Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: binca    30/08/2015    7 recensioni
Non sempre è bello sapere quello che le persone cercano di tenere nascosto.
Non sempre le persone sono cattive, violente per loro scelta, molte volte succede anche per il semplice fatto che da piccoli cresciamo con questo insegnamento.
Leonardo è un ragazzo con grossi problemi famigliari, stuprato quando era piccolo non ha più interesse per la vita. Passa le sue giornate a drogarsi, ad ubriacarsi venendo costretto a prendersi cura dei fratelli più piccoli che hanno solo lui come punto di riferimento, ma cosa succederà quando Alessia, ragazza tranquilla e che crede ancora nel vero amore, entrerà a far parte della sua vita?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CIAO A TUTTI :D
ECCOCI QUI CON UN NUOVO CAPITOLO, SE QUELLO VECCHIO VI E’ PIACIUTO, CREDETEMI CHE QUESTO LO ADORERETE!!
VI LASCIO SUBITO ALLA LETTURA!
UN BACIONEEEE

 



 
CAPITOLO VENTISETTE

 
 
“Dodici piastrelle blu e sei piastrelle rosse” mormorai fra me e me, ricontando per l’ennesima volta i quadrati incastonati sul soffitto. Da quando mi ero precipitata in ospedale, avevo fatto in tempo a bermi tre bottigliette di the alla pesca, mangiarmi due merendine, andare a vedere come stava Lorenzo, contare una miriade di volta le piastrelle della stanza e fare una serie di partite a ruzzle, ma in tutto quel tempo, Leonardo non aveva dato segni di vita. Più volte i medici erano entrati nella sua stanza regalandomi una serie di occhiate comprensive che avrei tanto voluto evitare, addirittura qualcuno si era pure preso la briga di chiedermi se volevo qualcosa da bere e così, mi ero ritrovata con una cioccolata calda in mano, in una delle giornate più afose dell’intera estate. Come se non bastasse, nessuno si era ancora preso la briga di spiegarmi che diavolo stava succedendo, dopo che erano stati loro a chiamarmi, infatti,  continuavano a sostenere che per obbligo morale nei confronti del paziente avevano la bocca cucita. Stavo per alzarmi intenzionata a comprare l’ennesima bottiglietta di the alla pesca, quando all'improvviso una mano mi accarezzò i capelli.
Sobbalzai a quel tocco delicato e mi girai ad osservare il mio ragazzo.
I capelli biondi tutti attaccati alla faccia, due occhiaie da paura, un sorriso forzato e gli occhi azzurri completamente assenti.
«Leo» mormorai, mentre due grossi lacrimoni scendevano dai miei occhi.
«Shh amore mio è tutto a posto».
«Pensavo di averti perso» dissi ancora fra i singhiozzi, mentre lui continuava ad accarezzarmi il viso con le sue mani magre.
«Non me ne vado da te, te lo prometto».
Annuii a quelle parole e lo abbracciai forte prima di svegliarmi all'improvviso da quell'incubo.
Con gli occhi ancora velati di lacrime mi misi a sedere sul suo letto non prima di avergli dato una forte sberla che gli fece girare la testa dall’altro lato. Sapevo che probabilmente non avrei dovuto farlo, ma ero così arrabbiata, oltre che così spaventata, che non ero riuscita a trattenermi.
«Ora tu mi spieghi che cosa è successo».
«Io non.. »
«S U B I T O» sibilai a denti stretti guardandolo di traverso. Non mi interessavano più le solite risposte, volevo la storia per intero, volevo sapere la sua versione dei fatti, e dopo qualche secondo, con mia grande sorpresa, si decise a rispondermi.
«Ok ok... »
«Voglio tutta la verità» continua pronta ad ascoltare, mentre il ragazzo incerto cominciava a parlare posando lo sguardo sul pavimento, probabilmente convinto che fosse meglio non guardarmi mentre raccontava.
«Tutto cominciò in una calda e noiosa estate dopo la terza media. Io, fumavo già da un po', m io papà se ne era appena andato lasciandomi completamente solo in balia dei miei sentimenti. Ero molto arrabbiato, volevo andare a vivere con lui, me lo aveva promesso e non riuscivo a capire come fosse possibile che mi avesse abbandonato a casa con mia mamma, persona con cui non riuscivo ad andare d’accordo».
