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Autore: Black Mariah    02/10/2015    4 recensioni
-Michael è un ragazzo dell'alta borghesia di New York, erede di uno dei più ricchi banchieri d'America. Sarah lavora in un supermercato per pagarsi i materiali per i suoi dipinti e aspira a diventare un'artista. Perfetti sconosciuti, conducono stili di vita diversi, vivono in contesti sociali diversi, ma c'è qualcosa che li accomuna: un letto di ospedale.
Il destino ha deciso di farli incontrare in un momento sbagliato: non possono parlarsi, non possono toccarsi, non possono vedersi.
Sarah passa il tempo facendo volontariato al General Hospital di NY e si troverà inaspettatamente a provare dei sentimenti per quell'estraneo in coma: Michael.-
Dal primo capitolo:
"I suoi tratti somatici erano dolci, molto belli e delicati per un ragazzo. Aveva i capelli castano chiaro tendente al biondo e il mento ricoperto da una leggera barba dello stesso colore. Il suo viso in svariati punti era segnato da escoriazioni, mentre le braccia nude, presentavano fasciature, lividi e tagli.
Se non si fosse trovata in quella situazione, e se non ci fossero stati quegli evidenti segnali di incedente, avrebbe scommesso che il ragazzo stesse dormendo beatamente"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Le strade di New York quella mattina erano affollate come sempre: piene di gente che attraversava con centinaia di taxi fermati vicino ai marciapiedi, e con tanti altri passanti che procedevano con valigette in mano, caffè e brioche o documenti per il lavoro.
Michael quella mattina stava facendo il suo solito percorso.  Era uscito di casa alle sei e mezzo per fare jogging: era un’abitudine ormai a cui  non riusciva più a rinunciare, non solo per tenersi in forma, ma anche perché gli allontanava un po’ di pensieri dalla testa. Adorava il profumo dell’alba, e adorava vedere New York illuminata dai flebili raggi del primo sole mattutino. I profumi delle panetterie impregnavano l’aria e la sua città, anche se solo per qualche ora, sembrava quasi calma e rilassata.
Dopo aver corso e aver attraversato il suo solito tragitto, era tornato a casa, si era fatto una doccia e poi era uscito di nuovo. Nella tarda mattinata era stato invitato da un suo amico di College ad un aperitivo, a cui aveva deciso di prendere parte volentieri. Non vedeva Sam da più di sei mesi e gli avrebbe fatto piacere incontrarlo e intrattenersi con lui.
Erano appena le otto e mezza del mattino, ma il suo stomaco, reduce dalla fatica per la corsa, aveva già iniziato a brontolare, e perciò decise di dirigersi al suo solito bar di fiducia. Era un piccolo caffè letterario che era solito frequentare fin dai tempi del liceo, gestito da una coppia molto simpatica e dal loro figlio più grande, Jonathan.
Quando era uno studente Michael passava molto tempo lì, immerso dai libri e dal buonissimo aroma di caffè e circondato da gente semplice e garbata. Ci andava con i suoi amici tra la pausa tra una lezione e l’altra, oppure ci andava da solo semplicemente per rilassarsi e per passare qualche attimo di serenità, lontano dal ritmo frenetico della sua vita.
Il locale era arredato in maniera molto semplice, con dei piccoli tavolini tondi proprio sotto i grandi finestroni che davano sulla strada principale e con le pareti piene di librerie e di quadri. Tutto sembrava appartenere quasi ad un’altra epoca e il ragazzo adorava passare del tempo lì dentro.
Spinse con forza la porta d’ingresso ed entrò salutando e rivolgendo un grande sorriso alla mamma di Jonathan.
-Salve signora Gale!- esclamò, accompagnando il saluto con un gesto della mano.
La piccola signora dietro la cassa salutò il ragazzo affettuosamente e poi ritornò ai suoi conti.
Michael si diresse verso il bancone dove trovò un indaffarato Jonathan, accompagnato da altri due camerieri che stavano provvedendo a soddisfare i golosi desideri dei clienti.
