Miei cari lettori e lettrici.
Vi comunico ufficialmente che Memorie dei Rinnegati-La Figlia Delle
Spie, dopo ben nove mesi (oddio mio, è una coincidenza orribile xD) di lavoro, tra contrattempi ed incidenti vari, è
giusta finalmente al suo epilogo.
Epilogo, però, solo della prima storia.
Riceverete ben presto notizie di me, e…non perdete d’occhio
la sezione Originali-Fantasy, perché un seguito è presto in
arrivo, e se mi lasciate io vengo lì da voi e vi strozzo xD
Oh, mi sento strana.
In questa stupidaggine ci ho messo davvero la ma anima, il mio
spirito.
Mi sento male a mettere “completa” la storia.
Beh, so che ne scriverò un’altra…ma
è difficile staccarsi dai miei “figli” xD
Da Chekaril, Tijorn (il mio preferitoL), ma soprattutto da
Lsyn.
Sarà strano ricominciare daccapo.
Mi sarete fedeli, vero?
Io ho bisogno di voi, più che mai.
Vi ringrazio, mille volte.
Un primo ringraziamento va a Carlos
Olivera. Accidenti, udite udite! Mi ha sopportato fin dal primo capitolo,
commentandoli tutti con sincerità, la miglior qualità al mondo! xD
Inchiniamoci tutti alla sua smisurata pazienza!
È stato lui il mio lettore più assiduo e fedele, e
devo ringraziare lui se non mi sono bloccata, se la storia è risultata
lunga com’è.
95 capitoli. Accidenti, è molta roba, eh?
Senza di te, mio caro, non ci sarebbero state un mucchio di cose.
È alla tua inventiva vulcanica che devo una buona parte delle
Memorie, e anche ai tuoi consigli indiretti.
Ed a quanto pare anche qualcosa (molto) del secondo episodio, eh? xD
Non so proprio come ringraziarti, come…mah. Ti devo tantissimo
o.o
Grazie è troppo poco!
Sappi che, per qualunque problema, io sono qui.
Ora mi commuovo xD
Un ringraziamento tutto speciale va anche a Selly, che mi è stata ugualmente fedele, e,
anche se lei non lo sa, mi ha dato parecchi spunti xD
In bocca al lupo con lo studio, e grazie per i tuoi commenti
veementi, che mi divertono, e che mi motivano ancora di più. Grazie,
grazie, grazie.
Voi due siete stati il mio motore! Mi seguirete fino in fondo, vero?
Un miliardo di baci, anche solo per avermi seguita in una missione omicida come
questa x.x =*
Altro ringraziamento va a kylien, che, semplicemente, è lei. Zitta zitta
se ne va, ma mi stava minacciando di morte in caso tardassi ad aggiornare. Carino
alludere a cose, in una sera fredda in cui tutto era sabbia (xD),
di cui un terzo era all’oscuro, eh? xD coltelli
e coccole a te =* spero che mi seguirai ancora xD
Grazie, alle otto persone che mi hanno messa tra i preferiti. Mi dispiace
non mettervi tutti per nome, uno ad uno (scrivo i ringraziamenti senza essere
connessa, e mi secca mettere il filo prima del tempo),
ma sappiate che tengo a voi, moltissimo. Grazie solo per aver letto.
Grazie anche ai semplici lettori casuali.
Inoltre, un ringraziamento tutto particolare e personale, per meriti
tutti loro, va alle mie Tre Marie, le mie Tre Caravelle: la Nana, la Nipota, e
l’altra parte di me stessa XD
Anche se non hanno letto tutto questo sproloquio, le devo
ringraziare solo per avermi donato mille e mille spunti.
E’ grazie a loro, e grazie al mondo che mi circonda, se
è nata Lsyn ed il suo mondo.
E’ grazie alla mia sorellina spirituale se Lsyn da’
calci nelle parti basse quando offesa. E’ grazie alle occasioni che mi
offrono di psicanalizzarle che Tijorn è così maledettamente mamma
chioccia.
grazie a loro, solo perché mi fanno morire dalle risate. Solo perché
terrorizzo quando guido, solo perché la
professoressa di spagnolo assomiglia così tanto ad un carlino, solo per
le allusioni e perché gli uomini partoriscono macchinine pelose.
