalla scarsa confidenza che le riservavo.
“Aiuterò l’organizzazione, tu ci sarai vero domani?”
Avrei voluto altro per me.
“Sì certo, sono contenta che tu sia tornata prima da tuo padre.”
“Non mi importa quello che senti.”
Esattamente nel momento in cui finii la frase mi pentii di ciò che avevo appena detto.
“Giusto, a te importa solo di Ashton.” I lineamenti del viso le si erano induriti, lo sguardo era gelido.
“No, non farmi questo.”
“Non farmelo tu, Heather.”
“Ho desiderato una mamma ogni giorno della mia vita, e mi sono rassegnata al fatto che probabilmente non ne avrò mai una, e mi va bene così e so di essere fortunata per quello che ho, ma non raccontarmi bugie, o fare finti sentimentalismi come se ti importasse davvero qualcosa, perché mi viene voglia solo di vomitare.”
Le guance mi diventarono rosse e sentii la testa girarmi.
“So di non essere stata la madre migliore del mondo, ma tutto quello che ho fatto è stato per te, per il tuo futuro.” Aveva la voce stridula e parlava puntandomi un dito magro contro, aveva le unghie corte e le mani pallide.
“Il punto è che sei sempre stata una madre e non un mamma per me, quand’è stata l’ultima volta che abbiamo passato del tempo insieme al di fuori dell’Istituto? Ti ricordi ancora il mio colore preferito? Da che parte mi piace dormire? Il mio piatto preferito? Non hai nemmeno il coraggio di abbracciarmi perché sai che sarebbe una bugia.”
Mia madre continuava a fissarmi con aria severa.
“È questione di priorità tesoro, sempre e comunque questione di priorità.”
Sentii le lacrime bagnarmi gli occhi, non avrei mai e poi mai pianto davanti a lei.
Mi voltai di scatto e me ne andai cercando di sbattere la porta il più forte possibile.
Sapevo che non mi avrebbe mai seguita urlando quanto le dispiacesse, ma non ero arrabbiata con lei perché sapevo fin troppo bene che io ero lei, o comunque qualcosa di simile, lo stesso egoismo cieco, la determinazione e la voglia di vincere sopra ogni cosa, eppure non riuscivo ad immaginare di mettere qualcosa sopra Ashton, lui faceva parte di me nella maniera più assoluta, e forse era questo che ci faceva rimanere diverse, lei non era capace di amare, e io invece volevo esserlo con tutta me stessa.
 