Sul bancone erano esposti i più buoni e coloratissimi dolci di New York e qualsiasi persona che entrasse lì la prima volta, aveva davvero l’imbarazzo della scelta, e forse anche una grandissima indecisione su cosa mangiare per colazione.
-Jonathan, io vorrei un cappuccino con tanta schiuma- iniziò a dire rivolto al ragazzo.
-Poi- aggiunse titubante, sporgendosi sul bancone dei dolci e iniziando a spulciare con la vista tutti i deliziosi pasticcini esposti –Mmm… un cornetto con la crema al limone. Un cornetto molto grande con la crema al limone…-ripetè soddisfatto della sua scelta.
-Cacao sulla schiuma?- gli chiese Jonathan, ricordandosi le abitudini del ragazzo. 
-Cacao sulla schiuma…- annuì Michael sorridendo, sempre sorpreso del fatto che quel ragazzo riuscisse a ricordarsi certi dettagli. Jonathan serviva più di centinaia di persone ogni mattina, doveva essere difficile riuscire a tenere tutto a mente.  
-Beh, non è difficile dimenticarlo dato che lo prendi quasi ogni mattina!- esclamò il ragazzo con la divisa bordò, interpretando lo sguardo curioso del giovane di fronte.
Michael fece una risata–Hai ragione!- disse –Ah, per favore- aggiunse –Il cornetto me lo puoi riscaldare?-
Il cameriere gli sorrise e gli annuì con la testa.
-Se vuoi puoi metterti ad uno di quei tavolini- gli fece anche, indicando i tavoli con le poltroncine sotto la finestra –Arrivo subito-
Michael lo ringraziò e stava per andarsi a sedere, quando una voce accanto a lui lo distrasse.
-Jonathan, per favore mi fai un caffè con il latte?- chiese una ragazza al suo fianco, poggiando la borsa sul bancone e mettendosi a sedere su di uno sgabello.
-Certo tesoro…- rispose il ragazzo, intento a preparare le ordinazioni di Michael. 
-Sei passata presto stamattina…- le fece Jonathan guardando l’orologio sul polso. Solitamente la ragazza passava sempre per le nove, nove e mezza.
-Già, sono piena di impegni. Devo passare da una galleria d’arte a far vedere alcune mie fotografie, e poi devo andare all’ospedale per il volontariato- rispose la ragazza.
Michael fu incuriosito dalla sua voce e mentre aspettava la sua ordinazione, anche se Jonathan gli aveva detto di poter prendere già posto, rimase lì a sentire.
Aveva un voce molto bella e limpida, con un timbro molto chiaro e caldo. Era una di quelle voci rassicuranti, quelle adatte per raccontare le storie ai bambini.
Con molta discrezione, dopo essere stato incuriosito dalla sua voce, si girò  lentamente a guardarla e sorrise leggermente, incuriosito dal suo discorso.
Aveva i capelli scuri, lunghi, castano scuro e ondulati. Sembravano una cascata di seta scura con riflessi rossi. 
Il giovane rimase a scrutarla per qualche momento. Aveva un nasino alla francese che sembrava disegnato, delicato, con la punta tonda e leggermente all’insù. Le sue labbra erano carnose e rosee, gli zigomi alti e tondi.
Jonathan però poi gli fece cenno con il vassoio e lui si alzò, dirigendosi verso un tavolino.
Durante il breve tragitto, Michael notò qualcosa di nuovo nel locale: un’intera parete era stata ricoperta di quadri mai visti prima, ricchi di colore e realizzati con tante tecniche diverse.
-Belli quei quadri, sono nuovi?- chiese.
-Sì, sì. Gli ha fatti tutti quella ragazza lì al bancone- rispose Jonathan indicando la ragazza che aveva attirato la sua attenzione.
Michael le rivolse un’occhiata e vide che la giovane in questione stava prendendo posto proprio ad un tavolino accanto a lui.
Si sedette accanto alla finestra, rivolto verso di lei. Trovava estremamente curiosa quella situazione, ma anche quella ragazza.
Iniziò ad assaporare con soddisfazione il suo cornetto e la sensazione acidula della crema calda al limone sulla sua lingua, lo fece quasi sospirare. Adorava il limone nei dolci e adorava i cornetti: avrebbe potuto mangiarne a quintali senza mai sentirsi sazio.
