Capitolo
6 – Life’s a Choice
Uno,
due, tre minuti – o forse anche dieci – chi sapeva
quanto tempo era passato, quanti secondi avevano scandito il ritmo del
duello che stava avendo luogo in quel momento. Non era certo un
combattimento all’ultimo sangue, ma entrambi i contendenti
potevano giudicarsi testardi, risoluti e fermi sulla loro posizione.
L’incontro vedeva alle due estremità: me stessa,
seduta placidamente sulla poltrona del salotto – Vs.
– libro di Michael, posato sul tavolino di fronte, esposto
alla vista della sottoscritta.
Non l’avevo più aperto dopo aver letto la dedica,
e non perché non morissi dalla curiosità di
farlo, piuttosto quelle parole, quel pensiero, risuonavano nella mia
testa come un grande e irrisolto
“perché?”. Era un punto di domanda che
non riuscivo ad ignorare, seppure avessi cercato di farlo. Non mi
capacitavo di un tale gesto, di avermi fatto un regalo per Natale, di
essere stata nei suoi pensieri.
Di
fianco al libro, invece, c’era la lettera
dell’Università, ed anche lì un grande
punto interrogativo mi affliggeva. Ero stata invitata a prendere parte
ad un corso di specializzazione sugli animali esotici. Ai tempi in cui
mi laureai ero riuscita a classificarmi tra le più brave
della mia facoltà e ricevevo spesso quei tipi di inviti. Il
più delle volte erano corsi di approfondimento che in
realtà non aggiungevano nulla di nuovo al percorso di studio
già intrapreso. Questa volta però si trattava di
studiare un campo di cui ero da sempre rimasta affascinata, ed era
un’occasione d’oro per approcciarsi ad una
realtà non sempre accolta dai veterinari comuni, lo studio
di altre specie di animali. Certo anche io amavo cani e gatti, ma non
volevo fermarmi solo a quello.
Tuttavia il corso si teneva in Florida, dall’altra parte
degli Stati Uniti, in un centro specializzato nella cura di animali non
considerati domestici, e si sarebbe concluso in cinque mesi, verso la
fine della primavera.
L’idea di lasciare Los Angeles, gli affetti e la sicurezza
della mia casa per tutto quel tempo, mi faceva desistere
dall’accettare.
Non sapevo proprio che decisione prendere e l’essere indecisa
per natura non mi aiutava per niente.
<<
Arrivo! >>.
Spalancai la porta accogliendo il sorriso sornione di Jay. Portava un
cappellino di lana che ricopriva i riccioli dorati di cui era provvisto
e un giubbotto di piumino per ripararsi dal freddo. Non era mai stato
molto attento a quella che si definiva “moda” ma
non era un punto che andava a suo sfavore, anzi. Molte ragazze mi
avevano confidato di trovarlo bello e affascinante, nonché
capace di far divertire in qualsiasi momento con la sua naturale
allegria. Io le ascoltavo e sorridevo, perché cercavo di
aiutarlo a trovare la sua anima gemella, di renderlo felice, ma lui
rifiutava ogni avance sempre con risoluta determinazione. Allora mi
rabbuiavo, incapace di capirlo, chiedendogli il motivo di tanta
riluttanza, lui che non aveva problemi a socializzare e che avrebbe
potuto avere qualsiasi donna ai suoi piedi.
Solo una volta mi diede una sottospecie di risposta; una sera, seduti
soli sul dondolo davanti casa, ne approfittai per iniziare il discorso.
Mi disse solo: “sto aspettando una persona”, ed io
non indagai oltre.
<<
Ehi, buon Natale, Santa Claus! >>, lo presi in giro.
Storse il naso, non molto divertito.
<<
A proposito di questo, come mai quest’anno non sei venuta a
sederti sulle mie gambe ad esprimere il tuo desiderio? Anzi non mi hai
proprio degnato di uno sguardo. Non si fa così, cara Bee
>>.
Mosse il dito facendo segno negativo, tenendo l’altra mano
nascosta dietro la schiena.
