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Autore: Castiga Akirashi    01/08/2015    2 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Raphael si stiracchiò, appena alzato, sulla veranda di casa. Era l’alba, come sempre. Aveva preso quella piccola abitudine molto tempo prima, ma non se l’era più tolta. Tornò in casa, per prepararsi e andare al lavoro. Passando davanti alla vetrina, vide quella foto. Dopo molto tempo, poteva renderla visibile, poterla vedere e ammirare, crogiolandosi in quei ricordi felici a cui da molto tempo non pensava.
Quando era rimasto solo, anzi, con solo la sua piccola Lilith, aveva passato un paio di anni a struggersi nel dolore. Poi aveva deciso di reagire, tenendo il suo ricordo racchiuso nel cuore. Si era fidanzato con Daisy, una donna che da molto tempo lo desiderava, anche se lui francamente non la amava, e si era iscritto all’università, facoltà di giurisprudenza. La famiglia di Daisy era molto facoltosa, quindi lui aveva potuto studiare e mantenere la figlia, senza dover lavorare.
Lily era cresciuta molto in quegli otto anni in cui erano stati sotto il tetto di Daisy, ma le due non riuscivano ad andare d’accordo. La donna voleva che la bambina fosse come lei; cercava di insegnarle a pavoneggiarsi e a essere convinta di essere superiore a tutti coloro che le stavano intorno. Ma con scarsi se non inesistenti risultati. Lily aveva uno spirito libero, uno spirito amante della natura e dei Pokémon. Uno spirito come quello di sua madre, slegato dai vincoli sociali che tanto assillavano la sgradita matrigna.
Purtroppo, Daisy odiava i Pokémon. Li definiva esseri inutili, brutti e simili ai parassiti. Così, Raphael era stato costretto a consegnare, mediante il teletrasporto Pokémon, i suoi amici Crobat, che si era evoluto grazie ai consigli della sua amata perduta, la sua dolce Leavanny, Haxorus e Jellycent, alla professoressa Aralia, la studiosa della regione di Isshu. Ogni volta che la compagna non c’era, Raphael la chiamava, per salutarli. Ma gli mancavano molto.
L’unica eccezione era Cobalion, il leggendario Pokémon Metalcuore, natio della regione di Isshu. La prima volta che la bionda si era opposta alla sua presenza, il Pokémon cobalto le aveva puntato la sua Spadasolenne alla gola, con parole pesanti e minacciose. Il Leggendario era determinato a mantenere la metà di quella promessa fatta ad Athena e nulla l’avrebbe fatto cedere. Doveva proteggere Lily, ad ogni costo.
“Ora che ci penso però.” pensò Raphael, fissando il cielo con nostalgia e eterna tristezza, riscuotendosi dai pensieri: “Sono anni che non vedo Daisy. E forse a Lily piacerebbe avere a che fare con dei Pokémon.”
I due si erano lasciati da qualche tempo. Lui era stufo di amanti; non era il gesto in sé che lo infastidiva, dato che per lui Daisy era solo una sorta di banca ambulante, ma il fatto che lei li portasse a casa, sotto gli occhi delle figlie. Ebbene sì, figlie: Lily non era l’unica. O meglio, era l’unica di Athena. Ma Raphael e Daisy avevano un’altra figlia, Martha, di cinque anni più piccola, incidentalmente concepita in uno dei “ricambi” di Raphael per i soldi della compagna. Come Lily assomigliava in modo impressionante ad Athena, la sorellastra era la fotocopia di Daisy. 
Le due bambine, spesso e volentieri, gli avevano chiesto perché la donna andasse in camera da letto con uomini che non conoscevano e lui non sapeva più cosa inventarsi per mascherare l’evidente. Poi, un giorno, Cobalion le aveva portate via entrambe e Raphael aveva potuto riversare addosso alla donna tutta la sua rabbia e la sua frustrazione. Furibondo, gliene aveva dette di tutti i colori e lei se n’era andata invocando vendetta. Da allora, lui era solo con la sua piccola. Martha purtroppo era andata a vivere con Daisy, perché in una coppia di fatto il tribunale civile decide quasi sempre che l’affidamento dei figli in comune sia dato alla madre. E così fu.