Diede un sorso al suo cappuccino con il cacao e nel frattempo guardava quella ragazza di fronte. Aveva preso solo un cappuccino, senza nulla da mangiare, e in quel preciso momento stava sfogliando un quotidiano, segnandosi le pagine di interresse.
Guardandola, al ragazzo venne un’idea: era sempre stato bravo a flirtare e il suo bell’aspetto, di cui era consapevole, l’aveva sicuramente aiutato. 
Dopo aver finito con molto rammarico il suo cornetto, assaporato fino all’ultimo morso, prese la tazza ancora con il cappuccino e si diresse alla cassa.
Pagò alla signora Gale, lasciando anche un po’ di mancia e poi si diresse verso i quadri.
Visti da vicino erano molto belli, soprattutto perché si riuscivano a percepire e a scorgere i vari elementi usati. Michael riusciva a vedere la mescolanza dei colori che davano poi la sfumatura netta, riusciva a vedere i punti in cui i colori erano più granulosi e gli altri in cui erano maggiormente diluiti.
Tra tutto quell’arcobaleno di colori e di immagini astratte, un quadro su tutti attirò la sua attenzione. Era più piccolo degli altri, ma sembrava avere un impatto emotivo e artistico molto più forte.
Era stato realizzato con una tecnica strana, il colore sembrava essere stato steso un po’ con il pennello e un po’ con una spugna, in modo tale da ottenere un disegno irregolare e astratto. Il colore principale utilizzato era il nero, ma quel quadro era stato reso luminoso dall’utilizzo di sprazzi dorati, che sembravano quasi dei raggi di sole che penetravano nelle tenebre.
-Se proprio ti piace, potresti comprarlo-
Una voce alle sue spalle lo distrasse, ma lo fece anche sorridere. Il suo piano aveva funzionato.
Diede un sorso al suo cappuccino e deglutì.
-Chi dice che mi piace? Sto solo guardando- rispose sorridendo, girandosi lentamente di lato, riconoscendo il profilo della ragazza.
L’espressione della mora accanto a sé cambiò del tutto nel momento in cui lui si fermò a guardarla, sembrava sorpresa di parlare con un ragazzo come quello e sembrava essere molto attratta dai suoi occhi.
Michael sapeva che faceva quell’effetto alle ragazze e divertito continuò la conversazione.
-Beh, stai guardando questi quadri sorseggiando il tuo cappuccino in piedi…O ti piacciono,  o sei un critico d’arte che sta raccogliendo le sue idee sulla brutale recensione che farà questo mese sull’Art Press- replicò la mora, riprendendosi da quell’iniziale momento di sbandamento che Michael le aveva provocato.
Il giovane fece una risata, apprezzando il fatto che la ragazza gli aveva risposto a modo.
-Mmm…può essere- replicò Michael facendole l’occhiolino.
-Allora...- disse poi la ragazza, questa volta con fare meno sicuro e un po’ più imbarazzato.
Michael terminò di bere il suo cappuccino, appoggiò la tazza su un mobiletto di fronte e curioso di sapere cosa aveva da dirgli, si girò verso di lei.
-Critiche d’arte a parte. Credo tu abbia fatto un errore, mi hai pagato il caffè- concluse imbarazzata, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e iniziando a frugare nella borsa alla ricerca del  portafogli.
-Nessun errore- fece Michael sorridendole.
Protese una mano e con delicatezza le bloccò un polso. Non voleva assolutamente farsi ripagare, anzi, l’aveva fatto di proposito.
Nel momento in cui le loro mani si sfiorarono, il ragazzo sentì quasi una scossa partirgli da dietro la schiena e si bloccò improvvisamente. Per un attimo fu come prendere una scossa, ma una scossa piacevole, non dolorosa.
C’era qualcosa in quella ragazza che lo incuriosiva e che lo faceva sentire a suo agio, ma non volle sbilanciarsi troppo. Solitamente l’idea preliminare che si faceva sulle persone appena conosciute era giusta, ma cercò di non farsi influenzare troppo.