«Quindi avevi tredici anni?»
«Si, fatto sta che mia mamma stufa delle continue litigate che avvenivano fra i muri domestici, mi mandò qui a studiare, per allontanarmi dal mio paese e dai pettegolezzi frequenti che ormai erano sulle bocche di tutti».
«Quindi a tipo più di un'ora da casa tua?»
Annuì alle mie parole e dopo avergli stretto la mano, lo lasciai proseguire. «Settembre e eccomi trasferito a Domus De Maria, capirai bene la differenza fra il mio piccolo paesino alla cittadina dove siamo ora».
«Hem si, effettivamente…»
«Ecco... ormai senza amici da tanto tempo, dato che venivo ritenuto strano per via dei comportamenti tenuti alle medie, mi isolo. Le sere, tutti andavano in discoteca a ubriacarsi, ma terrorizzato alla sola vista della birra... »
«Come mai tutta questa paura?»
«Beh ecco, diciamo che mio papà con l'alcol non ci andava leggero, però preferirei non parlarne».
«S..si.. come vuoi». Risposi lasciandolo andare avanti, mentre un po' più addolcita di qualche minuto prima, gli accarezzavo i capelli biondi.
«Stavamo dicendo, terrorizzato dalla sola vista della birra mi rifiutavo di seguire gli altri, anzi, me ne andavo in giro per la città a studiare un po' le strade, i negozi ed è proprio li che lo incontrai, lo vedevo tutti i giorni e continuai a studiarlo per parecchio tempo, era uno dell'ultimo anno, di sicuro bocciato più volte. Lo vedevo fumare, ridere con i suoi amici, baciare ragazze, insultare professori. Continuai a seguirlo per giorni interi, iniziai a vederlo anche a scuola, aveva una fila pazzesca di ammiratrici, molti amici, tutti un po' strani, ma comunque tanti, sembravano simpatici, era il bello, il bullo della scuola, esattamente quello che avrei voluto essere io. Aveva il suo fascino e riusciva a conquistare l'attenzione di tutti quelli che volevano diventare qualcuno, proprio come il mio papà».
«Non eri popolare da piccolo» ipotizzai sorpresa.
«No.. facevo tappezzeria».
«Scherzi?» Chiesi incredula, mentre lui scuoteva la testa.
«Ero uno sfigato fino a quando non ho conosciuto Diego».
«Diego è il ragazzo di cui mi stai parlando?»
«Si, e pensa che in gruppo con lui c'era anche Lorenzo. Fatto sta che continuai a seguirlo, ormai era diventato quasi un passatempo e un giorno ecco che si accorse di me. Ricordo perfettamente quella serata, ci trovavamo in una piccola via illuminata solo da qualche lampione, in silenzio si girò verso di me, mi guardò negli occhi, mi squadrò attentamente e mi chiese una sigaretta, impaurito e felice che il ragazzo mi avesse notato glie la offrii con fare da duro e forse quello è stato l'errore più grande della mia vita».
«In che senso?» Domandai, ma Leo se ne fregò continuando la sua storia.
«Il ragazzo cominciò a portarmi in giro, ormai eravamo una cosa unica, mi presentò i suoi amici, mi convinse ad andare a parlare con la ragazza che mi piaceva. Tutto procedeva bene nella nuova scuola, mi ero ambientato, avevo trovato degli amici, mia mamma sarebbe stata felice, se non fosse stato per il fatto che avevo cominciato a girare con dei drogati. All'inizio andavo solo in giro con loro, io e Lorenzo facevamo gli autisti, gli portavamo a casa in motorino quando erano troppo fatti anche per stare in piedi... poi però arrivò Jessica con la sua amichetta, cominciai a fumare non solo sigarette, ma anche cannoni. La cosa mi prendeva, mi faceva sentire invincibile, mi faceva dimenticare tutto il male che mi aveva fatto mio papà…»
«Amore…» mormorai senza sapere perfettamente cosa dire. Si vedeva che stava male per quello che era successo e sicuramente lo era ancora di più rivangare i vecchi ricordi.
«Si? »
«Io... io ti amo...» mormorai baciandolo a stampo e facendo apparire un mezzo sorriso sul suo volto.
«Lo so, se no non saresti qui».
Annuii mentre lui mi prendeva una mano prima di continuare con gli occhi chiusi puntati sul soffitto.