<<
Oh avanti, sembra quasi che tu sia geloso >>, misi le
braccia conserte e provai a stuzzicarlo.
<<
Forse lo sono >>.
Rimasi a guardarlo cercando qualche indizio che mi facesse capire che
stesse scherzando.
Non ne trovai.
<<
Andiamo Jay, sai già quanto fossi scossa quel giorno. Magari
avevo la testa da tutt’altra parte, non farne un caso
drammatico. E poi, geloso di cosa? >>.
Attesi la risposta. Alla fine scosse la testa.
<<
Di nulla. Buon Natale, Bee >>.
Mi porse un cofanetto di forma rettangolare, formato da un tessuto
vellutato color rubino. Aveva l’aspetto formale ed elegante,
già pregustavo quale magnifico oggetto avessi ricevuto in
regalo.
<<
Che cos’è? >>, chiesi mentre lo
studiavo con gli occhi.
<<
Dai aprilo >>. Mi apparse impaziente, come mai lo avevo
visto.
Spostava continuamente il peso del corpo da un piede
all’altro in una danza scomposta e disordinata.
<<
E va bene, va bene! Dammi un attimo >>.
Tolsi il fiocco di seta che avvolgeva il velluto, e lo aprii.
<<
Che te ne pare? >>, mi chiese, non appena posai gli occhi
sull’oggetto contenuto.
Mi presi del tempo prima di rispondere. La sorpresa di ritrovarmi quel
bellissimo regalo tra le mani mi lasciò senza fiato.
Era un bracciale, probabilmente d’oro, formato da una maglia
fine come una catenina, nella quale era appeso un charm: una piccola
ape con le ali spiegate, e il nero e il giallo del dorso ben in vista.
<<
È bellissimo Jay! È stupendo, grazie
>>.
Lo abbracciai d’istinto, senza remore o incertezze, con lui
era un gesto che mi veniva spontaneo come respirare.
<<
Beh, quale altro modo per onorare il tuo soprannome se non regalandoti
il significato di esso? Non sei d’accordo, piccola Bee*?
>>.
Gli diedi un buffetto sulla spalla, cercando di sdrammatizzare per non
lasciarmi coinvolgere dall’emozione del momento. Mi piaceva
il mio soprannome e mi piaceva il fatto che solo lui mi chiamasse
così.
<<
Come potrei non esserlo? Vieni dentro, forza, fuori fa freddo
>>.
Riposi il cofanetto su uno scaffale della libreria e presi il regalo
per Jay, rimasto tutto solo sotto l’albero.
<<
E questo è per te >>, glielo porsi con molta
soddisfazione. Adoravo fare regali, la felicità causata ad
altri e nata da un proprio gesto è un’emozione
incommensurabile, inebriante.
<<
Vediamo un po’, deve essere un altro dei tuoi regali sui
Beatles >>.
Il luccichio negli occhi era di riso e di un bonario rimprovero.
Non provai a contraddirlo perché si rivelò essere
esattamente quello che aveva predetto. Mi ringraziò con un bacio sulla guancia e il momento dei regali si concluse con quel
gesto.
<<
Mi dispiace per non essere passato prima a farti gli auguri, ho avuto
alcuni impegni da sbrigare, e poi mia madre mi ha sballottato a destra
e a manca per andare a trovare parenti di cui nemmeno conoscevo
l’esistenza. Insomma il solito inferno natalizio
>>.
<<
Beh, sei un uomo adulto, sei capace di dire di no? >>.
<< No –
cioè sì – certo che ne sono capace, ma si
da' il caso che ci siano due persone alle quali io non riesca
a dire di no >>, rispose con un sorriso beffardo.
Lo imitai, lusingata, anche se incredula. Non credevo di avere un tale
potere su di lui, difatti non capii se fosse uno scherzo o meno.
<<
La vuoi una tazza di tè? Ne ho uno buonissimo dal sapore
agrumato >>.
<<
Accetto l’offerta >>.