Grazie a loro di mille altre cose.
Grazie a loro semplicemente perché ci sono, e perché semplicemente
io ci sarò per loro, comunque vada.
E grazie di nuovo a tutti!
Con la speranza che mi seguiate…beh…ci si vede al
prossimo, che ben presto arriverà (promesso!).
Vostra oggi appiccicosa;
Akita.
E’
strano pensare che siano già passati dieci anni da quel giorno, in cui
tornai lì dove era cominciato tutto. Dieci anni. Se confrontati con la
mia lunga vita non sono altro che polvere nel vento, ma, come i
cinquant’anni del mio lungo peregrinare vacuo ed invano, significano
molte cose. E’ strano, pensare che sola ora io trovi il coraggio di
scrivere, di prendere penna ed inchiostro e cantare le mie fallimentari gesta.
Strano, fare paralleli tra quella che fui una volta, e quella che ora sono.
Di tempo
ne è passato. È stato bello, veder crescere i propri affetti,
vederli maturare, in quella vita tranquilla e piena di sole che
è la nostra.
Questi
dieci anni sono passati a fare da zia, e da maestra. I piccoli sono cresciuti,
e tanto, con mia enorme gioia.
Machin si
è fatto davvero un bambino stupendo. Ha quei capelli di uno strano
biondo rossiccio, con sfumature arancione, ed assomiglia tanto al padre. Ogni
volta che lo guardo mi sembra di fissare Tijorn attraverso il tempo. Ogni volta
che i suoi occhi mi fissano, mi viene un groppo alla gola. È un piccino
vivace, un monello, forse un po’ troppo. Tuttavia, sa perfettamente quali
sono i suoi limiti. Ci fa dannare, impazzire, ma, quando capisce di esser
andato troppo in là, fa di tutto per farsi perdonare. È un gran
coccolone, affettuoso e tenerissimo. Quando, un paio di volte, mi ha sentito
piangere, ora che è più grande corre subito per vedere cosa
è successo, e mi consola. Lo adoro, anche se è un po’
mattacchione, ed adora fare scherzi, soprattutto ai danni degli altri, poveri,
piccoli. Mi duole dire che più di una volta sono stata costretta ad
usare il bastone, con lui. Gli devo insegnare almeno un po’ di
disciplina. Anche se non riesco ad essere dura, né ci riesce Amarto.
Machin assomiglia tanto a me quando ero piccola!
È
cresciuta anche Nilyan. È bella, una bella bambina, ed assomiglia tanto
alla madre, ma ha i colori del padre, se si escludono gli occhi azzurri. Isnark
la adora, tanto che, dopo il primo anno passato da me, non ce
l’ha fatta, e mi ha costretto ad andare, per quattro giorni su
sette, al castello, con tutta la tribù. Per i piccoli
queste due case sono il massimo. Stare a Kyradon piace moltissimo
soprattutto alla mia piccola Nilyan. A Sharilar, nella nostra casetta, non la
lascio mai allontanarsi troppo con i grandi, nel bosco. Nel castello, invece,
ha un esercito pronto a difenderla anche solo se qualcuno osi sfiorarle una
guancia. Ha un carattere davvero particolare. Ama seguirmi, a casa, disegnare
con me, oppure lasciare che io le insegni a leggere, è molto dolce, ma,
quando si sfrena con mio nipote, diventa incontrollabile. Quei due sono come
gemelli. Si coprono a vicenda, si difendono, e se qualcuno osa fare del male a
Nilyan, Machin diventa aggressivo, e viceversa. Le punizioni sono sempre in
due. Ci fanno impazzire. Un paio di volte li ho trovati appollaiati sul tetto
della casa, a mangiare mele e sputare i semi quando qualcuno di noi passava.