 
La mattina successiva fui svegliata dal suono del mio telefono che vibrava sul comodino.
Pensai di non aver sentito la sveglia e l’idea di essere in ritardo mi prese immediatamente lo stomaco.
Mi voltai in fretta verso la sveglia alla mia sinistra.
3:40
Il sollievo mi entrò in circolo, Amber dormiva girata su un fianco dall’altra parte del muro.
Presi il cellulare per controllare di chi fosse il messaggio, pensai che sicuramente era qualche pubblicità o cose simili; chi manda messaggi alle 3:40 di notte?
Ashton.
Vedendo che il messaggio veniva da lui il cuore cominciò a sbattermi più forte contro il torace.
Le mani mi tremarono nel tentativo di aprire la casella.
Scendi e vieni giù nel bosco accanto al lago.
Senza nemmeno pensarci due volte scesi dal letto, mi sfilai il pigiama e mi gettai addosso un vestito fiorato, misi delle ballerine orribili perché erano le più facili da infilare.  Mi sciolsi i capelli aggrovigliati dal sonno e uscii più silenziosamente possibile dalla camera.
Feci le scale di corsa sperando che l’incantesimo per il silenzio non mi tradisse.
L’aria invernale era fredda e pungente, per quanto possa essere fredda New Orleans, mi odiai per non essermi portata nemmeno un giubbino.
Ashton era in piedi e guardava verso il lago, la luna si specchiava su di esso e lo rendeva più luminoso; si voltò verso di me sentendo i miei passi, notai che gli erano cresciuti i capelli nell’ultimo periodo e che ora gli cadevano un po’ davanti agli occhi, indossava un felpa con la zip e dei jeans stretti, appena mi vide mi sorrise, e io mi avvicinai quanto basta da sfiorare il suo naso, senza pensarci troppo premetti  le mie labbra contro le sue, lui mi prese il viso tra le mani e tutto il bisogno di averlo accanto, che avevo nutrito in quei pochi giorni, fu saziato in una manciata di secondi.
“Mi dispiace se ti ho svegliata.” Disse a voce bassa.
“Non c’è problema, certo è stato decisamente scontato e banale, da te mi sarei aspettata qualcosa di più ingegnoso, come lanciare sassi alla mia finestra o lasciarmi un messaggio sotto la porta o una lettera via gufo come in Harry Potter.”
Ashton rise, ma il sorriso sulle sue labbra sfiorì con la velocità con cui era comparso. Guardandolo da vicino notai due imponenti aloni scuri che gli cerchiavano gli occhi, il volto era pallido e le ossa degli zigomi più sporgenti del solito.
“È  tutto okay?” Chiesi con tutta la disinvoltura che riuscii ad utilizzare.
Lui distolse lo sguardo e mi sorrise ancora una volta.
“Sì, certo.” Si affrettò a rispondere.
“Dovresti dormire un po’ Ash.”
Lui si sedette per terra senza rispondermi, io lo seguii.
“Sta male di nuovo, ne sono sicuro.” Parlò senza guardarmi, la voce carica di tensione.
“Come lo sai?”
“Lo sento, lo vedo. È tutto come la prima volta.”
La freddezza che metteva nelle sue parole mi fece venir voglia di piangere.
“Che hai intenzione di fare?”
“Credo di potercela fare, andrò a lezione  la mattina e il pomeriggio o la sera tornerò a casa per preparare loro la cena, mi assicurerò che lei sia abbastanza lucida da tenere i bambini e se no dovrò chiedere a qualcuno di tenerli, il problema penso sia la notte, a questo devo ancora pensarci.”
Provai una estrema compassione per lui.
“Potrei andare io ogni tanto, voglio aiutarti in tutti i modi possibili.”
“No, Heather stanne fuori, ti prego.”
“È troppo, è troppo anche per te Ashton.”
“Io posso farcela, gestirò tutto, è giusto così.”
Aveva la mascella serrata e il respiro affannato, pensai stesse per vomitare.
“Possono venire qui, se tua madre tornerà in ospedale, se no potrà venire anche lei.”
“No, è chiedere troppo, non me lo permetterebbero.”
“Lo faranno sicuramente, ascolta, non permetterò che tu venga travolto da tutto questo ancora una volta, non è giusto.”
“Potresti magari chiederlo a tua madre?” Aveva la voce bassa, come se se ne vergognasse.
Mi venne in mente la mia ultima conversazione con mia madre e il mio sorriso vacillò.
“Certo.”
Lui mi mostrò un sorriso stanco ma sincero.
“Grazie Heather non hai idea di quanto io ti sia riconoscente!”
Avrei voluto dirgli che lo amavo ma rimasi in silenzio come sempre, poggiai la testa alla sua spalla spigolosa e chiusi gli occhi, lui mi accarezzò i capelli piano, vidi la sua mano poggiata sulla sua coscia, la strinsi forte; istintivamente guardai il suo polso, ma un polsino e diversi braccialetti lo coprivano, mi voltai verso il suo volto, stava guardando ancora una volta il vuoto, chiusi di nuovo gli occhi.
 
 
 
