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Autore: spiritodellaspada    10/08/2015    1 recensioni
Uccido. Scelgo di essere un assassino. È così. Tutti fanno così. È giusto così. Così deve essere.
Lei, ancora tra le mie braccia, esala l’ultimo respiro. Perde le forze e la lascio accasciarsi a terra. Ecco. Sono un sopravvissuto. Oggi.
Non sono più un “Non ancora morto”.
-In un mondo in cui per vivere è necessario sottrarre la durata vitale di altre persone, in un mondo in cui amare è una condanna, il protagonista crescendo si trova a dover affrontare la realtà ed a fare i conti con i propri sentimenti.-
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passano ore, giorni, settimane. Un lento ed inesorabile scorrere di Tic-tac che si susseguono senza sosta, senza pietà.
Il mio appartamento è piccolo e povero di tutti i comfort di una bella casa, ma pazienza, ha un letto comodo, acqua calda ed elettricità, il che non è scontato. Per fortuna invece Jen ha una bella casa, non che sia una villa, ma è accogliente . È lì che passo la maggior parte della mia giornata. Dopo i rispettivi lavori io, Jen e Kima ci riuniamo lì e proviamo a fingere che la nostra infanzia non sia mai finita, proviamo a far sì che tutto rimanga come era allora, quando eravamo all’orfanotrofio. Erano giorni davvero felici quelli, non che adesso stia male, ma quando ho compiuto quattordici anni e mi hanno assegnato una casa mia e mi sono trovato a dover arrangiarmi da solo, non è stato facile. Poi ho compiuto quindici anni e sono diventato un “Non ancora morto”. Quel giorno è stato orribile, segnava definitivamente che il tempo delle risate e degli scherzi era finito, e bisogna crescere in fretta qui, se non vuoi morire. Una volta diventato “Non ancora morto” non ho più ricevuto i soldi dall’orfanotrofio e mi sono ritrovato faccia a faccia con il mio destino. Per fortuna Jen è arrivata subito dopo di me, e un anno dopo anche Kima. Anche a loro sono state assegnate delle case, anche loro hanno trovato un lavoro, anche loro ora devono guardare avanti. Ma non credo che nessuno di noi abbia voglia di farlo, non io almeno. Non voglio sentire parlare di morte, non voglio pensare a quanto poco tempo ci rimane, voglio solo stare con loro due, ridendo e giocando come bambini, come i bambini che non possiamo più essere.

Kima è diverso. Lo vedo, lo sento. È qualche giorno che sembra addirittura evitarmi…non so perché. Forse perché sta per compiere quindici anni…forse perché se Jen non riesce a trovare qualcuno da uccidere morirà fra poco…non voglio pensare a tutto questo. Voglio che Jen sia allegra e vivace come sempre, voglio che Kima sia affettuoso e amichevole come al solito, nonostante sappia  che è pretendere troppo, nonostante sappia che è ingiusto che io che sono diventato un sopravvissuto pretenda che Jen e Kima mi tirino su il morale, nonostante sappia che sono loro a essere in pericolo, nonostante tutto questo, voglio che loro siano come sempre, perché io ho bisogno di loro.                                                     
All’improvviso mi rendo conto che mi sono di nuovo lasciato trasportare dai pensieri e che non sto ascoltando quello che Jen sta dicendo. Mi accorgo  solo ora che ho fissato Kima per tutto il tempo, lui se ne sta seduto scomposto, con la testa retta dal braccio, col gomito appoggiato sul tavolo, con gli occhi fissi su di me. Non dice nulla e continua a guardarmi con un’espressione indecifrabile, io non dico nulla e penso che tutto questo non mi piace. Perché non ha detto nulla quando si è accorto che lo fissavo? Al contrario, quasi per ripicca, se ne sta muto e mi guarda dritto negli occhi. Non è la prima volta che passiamo un po’ di tempo a fissarci negli occhi, ma erano situazioni diverse. Momenti speciali in cui eravamo solo io e lui, momenti in cui mi sentivo felice e allora lo guardavo negli occhi, incapace come al solito di esprimere qualsiasi mio pensiero a parole, e sorridevo, cercando di comunicare solo la mia testa sa cosa, e lui allora ricambiava lo sguardo e il sorriso senza dire una parola, non che non fosse in grado di esprimersi, certo, Kima è molto più bravo di me con le parole e riesce sempre ad esprimersi chiaramente, ma perché pensava che non ci fosse nulla da aggiungere, ci guardavamo, ci sorridevamo e basta, e così ho sempre cercato di dirgli che è l’amico migliore che abbia mai avuto, e che non ho bisogno d’altro, se non della sua amicizia. Non ho mai capito cosa lui volesse dirmi, ma il suo sguardo sembrava fatto a posta per ricambiare il mio, come a dire “Qualsiasi cosa tu stia pensando, bè, anch’io”. E questo mi ha sempre reso felice.                                                                                                        
Adesso invece, in questo modo mi irrita soltanto e mi viene voglia di alzarmi, piantarmi davanti a lui e dirgli “Bè? Sei hai qualcosa da dire dilla!” Quest’ultimo pensiero mi fa irritare ancora di più quando realizzo che probabilmente dovrebbe essere lui a dire questo a me, visto che sono io che ho cominciato a fissarlo. Bah, sbuffo e lascio andare lo sguardo altrove.
«Qualcuno qui dentro mi sta ascoltando?» chiede Jen sentendosi ignorata.
«Certo Jen! È interessante, dai continua.» ribatte Kima con il tono di qualcuno che è stato accusato più che ingiustamente.
Bugiardo, non stavi ascoltando una parola. E mi spunta sulle labbra un sorrisetto divertito. Lui ricambia con un altro sorriso complice  che quasi mi farebbe scoppiare a ridere, poi mi ricordo che sono arrabbiato con lui e comincio ad ignorarlo riprendendo a vagare tra i miei pensieri, questa volta assicurandomi di fissare un punto a caso della stanza.





Ok, scusate per il ritardo. Problemi con la connessione internet, ma d'ora in poi rigorosamente un capitolo a settimana, nel caso siano corti (tipo questo) ne pubblicherò due in una settimana. Grazie per aver letto questo capitolo. Lasciate pure commenti, idee, perplessità ed insulti nelle recensioni. Adiosss

 
  
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