Quella volta non l’ha passata liscia,come non
l’ha scampata Machin. Poi, nelle cucine del castello, hanno rubato un
pollo arrostito. Nessuno sa che fine abbia fatto. Sono l’incubo della mia
vecchia Nina, che comincia a fare i peli bianchi. Qualche volta le hanno
mozzato la coda, povera, paziente cavalla. Quei due sono terribili, messi
assieme. Peggio di me e Tijorn, un’associazione pura a delinquere. Anche
se, lo confesso, un paio di volte sono stata io a punzecchiarli. Sono stata io,
lo confesso, che ho dato loro l’idea di appendere ad un filo sottile il
parrucchino di un Sacerdote, per poi sfilarlo durante una funzione. Ho riso
tanto da farmi dolere la pancia. Isnark dice che per certi versi non
crescerò mai. Però sono straconvinta che sia stato lui ad ordire
la sparizione del pollo. Sono stata io, un paio di volte, a fuggire con loro,
la zia mattacchiona. Ogni tanto mi diverto così. È bello non
togliersi i semplici piaceri della vita. Ho voglia di ritornare ad essere un
po’ bambina. E poi, un paio di volte sono stata aiutata da Amarto. Anche
lui si diverte, dice che così ritorna giovane. Mi dice sempre che il
ruolo di nonno gli si confà molto. Al che Dae gli da uno scappellotto
sulla nuca. Mi sono abituata alla presenza solida dell’elfa. Mi aiuta
molto, quando sono triste. Mi aiuta a stamparmi in faccia un sorriso, e
riprendere a lottare.
Roxen e
Chekaril sono i piccoli più belli del mondo. Mia figlia è
cresciuta, in questi anni, in una maniera impressionante, e sta cominciando,
lentamente, a sbocciare in una bellissima giovane. Ora che i tratti infantili
cominciano a svanire, mi assomiglia sempre di più. Ogni mese le devo
allungare gli abiti. Tra qualche anno raggiungerà il Maestro. Porta
sempre i capelli molto lunghi, ricci e neri come i miei. Ama stare con me,
chiacchierare con me, aiutarmi con i più piccoli. Non è,
tuttavia, una persona molto dolce. Ha una forza spaventosa, una volontà
ferrea e cieca. Come me, la sua forza magica è quasi assente. Maga da
strapazzo come la madre. E’ testarda come un mulo, e non si lascia
influenzare da nessuno. Mi rende fiera. Quando la vedo mi ringalluzzisco. A
lei, oltre che a Nysha e Manolìa, sto cominciando a dare rudimenti di
scherma. Dopo le prime volte, disastrose sotto ogni punto di vista, ci sta
provando gusto. Mi ha assestato un paio di colpi niente male. Si vede
l’influenza materna, altroché. Mi rende così fiera,
così felice, che stia seguendo i miei passi, in
modo sano. Mia figlia diventerà un’elfa felice, nonostante tutto
il dolore che ha sopportato. Sto recuperando, lentamente, il tempo che come
madre non ho avuto, con successo. Si fida ciecamente di me, come il fratello,
anche se mi chiama ancora zia. Anche Chekaril sta crescendo. Diventerà
un bellissimo giovane. Ahimè, anche lui mi sta superando in altezza. Tra
breve ritornerò la più piccina della famiglia. La cosa non mi
piace, visto che sia Machin che Nilyan sono già alti
quanto me. Da un po’ di tempo, il mio piccolo mi sta innervosendo.
Non mostra minimamente propensioni per le armi, e non riesce nemmeno a sfiorare
un bastone senza farsi del male. È tutto il contrario del padre.
L’ho visto, minacciosamente, interessato molto alle erbe, alle pozioni, e
tutti gli altri trucchi da Guaritore. Temo il giorno in cui mi verrà a
chiedere il permesso per entrare nel Lazzaretto, un luogo che lui, quando siamo
a Kyradon, frequenta assiduamente. Spero solo che sia un’infatuazione
momentanea. Tuttavia, quando verrà il momento, non impedirò
nulla. È la strada che lui si è scelto. Ed io sarò
comunque fiera di lui. So che sarà il migliore di tutti. Mi fido di lui,
ciecamente.
Amarto
sta invecchiando. L’ho visto, l’altro giorno, tenersi la schiena.
Sto
invecchiando anch’io, lentamente.
Ho appena
tre secoli e dieci anni, ma mi sembra di essere vissuta per millenni. Mi sento
stanchissima, e vecchia, decrepita.
Stiamo,
per il resto, tutti bene.
Isnark si
è ripreso dal suo lutto. Si comporta davvero bene, come papà e
come sovrano. Non ho nulla da rinfacciargli, come Ch’argon e come amica.