Per le sette e quaranta io ed Ashton eravamo già nella Sala Ricevimenti, dove in genere allestivamo i balli stagionali o le varie feste nei tempi felici, quel giorno però la stanza era addobbata con candidi gigli, bianchi come la morte e il silenzio, le panche erano nere come pur sempre la morte e l’ignoto.
La stanza era ancora poco affollata, le mani mi facevano male a forza di intrecciare fiocchi bianchi di seta, né io né Ashton avevamo mangiato quella mattina, il mio stomaco implorava qualcosa ma dei due Ashton era decisamente quello che sembrava necessitare di più un po’ di zuccheri, aveva il viso pallido e concentrato mentre issava le decorazioni lungo le colonne, si era tolto la felpa ed ora indossava solo una canottiera con le maniche tagliate che lasciavano intravedere il torace, in alcuni punti ancora fasciato e le costole più sporgenti che mai, mi chiesi da quanto tempo non mangiasse e non dormisse perché quelli che prima erano cerchi scuri ora erano vere e proprio fosse violacee, avrei voluto che si facesse aiutare.
In pochi minuti la stanza si riempii e alle 8:30 la cerimonia ebbe inizio
Proprio mentre  Elizabeth salì dietro al leggio, mi accorsi di non voler stare lì, di non essere pronta e sentire quei nomi elencati ancora un volta, quei nomi e quei ragazzi che avevano perso la loro identità e la loro vita per un guerra nemmeno conclusa.
Elizabeth dall’alto dei suoi sessantadue anni ci guardò come se fosse la prima volta e ricordai la effettiva prima volta che la vidi per quello che era, nel mio vestitino azzurro, con i capelli intrecciati, lottando per tenere la schiena dritta.
“Sono vent’anni che copro questo ruolo, e non c’è stato giorno in cui non mi sia sentita immensamente fortunata per non aver dovuto affrontare una guerra, a differenza di quasi tutte coloro che sono state al potere prima di me, e ahimè questo momento è arrivato, nel mio cuore nutrivo la speranza che questo discorso non venisse mai pronunciato, ma ora sono qui e desidero ricordare il coraggio di questi giovani, che sono morti per qualcosa che probabilmente nemmeno capivano, che forse prima di partire avevano dimenticato di spegnere il computer o di salutare la madre e che non hanno avuto il tempo di fare così tante cose, mi assumo la facoltà di parlare a nome di tutti i miei corrispondenti e colleghi, perché forse abbiamo peccato di superficialità o…”
La vista mi si annebbiò e non feci che sentire il rumore del sangue che mi scorreva nelle vene, non ascoltai oltre perché il dolore e la consapevolezza mi travolsero come non avevano mai fatto nei giorni precedenti, mi aggrappai ad Ashton che era proprio accanto a me, cercando di non perdere l’equilibrio.
Lui mi guardò e io cercai l’ossigeno nei mie polmoni, ma sentii l’aria mancarmi e non ce l’avrei mai fatta a rimanere lì ancora.
Mi feci largo tra la folla senza realmente vederli, quando trovai l’uscita mi accorsi di quanto il corridoio fosse deserto, erano tutti lì dentro.
La porta per il giardino fortunatamente era proprio lì accanto, la aprii a tastoni, e quando fui travolta dal freddo invernale cominciai a correre e corsi come non avevo mai fatto, fin ché i polmoni non si contorsero in un assurdo spasmo, mi accasciai a terra e fu come guardarsi allo specchio dopo settimane, mi  sentii così nuda e fragile, mi accorsi di piangere solo quando mi tastai le guance, avevo il cuore in gola insieme all’acido dovuto allo sforzo che avevo chiesto al mio corpo.
Qualche minuto dopo mentre ancora lottavo per respirare sentii qualcuno correre e gettarsi atterra, proprio accanto a me.
Era Ashton, il volto che tendeva al grigio, imperlato di sudore freddo.
Tentai di drizzarmi a sedere, e mi resi conto di quanto dovevo sembrare ridicola e improvvisamente desiderai di sparire.
“Che è successo?” chiese Ashton con il fiato corto.
“Io… Non ce la facevo, è successo veramente? Insomma, tutto questo è reale. Come può essere reale?” La mia voce era acuta e irregolare.
“Ce la puoi fare Heather, puoi alzarti da qui e andare a dare l’ultimo saluto a tutta quella gente già morta, oppure puoi venire con me e non so cosa faremo, non so dove andremo, ma non perderemo il nostro tempo a dare un ultimo saluto a qualcuno che se n’è già andato.”
Desiderai baciarlo ma non ne ebbi la forza, solo, mi alzai e cercai un modo di stare in piedi, barcollai e quando pensai di cadere a terra un braccio mi circondò e mi sorresse, mi voltai e nel tentativo di sorridergli sentii i conati scuotermi tutto il corpo, provai a dire ad Ashton di allontanarsi ma nel momento in cui aprii la bocca fui presa d’assalto, mi piegai in due e vomitai tutto il dolore e l’ansia che non facevo che accumulare.
Ashton mi strinse più forte invece che lasciarmi andare e mi sentii amata al punto da smettere di pensare a tutto quello che mi stava ferendo così tanto.
“Sono qui e non vado da nessuna parte.” Disse come se potesse leggermi nella mente, mi avvolse totalmente con le braccia nude, sentivo la bocca sporca e ebbi paura che provasse a baciarmi, ma non lo fece, mi abbracciò soltanto per un tempo che mi sembrò infinito.
Quando cominciai a respirare regolarmente mi lasciò andare, lo guardai aspettando che parlasse lui per primo, ma poi mi decisi: “Andiamocene via, non voglio tornare al funerale e so che probabilmente me ne pentirò per sempre e mi odierò,  ma ora sento che è giusto così.”
Lui si voltò verso di me, il sole era salito nel cielo ad un punto che gli illuminava i capelli e li faceva sembrare così chiari, quasi biondi; gli occhi erano di quel verde pallido da apparire trasparente che solo le giornate di sole come quelle riuscivano ad ottenere.
“Dove vorresti andare?”
Gli mostrai il sorriso più malizioso che riuscii ad elaborare. Mi avvicinai a lui e salii lievemente sulle punte per arrivare con le labbra proprio accanto al suo orecchio: “In camera da letto.”
Lui mi mostrò a sua volta un sorriso ancora più malizioso, allungò la mano destra, strinsi le dita lunghe ed affusolate, cominciò a correre e io lo seguii, chiedendomi dove trovasse tutta quella forza.
 
