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Autore: Ortceps    16/06/2015    3 recensioni
In questa FF Eragon e Murtagh non sono fratelli.
Sono passati due anni dalla caduta dell’impero; la vita di Eragon sembra scorrere serenamente lontano da Alagaesia, ma il destino sembra volerlo mettere nuovamente alla prova, questa volta in un ruolo diverso da quello di eroe. Dovrà dare prova di se stesso come padre.
Dalla storia:
Ma alla fine si sa, che ti piaccia o no è sempre quella furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta e a scaricarti un figlio. Della serie “Din-don; apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo bambino” per poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni sei diventato padre!”
Va bene, forse non era andata proprio così. Ma alla fine il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino, senza avere la minima idea di cosa fare.
*
La prima persona a cui aveva pensato di lasciare il piccolo era stata Nasuada e immaginare a come sarebbe potuta andare se lo avesse portato da lei gli metteva i brividi.
“No Nasuada, non sono tornato perché ti amo; volevo solo chiederti se potevi occuparti di mio figlio, mio e di un’altra donna… Addio”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: I personaggi e il contesto in cui si muovono non mi appartengono, ma appartengono a chi ne detiene i diritti, in questo caso al caro Christopher.

FAMIGLIA ALL’IMPROVVISO

PROLOGO

Eragon non aveva mai pensato a mettere su famiglia; la partenza dalla sua terra e il distacco dalla donna – elfa – che amava erano state motivazioni valide per questa sua negligenza. In più se contiamo il fatto che doveva crescere piccoli draghetti indisponenti senza farsi bruciare; costruire un castello che sarebbe stata la sede del nuovo Ordine e in più imparare il più possibile dagli antichi draghi per prepararsi ad istruire i nuovi cavalieri, che non si erano ancora fatti vivi.

Così non si era mai trovato a riflettere sull’eventualità di avere una famiglia, né programmava di volerne una entro breve. A dir la verità pensava che sarebbe diventato come Oromis, il suo compianto maestro.

Ma alla fine si sa, che ti piaccia o no è sempre quella furia impazzita che noi chiamiamo destino a presentarsi alla tua porta e a scaricarti un figlio. Della serie “Din-don; apri questa dannatissima porta e prenditi questo dannatissimo bambino” per poi aggiungere con un sorriso da sberle “Congratulazioni sei diventato padre!”

Va bene, forse non era andata proprio così. Ma alla fine il concetto era quello e lui si era ritrovato a crescere un bambino, senza avere la minima idea di cosa fare. Quell’insolita svolta della sua vita era avvenuta qualche anno fa, precisamente due da quando era arrivato a colonizzare quella nuova terra.

*

Il sole sembrava immobile nella calura del pomeriggio, i raggi colpivano i verdi prati che rimandavano riflessi sull’acqua del lago che stava nei pressi della vallata. Soffiava un venticello calmo e il cielo era limpido; gli unici rumori che si distinguevano erano il forte russare di un grosso drago e il ritmico schiocco di legno contro legno.

Infatti vicino al lago vi erano un giovane uomo e la sua compagna di cuore e di mente; il primo si allenava con una spada da esercitazioni contro un palo piantato nel terreno, mentre l’altra dormiva beata, appena ristorata da un bagno nelle acque ferme. L’ero che Alagaesia aveva acclamato anni prima era ormai cresciuto e sul suo viso poteva intravedersi l’ombra di un accenno di barba; il suo corpo era più definito e la sua mente più matura.

La dragonessa si ridestò con una specie di ruggito-sbadiglio, spalancando le fauci acuminate e dispiegando le ali. Iniziava ad avere fame e si era annoiata di quella calma piatta che erano quei pascoli; era un drago e come tale prediligeva l’avventura. Forse con la vecchiaia il suo carattere si sarebbe temprato, come Glaeder le ripeteva; ma ora lei era nel pieno della gioventù e delle sue forze e non riusciva a sopportare quella monotona rutine.

Andiamo” disse all’umano che si era fermato e stava bevendo da una borraccia, bagnandosi anche il petto nudo, per combattere la calura. Questi si voltò verso di lei e le sorrise, mettendo in mostra i denti bianchi, che risaltavano sulla carnagione dorata. “Sì; dobbiamo passare dai cuccioli e dagli elfi prima di rientrare”

Con queste parole e dopo essersi passato una mano tra i capelli castani salì sulla sella e la dragonessa spiccò il volo, librandosi in aria con una leggerezza che in terra poteva sognarsi.