Sono quasi riuscita a superare la paura nei suoi confronti: ormai parliamo come
vecchi amici. Sono davvero contenta, di questo. Abbiamo entrambi a cuore la
sorte di Nilyan. Lui è davvero iper protettivo nei confronti della
figlia, una seconda mamma chioccia. La prima, ovviamente, sono io. Poi
c’è anche Dae. Tutti e tre, tuttavia, non riusciamo a capire
perché accidenti lei riesca, con Machin, a svicolare sempre dai nostri
controlli. Qualche volte li abbiamo dovuti ripescare
per le orecchie addirittura dal Lazzaretto. Le punizioni sembrano sortire
sempre l’effetto contrario. Spero solo che, crescendo, si calmino un
po’.
I miei
amici, Capouille, Zipherias e Benagi, sono sempre gli stessi. Sono i tre zii
dei piccoli. Nella loro innocente crudeltà, spesso, Nilyan e Chekaril
prendono di mira il mio povero, timidissimo amico dai capelli rossi, e lo
prendono in giro. Lui non sa come difendersi. Ma so che i bambini lo adorano.
È sempre lui che li vizia con qualche chicca. Sembra non potervi
resistere. Zipherias è più burbero, ma io so che li adora. I
piccini non osano giocare sulla sua zoppia. L’ultima volta che
l’hanno fatto hanno ricevuto una bastonata a tradimento. Eppure, il
grande elfo dagli occhi d’oro è il loro perenne guardiano. Non li
lascia mai. Spesso io e lui siamo gli addetti alle favole della buonanotte.
Tutti e tre mi vogliono bene come sempre. Benagi è paziente come sempre,
Capouille si fida di me, Zipherias è morboso. Ma tutti e tre mi
proteggono, mi sostengono, e mi amano. La loro compagnia mi fa bene.
Da un
punto di vista strettamente territoriale, la vita non va così bene.
Siamo sempre in pace vigile con il Regno, satollo, preoccupato solo di
consolidare i propri confini. Ultimamente abbiamo avuto un’invasione di
esseri umani. Essi ci raccontano le storie più terribili. Villaggi
bruciati, messi a fuoco, uomini e ragazzi massacrati senza pietà, o
mandati a fare gli schiavi. Famiglie senza più casa, perché la
loro abitazione è stata presa da degli elfi. Qualcuno ci ha raccontato
di uomini portati a Galinne, dove non si sa più niente di loro. Conosco
voci agghiaccianti in merito. A quanto pare, la sperimentazione di nuove tecnologie
avviene su cavie umane. L’usanza, ormai consolidata, d’istituire
duelli tra uomini o combattimenti con delle bestie, nelle capitali elfiche,
bagni di sangue spaventosi, ha grande seguito. Quando
mi hanno raccontato di uno di quegli spettacoli mi sono sentita male. La miseria
regna sovrana. È una situazione difficile, orribile. I regni umani
rimasti integri sono sempre più poveri. Tuttavia, a quanto pare, si sta
formando un nucleo molto forte di resistenza, concentrato soprattutto nella
vecchia patria di Regis, Fiya. È incredibile la forza di volontà
di quegli insetti. Gli umani liberi si stanno dando molto da fare. Sotto sotto, la tecnologia bellica sta facendo passi da gigante.
Comincio a temere una nuova, devastante guerra, prima che i piccini abbiano
completato la loro crescita. Io ed Isnark stiamo cercando di essere il più diplomatici possibile, ma è difficile.
Per fortuna, Lainay non fa molto caso al mondo esterno. Le spie a palazzo ci
dicono che è sempre molto assorbita nell’allevare il suo piccino,
proteggendolo come se fosse un tesoro prezioso. A quanto pare, il povero
Kamarducil non ha il permesso di uscire, né di imparare a combattere.
Lainay lo vizia, lo fa vivere nella bambagia. Dicono che gli assomigli molto,
ma che abbia un bel carattere. Dicono che sia molto gentile, buonissimo,
educato. La madre non sa dirgli di no. È innamorata di lui. Il padre
è rimasto sconosciuto, tuttora. Spero che questa situazione duri a
lungo. In ogni caso, ci aspettano ancora molti anni di pace, ed io ne voglio
approfittare. I miei piccoli devono vivere sereni.