 
Quando arrivammo nel corridoio della camera di Ashton fui presa dalla paura di vomitare ancora una volta.
Come se mi avesse letto nel pensiero, si fermò, mise le mani sulle mie guance e mi tirò a sé, avevo ancora il fiato corto ma mi sforzai per non sembrare turbata, misi le mani a mia volta sul suo viso, lui mi premette le sue labbra contro le mie, lui le aprì leggermente e io feci passare la mia lingua tra i suoi denti,  spostò una mano e me la infilò fra i capelli sciolti e li scompigliò, oscillammo attaccati finché non trovammo la porta della sua camera, evidentemente non era chiusa a chiave dato che lui la aprì con una spinta, mi chiesi come fosse possibile fare tutti quei metri avvinghiati, eppure.
Mi lasciai cadere sul letto e lui con me, lo baciai ancora e ancora, il suo odore riempiva ogni cosa, poi qualcosa montò in me, nuovo e incontrollato, mi staccai improvvisamente da lui e lo vidi guardarmi senza capire, più velocemente possibile mi sfilai il vestito e lo feci calare lungo i fianchi, lui poco dopo  si levò la canottiera, poi misi le mie mani sopra le sue spalle e lo tirai a me, feci ogni cosa come mossa da una forza superiore, lui cominciò a spostare i suoi baci dal mento a tutto il collo, fino ad arrivare al seno, con le dita disegnò piccoli cerchi lungo la mia schiena, per poi incontrare il gancio del reggiseno che sganciò con qualche difficoltà.
Scesi con le dita lungo il suo addome, sbottonai i suoi jeans e feci scendere la zip, li feci calare lungo le sue anche, lui se ne liberò in fretta.
Continuò  a baciare dal mio collo al mio seno mentre io mi calai le mutande, senza che io me ne accorgessi realmente anche lui aveva fatto lo stesso.
Fu strano e complicato, e non credo nemmeno di poter assicurare a me stessa che mi sia piaciuto il fatto in sé, ma sentivo dentro di me qualcosa scoppiettare e non avrei scambiato quella sensazione per nessun’ altra cosa al mondo.
Cercai di liberarmi dal groviglio di coperte, Ashton mi stava guardando e sorrideva, aveva il viso pallido e stanco ma più rilassato, qualcosa in me mi fece odiare il fatto di essere riuscita a farlo sentire meglio o addirittura bene solo in quel modo,  cercai di ignorarla.
Ma la sensazione pungente di insoddisfazione si fece sentire pochi minuti dopo, avevamo davvero fatto sesso durante il funerale dei nostri compagni?
Sapevo che c’era qualcosa di giusto in quello che avevamo fatto, ma era comunque immorale e assurdo.
Avrei voluto alzarmi e andarmene ma in ogni caso avrei solo ferito Ashton, non avrei migliorato le cose dentro di me.
Cercai nella mia mente un modo carino per uscire da quella situazione così snervante, e dopo vari minuti dissi l’unica cosa che mi venne in mente: “Sto morendo di fame, ti va di mangiare qualcosa?” In realtà mi faceva male lo stomaco e non riuscii a fare a meno di chiedermi come diavolo avrei ingurgitato qualcosa.
“Oh, sì, va bene.” Disse lui come se lo avessi svegliato da un sogno, aveva sul volto un’espressione indecifrabile, non persi tempo a tentare di capirla.
 
 
Arrivammo al bar dell’Istituto, a quanto pare la cerimonia era finita da un pezzo, dato che ai tavoli c’erano al massimo una decina di persone, Ashton si sedette accanto alla vetrata.
“Cosa prendi tu?” Gli chiesi dall’alto.
“In realtà io-”
“Ashton Irwin ti prego non farmi questo.” Dissi con fare più esausto di quanto avrei voluto, mi afflosciai sulla sedia accanto alla sua.
“Okay, okay, ho capito, vado io.” Si alzò in fretta senza nemmeno chiedermi cosa volessi, ero decisamente troppo stanca per farci caso.
Tornò qualche minuto dopo con un vassoio, c’era sopra un latte macchiato, un succo d’arancia e due ciambelle.
Posizionò il latte macchiato e una ciambella accanto a me e lui prese l’altra ciambella e il succo d’arancia.
“Va bene capo?” Chiese con un sorriso strascicato sulle labbra.
“Mmh può andare.” Feci con falsa serietà.
“La tua cattiveria mi commuove.”
Risi ed addentai la mia ciambella, è strano come sia facile annegare il dolore, probabilmente però il rischio continuo è  che esso, sprezzante del pericolo, torni a galla.
 
Buongiorno!
Sì lo so, dopo quasi un anno tornare qui è piuttosto ridicolo, ma come si suol dire: mai dire mai. Spero che questo capitolo vi piaccia. Un bacio e grazie a chiunque visualizzi o recensisca.
Ali.
  
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