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Autore: Angel_to_Fly    23/07/2015    6 recensioni
E' l'inverno del 1943 quando la vita di Beatrice viene scombussolata e tutte le sue certezze cadono al suolo.
La guerra è in pieno svolgimento in tutto il Mondo, lei e la sua famiglia si trovano nella loro casa di campagna nel Nord Italia, sotto le mani dei Tedeschi e di Mussolini.
Si vive ormai fra razionamenti, bombe incendiarie e quel poco di acqua che il fiume regala alla famiglia.
Beatrice è una sedicenne innamorata della scrittura, ma costretta ad abbandonarla a causa della guerra che irrompe prepotente nella sua vita. E' forse l'essere più innocente e bonario su quella terra di traditori.
In casa Volkov tutto gira secondo le regole della fame, finché non entra un nuovo membro della famiglia.
Nikolay Tarasovic Kolov, cugino russo, appena tornato dalla Campagna di Leningrado.
Ma non è tutto, l'incontro con Hadrian Krämer - Capitano Tedesco - e Gabriel Reed, soldato americano sotto copertura la metteranno a dura prova. Nuove sensazioni l'attanaglieranno, sedicenne circondata da uomini troppo grandi per lei.
Fra radio, pomeriggi a passi di Jazz e sigarette profumate Beatrice sboccerà nella maniera più errata.
Mentre intorno a loro l'apocalisse è solo all'inizio.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Storico
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Uao! Davvero, 5 recensioni è davvero un sogno! Vi ringrazio tutte, è davvero bello sapere che la storia vi piace. Spero davvero che faccia un po' di strada, mi piacerebbe anche mandarla ad un Editore, vedremo.
Per ora ringrazio: Ater_Hailie | superM | jam_gg | blery25 | swag_94 

Spero di ricevere altre recensioni e sapere cosa ne pensate, grazie davvero tanto! Abbracci, ATF


 
2 | Da Sfamare - Lunedì, 4 Ottobre 1943
 
«Bea, Beatrice svegliati».
La ragazza venne scossa leggermente, quando un paio di mani ghiacciate le toccarono la pelle nuda del braccio tremò. Aprì gli occhi lentamente, cercando di capire dove si trovasse e perché fosse sveglia quando fuori era ancora l'alba.
«Beatrice, avanti alzati dal letto» sussurrò Ginevra lasciandola andare e allontanandosi. La bruna spalancò gli occhi scuri mettendosi a sedere sul letto e osservando la sorella indossare un paio di orecchini con le perle, finti.
Non capiva cosa stesse succedendo, ma a dire dall'abito rosa che Ginevra portava sembrava stesse per andare ad un appuntamento, poi si ricordò di ciò che le aveva detto la sera prima.
«Non verrò in paese con te per vedere Massimo» sussurrò rudemente ritornando sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa.
Il sole fuori dalla finestra arrivava timido e ancora ghiacciato dalla notte, i raggi erano fiochi e la luce era davvero poca, non capiva come Ginevra avesse fatto a prepararsi nel buio totale che fino a pochi minuti prima aleggiava in casa.
«Sssh!». Ginevra spalancò gli occhi portandosi l'indice davanti alle labbra rosse di rossetto e sbattendo al suolo i piedi, tentando di non fare rumore.
Carlotta, addormentata al fianco di Beatrice mugugnò qualcosa di incomprensibile e le due sorelle rimasero immobili, attente a non farla svegliare. Ginevra sbuffò e a grandi passi raggiunse Beatrice, ancora barricata sotto le coperte bianche.
«Te lo dirò un'ultima volta: Beatrice, alza quel sedere dal letto e accompagnami in paese».
«Altrimenti?» ringhiò Beatrice togliendosi la coperta dal viso e guardandola negli occhi. Ginevra era inginocchiata al letto, proprio a pochi centimetri dalla faccia della sorella e la guardava con sfida.
«Altrimenti dì addio al tuo blocco di fogli e preparati ad una scenata di papà» sorrise beffarda tirando una ciocca di capelli della ragazzina di fronte a sé.
Beatrice si congelò e il suo viso divenne pallido come quello di un morto in pochi secondi. Ginevra giocava sporco, da quando l'aveva beccata nel campo di grano a scrivere l'aveva avuta in pugno, continuava a minacciarla dicendo che un giorno l'avrebbe detto al padre. Beatrice non poteva fare nulla, solo stare zitta e subire. Metabolizzare.