«Quando mi facevo, la mia famiglia non esisteva più, i miei fratelli erano acqua passata, il piccolo non mi conosceva e il grande era meglio che mi dimenticasse, mentre mia madre era da tanto che non la sentivo e me ne fregavo, stavo meglio senza di lei».
«Non ci credo…»
«Si amore, in quei momenti la pensavo così e solo adesso mi rendo conto della crudeltà che mi circondava...»
«Ma... »
«Shh, lasciami continuare».
«Si ok scusa..» mormorai incerta, mentre lui riprendeva.
«Dopo un po’, la mia ragazza ha cominciato a sospettare qualcosa e poi essendo la migliore amica di Jessica sapeva perfettamente con che gente andavo in giro. Ha provato a parlare con me ma ho negato l'evidenza dei fatti. Ha provato a parlare con mia madre con l'unico risultato di essere definita una bugiarda. Così piano piano lei ci ha rinunciato, ha continuato a stare con me facendo finta di niente, eravamo innamorati e niente e nessuno poteva dividerci o almeno questo è quello che pensavamo.
«Adesso non c'è più…»
«Adesso ci sei tu e sei meglio di lei» disse baciandomi dolcemente.
«Ne sei sicuro?»
«Fidai di me, su questo non ti mento, lei mi ha abbandonato nel momento del bisogno. Comunque finche sono in grado, lascia che continui».
«Si amore» risposi abbandonando la sedia per distendermi vicino a lui.
«Il ragazzo a cui avevo offerto la sigaretta, Diego, che fino a poco tempo prima era il mio protettore, il mio migliore amico, cominciò a darmi degli ordini precisi, dovevo spacciare e ormai non solo canne. Nel giro di poco tempo ero diventato un vero tossico!
Sniffavo,  fumavo ma fortunatamente non mi bucavo. Ero solo all'inizio, ma comunque era arrivato il momento di diventare spacciatore»
«Ma avevi tredici anni!»
«Eh già, ma fidati, c'era un tipetto di undici che girava ed era uno degli spacciatori più ricercati».
«E tu, tu a che livello eri, cosa facevi?» Domandai con fin troppa foga, mentre un sorriso divertito appariva sul viso del mio ragazzo.
«Io cominciai a rubare. Il capo del club era diventato il mio idolo, qualsiasi cosa dicesse diventava legge e fu veramente un brutto colpo quando in uno dei giri serali si accasciò a terra davanti ai miei piedi, prima si contorse, poi svenne cominciando a vomitare sangue, per poi finire in overdose. Chiamai l'ambulanza, ma per il mio amico ormai era troppo tardi . Quella fu la prima volta che vidi morire un compagno».
Inorridita dalle sue parole non sapevo cosa dire. Trovavo spaventoso che un ragazzino di quell'età potesse vedere in faccia la morte e non avrei mai creduto che lui potesse aver avuto quel privilegio così orribile. Com’era possibile che non fosse impazzito?
Che non avesse avuto bisogno di uno psicologo?
Io al solo sentir raccontare quella storia avevo la pelle d’oca, perché lui no?
«E poi che successe?» Chiesi dopo un momento di esitazione.
«Beh, pochi giorni dopo la polizia è arrivata a scuola chiamata dal preside, ci furono delle ispezioni, tutto il resto della compagnia era già esperta in quel campo e sopratutto più grande, riuscirono a sfuggire.
Tutti tranne me.
Mi chiesero di rintracciare i genitori, gli diedi il numero di mio padre per non far scoprire a mia madre la brutta strada che avevo preso. Mio papà se ne fregò, disse alla polizia di mettermi in prigione o dovunque dovessero mandarmi».  Mormorò Leonardo rabbrividendo, mentre io sempre più esterrefatta lo abbracciavo forte. La storia forse era peggio di quella di Lorenzo e più andava avanti a raccontare più me ne convincevo. Per qualche minuto restammo li in silenzio, stretti uno all’altra, con l’unico rumore delle macchine dell’ospedale che rimbombava forte nelle nostre orecchie.
«Ale, io non ce la faccio a continuare, fa troppo male...» mormorò poco dopo, mentre io gli baciavo la fronte.
«Amore ce la devi fare, io sono qui con te a sostenerti e stai tranquillo che se hai bisogno io ci sono, se ti liberi da questo peso, sono sicura che starai meglio».