Sorvolando quei prati Eragon ebbe una magnifica visione di insieme: le basse colline verdeggianti coprivano buona parte della sua visuale, su di esse cresceva solo erba e fiori, nessun albero e la calma che vi alleggiava sembrava quasi innaturale, nessun animale veniva lì; almeno fin quando c’erano loro. Dietro le sue spalle il piccolo lago trovava posizione tra quattro delle più basse colline, tanto che il punto più profondo dovevano essere solo quattro braccia; alla sua destra intravedeva la linea degli alberi che si estendeva per miglia, prima di finire a qualche passo dalla costa frastagliata.

Più avanti, lui in quel momento non poteva vederla, c’era la pianura; la zona più bella. Grandi alberi da frutto stendevano i loro rami verso l’altro, fiancheggiando i campi di grano, orzo e farro; era stupendo osservare il rosso delle mele, illuminate dal sole, vicino al verde brillate dell’erba e all’oro del grano. La cosa più stupefacente era che quelle coltivazioni erano già lì al momento del loro arrivo, ma nessuno era andato a rivendicarne il diritto.

Eragon aveva esplorato in lungo e in largo quelle terre; aveva scoperto di trovarsi su un’isola, a nord e ad est l’affaccio sul mare erano alte scogliere, fiancheggiate da verdi boschi, che diventavano sempre più ombrosi avvicinandosi al centro e tornavano nuovamente verdi e radi verso i campi. Ma ad ovest e a sud il mare si incontrava dolcemente con ampie spiagge di sabbia bianca; poi nella pianura si diramavano piccoli ruscelli, che provenivano da un unico picco solitario, che si stagliava al marginare nord del bosco, a qualche miglia dalla scogliera.

La cosa più impressionante di quei luoghi era la fauna, la stessa che si trovava ad Alagaesia, ma decisamente più grande e numerosa; la cosa veniva spiegata della radicale assenza di predatori, se si faceva eccezione per un gruppo poco numeroso di lupi, anch’essi di notevoli dimensioni, che aveva avvistato il terzo mese della sua permanenza su Amera. Così aveva chiamato il luogo.

La distanza dalla terra ferma era di due giorni a volo di drago, nel qual caso il drago doveva essere robusto e instancabile perché i venti che soffiavano in quel tratto di mare potevano cambiare velocemente e da favorevoli sarebbero potuti diventare ostili in pochi minuti, fin quasi a cessare. Eragon aveva trovato la cosa perfetta, così non c’era il rischio che giovani draghi inesperti arrivassero sulle coste della sua terra natia e facessero dei danni.

In quei due anni erano nati cinque esemplari di drago selvaggio; sette uova si erano spente prima che il draghetto potesse nascere, per via del troppo tempo passato dalla loro deposizione. Altre ancora non davano segno di volersi schiudere. Ma già cinque draghi era un numero sufficiente per le poche forze di cui lui e Saphira disponevano.

Il più grande, Viruga, era un giovane drago viola di un anno; aveva un temperamento calmo e riflessivo, in parametri da drago. La seconda era, a detta di Eragon, la birbante per eccellenza; nata solo due mesi dopo Viruga Hina l’aveva già surclassato in forza e velocità. In un certo senso Saphira si rispecchiava nella piccola, anche se lei teneva molto di più alle sue squame, mentre Hina non badava per nulla al manto color del sole.

I due gemelli, di soli sei mesi erano piccoli per la loro età; nati da due uova semi unite avevano in comune l’ultimo pezzo di coda, alla fine Eragon, per garantirgli una vita più agevole aveva dovuto separarli con la magia. Così Megor aveva mezza coda e Baltor aveva una specie di escrescenza sulla punta, ma almeno i due draghetti verdi non si davano sui nervi a vicenda.

La più piccola aveva poche settimane, era di un nero brillante, come se le sue squame invece di essere opache e assorbire la luce la riflettessero tutta. Eragon era stato molto indeciso sul nome da darle, alla fine aveva scelto per Sciurica, per omaggiare in qualche modo il drago nero che non aveva potuto scegliere il proprio destino; così quella variante più morbida del nome gli era sembrato il modo migliore.

Arrivarono alla rupe che sorgeva solitaria tra i prati, la dimora dei draghi; furono accolti dai quattro più grandi, la piccola sarebbe restata con gli elfi ancora per un po’. Dopo essersi premurati che tutti stessero bene e che si fossero nutriti tornarono in cielo, diretti qualche miglio più a ovest per incontrare gli elfi.