Con uno sbuffo e l'aria imbronciata si alzò dal letto dirigendosi verso un piccolo baule, lì teneva i suoi vestiti, non erano tanti, ma bastavano per quell'anno. Prese un vestito giallo che le aveva cucino nonna Valeska e lo indossò senza troppe cerimonie, non le andava di lavarsi e l'acqua che arrivava era sporca, lei profumava ancora, quindi non si preoccupò.
Scese le scale in legno stando attenta a non farle scricchiolare e indossò le scarpette bianche che metteva sempre. Ginevra girava per la cucina aspettando la sorella, le tremavano le mani.
Beatrice non capiva perché fosse così agitata, vedeva Massimo due volte alla settimana, per lei era già tanto che riusciva a vedere Anna una volta al mese. Saltellando arrivò in cucina, raccattò le Tessere della Fame di tutti e seguì la sorella fuori di casa.
Fecero qualche passo fino a giungere nel campo di grano, ma una voce le fermò, facendole tremare.
«Dove state andando?». Con un accento russo forte e chiaro il nuovo cugino uscì dalla stalla, raggiungendole.
Indossava una camicia verde scuro e dei pantaloni neri, ai piedi dei sandali marroni. Erano alcuni dei vestiti del padre, e gli andavano un po' larghi, ma gli stavano bene.
Beatrice vide con la coda dell'occhio Ginevra ingoiare a vuoto. «Stavano andando in paese a prendere le razioni. Vuoi venire?» domandò tranquillamente. 
Sentì gli occhi della sorella bruciarle addosso, furenti.
«Grazie per l'invito, ma devo rifiutare. Devo andare in comune, ma dubito che a quest'ora sia aperto» osservò attento, guardandosi l'orologio al polso.
Beatrice corrugò la fronte osservando il volto scultoreo del ragazzo, e dire che lei non aveva la più pallida idea di che ore fossero, non avevano un orologio in casa, solo la radio ogni tanto le avvertiva.
«Già, sarà chiuso a quest'ora. Noi però siamo di fretta, muoviti Beatrice o finiranno le scorte». Ginevra sorrise fintamente tirando la sorella dalla gonnella gialla. Questa si alzò lasciando in bella vista metà coscia, e Beatrice, arrossendo, la abbassò.
«Ciao, soldato» mimò con le labbra seguendo la sorella. Nikolay alzò una mano con un sorriso divertito in viso.
Ginevra e Beatrice camminarono per parecchi minuti, la più grande rimproverò la più piccola per tutto il tragitto.
«Cosa pensavi di fare? E se mi avesse visto con Massimo? Non pensi a cosa avrebbe fatto papà?».
Mentre Ginevra continuava a blaterare lei continuava a pensare a Nikolay, era russo proprio come il padre, era strano che lui non ne avesse mai parlato. Liev era sempre stato scrupoloso e orgoglioso della sua famiglia e il fatto che non avesse mai nominato il nipote era molto insolito.
Entrando in paese Beatrice afferrò il giornale che un bambino stava sventolando per aria con viso annoiato. «La Gazzetta dell'Emilia, La Gazzetta dell'Emilia. Affrettatevi a prendere la stampa de La Gazzetta dell'Emilia» bofonchiava ancora addormentato, poi sbadigliava e strofinandosi gli occhi ricominciava: «La Gazzetta dell'Emilia, La Gazzetta dell'Emilia. Affrettatevi a prendere la stampa de La Gazzetta dell'Emilia».
«Sta' ferma, dannazione» disse Ginevra con aria arrabbiata, strappandole di mano il giornale e aprendolo ad una pagina a caso.
Beatrice si trovò a ridacchiare sotto i baffi, osservava la sorella e il modo in cui lei guardava il giornale e le parole stampate sopra a questo.
"E' inutile che fingi, tanto tutti sanno che non sai leggere", pensò mordendosi il labbro inferiore e tentando di non ridere.
Affacciandosi alla sua spalla, in punta di piedi, Beatrice lesse quelle poche righe che la vista le permetteva. Un certo Enrico Cacciari scriveva: Si sono fucilati degli sciagurati che hanno rapinato qualche mille lire: che cosa si aspetta a mandare al muro gli uomini che hanno massacrato la Patria? Bisogna decidersi e presto, ed occorre cominciare dai "nostri". Da quelli che prostituirono il Fascismo.