«Dici? »
«Ne sono sicura». Risposi, mentre lui annuiva prendendo un respiro profondo prima di continuare.
«In riformatorio visto che ero ancora troppo piccolo per il carcere la voglia della droga continuava ad esserci e di sicuro non sparì. In riformatorio di droga ce ne era e anche tanta, non mancava, anzi, era più facile trovarla.
«Ma non dovrebbe essere tipo super controllato?»
«Si dovrebbe, ma non è così».
«Ah... bello a sapersi».
«Già, unico problema, l'unico tipo di droga che trovi li, sono le siringhe, questo vuol dire che cominciai a bucarmi. Per mia fortuna però, dopo due o tre decisi di smettere o meglio per paura delle siringhe riuscii a disintossicarmi. Successivamente, per buona condotta, mi fecero uscire prima del previsto. Tornai a scuola e feci un' anno sereno fino a quando il desiderio della droga ricomparse principalmente causato dalla morte di Jessica e dai sensi di colpa nei confronti del mio migliore amico, visto che la torta di compleanno a base d’erba era la mia e cosi, senza tanti problemi riuscii a rientrare nel circolo vizioso».
«Quindi tu avevi smesso?»  Chiesi con un groppo in gola.
«Si, ma quando oltre a Diego è morta anche Jessica il mo mondo è crollato».
«Ci credo amore, ci credo è solo che eri così piccolo…»
«Lo so,  ma anche se ero piccolo, grazie all'amicizia che avevo instaurato con Diego prima che morisse, e grazie all’esperienza trascorsa in carcere minorile, diventai il nuovo capo del gruppo, venerato da tutti e comandato da neanche uno. Come se non bastasse a casa nessuno sospettava niente, i compiti in classe andavano bene per il semplice motivo che per una siringa regalata il compito mi veniva fatto da un altro. Ormai la droga era l'unica ragione di vita, la mia ragazza, quella di cui ti ho parlato prima, l'avevo persa alla morte di Jessica, lei dava la colpa a me, diceva che se sulla mia torta ci fossero state 14 candeline invece che quattordici canne, probabilmente la ragazza sarebbe stata ancora viva e probabilmente ha ragione».  Sussurrò asciugandosi una lacrima solitaria che gli stava scendendo giù per una guancia.
Tremai a quelle parole, potevo solo immaginare la disperazione di un ragazzino che si trova a veder morire una ragazza e come se non bastasse, si prendeva pure la colpa di tutto ciò.
Allo stesso tempo però capivo la disperazione dell’amica di Jessica, a qualcuno doveva dare la colpa, e probabilmente arrabbiarsi con Leo era stata la cosa più semplice, soprattutto dopo che aveva preso il comando della truppa, nonostante gli avvenimenti appena accaduti.
«Gli amici, gli amici erano solo quelli che facevano parte del mio gruppo di drogati, i tossici come me. Diventai lo spacciatore più ambito della scuola e diventai anche un vero e proprio dipendente, non potevo stare senza droga per un giorno, non ci riuscivo. A costo di rubare, di imbrogliare chiunque, dovevo farmi. Neanche la paura degli aghi ormai faceva più effetto, giorno dopo giorno ci scambiavamo le siringhe, le riusavamo, molti si ammalavano di AIDS, altri morivano per overdose. E poi…» mormorò girandosi verso di me con gli occhi lucidi.
«E poi?» Chiesi spaventata, visto che si era bloccato.
«E poi ho conosciuto te...» sussurrò, baciandomi dolcemente.
«Me, mi stai dicendo che tu fino a un mese fa eri un tossico completamente andato?»
«Si, e comunque credo di esserlo ancora. Fatto sta che certi si ammalavano, altri andavano in overdose e poi, all'improvviso è successo anche a me».
«Oggi…» mormorai, collegando all’improvviso tutti i tasselli, con il cuore in gola, mentre lui annuiva.
Ora capivo realmente che cosa ci faceva in ospedale, solo in quel momento compresi che non era Lorenzo l'unico a stare male, l'unico ad avere bisogno di una mano.
Leonardo forse era messo peggio di lui.
Con le lacrime agli occhi guardai il ragazzo che amavo, e per la prima volta nella mia vita mi resi conto realmente del casino in cui mi stavo invischiando.  Droga, spaccio, morti, overdosi.