Così era rimasto con Lily, l’unica che gli dava la forza di vivere ancora. Athena viveva in lei ed era suo dovere proteggerla, da tutto e da tutti.
Cobalion lo raggiunse sulla veranda, interrompendo il suo pensiero, divagato alla sua metà perduta.
“Buongiorno, Raphael.” salutò, con la voce mentale appannata dal sonno.
«Ciao, Athos.» rispose lui, ancora pensando alla sua amata, fissando il cielo.
“Fatti passare questa tristezza prima che si svegli.” commentò il quadrupede, scoccando un’occhiata alla porta.
L’uomo guardò il Pokémon, notando uno sguardo nei suoi occhi simile al suo, e rispose: «Dovresti farlo anche tu.»
Lui abbassò gli occhi per nascondere la sua tristezza e cambiò discorso dicendo: “Le somiglia giorno dopo giorno. Mi meraviglio sempre più.”
Raphael annuì, ripensando a quando aveva messo in mostra la prima volta le foto di lui e Athena. Daisy era andata via da due mesi e lui finalmente si era deciso. Aveva preso quella foto, ricordandosi quel giorno come se fosse stato ieri. La prima volta che si erano davvero sentiti uno parte dell’altra.
Incorniciato, aveva messo quel ricordo sulla vetrina, in bella vista.
Lily era rientrata da scuola e l’aveva notata, dato che lui ci aveva messo sotto dei fiori stile santuario.
«Ehi, papà!» aveva chiamato, indicandola: «Chi è?»
Lui le aveva sorriso, un po’ triste, prendendo la cornice in mano e poi tendendola a lei, e aveva risposto: «Era ora che tu vedessi il volto di tua madre, piccola mia.»
La ragazzina era tornata a fissare l’immagine, ora nelle sue mani: ritraeva il padre, molto giovane, che con un ghigno scompigliava i capelli a una ragazza della stessa età, che lo fissava seccata ma con un accenno a sorriso. Come per dire “Forse ti perdono, ma me la paghi”. La ragazza aveva dei capelli rosso fuoco, mossi, e due occhi dello stesso colore, gelidi e profondi.
«Non era molto dell’idea, eh?» chiese, con un ghignetto Lily, notando quanto le somigliasse.
«Odiava farsi fotografare, ma ancora di più odiava che le spettinassi i capelli.» ridacchiò Raphael, cercando di controllare la voce e le lacrime che premevano prepotenti sugli occhi: «Eppure me la fece passare liscia.»
Lily la rimise a posto e chiese: «Ne hai altre?»
«Sarebbe bello…»
Una voce riscosse i due nostalgici dai loro tristi pensieri e da quel bel ricordo: «’Giorno, papà. Ciao, Cobalion.»
I due rientrarono in casa, vedendo Lily in pigiama sbadigliare e sedersi sulla sedia con la colazione tra le mani e lo sguardo appannato.
«Buongiorno, Lily.» la salutò il padre, sorridendole: «Dormito bene?»
«Mi alzo sempre troppo presto, papà.» si lamentò lei.
Lui ridacchiò, scuotendo la testa, e rispose: «Vai a sistemarti e fila a scuola, lamentona!»
Lei gli sorrise, facendogli la linguaccia, e corse via. Poco dopo tornò, prese al volo qualcosa da mangiare e uscì, urlando: «Ci vediamo, papà! Ciao, Cobalion!»
«Ciao.»
“Ciao.”