Si chiedeva come i Tedeschi non arrivassero a leggere quelle cose, come facessero a non fucilare le persone che le scrivevano. Beatrice aveva sentito che ora la censura era stata ancora più accentuata e quindi i controlli erano ovunque, ma non lì evidentemente.
Con gli occhi fissi sulla strada cementata e spaccata pensò a quelle parole, che cosa si aspetta a mandare al muro gli uomini che hanno massacrato la Patria?, spesso se lo chiedeva anche lei, perché morivano le persone di stenti e non i traditori a colpi di fucilate? Semplice, quei traditori erano potenti, la gente in confronto non era nulla.
Beatrice aveva sentito delle truppe anglo-americane, gli americani! Diceva che erano ormai vicini a liberare anche il Nord Italia, erano sbarcati in Sicilia e ora stavano risalendo lo stivale, ma quanto tempo sarebbe servito ancora?
Alzò gli occhi da terra solo quando sentì altri sguardi su di lei. Notò subito i Tedeschi appostati vicino ad un piccolo camion color cachi, tremò al pensiero di quello che Catia aveva detto a Ginevra, e che lei aveva riferito a loro la sera prima. I Tedeschi erano in tre, guardavano le persone che camminavano lungo la strada, li fissavano in modo poco appropriato, li squadravano, loro sospettavano di tutti.
Al lato di un Tedesco dai capelli biondi Beatrice scorse un manifesto in italiano, era l'ennesimo manifesto contro gli ebrei, ne vedeva da quando aveva solo undici anni, dal 1938. Dicevano sciocchezze come il dover lasciare il Regno, ma lei vedeva come i Tedeschi li prendevano e li maltrattavano.
Tornò con lo sguardo sul soldato biondo, lui la fissava impassibile e lei tenne lo sguardo ben serrato al suo, non aveva paura. O almeno era quello che si diceva ogni notte prima di dormire.
«Quante volte ti ho detto di non guardarli negli occhi» ringhiò Ginevra prendendole un polso e strattonandola il più lontano possibile. Beatrice fece appena in tempo a vedere il modo in cui quel Tedesco sghignazzava con i suoi compagni.
«Schifosi» sussurrò sputando al suolo. Grazie a Dio nessuno dei soldati se ne accorse, ma una vecchina fece il segno della croce stringendo il rosario fra le dita fragili.
«Finirai per farti prendere e sparare dai Tedeschi» sussurrò Ginevra tenendole stretto il polso e camminando veloce per le strade del paese.
Pochi magazzini e pochi negozi erano aperti, alcuni aprivano nella tarda mattinata, altri erano semplicemente stati chiusi. Le cause erano tante, i bombardamenti che i Tedeschi di tanto in tanto facevano, la mancanza di risorse da vendere o semplicemente proprietari ebrei.
Quando svoltarono in una via buia sfociando nella poco affollata piazza Ginevra mollò Beatrice e la spinse delicatamente verso la zona dei rifornimenti.
«Bene, tesoro. Ora tu vai a prendere il cibo e io rimango ad aspettare qui Massimo. Ci troviamo a casa» e così dicendo sparì dietro il municipio.
Beatrice si guardò intorno, in quel momento si sentì intimorita da ciò che si trovava in quel paese. Da chi si trovava in quel paese. Girò su sé stessa osservandosi intorno, alcune anziane donne passeggiavano a braccetto, c'era un cane spelacchiato che si grattava dietro ad una bicicletta e un soldato Tedesco che fumava tranquillamente. Deglutì e seguì il consiglio della sorella, dirigendosi al razionamento.
Per la strada il silenzio soccombeva su tutto, il sole era diventato caldo nonostante fosse Ottobre. In alcuni angoli delle strade c'era la foto di una Madonnina, in altri semplicemente la svastica. Quanta differenza?
Giunta a destinazione si mise in fila, davanti a lei c'erano poche donne. Una madre con un bambino in braccio, tre anziane e due ragazzine poco più piccole di lei.
«Le Tessere per il razionamento» chiese una donna dai capelli biondi aprendo una mano e mostrando la pelle abbronzata, ma non era come quella di Beatrice e Carlotta. Loro avevano la pelle color caramello, perennemente bruciata dal sole sulle gote e pallida dal ginocchio in su. La pelle della donna era di un colore malaticcio, quasi grigia.
