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Autore: Drop_the_world    15/09/2015    0 recensioni
Un ragazzo e una ragazza si conoscono per caso al pronto soccorso e scoprono così il primo vero amore. Un mix di passioni tra sport , adolescenza e amore. In parte ispirata alla mia realtà.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Davvero era successo? Davvero gli aveva rivolto la parola? Davvero quella ragazza perfetta aveva fatto una battuta per rompere il ghiaccio? Forse se l’era immaginato, il che non era affatto impossibile dato che era imbottito di antidolorifici. -Sono Emma, piacere. Sorrise ancora la ragazza. Era la conferma che non si era immaginato nulla, anche se non ne era del tutto sicuro di cosa fosse appena accaduto. Quelle parole avevano suscitato una strana sensazione dentro Niccolò. Eppure erano tre semplicissime parole. Forse era colpa del sorriso, di quel sorriso fatale, che lo aveva inebriato da subito, o forse degli occhi, di quei profondi occhioni verdi in cui riusciva a leggerle le emozioni. Fece per rispondere, aprì la bocca ma non uscì alcun suono. Ora la sua bocca era impastata e impregnata di un gustaccio amaro e acre. Gli venne un’improvvisa voglia di fumare. No, ora non doveva pensare al fumo, ma a una risposta semplice da dare a Emma. Stava di nuovo per aprire bocca quando improvvisamente si accorse di non ricordarsi più il proprio nome. Incredibile, il mix di antidolorifici, che avevano agito come una droga, la vista della ragazza e la botta in testa gli avevano fatto scordare il suo nome. Dovette guardare il braccialetto dell’ospedale per ricordare di chiamarsi Niccolò. -Io sono Niccolò, ma mi puoi chiamare Nico, se ti va naturalmente. Disse finalmente imbarazzato e un po’ insicuro. Non gli era mai capitata una cosa del genere. Di solito ci sapeva fare con le ragazze, sapeva cosa dire, come comportarsi, come guardarle. Di solito era lui a controllare le ragazze. Adesso però era Emma ad avere il pieno controllo su di lui. Capì subito che era diversa da tutte le altre. -Si, mi piace, Nico va bene. Ti chiamerò Nico. Ancora qual sorriso, ancora quello sguardo. -E dimmi Nico, cos’hai fatto al sopracciglio? -Giocando a rugby, ho preso una gomitata e mi sono lacerato il sopracciglio… -spiegò serenamente- e oltre al danno la beffa, è successo dopo un quarto d’ora dall’inizio di una delle partite più importanti del campionato. -Che sfiga! Mi dispiace un sacco. Spero non sia nulla di grave. -No no, qualche punto e sono come nuovo. -Hai ancora intenzione di cucirti con lo spago? – Rise lei -Si e dopo ti ingesso il braccio. Risero entrambi di gusto finendo per guardarsi nuovamente negli occhi -Tu invece, come hai fatto a romperti il polso? -Ehi, non è sicuro che sia rotto –disse scherzosamente Emma- Stavo facendo una gara di sci notturna e ho pensato bene di centrare in pieno una porta. Dopo essere esplosa tra neve, sci e racchette mi sono ritrovata il polso dolorante. -Vedo che anche tu non sei stata molto fortunata. -Dici? Secondo me lo sono stata eccome. Si stava davvero riferendo a ciò che pensava Niccolò? Si, aveva appena ammesso implicitamente che era stata fortunata a cadere ed essere costretta ad andare in pronto soccorso. Emma aveva intuito che Nico avesse capito tutto e sfoderò per l’ennesima volta il suo sorriso. Continuarono a parlare e Niccolò fu tentato più volte di chiederle il numero. Voleva rivederla, voleva conoscerla meglio. Alle 0.54 venne chiamato per farsi cucire. Se prima aveva aspettato con ansia quel momento ora non voleva andarsene, avrebbe voluto rimanere con Emma a chiacchierare. Si alzò svogliatamente dalla sedia, salutò la ragazza e si diresse verso la porta in fondo alla stanza da cui era spuntata l’infermiera per chiamarlo. Aprì la porta e mentre varcò la soglia guardò un’ultima volta la sua compagnia di quella fortunata disavventura. Venne condotto in un’altra sala d’attesa, dove un medico gli spiegò che tempo dieci minuti e lo avrebbe visitato. In realtà non era una vera e propria sala d’attesa, era stata ricavata da una stanza in cui dovrebbero esserci