Raphael si mise la camicia bianca, i pantaloni neri e la cravatta. Prese la ventiquattro ore, la giacca e si specchiò. Il suo riflesso gli restituì il viso e lo sguardo di un uomo di trentadue anni, tutto fuorché felice. Lui si passò una mano sul dorso dell’altra, accarezzando quella cicatrice che gli rendeva il ricordo vivo nella mente: nel suo ultimo atto di follia, la sua amata gli aveva rotto una mano con il piede di una sedia, facendo fuoriuscire l’osso e lacerando il tendine di alcune dita. Si era dovuto far operare ed era rimasto il segno, che lui guardava con nostalgia. Avrebbe preferito mille volte farsi uccidere da lei, che perderla così per sempre.
“Potesse vedermi ora.” pensò, sospirando e accarezzandosi la cicatrice bianca: “Il tuo scemo ti piacerebbe ancora di più. Mi manchi da impazzire. Sono già quattordici maledetti anni senza di te. Quattordici…”
Una lacrima gli rigò il volto, seguita da altre, uguali. Piccole sfere di dolore che gli bagnavano il viso.
Cobalion gli toccò una spalla con il muso e gli porse un fazzoletto, tenendolo tra i denti, ma con gli occhi lucidi.
“Fatti forza.” disse solo, guardandolo negli occhi.
Non servì dire altro. Loro si capivano. Tutto quel tempo passato insieme, unito al dolore comune, li aveva legati, molto più di quanto avrebbero mai immaginato.
Raphael si asciugò le lacrime e mormorò: «Ciao, Athos. A dopo.»
“Fatti forza, amico mio…” ripeté solo il Pokémon.
Lo studio legale dell’uomo era lì vicino, quindi lui poteva andare tranquillamente a piedi. Arrivò in un quarto d’ora, passeggiando lentamente per prima calmarsi e darsi un contegno. Entrò e salutò: «Buongiorno.»
«Buongiorno a lei, avvocato.» rispose la segretaria, con un sorriso.
Raphael le fece un cenno, poi andò nel suo ufficio. Si fermò davanti alla scrivania: la targa in ottone recitava “Avvocato Raphael Grayhowl”. In parte alla targa, in posizione tattica, una foto molto speciale. Se quella che aveva a casa era stata scattata consapevolmente, quella lì era stata scattata a tradimento. Sapendo che Athena odiava essere fotografata, aveva aspettato che ridesse, per fargliela senza che se ne accorgesse. Ed era venuta un capolavoro. La ragazza se la stava ridendo con gusto, e quel sorriso, velato di arroganza, era il più bello che lui avesse mai visto.
La posizione era tattica, perché si poteva nascondere velocemente dietro al portapenne.
Non voleva condividerla con nessuno. Era egoista, se ne rendeva conto. Ma quel sorriso, quell’unico vero ricordo della sua “piccola pazza”, era solo suo. Suo e di nessun altro.
Raphael sedette e cominciò a mettere a posto un po’ di carte. Aveva avuto un periodo d’inferno, un processo dietro l’altro, e doveva sistemare tutti i verbali. Cominciò il suo lavoro, ma il telefono squillò.
«Mi dica, milady.» rispose, alzando la cornetta.
«Sempre galante, avvocato.» cinguettò la segretaria Elle Greenaway: «Ho in linea l’avvocato Gabriel Grendel. Glielo passo?»
«Vai, tranquilla. Grazie.»
«Si figuri.»
Raphael ascoltò la musichetta di attesa, giocherellando con la penna, e poco dopo una voce famigliare esclamò: «Vecchia volpe! Hai finito di vivere in tribunale?»
«Certo, altrimenti mi sarebbe toccato intestarmi l’aula come seconda casa.» gli rispose lui: «E pagare pure le tasse. Va bene tutto, ma non ho tutti questi soldi da buttare nel bidone!»
Ridendo, l’altro disse, scherzoso: «Sempre il solito. Allora Raphael, visto che tira aria calma, ce l’hai un po’ di tempo per un amico?»