La signora con il bambino gliele pose sul bancone e ricevette la sua merce, ma quando si piegò per sussurrare qualcosa alla donna dietro il banchetto venne subito percossa.
Un soldato Tedesco che prima Beatrice non aveva notato prese la signora per le spalle, venne tirata indietro con talmente tanta forza che il bambino cadde al suolo schiacciato sulle cemento e sulle pietre. La madre venne pestata a sangue, con un bastone il Tedesco le picchiava l'addome e il seno, tirandole calci sui reni, lei piangeva e urlava di dolore, mentre il bambino di poco più di un anno era rimasto steso al suolo.
Nessuna delle donne avanti a lei fece nulla per soccorrerlo, mentre la madre del bambino prese l'ultimo respiro quando il bastone dell'uomo la colpì esattamente sul naso, spaccandoglielo.
Beatrice serrò gli occhi e ingoiò l'aria, ormai la saliva le si era prosciugata in gola, e se fino a poco prima aveva fame, in quel momento le venne da vomitare. Una bambina di meno di dieci anni che le stava di fronte si girò verso di lei con occhi colmi di lacrime.
«Ho paura» singhiozzò cominciando a piangere forte. La ragazza spalancò gli occhi guardandosi intorno, attenta a non farsi accorgere dal soldato Tedesco che distava pochi metri da loro.
«No, no. Ssshh! Va tutto bene. Non devi aver paura, se tu non fai cattiverie non ti succederà nulla. Vieni, dammi a me le tue Tessere, prenderò io la razione per te. Stammi vicina e non piangere» sussurrò togliendole dalle guance le lacrime.
Osservò la bambina, aveva lunghi capelli neri e occhi verdi, sarebbe stata proprio bella se non fosse stato per tutta la cenere che le colorava di nero la faccia, le lacrime avevano lasciato solo lunghi solchi che mostravano una pelle color miele.
Afferrò le due Tessere della Fame che la bambina le aveva consegnato e le mischiò fra le sue leggendo il nome della ragazzina. Celeste si strinse contro la gonna gialla di Beatrice, che arrivava solo fino a sopra le ginocchia, la prese fra le mani tirandosela al petto, come per proteggersi.
La verità era solo che Beatrice tremava come una foglia, se qualcuno l'avesse beccata a prendere la razione di una bambina non sua l'avrebbero ridotta nello stesso modo di quella povera madre. La fila si dimezzò in pochi istanti, e fu il suo turno.
Con Celeste ancora al fianco mostrò le sette Tessere della Fame. La donna la squadrò da dietro gli occhiali dalle lenti spesse e Beatrice si sforzò di sorridere, fingendo di non notare la sagoma in verde alla sinistra della signora, proprio a pochi passi da Celeste.
Mentre la donna prendeva i sacchi di cibo lei portò una mano sulla testa della bambina, accarezzandole i folti ricci neri. Celeste aveva il viso immerso nella gonnella e tremava come una foglia. Il soldato se ne accorse e con lui, Beatrice.
La prese in braccio prima che l'uomo potesse fare qualunque cosa, lo sfidò con uno sguardo terrorizzato, sapeva che il Tedesco stava iniziando a capire qualcosa. Celeste nascose la faccia fra i capelli lunghi e castani di Beatrice.
Lei e il soldato si guardarono a lungo, lui gelido e Beatrice tremante.
"Schifoso!", pensò ancora tornando a guardare la donna che le porgeva il cibo e le Tessere della Fame.
Beatrice non ringraziò neanche e con velocità di voltò cercando di tornare a casa, ma pestò qualcosa di molliccio sotto la scarpetta.
Si voltò giusto per guardare quello che aveva toccato e notò il viso pallido del bambino che la donna picchiata a sangue portava in braccio. Era morto e non solo da pochi minuti.
Quel bambino era morto da giorni.
Con gli occhi lucidi camminò per parecchi metri svoltando più vie, affrettava il passo con ancora gli occhi del Tedesco in mente, era sicura che quell'uomo avesse capito qualcosa, lo aveva notato dal modo in cui aveva squadrato la bambina e poi lei, insistentemente. Giunta in un vicolo baciato dai raggi del sole pose al suolo la bambina e si piegò sulle ginocchia.
«Ecco qui le tue Tessere» sorrise estraendo le due con scritto Celeste e Mario. Le guardò e riguardò attentamente, sicura di non averle scambiate o dimenticato le sue da qualche parte.