La mora rimase ferma, piuttosto imbarazzata da quel contatto inaspettato, e benché le sue guance avevano preso fuoco, cercò di mascherare le sue emozioni.
Michael la scrutò più attentamente: i suoi occhi erano luminosi e grandi, il suo viso tondo ed era di altezza media.
-Non ti basterà offrirmi solo un caffè se vuoi quel quadro- fece la ragazza accennando un sorriso, cercando di mascherare agli occhi esperti di Michael il suo disagio.
Il ragazzo rise e colse la palla al balzo.
-Posso offrirtene quanti ne vuoi ogni mattina. Se ti va bene, anche qualche pranzo- disse facendole l’occhiolino.
La giovane rimase perplessa non capendo perché quel bellissimo ragazzo le avesse rivolto certe attenzioni. In fondo non aveva fatto nulla per potersi far notare e gli aveva rivolto appena due parole.
Michael la guardò per qualche secondo: quella doveva essere una ragazza molto vergognosa secondo lui, ma non se ne curò, anzi, gli era sempre piaciuto fare la parte del ragazzo sicuro di sé, soprattutto se chi gli stava di fronte non si imponeva su di lui con prepotenza.
-Allora, che tecnica hai usato?- chiese poi per rompere quell’atmosfera di imbarazzo che si era creata.
La giovane scosse un po’ la testa, quasi risvegliandosi dal torpore che gli occhi blu di Michael le avevano causato.
-Ti intendi di Arte?- replicò lei, cercando di capire se avrebbe potuto spiegargli in maniera professionale la tecnica usata.
-Mmm…qualcosa del genere- rispose Michael sorridendo e continuandola a guardare
–Mi piace principalmente la Storia…ma anche la Storia dell’Arte- rispose curioso.
-Non l’avrei mai detto- fece la ragazza abbozzando un sorriso e girandosi a guardare la sua opera.
-E perché?- fece Michael curioso.
-Beh- iniziò a dire lei, cercando di far risultare le sue parole il meno equivoche possibile
–Sembri più un modello…che uno studioso- concluse imbarazzata.
A Michael scappò una risata –E chi ti dice che non posso essere entrambi? Mi stai sottovalutando!-
Le guance della mora diventarono rosse, non era stata una bella uscita.
Per cercare di non dare a vedere il suo continuo e palese imbarazzo, protese una mano e con le dita iniziò a seguire i segni della pittura sulla tela.
-Questi gli ho fatti con dei pennelli piatti- iniziò a dire con voce quasi tremante –Mentre questi gli ho ottenuti tamponando la tela con una spugna di corallo- continuò indicando le parti nere –Le parti dorate invece sono fatte con la foglia d’oro applicata sulla tela con un collante naturale- e poi si girò, rivolgendo un sorriso a Michael.
-E’ bellissimo- fece lui –C’è qualcosa di angosciante ma anche qualcosa di terribilmente speranzoso in questo disegno. E’ come se ci fosse la luce in fondo al tunnel, non so come spiegarlo- disse con profonda ammirazione.
-Già- commentò la ragazza –qualcosa del genere-
Michael si girò a guardarla nuovamente e le sorrise debolmente. Sicuramente dietro quella ragazza gentile e di aspetto così grazioso ci doveva essere qualcosa in più.
-Quindi sei anche una fotografa?- gli chiese poi, per cambiare argomento.
-Oddio, in realtà sono una misera cassiera di un supermarket sotto casa- gli rispose la ragazza un po’ imbarazzata per quel suo umile impiego –La fotografia e la pittura sono solo degli hobby a tempo perso-
-Non sono molto d’accordo- commentò Michael sincero –Questi quadri sono molto belli, e scommetto che anche le tue fotografie non sono da meno- aggiunse –E poi qualsiasi sia il tuo  tipo di lavoro, non devi mai sminuirlo: il lavoro nobilita l’uomo- concluse sincero e anche con una nota di rimprovero. Se una persona era onesta e svolgeva bene i propri doveri, non aveva proprio nulla di cui vergognarsi e lui lo sapeva bene, soprattutto perché la sua famiglia non sembrava ragionare in questo modo.