stati ricoverati dei pazienti. Vi erano otto letti, quattro sulla destra e quattro sulla sinistra. Come preannunciato, il dottore arrivò poco dopo e lo accompagnò in un’altra stanza ancora. Lì lo fece accomodare sul letto, chiese cosa fosse successo e disse che naturalmente ci sarebbero voluti dei punti. Prese una siringa di anestesia e la iniettò intorno al sopracciglio di Niccolò. Iniziò a cucire e una volta finito ammirò il lavoro, quattro punti di sutura. -Ora per sicurezza devo mandarti a fare i raggi per assicurarsi che non ci siano microfratture o commozioni cerebrali pericolose. Nico dopo aver fatto le lastre tornò nella sala d’attesa, o meglio, nella stanza con i letti. Durante il tragitto il suo sguardo era fisso al pavimento. Stava per svoltare nel corridoio che dava alla sua destinazione quando si scontrò con qualcuno. Appena alzò gli occhi riconobbe immediatamente quei lineamenti, quel sorriso, quegli occhi. -Ehi, chi si rivede! Vedo che hai finalmente dei punti al sopracciglio, li hai messi tu o il dottore? -Il dottore… anche se probabilmente li avrei messi meglio io. Tu invece sei ancora senza gesso, te lo devo mettere io? -Sto andando a fare i raggi… poi mi aspetto che tu mi ingessi questo maledetto polso -Volentieri, vado ad aspettare che il medico guardi i raggi e veda che ci sia tutto apposto. Così quando ti sistemo io il braccio. -D’accordo, io spero di fare veloce. Mi raccomando, non mi scappare eh. -Tranquilla, ti aspetto seduto, con tutti gli antidolorifici che mi hanno dato non potrei andare molto lontano. Quando arrivò nella sala d’attesa improvvisata si sedette sul letto dove sua madre lo aspettava pazientemente. Erano le 2:17. Niccolò non riusciva togliersi di mente Emma. Lo aveva fulminato, colto alla sprovvista nella notte buia e fredda e fatto sentire nudo sotto una coperta troppo corta per coprirlo tutto. Ogni volta che lei socchiudeva le labbra e lo illuminava con uno dei suoi sorrisi gli faceva mancare l’aria, lo faceva sentire soffocato, piccolo e indifeso. Non poteva non rivederla più, non era concepibile una cosa del genere per la sua mente, assolutamente no. Verso le 2:30 la vide spuntare col braccio ingessato e diregersi verso di lui con il suo sorriso, sta volta storpiato un po’ dal dolore. Si sedette accanto a lui sul letto. Ricominciarono a parlare e Niccolò continuava a essere indeciso se chiederle o meno il numero. Passò poco meno di un’ora e i due ragazzi avevano finito per sdraiarsi su un letto, uno vicino all’altro, e chiacchieravano, chiacchieravano senza sosta. Lui guardava lei e lei guardava lui. Nico avrebbe voluto passare l’eternità in quel modo, ma i suoi sogni ad occhi aperti vennero interrotti quando l’infermiera lo chiamò. Fortunatamente non aveva nessuna frattura e il trauma cranico era abbastanza contenuto. Uscì dalla stanza molto triste. Non per l’esito della ferita, gli era andata più che bene da quel punto di vista, ma per il fatto che non sopportava l’idea di lasciare Emma. Si conoscevano appena e già si era affezionato. Ammise a se stesso di volersene innamorare perdutamente, ma quando arrivò da lei per salutarla non ebbe il coraggio e la sfacciatezza per chiederle il numero. Riuscì però a farsi avanti per un abbraccio. Fu la stretta più bella di tutta la vita, non se ne voleva staccare. L’abbraccio durò a lungo, fino a che l’infermiera non chiamò la ragazza. Si guardarono per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Niccolò si perse nei suoi grandi ed espressivi occhioni verdi per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Niccolò si abbandonò al sorriso di Emma per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Dovevano andare entrambi. Erano le 3.43 del 28 novembre. Forse quello era il loro addio, forse. Avrebbe voluto tornare indietro per chiederle il numero di telefono e dirle quanto desiderasse rivederla. Ne voleva ancora. Bramava rivedere quel sorriso ancora. Sognava ad occhi aperti di incrociare quello sguardo ancora. Ne voleva ancora. Forse era troppo tardi. Forse.
   
 
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