«Questi sono i tuoi seicento grammi di pane, le tue tre zollette di zucchero» sorrise passandogliene quattro - anche la sua - e la bambina rise allegramente. Se ne mise una subito in bocca.
«Tre patate, una scatola di uova, trenta grammi di formaggio, un litro di latte e quindici grammi di burro, duecento grammi di farina» sorrise e gli passò la busta in cui c'erano gli averi della bambina.
«Non ti ingozzare di zucchero o non ne rimarrà nulla per una torta!».
Torno a casa con un sorriso e le buste "piene" di cibo. Tentò di non prendere la strada dei Tedeschi e sperò che nessun ragazzino affamato le facesse del male. Il giorno dopo sarebbe tornata per il razionamento del pane. Due volte alla settimana - il Lunedì e il Giovedì - c'era il razionamento di tutto il cibo, ma ogni giorno quello del pane.
«Non dovresti dare il tuo cibo ad una zingara».
Beatrice si bloccò e il suo cuore cominciò a battere forte, troppo forte per essere contenuto nella sua cassa toracica così debole. Aveva riconosciuto quell'accento, lo aveva dovuto sentire per anni e ora, per la prima volta, era rivolto a lei.
«Non ho dato il cibo a nessuno» disse con voce tremante senza girarsi. Sentì i passi pesanti e trascinati del Tedesco dietro di lei, quando se lo trovò davanti un battito le venne a mancare.
Le guance le si imporporarono più di quanto già non fossero, le gambe le tremavano leggermente e già riusciva a vedersi stesa su quel terreno poco asfaltato. Il soldato che poco prima aveva visto uccidere una donna e che l'aveva sfidata con lo sguardo al razionamento la guadava da una distanza ravvicinata. Portava il capello premuto sul capo, e ritto com'era sembrava alto quasi due metri; aveva delle spalle enormi. Gli occhi erano di un azzurro acceso, quasi blu e i pochi capelli che spuntavano da sotto il cappello verde erano biondi. Tipico Tedesco.
«Mi stai per caso mentendo, sorella Italiana?» domandò con tono duro e leggermente canzonatorio, sbattendo un piede al suolo e stando ben dritto sulle gambe. 
Beatrice sobbalzò rischiando di indietreggiare, ma riuscì a tenersi ferma sul cemento. Vide il soldato ridacchiare e girare il capo dal lato opposto.
Avrebbe voluto dire "non sono rossa per imbarazzo, ma semplicemente perché il sole picchia sempre sulla mia faccia e me la brucia", ma rimase in silenzio facendo un passo verso destra.
«Mi perdoni, soldato, non so di cosa lei stia parlando. Vorrei tornare a casa mia» sussurrò con un filo di voce abbassando lo sguardo e notando una macchia color cenere sul suo vestitino pulito e tirato a lucido dalla madre.
«Soldato? Ti sembro per caso un soldato? Ragazzina, tu stai parlando con il Capitano Hadrian Krämer» la rimbeccò lui fiero del suo lavoro.
Solo allora Beatrice posò gli occhi sulle medagliette sul petto dell'uomo. Era il secondo "Capitano" con cui parlava, c'era anche Nikolay che era stato Capitano nella battaglia di Leningrado. Senza volere uno sbadiglio le appannò lo sguardo e dovette trattenersi dal farlo, ma il Capitano se ne accorse lo stesso.
«Per caso ti annoio, ragazzina?» domandò rilassandosi leggermente. Lo notò dalle spalle meno rigide e contratte.
Beatrice si affrettò a scuotere la testa e ad abbassare lo sguardo. «No, Signore. Come potreste! Mi sono solo alzata molto presto questa mattina» tentò di scusarsi tenendo le mani serrate alle buste di plastica sporche.
Hadrian si sbilanciò in avanti arrivando alla sua altezza, con le labbra vicino al suo orecchio. Beatrice rimase paralizzata e viola in viso. «Ti svelo un segreto» sorrise ancora sul suo orecchio. 
«Io questa notte non sono neanche andato a dormire» e ritornando al suo posto rivolse un sorrise poco casto alla ragazzina.
Beatrice si voltò dandogli le spalle e, senza dire nulla, si mise a correre verso il lato opposto del paesino, avrebbe preso la strada lunga, a costo di passare davanti agli altri Tedeschi. 
Le tremavano le gambe e l'adrenalina le scorreva veloce delle vene.

   
 
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