Fino a
pochi mesi fa, non avevo minimamente intenzione di riprendere a scrivere. La
mia vita era assorbita dalle piccole faccende quotidiane, ed ero troppo stanca.
In quel periodo, tuttavia, gli incubi si erano intensificati, ed avevo preso a
stordirmi ogni volta, all’insaputa di tutti, con del sonnifero. Ogni
volta ce ne voleva sempre di più, ed io non sapevo cosa fare,
assolutamente. Stavo sempre peggio, ed avevo preso a trattare male anche i
bambini. Nessuno capiva cosa avessi. Avevo dimenticato
le parole di quel saggio giovane dai capelli d’argento, avevo dimenticato
l’infusione di vita che era stato l’ultimo regalo di Regis. Avevo
dimenticato cosa voleva dire aprirsi al mondo. non
parlavo di Tijorn da un bel po’ di tempo. Quando andavo da lui ed Akita
non parlavo. Spendevo tutta la mia forza per piangere. Mi sentivo più
debole che mai. Una sera, davanti al camino acceso, stavo ascoltando Nilyan
leggere. Avevo preso gusto per un libro che nel Regno era proibito, un libro
che io mi ero nettamente rifiutata di leggere. A quando avevo capito, lì
si parlava di Regis, delle sue gesta nella sua permanenza da noi. Non volevo
sapere nulla su di lui. Non volevo sapere com’era andata a finire. Volevo
ricordarmi di lui come un’ombra venuta a donarmi la vita. Così,
usavo quel libro, che mi ero rifiutata anche di toccare, come allenamento per
Nilyan, che doveva imparare a leggere. Così, stravaccata sul divanetto,
l’ascoltavo incespicare, correggendola di tanto in tanto. Doveva essere l’ultima
pagina, o almeno una delle ultime. La sua vocina acuta m’ipnotizzava.“…l’abbiamo…chia…chiamata…Atla…Atala…zia?”.
Mi chiese lei, improvvisamente curiosa. Io mi voltai verso di lei. Il suo
visino tondo mi fissava, illuminato dal camino, circondata dalla sua zazzera di
capelli crespi e bianchi. “cos’è Atlantis?”. Mi scrollai
nelle spalle. Non so perché, ma non avevo la minima curiosità per
quel luogo, dovunque fosse. Bah. Mera leggenda. Doveva
avere qualche fondo di verità, ma non era la città perfetta in
mezzo al mare che tutti descrivevano. Mah. Io ero perplessa. “non lo so,
tesoro”. Dissi, schietta, con un sorriso stanco. Il suo entusiasmo non
parve frenarsi, anzi. “ma secondo me dev’essere
bellissima”. Affermò lei, sicura. Io scrollai leggermente il capo.
Nilyan era una sognatrice. Era una bambina, in fondo. “quando sarò
grande ci andrò!”. Io annuii lievemente, distratta dal nulla,
senza più prestare attenzione, e le feci cenno di continuare. Lei obbedì,
docilmente. Ascoltai il resto con un orecchio solo, distratta. Prima o poi,
anche lei si sarebbe dovuta confrontare on la realtà, lo sapevo. Sentii,
sempre di più, man mano che andava avanti, uno strano senso di disagio. C’era
qualcosa che premeva agli angoli del cervello. Qualcosa che mi sfuggiva in
continuazione. Ascoltai Nilyan muovendomi a disagio sulla sedia. C’era un
pungolo che non voleva lasciarmi andare. “…permettere che…il
rico…ricordo del maestro…”. Incespicò Nilyan. Io deglutii.
Il maestro. Regis. Scossi la testa quando m’invasero
centinaia di ricordi, io avevo conosciuto quell’uomo, l’avevo
amato. Il ricordo dei suoi baci era ancora rovente in me, faceva ancora male e
bene allo stesso tempo. E di tutte le cose che mi aveva detto. Presi ad
immergermi nei ricordi dell’ultimo girono in cui l’avevo visto, di
quegli ultimi attimi preziosi. “e di ciò che ha fat…fatto
per tutti noi si per…perda nel tempo”. M’irrigidii.