«Guarda, potrei trovarti un posticino nell’agenda… fammi pensare…»
«Spiritoso! Dai facciamo a pranzo!»
«Ricevuto. Passo e chiudo!»
L’altra voce ridacchiò e chiuse la telefonata, minacciandolo di morte se non si fosse presentato.
Gabriel Grendel era un uomo della sua età, che Raphael aveva conosciuto all’università. Avevano fatto subito conoscenza, per via dei gusti simili, e di un affinità particolare. Dopo la laurea erano rimasti in contatto e la loro amicizia aveva superato qualunque cosa. E, da vero amico, Gabriel aveva visto che Raphael non era mai davvero felice. Mai. In nessuna occasione.
Gabriel aveva un fratello, Michael, di due anni più vecchio con il quale però, a differenza del fratello, Raphael non andava molto d'accordo. Erano sempre in competizione, e molto spesso, in tribunale si affrontavano in sfide all’ultimo cavillo per vincere il processo.
Come promesso, a pranzo Raphael andò al bar universitario dove si erano trovati per anni e anni. Appena entrato, lo riconobbe subito: Gabriel era un uomo biondo, muscoloso, con gli occhi nocciola. La cravatta era sempre sciolta, tranne che in tribunale, e la giacca sempre ripiegata su una spalla, trattenuta per il colletto con l'indice. Un tipo che è vestito bene e tenuto solo in aula. Quelle poche volte che accetta i processi.
«E come sempre, vedo quel sorriso spento che mi fa tanto imbestialire.» esordì, vedendolo entrare e sedersi di fronte a lui.
«Ciao, Gabriel.» rispose l’amico, alzando gli occhi al cielo ma sorridendo.
«Insomma, Raphael! Ti pare il modo di presentarti? Sembra che ti è morto il gatto!»
Lui fece un sorrisetto un po’ storto e rispose: «È la mia faccia. Se vuoi puoi cambiarmi i connotati, ma non te lo consiglio!»
Gabriel scoppiò a ridere e i due cominciarono a parlare, raccontandosi un po’ quello che era accaduto in quei mesi. Era da un pezzo che non si vedevano e ad entrambi mancava molto la compagnia dell’altro.
«Ora che non sei più con Daisy, non credi che sia ora di cercare moglie?» chiese d’un tratto l’amico, quando ebbero finito i discorsi stupidi ed era ora di quelli seri: «Infondo, dovresti dare una madre a tua figlia.»
«Non mi sento pronto.» rispose lui, pensando ad Athena più intensamente e dolorosamente; lui voleva solo lei, anche dopo quattordici anni, e nessuna avrebbe potuto farle anche solo una piccola concorrenza.
«Andiamo, Raphael.» ribatté Gabriel, spazientito dal suo tono di voce: «Lo so che non hai mai amato Daisy, ma se non ti guardi intorno non troverai mai l’amore.»
Raphael non rispose pensando: “Io l’ho già persa la mia anima gemella.”
Visto che non riceveva risposta, Gabriel disse, quasi per costringerlo a guardarsi intorno o per lo meno a farsi vedere un po’ in giro: «Vieni con me al night, stasera. Ti piacerà!»
«Gabriel… Ti faccio notare che ho una figlia.» borbottò Raphael, mezzo sconvolto dalla sua proposta.
Lui quasi sbuffò, benché la piccola Grayhowl gli stesse simpatica, e ribatté: «Che discorsi… è da quando ti ho conosciuto al primo anno che non ti ho mai visto divertirti! Vivi la vita, sei giovane!»
«Ho delle responsabilità.» lo interruppe lui, categorico.
«Potevi lasciare la marmocchia a Daisy e goderti la vita! Così te la rovini, a fare il santo.»
«Non dare della marmocchia a mia figlia.»
Lui ignorò il commentò e ribatté, malizioso: «Da quanto tempo è che non prende aria il tuo amico, eh?»
Raphael arrossì leggermente, abbastanza seccato dalla sua insistenza, e rispose: «Direi che non sono affari tuoi.»