Feci accomodare Jay sul divano e mi spostai in cucina a preparare la
teiera.
Sentii accendere la televisione e passare da canale in canale, fino a
fermarsi in quello che doveva essere un programma musicale. Sapevo
già quanto fosse speranzoso di trovare una canzone dei
Beatles ma le sue speranze furono vane perché dal rumore
assordante che riuscivo a percepire quella musica doveva essere
tutt’altro che del gruppo di Liverpool.
Aspettai quei pochi minuti necessari per la preparazione del
tè e fui pronta per raggiungere Jay.
<<
Il tè è pronto, vedrai quanto è buon-
che fai? >>.
Mi fermai sotto l’arco che divideva cucina e salotto e
osservai Jay tenere con una mano il libro regalatomi da Michael e con
l’altra mano riposare velocemente in tasca quello che
sembrava essere un piccolo biglietto.
<<
Niente >>, fu la risposta repentina.
Non mi mossi, perché avevo lo strano presentimento che non
fosse la verità.
<<
Cos’era quel bigliettino? >>.
<<
Questo? – cacciò fuori il pezzetto di carta e lo
ripose immediatamente dopo – Non è niente, solo la
lista della spesa che mi ha scritto mia madre >>.
Annuii, lenta.
Che stupida, non sapevo che cosa mi fosse preso. Mi ero lasciata
ingannare dalla faccia sorpresa di Jay e dalla rapidità del
movimento, sembrava lo avessi colto in flagrante quando in
verità dovevo solo averlo spaventato.
<<
Scusami, qualunque cosa sia non sono affari miei >>.
Mi avvicinai al tavolino e posai il vassoio con le due tazze .
<<
Non dire così, sai che non è vero. Comunque, mi
hai spaventato. Stavo leggendo la trama di questo libro, sembra
interessante >>.
Guardai vagamente il disegno che ricopriva l’intera
copertina. Lo conoscevo in ogni minuscolo dettaglio come una foto
ricordo stampata direttamente all’interno della mia memoria.
<<
Non saprei, ancora non ho iniziato a leggerlo, l’ho ricevuto
in regalo solo ieri. >>.
Non
mi chiedere da chi …
Non mi chiedere da chi …
Non mi chiedere da chi …
<<
Da chi? >>.
Perché mi sentissi a disagio nel rispondere a quella domanda
non avrei saputo davvero dirlo.
<<
Non mi crederesti mai >>.
<<
Provami >>, rispose, con la solita faccia da schiaffi,
ormai appurata negli anni e divenuta suo marchio di fabbrica.
Mi accomodai sulla poltrona vicino al divano, lo feci con una lentezza
che doveva per forza di cose risultare esasperante per il mio
interlocutore, ma mi serviva per tenere sotto controllo il nervosismo
che quella rivelazione avrebbe provocato.
Misi lo zucchero nelle tazze – un cucchiaino per Jay e due
per me, che amavo assaporare la dolcezza di ogni bevanda calda
– mescolai con cura e quando gli porsi la sua tazza, Jay era
già pronto ad accoglierla, lo sguardo fisso e attento su di
me.
<<
Me l’ha regalato Michael >>, mi spostai una
ciocca di capelli, tesa.
Jay non fece una piega. << Cioè, intendo
Michael Jackson >>, aggiunsi infine, per togliere ogni
dubbio e aspettando paziente le mille domande che di lì in
poi mi sarebbero piombate addosso.
Così non avvenne. La sua espressione non mutò se
non di uno stupore che sembrava ostentato più che spontaneo,
come quel “wow” che gli sentii pronunciare qualche
secondo dopo. Era solo un’esclamazione fine a se stessa.
Per qualche strano motivo facevo fatica a respirare, avevo la
sensazione che non ci fosse abbastanza ossigeno in quella stanza.
Blaterai giusto un fievole “già” e poi
calò il silenzio.
Bevemmo solitari il nostro tè, ascoltando per nulla
interessati la voce della televisione che divulgava
l’ennesima notizia sulla politica.