Non solo quello che egli aveva fatto. C’era stato anche qualcun altro che
mi aveva dato una solenne lezione di vita. Scrivere. Che cosa buffa, che tipo
buffo, quell’Erik. Al momento non avevo quasi fatto caso alle sue parole,
quelle sagge parole che, com’è ovvio, per un attimo non si
capiscono. Però ora sentivo di essere matura per quell’insegnamento.
Non feci più caso a ciò che disse Nilyan. Scrivere. Avevo una
notte intera per confessarmi sulla carta, per raccontare le mie meschine
disgrazie a quel testimone muto. Avevo una notte intera, e altre notti, altre
notti ancora. La mia storia attendeva solo di essere scritta. Misi a letto la
piccina con uno strano senso di stordimento, dopo essermi complimentata con
lei. Il mio cuore aveva bisogno di essere messo in ordine. Dovevo capire cosa
provavo. Dovevo capire perché ero così, o sarei morta di
crepacuore. Raggiunsi la mia camera in un lampo.
Mi sedetti,
e presi un foglio intonso. La penna era già intrisa d’inchiostro.
Il cuore
mi batteva come un tamburo. Sapevo che, prima o poi, sarebbe stato più
tranquillo.
Ben presto,
mi resi conto che le parole sgorgavano a fiotti, come le lacrime.
Non smisi
più di scrivere, alternando gironi amorevoli con notti furiose,
disperate, tristi o divertenti.
La mia
vita.
Cinquant’anni
di vita.
E
così, mi confrontai con me stessa, senza mediazioni o dolcezze.
Capii così,
cos’ero un tempo, e cosa sono ora.
Un tempo
ero Lsyn Amarto, altresì chiamata Ombra. Un terribile incidente mi
rovinò la vita, un incidente che ora reputo quasi benedetto, che mi
stravolse e mi distrusse. Distrusse la bestia ricca e tronfia che ero. Fui
Nanetta, ragnetto, la bambina da proteggere sempre. Quanto il tempo cambia le
cose. Ora sono qui, e solo ora l’ho capito. Sono Lsyn, Lsyn Amarto, ma
non sono più una Spia, un cane. Ho sacrificato la mia vita per salvare i
miei familiari. Ora sono zia, e madre. Ora sono Ch’argon di Uruk. E me ne
vanto.
Un tempo
ero libera, libera come il vento, o almeno così mi pareva. Capisco che
quello, in quel tempo, non era altro che una gabbia più grande delle
altre, una gabbia dorata. Potrei, ora, sembrare prigioniera. Ma le catene che
mi sono imposta da sola mi rendono più felice e libera di molte altre
persone.
Un tempo
servivo una tiranna pazza, che mi usava come suo personale gingillo, e di un
fratello che io amavo, ma che non mi amava, e mi usava. Ora servo solo me stessa, me stessa e le persone che amo.
Quel
viaggio, quel viaggio che io avevo a tutti i costi cercato di concludere, era
finito in tragedia. Molti punti rimangono irrisolti, e tanti altri restano
ancora, per noi, un mistero.
Ciò
che è accaduto in soli cinquant’anni ha avuto il pregio ed il
difetto di distruggermi, di schiantarmi completamente.
Ma non mi
sono arresa. Ho imparato dai miei errori che cercare di finire una vita, uccidersi,
in mille modi, è una cosa praticamente inutile. Perché gli incubi
vengono a tormentarti anche nella morte.
Ora vago,
vago tra le macerie di quella che un tempo fui, cercando d’intravedere
qualcosa, una luce a cui aggrapparsi per edificare un
nuovo, meraviglioso palazzo, cento e cento volte più bello di quello di
prima. È ancora lungo, quel processo che mi poterà alla fine, ed
il mio viaggio è ancora tutto all’inizio, un viaggio che è
lungo quanto la mia vita.
Ciò
che mi è accaduto, il fuoco, sangue, cenere e lutto che ho provocato e
che mi hanno provocato non mi hanno tarpato le ali. Avrei potuto chiudermi in
un silenzio volontario, impazzire, ma non l’ho fatto.
Ho
deciso, quando è stato troppo, di aprire il mio cuore ad un pezzo di
carta, ad un calamaio pieno d’inchiostro.
Ho voluto
riportare quello che mi è successo, sanguinando nel cuore per vecchie
ferite che non si chiuderanno mai.