Gabriel sospirò, lo fissò e gli disse, ormai rassegnato del fatto che non lo avrebbe mai convinto: «Non sai cosa ti perdi.»
«E tu non sai cosa perdi a fare la vita che fai.» ribatté secco Raphael, ricordando come la sola presenza di Athena oscurasse tutte le altre donne: «Ti garantisco, amico, che quando sarai davvero innamorato, il night e tutto quello che ci sta intorno ti sembrerà assurdo, inutile e per nulla divertente.»
Scioccato da quella mezza ramanzina da quarantenne, l’uomo borbottò: «Sembra quasi che tu stia parlando per esperienza.»
«Può darsi.» rispose lui, ignorando la provocazione: «Ora ho un po’ di pratiche da sbrigare, quindi… ci si vede!»
Con una pacca sulla spalla, Raphael si alzò, salutò l’amico e se ne andò, con passo veloce, prima di confessargli tutto sul suo vecchio amore ormai perduto ma mai dimenticato. Non poteva dirlo a nessuno, soprattutto a lui. Avrebbe voluto sapere i dettagli… dettagli tipo la sua identità. E comunque, nelle menti di tutti, il Demone era morto a quindici anni per mano di Lance. L’uomo tornò in ufficio e lavorò tutto il pomeriggio, con quella foto che lo fissava, per distrarsi, non pensare a lei, e vivere in qualche modo.
Finito tutto ciò che doveva fare, verso le sei di sera, uscì, arrivò a casa, aprì la porta e vide tutto spento.
«Strano che Lily non sia già qui.» borbottò, posando le chiavi.
«Athos!» chiamò, dopo essersi tolto la giacca.
Il Pokémon arrivò dal piano di sopra, con passo felpato, e disse: “Ciao Raphael. Lilith sta dormendo. È arrivata molto stanca, ha studiato un po’ ma poi è crollata, così l’ho portata nella sua stanza.”
«Ti ringrazio. La saluterò dopo.» rispose l’uomo, andando a cambiarsi.
Era finito un altro giorno. Un altro triste giorno senza la felicità.
Finché … una mattina … una bella mattina: estate, sole, bel tempo, caldo… Raphael venne convocato da Lance. Andò alla Lega Pokémon di Kanto e Johto, sull'Altopiano Blu. Non era una strada nuova per lui. Il Campione spesso lo convocava per dei processi. D’altronde, era lui che li indiceva.
Bussò. Lance aprì. Raphael entrò e sedette.
«Buongiorno, Raphael.» salutò il Campione, forzatamente cordiale, restando di spalle, voltato verso la finestra.
«’giorno a te, Lance.»
Raphael non ci riusciva. Non riusciva a essere formale, rispettoso. Quell’uomo l’aveva pestato, aveva minacciato la sua ragazza, aveva ucciso i suoi Pokémon, rendendola infelice per sempre. Anzi… fino alla sua morte. Avvenuta proprio fra le sue braccia.
Il Campione non badò alla sua colloquialità e rispose: «Spero ti sia riposato a sufficienza. Ho in ballo un processo molto impegnativo.»
«E si può sapere perché chiami sempre me? Chiama quello sbruffone di Grendel ogni tanto.» sbottò lui, stufo di essere sempre convocato e non poter mai stare con la sua bambina.
Lance si degnò di fissarlo, male, e disse: «Raphael… lo sai meglio di me che sei il migliore.»
«Sei in vena di complimenti?» chiese, beffardo.
«Prendi questa frase come un complimento o un’offesa, a te la scelta. Comunque tu la pensi, io ho scelto te e non si discute.» ribatté Lance, cominciando a seccarsi della sua arroganza.
«Come vuole, signor Campione.» disse l’avvocato, con un tono piuttosto insolente, sottolineando quel “signor” come la sua amata avrebbe adorato.