Atterrati sul prato coperto di piccoli fiori diedero un occhio a il grande castello che stava crescendo – letteralmente – tra venti faggi; non mancava molto al suo completamento, ma i lavori procedevano lenti. Ci voleva una grande quantità di energia per plasmare i rami degli alberi a proprio piacimento e se già era difficoltoso con case normali costruire un castello che avrebbe dovuto contenere più draghi e vari giovani cavalieri era un’impresa titanica; anche se aveva concesso loro alcuni Eldurnari i lavori rischiavano di protrarsi per altri sei mesi. In quel tempo gli elfi avevano costruito un capo di tende proprio davanti all’insieme di alberi, mentre Eragon aveva preferito costruire una casa a dieci minuti di volo da lì, in beata solitudine, sopra un salice.

Si informò sui progressi di Sciurica e di come stessero procedendo i lavori. Dopo essersi unito agli ultimi incantesimi della giornata cenò con loro, raccontandosi di come fosse andata la giornata e ricordando del passato. Il passato veniva da tutti descritto con zuccherosa malinconia, ma presto sostituita dalla bellezza di quella nuova realtà tutta loro.

Per Eragon era diverso, lui del passato parlava con amarezza, gli riservava parole di fiele. Ogni ricordo, anche se bello, portava con se la consapevolezza di una vita rubata, qualcosa che non sarebbe mai più stato suo; era stato considerato un eroe, ma quando poi aveva chiesto una ricompensa, quando aveva chiesto ad Arya di seguirlo lei si era rifiutata. Non poteva biasimarla; anche dopo tutto quello che avevano fatto, sacrificato dovevano portare avanti i loro dovere e dopo che il dolore iniziale si era acquietato era riuscito a capire che la sua era solo un infatuazione infantile.

Forse in fondo in fondo l’amava ancora, ma non sarebbe mai riuscito a perdonargli quello che gli aveva fatto. Così aveva deciso di dare un taglio netto alla sua vecchia vita; ora i messaggi che arrivavano una volta al mese dalle due regine li ricevevano solo gli elfi e lui aveva dato ordine di riferirgli solo cose indispensabili, come guerre, carestie, la schiusa di un ovo, ma ancora nessuna di quelle notizie era giunta alle sue orecchie.

Se ne andò dal campo quando la luna iniziava a salire in cielo e arrivarono al loro alloggio che le stelle brillavano già intense; Saphira lo lasciò solo e partì per la sua caccia, mentre lui decise di riempire la stanza da bagno e di rilassarsi un po’ prima di andare a riposare. Si spogliò e dopo aver aggiunto all’acqua delle essenze profumate scivolò dentro alla vasca, godendosi il tepore e lasciando che i muscoli indolenziti dall’allenamento si rilassassero; ma il suo proposito venne spazzato via quando sentì un tonfo proprio sotto la sua abitazione.

Il rumore era spaventosamente simile a quello che faceva Saphira quando atterrava, ma era piuttosto sicuro che la dragonessa non sarebbe tornata prima dell’alba e i draghi più piccoli non avrebbero fatto tutto quel baccano, poiché pesavano ancora poco. Il suo primo pensiero fu Arya.

Prese il telo per asciugarsi e lo avvolse frettolosamente alla vita, poi con passo sicuro si diresse verso il balconcino, ma per buona misura afferrò anche la spada; completamente dimentico che per scoprire chi fosse poteva usare la mente, tanto era fisso sul pensiero dell’elfa. Uscì e la luce argentea della luna si riflesse sulle squame rosse di Castigo.

In quel momento le sue difese mentali si intensificarono e lui estrasse la spada dal fodero; Murtagh aveva detto che non sarebbe più tornato, o almeno non nel breve periodo, quindi lui non sapeva cosa pensare, in più non aveva nemmeno Saphira vicina. Si appuntò mentalmente che non potevano rimanere senza difese, anche se quelli erano tempi di pace; erano stati ingenui.

«Veniamo in pace» la voce roca di Murtagh lo rassicurò un po’ con quelle parole nell’antica lingua, ma si costrinse a non abbassare la guardia. «Perché sei qui, Murtagh?» Il sospetto evidente nella voce. Il più giovane stette a guardare mentre il moro, aiutato da Castigo si calava sul suo balcone, proprio di fronte a lui.

«Ho un problema» e detto questo scoprì il fagotto di coperte che aveva tra le braccia, rivelando il viso arrossato e leggermente paffuto di un bambino nato da poco.

NOTE DELL’AUTRICE:

Salve a tutti; in questo periodo mi sento molto ispirata, quindi ecco a voi questa nuova FF. Inizio subito col dire che sarà molto all’insegna delle avventure domestiche, più che vere e proprie battaglie… Ma sarà comunque difficile per i protagonisti “cavare un ragno dal buco”. Spero vivamente che l’idea vi piaccia.
Ciao a tutti, Ortceps
P.S. lasciatemi una recensione ;) apprezzo molto tutti i pareri, consigli, critiche costruttive – e perché no? – anche complimenti.

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