<<
Cavolo, è fantastico, eh? Michael Jackson che ti manda un
regalo >>.
Avrei detto incredibile più che fantastico ma non era il
caso di puntualizzare.
Esordii con un altro dei miei “già”,
attirando l’attenzione di Jay.
<<
C’è qualcosa che dovrei sapere? >>,
chiese in tono neutro.
<<
Certo che no, nulla di importante. Abbiamo solo parlato per un
po’ di tempo, nient’altro >>.
L’avrei definita una mezza verità, non
completamente sincera ma neanche il contrario.
<<
E comunque è solo un regalo Jay, per cui tranquillo, so che
sei entrato in modalità “fratello
protettivo”. Pensa che l’ho trovato imbucato nella
cassetta della posta, con una semplice dedica all’interno e
basta, né un indizio né un numero di telefono per
ringraziarlo. È un gesto carino, ma finisce qua
>>.
Rise freddamente girandosi a guardare la televisione, scuotendo la
testa.
<<
Come sei ingenua >>.
Aspettai di sentire altro che spiegasse quella frase improvvisa e
rimasi per poco tempo a guardargli il profilo adulto, la fronte coperta
da pochi ciuffi dorati e il naso pronunciato a seguire una linea
dritta. Non parlò più ed io mi sentii offesa,
perché tra tutte le verità che avrebbe potuto
dire quella aveva un suono sarcastico.
Mi ero innervosita, non capivo metà dei suoi comportamenti
quella sera.
Presi le nostre due tazze e le posai sul vassoio per andare a posarle
in cucina ed uscire da quella stanza.
<<
Aspetta >>, la voce di Jay mi fermò,
così come la sua mano che ora indicava un punto preciso
dinanzi a sé.
Seguii la sua direzione trovando le immagini televisive di una
bellissima casa vista dall’alto di un elicottero, circondata
da un grandissimo prato verde.
Si vedeva in lontananza un parco giochi e lunghi sentieri contornati da
fiori di ogni colore.
L’avevo già vista altre volte su foto di giornali
e in televisione, ma non ricordavo in quale occasione.
Il luogo di per sé trasmetteva calma e serenità
ma la notizia che seguì mi gelò sul posto.
“Sembrerebbe
essere questo il declino di una Star nata sotto i riflettori e che ci
incollava ai teleschermi per ballare con la sua orda di zombie
ballerini. Un decennio dopo, il King of Pop, Michael Jackson, si
ritrova con una recente accusa di pedofilia enunciata dal padre del
piccolo Jordan Chandler, ma non solo. Dallo staff manageriale del
signor Jackson ci arrivano notizie che la Star avrebbe da poco lasciato
la sua abitazione di Neverland, nella contea di Santa Barbara, per
alloggiare fino a tempo indefinito in un centro di riabilitazione per
la disintossicazione da farmaci antidolorifici. Un’altra
battaglia attende ora il King of Pop, ma ci chiediamo se alla fine ne
verrà fuori un po’ di luce o se questo non sia
altro che l’inizio della fine per Jacko.”
L’ultima
immagine era il fotogramma di un sorriso limpido e dalle labbra distese
che ricordavo molto bene. Anche gli occhi erano gli stessi, non
guardavano nella telecamera, non l’avevano mai fatto durante
l’intero servizio, nei vari stralci presi dalla sua vita
quotidiana.
Pensai che doveva essere uno scherzo o una bufala inventata dalla rete
televisiva, il che era assurdo, considerando che fino a qualche giorno
fa non avrei mai obiettato sulle cose dette sul suo conto, anzi avrei
rincarato la dose.
Però stavolta lo feci, perché sperai soprattutto
che non stesse così male. La foglia tremolante sembrava
pronta per atterrare e non nel migliore dei modi. E se non ce
l’avesse fatta a proteggersi a dovere? Avrebbe rischiato di
veder rompere i suoi filamenti e divenire secca, dimenticata e
abbandonata.
Ma era possibile per uno come lui?
<<
Alla fine le fragilità vengono sempre a galla, ci si deve
fare i conti prima o poi >>.