Ho voluto
seguire un consiglio che mi fu dato anni fa, quando
uno strano giovane m’interpellò, un giovane dai capelli
d’argento che era venuto e tornato al nulla nello spazio di pochissime
ore. Una flebile luce, in un momento che altresì sarebbe stato il
più oscuro della mia intera esistenza, che nel buio ci ha navigato.
Ho
scritto, mettendo sulla carta le mie cicatrici, senza nemmeno sapere
perché, senza nessuno scopo, tranne quello di mettere ordine nel mio
cuore.
Non
è stato bello. Ho penato, china sul mio scrittoio, ho tremato, pianto
addirittura. Mille e mille volte ho gettato tutto via in un impeto di rabbia
pura, di dolore, e spesso tutto quello che mi faceva calmare era un abbraccio
ed un sorso di amaro tranquillante. È stato difficile, questo viaggio a
ritroso nei miei errori, negli incubi che ancora mi fanno svegliare, urlando,
di notte.
Perché
io non ho dimenticato, né dimenticherò mai. Nella mia vita si
aggirano troppi fantasmi.
Mi chiamo
Lsyn Amarto, ed un tempo ero una figlia delle Spie. Un tempo amavo un Principe,
che teneva a me come alla migliore delle sue concubine. Questo principe
è morto sotto i colpi della mia crudele spada.
Lsyn
Amarto un tempo aveva un bel fratello maggiore, che l’amava come se
stesso.
Ora
questo fratello è cenere, cenere muta e fredda, stretta in un immortale
abbraccio con l’elfa che per suo figlio ha donato la vita.
Un tempo
ero adulata.
Ora sono
io a rifuggire la vita mondana. Rinuncio, rinuncio a qualunque forma di vita
personale, tutto in favore di quegli adorabili marmocchi, quelle creature che
stanno crescendo libere e serene, libere di vivere
come a loro aggrada.
Rinuncio
a me stessa. Sto rinunciando a me stessa.
Eppure,
non mi abbatterò mai.
Aspetto.
Cosa, non lo so, forse che il mio destino si riveli, palese come un filone
d’oro, o forse che i tempi maturino abbastanza da permettermi di fare
capolino di nuovo nella vita a cui rinuncio
volontariamente.
Ciò
che posso fare è combattere, combattere nell’attesa che il momento
della rivalsa giunga.
Ed io lo
sento. Sento che questo momento di anno in anno si fa più vicino.
Ineluttabile,
fredda, inesorabile, la resa dei conti si avvicina, ghignando.
Io
l’aspetto. L’aspetto con un sorriso sul volto, alle spalle la mia
famiglia.
Per
cinquant’anni sono stata la pellegrina, l’oscura viaggiatrice.
Ora sono
e sarò qualcos’altro. Il mio cammino è ancora per la maggior parte oscuro, ma io mi sono portata una lampada
dietro.
Il
destino non mi frega. Non più.
Ed ho
capito una cosa, la sola cosa che vale davvero in questo mondo.
La
fedeltà non vale ad un accidenti.
L’onore
è un vanto per gli sciocchi.
L’amore
non è altro che rinuncia, rinuncia per gli altri.
L’altruismo
non è altro che far star bene il prossimo per stare bene.
La
rassegnazione è solo consolazione per le anime deboli.
Il dolore
spinge a lottare, ad interrogarsi.
Ad
interrogarsi per la vita, a combattere con le unghie e con i denti per
conquistarsi un posticino in un mondo che è indifferente nei tuoi
confronti, e tanto può elevarti nella luce, quanto, nell’attimo
dopo, buttarti nel più sudicio fango.
Il dolore
incita a non abbandonarsi al dolore.
E’
questo quello che ho imparato nella mia vita, nelle lunghe notti insonni,
passate a riempire pagine e pagine di inutili parole, notti in cui mi
addormentavo con il naso sul piccolo e rozzo diario, notti rischiarate da
un’unica, debole, candela.
Giorni in
cui mi vedevo nello specchio, e vedevo una creatura a metà trasformata
in un mostro.
Non mi
sento meglio, ora che so di aver finito.
Perché
nulla è finito.
Il mio
viaggio è solo all’inizio.
Ed io lo
so.