La ragazza lo guardò per qualche secondo, cercando di interpretare l’espressione assunta dal suo volto: era la prima volta che qualcuno gli diceva quelle cose e soprattutto, era la prima volta che un ragazzo, che sembrava essere uscito da Abercrombie, sia per l’aspetto che per gli abiti, le rivolgeva determinate parole.
Seguì qualche secondo di silenzio e improvvisamente la ragazza parlò.
-Grazie per la colazione…E anche per la chiacchierata- disse, mettendosi la borsa a tracolla e iniziando ad indossare il soprabito.
-Figurati- le fece Michael con una nota di tristezza sia nella voce che nello sguardo.
-Sarei rimasta maggiormente, ma purtroppo devo andare- fece la ragazza scusandosi sinceramente. Non le dispiaceva stare lì con quel ragazzo, in fondo era stato gentile e soprattutto non era stato per nulla inopportuno.
-Non preoccuparti- replicò il ragazzo sorridendo –Mi trovi qui ogni mattina!- aggiunse sornione, giusto per farle capire che gli avrebbe fatto piacere rincontrala.
La ragazza gli sorrise e lui quasi rimase di stucco. Solitamente le ragazze non gli facevano mai un grande effetto, forse perché era abituato a frequentarne di molto appariscenti, sicure del proprio aspetto e che non si perdevano in molti complimenti né in tanti convenevoli, ma la mora di fronte a lui era timida, molto gentile e dolce e aveva uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto.
-Ehi aspetta!- fece lui dimenticandosi il dettaglio più importante.
Di nuovo per fermarla le prese un polso, ma questa volta con meno imbarazzo. Fu un gesto deciso e netto, voluto fino in fondo.
Il nuovo contatto con la pelle della ragazza lo fece sussultare, ma cercò di controllare l’aumento del batticuore con respiri lunghi e profondi.
-Non mi hai detto ancora come ti chiami!- esclamò sorridendole. –Io sono Michael Trisher-
La ragazza gli sorrise timidamente e con lo sguardo si fermò qualche secondo sulla mano del ragazzo ancora attorcigliata al suo polso.
Michael lasciò la presa e portò la mano in avanti, presentandosi alla vecchia maniera.
-Sarah- rispose lei, protendendo la sua e stringendogliela con sicurezza –Sarah Lewis-
 
 
 
17 ottobre 2013
 
Sarah rimase a guardare Michael disteso sul letto ancora per qualche minuto. Quella situazione le risultava frustrante da sopportare e soffriva nel vedere quel ragazzo in quelle condizioni. Quella stanza d’ospedale diventava minuto per minuto sempre più fredda, priva di emozioni e di qualsiasi momento felice.
Aveva fatto una cosa strana: aveva parlato per più di mezz’ora con un ragazzo in coma, raccontandogli della sua vita, del suo lavoro al supermarket, delle sue passioni e dei suoi hobby. Gli aveva raccontato del concorso fotografico a cui aveva preso parte e di cui stava aspettando quasi senza speranza i risultati, e gli aveva parlato del favore che un suo amico le aveva fatto, esponendo alcuni dei suoi quadri nel suo bar, cercando di dargli maggiore visibilità.
Dopo quel monologo si sentiva strana, si sentiva come se avesse scritto i suoi pensieri sulla pagine di un diario che però non si poteva leggere.
Michael sicuramente non aveva sentito una sola parola di tutto ciò che Sarah gli aveva detto, ma a lei piaceva pensare che non era così. Si chiedeva se lui si potesse accorgere delle persone che c’erano in quella stanza, se potesse sentire le voci dei suoi visitatori o il tocco sulla sua pelle.
Il petto di Michael si alzava e si abbassava dolcemente, quasi come se fosse un bambino dormiente che non voleva essere svegliato per nessuna ragione al mondo.
La ragazza si alzò, avvicinandosi maggiormente al letto e protendendosi a guardare il viso di Michael. Avrebbe tanto voluto vedere di che colore avesse gli occhi e quanta vitalità avrebbero potuto trasmettere.