Spostai gli occhi su Jay rimasto a guardare immobile come una statua lo
scorrere delle immagini che ora raccontavano un’altra notizia.
<<
Il Re sta per abdicare >>, concluse.
Se prima avevo un peso, adesso sentivo un macigno.
La crudeltà di quelle parole mi scosse, ne avvertii
l’amara veridicità ma per qualche ragione mi
imposi di non creder loro.
Mi era impossibile pensare a quell’uomo e vederlo schiacciato
dai suoi stessi incubi, anche se centinaia di possibilità mi
balenavano in testa senza che io potessi fermarle: alcune avevano un
lieto fine e possedevano la capacità di farmi respirare;
altre scivolavano come veleno e io ne sentivo gli effetti paralizzanti
lungo tutto il corpo, avevo paura e non per me.
Eppure riuscii a spezzare l’evoluzione di quei pensieri, non
era la fine, anzi era l’inizio di una salita.
Michael ne stava percorrendo i primi passi, e la fragilità
non aveva scampo contro l’altra parte della sua
personalità.
Sperai con tutta me stessa che mettesse in campo la determinazione e la
tenacia che in qualche angolo si intravedeva nella sua natura; e che
quel luogo segreto dietro il quale si nascondeva e che stava quasi per
essermi svelato, riuscisse a proteggerlo a dovere per renderlo
più forte.
Lo sperai così tanto che alla fine divenne una certezza.
Ce l’avrebbe fatta, ne ero sicura. Era un atto di coraggio il
suo, non un gesto arrendevole.
Jay me lo lesse negli occhi ancora prima che io aprissi bocca.
<<
Ti sbagli. Non sta abdicando, sta lottando per rimanere sul trono
>>.
***
Presi
finalmente una decisione quando una sera, dopo aver ascoltato
l’ennesima notizia sul suo presunto declino artistico ed
umano, spensi il televisore con assoluta calma ed andai in camera a
preparare le valigie.
Avevo vissuto in quella settimana preda di un subbuglio emozionale che
mi prendeva all’altezza dello stomaco, un malessere che
andava poi ad espandersi sul resto del corpo.
Eppure mentre cercavo le cose che mi sarebbero servite per abitare in
Florida, ero quieta e leggera, privata di qualsiasi timore. Un
po’ ansiosa, quello sì, ma anche stranamente
eccitata.
Era bello dopo tanto tempo darsi una possibilità. Avrei
dovuto farlo più spesso, anche io ero in grado di scacciare
i miei incubi, lo sapevo e ci credevo.
Le uniche persone che salutai furono le mie colleghe nello studio
privato nel quale lavoravamo come veterinarie.
A mia madre una telefonata, breve ma intrisa di mille sentimenti, di un
augurio speranzoso offerto con un tono guidato dall’orgoglio.
Aspettai prima di chiamare Jay, dopo quella sera non ci eravamo visti
né sentiti, e telefonargli avrebbe fatto tremare un
po’ della mia determinazione, che mai si era separata dalla
sua presenza.
Partii che era pomeriggio inoltrato, due valigie e una borsa in spalla.
La prima decisione della mia vita, il primo faticoso passo a scalare la
montagna.
Non mi sentivo altro se non felice, mentre in aeroporto annunciavano la
partenza del mio volo.
Mi alzai sicura verso la mia meta, accompagnata dalla voglia di
farcela, da un’ape d’oro pronta a spiccare in alto
e da un libro che aveva osato sfidarmi.
Per quanto riguarda il soprannome di Isabella invece, già lo
saprete ma - onde evitare confusione - Bee è anche una
parola inglese che significa “ape”. Da qui ecco
fornita la spiegazione al regalo di Jay.
Inoltre vorrei ringraziare chi ha aggiunto questa storia tra le
preferite e le seguite, mi sono accorta di non averlo mai fatto, quindi
cerco di rimediare ora.
Mi riempite davvero di gioia.
Un abbraccio di cuore,
Martina.