Lance ingoiò la voglia di rifargli i connotati a suon di pugni e ringhiò: «Finirò la pazienza prima o poi.»
«Aspetto solo quello.»
Il Campione gli tirò un plico, centrandogli quasi la faccia, e sbottò: «Il processo è fra quattro giorni. L’accusa è tutta tua.»
Raphael sbirciò le carte e, tornando serio e professionale, chiese: «E la difesa chi la presiede?»
Lance alzò le spalle e rispose: «Non c’è ancora nessuno. E non credo nemmeno che troverà qualcuno.»
«Come mai?»
«Lo saprai a tempo debito. Ora, se hai finito di scambiarmi per l’oracolo, vattene che ho da fare.» chiuse lì il discorso lui, indicandogli la porta con un cenno.
Raphael annuì, mise il plico nella valigia, si alzò e se ne andò. Arrivato a casa, guardò meglio le carte che gli erano state date, borbottando mentre leggeva: «Omicidio plurimo… torture… massacri vari… accidenti che bella fedina. Peccato non ci sia scritto il nome dell’imputato. Chissà perché Lance vuole che non sappia l’identità di questa persona. Tanto la vedo in tribunale… e poi, la difesa. Niente difesa. È talmente assurdo.
Bah. Mettiamoci al lavoro. Il signor Campione comanda e Raphael ubbidisce.»
Scrisse qualche appunto, mentre leggeva le mille e una accuse e si preparava per l’ennesimo processo.
“In questi casi ci vorrebbe una delle sue battutine squallide. Renderebbero il lavoro meno noioso.” pensò, mentre scriveva qualche appunto in difesa dell’imputato. Lo faceva sempre quando presiedeva l’accusa. Delle volte, bisogna pensare come il nemico per prevederne le mosse. Un insegnamento che gli aveva dato Athena e che lui non aveva mai scordato.
Il giorno del processo, dopo aver chiesto scusa in mille lingue alla figlia per aver saltato l’ennesima gita al parco insieme, raggruppò le carte, ripassò bene cosa doveva dire, si vestì e uscì.
«Farò in fretta, Athos! È un processo facile.» esclamò mentre apriva la porta.
Il Pokémon Cobalto lo salutò, mentre ormai la porta era chiusa: “Ciao, Raphael. Buon lavoro.”
Raphael arrivò molto presto in tribunale. Non c’era ancora nessuno. Si mise nel suo banco, aggiustò la cravatta e tirò fuori le carte. Mentre dava una riletta veloce al suo accurato riepilogo, arrivò il giudice Frederik Vodel.
«Buongiorno, avvocato Grayhowl.» salutò quando lo vide.
Raphael si alzò in piedi e rispose: «Buongiorno a voi, Vostro Onore.»
L’uomo sedette dopo il giudice, che disse: «Mi spiace averla fatta alzare così presto, di domenica mattina, ma Lance ha chiesto espressamente di lei.»
«Sì, mi ha convocato alcuni giorni fa.» annuì l’avvocato.
«Il processo sarà breve, non si preoccupi. Tornerà dalla sua bambina prestissimo.»
Raphael annuì una seconda volta e continuò a leggere per ripassare. Poco dopo, si aprì la porta e si sentirono dei passi nel corridoio tra le due ali dei seggi per il pubblico. Non c’era nessuno a guardare perché il processo era segreto e nessun civile sapeva nulla. Gli unici che ne erano a conoscenza erano Raphael, Lance, Vodel e l’imputato stesso.
Raphael volle prima finire di leggere, poi avrebbe guardato chi era il macellaio del plico. Sentì però distintamente, alla sua sinistra, molte catene agganciate al banco al centro dell'aula. Probabilmente era ancora una persona molto pericolosa.
Finito di leggere, alzò lo sguardo e lo voltò verso la sua sinistra, decisamente incuriosito.
Ciò che vide, lo sconvolse, oltre che a fermargli il cuore.
  
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