Tutto quel mondo non mi apparteneva.
Io che fino a poche settimane prima passavo le mie giornate a guardare film rosa e a fantasticare sul principe azzurro.
Io che trascorrevo il tempo a sognare ad occhi aperti un futuro rose e fiori, come diavolo avevo fatto a ritrovarmi coinvolta in quel pandemonio?
«Che cos'è successo precisamente?» Chiesi non riuscendo più a trattenere la domanda, stringendomi ancora più forte a lui.
«beh ecco, dopo aver sentito mio papà al telefono ed averci litigato, sono scappato via e mi sono fatto neanche io so di cosa. Penso però di aver esagerato, non mi reggevo più in piedi, vomitavo. Sono entrato in un bar, tutti mi guardavano male, ho pregato un signore di chiamare un'ambulanza..»
«Quindi ci sei venuto di tua spontanea volontà in ospedale».
«Beh, se no morivo valuta te e poi,  poi volevo vederti un'ultima volta prima di farla finita».
«Sei un'idiota, continua comunque, che è successo dopo?»
«Sono stato in ospedale per parecchie ore, hanno chiamato mio papà ma ha risposto che non gli interessava niente e io sono andato in crisi, non volevo parlare, non volevo aprire bocca per farli rintracciare mia madre, soprattutto dopo quello che ho combinato poco fa...»
«Di quello ne parliamo dopo,  so già tutto, ma dimmi, hai dato il mio numero alla fine? So che è stata qua».
«No, io non glie l’ho dato. Non so come l'abbiano avuto. Fatto sta che poi anche senza il mio aiuto, l'hanno chiamata. E venuta con Marco e Filppo . Mia mamma piangeva, ma non mi interessava. In quel momento ero solo arrabbiato che fosse li, che mi vedesse in quello stato e poi continuavo a pensare a te».
«A me?»
«Si a te, non sapevo se mi avresti parlato ancora o no dopo quello che ho combinato».
«Capisco... e poi, perchè non è qui, che è successo?»
«Beh...io ero arrabbiato e fino a qualche ora fa, come ti ho già detto, non mi era neanche passato per l'anticamera del cervello di disintossicarmi. E' stato Marco quello che mi ha fatto pensare. Se ne stava li appoggiato alla porta, gli occhi rossi dal pianto, mi guardava sgomento senza capire cosa mi stava succedendo, mi guardava le braccia, impallidiva alla vista del fratello una volta perfetto, un esempio da seguire e ormai cosi brutto, trascurato. Mia mamma non parlava e il piccoletto si è avvicinato, mi ha guardato negli occhi e mi ha sussurrato in un orecchio di odiarmi, poi è scappato via.
«Stai dicendo che Marco ha fatto una cosa del genere?» Chiesi sgomenta , mentre il ragazzo annuiva.
Stavo per rispondere che non era da lui quando mi ricordai improvvisamente di un dettaglio importante. Che diavolo ci faceva Marco in ospedale se avevo dato a Mara il compito di andarlo a riprendere al miniclub solo quella sera?
Come diavolo aveva fatto ad arrivare li prima di me?
Come mai si era comportato così?
Incerta chiesi spiegazioni a Leo, ma lui, oltre che stringersi nelle spalle non fece altro, continuando a guardarmi con occhi stanchi.
«Non so come mio fratello sia arrivato qui, anche se scappare è una delle sue arti preferite, fatto sta che lo ha fatto anche dopo avermi urlato in faccia quelle cose ed infatti mia mamma lo ha rincorso».
Annuii incredula, quello era molto più di quanto mi aspettassi.
Avevo scoperto tutta la storia di Leonardo e questo mi metteva sia tranquillità sia paura.
Continuammo a parlare per un'altra ora, questa volta del più e del meno fino a quando mi addormentai fra le sue braccia.
Avevo ricevuto un carico di informazioni talmente grande che ancora non ero ben riuscita a mettere le cose al loro posto, ma una domanda, anche nel sonno, continuava a vagare solitaria.
Cosa diavolo dovevo fare io?

 
CIAO A TUTTI!!
COSA NE DITE DEL CAPITOLO?
NON VE LO ASPETTAVATE VERO? **

PENSO SIA UNO DEI MIEI PREFERITI, POTETE GIURARCI 
FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE <3

UN BACIONE CIAOOOO
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: binca