Trovando il giovane immobile di fronte  a sé, con gli occhi chiusi e con due tubicini infilati nel naso  però, quasi quei pensieri positivi svanirono e fecero spazio a tristezza e rassegnazione.
-Ci vediamo Michael- disse a bassa voce Sarah –Cercherò di passare il prima possibile- aggiunse, girandosi e uscendo da quella stanza.
 
Sam uscì da lavoro alle cinque in punto e dopo aver mangiato uno snack veloce preso dal distributore degli uffici assicurativi, salì in macchina.
Il tragitto dal palazzo della compagnia in cui lavorava al New York General fu come sempre molto lungo e caotico, pieno di traffico e di auto che uscivano da tutte le parti.
Con il suo Suv scese nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale e lasciò lì la vettura, dirigendosi poi a piedi all’ingresso principale della struttura.
Benché l’orario di visite iniziasse alle diciotto, decise di arrivare lì con qualche minuto di anticipo salvo qualche impedimento, e nel momento in cui le porte scorrevoli dell’ospedale si aprirono, catapultandolo nella grande e confusionaria hall, si trovò davanti un via vai di gente continuo e frenetico.
Si diresse verso l’ufficio informazioni e chiese aiuto a qualche inserviente per poter trovare il reparto di terapia intensiva. Una signora molto indaffarata e anche poco gentile nei modi, lo accompagnò controvoglia ai grandi ascensori che permettevano il raggiungimento di ogni piano e reparto di quell’ospedale.
-Spinga “meno uno”- gli fece l’inserviente prima di sparire tra la gente.
Sam la ringraziò con una faccia di disappunto, ma alla fine decise di non curarsi delle maniere indisponenti della donna, in fondo non era andato lì per farsi trattare bene da lei, e senza pensarci ulteriormente pigiò il bottone e scese nella terapia intensiva.
Quel reparto era meno confusionario del precedente, e senza perdere troppo tempo si diresse verso l’accettazione e chiese della stanza in cui si trovava il suo amico.
-Sono qui per Michael Trisher- disse il ragazzo al signore panciuto dietro la scrivania.
-E’ nella stanza sei, in fondo a destra- disse l’uomo, indicando il lungo corridoio di fronte.
Sam lo ringraziò e si diresse a grandi passi verso la stanza.
Era contento ma allo stesso tempo spaventato di andare a trovare il suo vecchio amico. Era da parecchio che non si vedevano a causa dei suoi impegni lavorativi a Seattle e la notizia dell’incidente di Michael l’aveva sconvolto non poco.
Ai tempi dell’università erano inseparabili, quasi come due fratelli,  e avevano imparato entrambi ad essere amici e confidenti, ma anche sinceri se qualche comportamento non era ritenuto molto nobile.
La cosa che gli aveva fatto legare maggiormente era stata sicuramente aver avuto due famiglie molto simili, con simili problemi.
Entrambi erano laureati in Economia a Princeton, nello stesso corso e nello stesso anno, ma entrambi i ragazzi avrebbero scelto qualcos’altro per il loro futuro.
Nel momento in cui Sam aprì la porta della stanza e si trovò di fronte Michael in uno stato che non si sarebbe mai immaginato, quasi si sentì male. Una morsa allo stomaco così forte lo colpì, che quasi si stava piegando in due dal dolore.
Aveva immaginato parecchie volte l’amico in quel periodo, e si era immaginato anche lo stato in cui l’avrebbe potuto trovare, ma l’immaginare e il vederlo davvero erano due cose diverse.
Sam chiuse per un attimo gli occhi, cercando di esorcizzare la vista del suo amico in quelle condizioni. Per qualche secondo sperò quasi che nel momento in cui le sue palpebre si fossero riaperte, avrebbe potuto trovare Michael seduto sul letto, sorridente, con magari in mano uno dei suoi soliti saggi storici che non piacevano mai a nessuno.
La realtà però era molto lontana dal suo desiderio e dalla sua fantasia: Michael era di fronte a lui, immobile e intubato, con l’elettrocardiogramma accanto al letto che scandiva sonoramente i battiti del suo cuore.
Si diresse lentamente verso di lui, cercando di ritrovare in quel corpo, dei tratti che potessero ricordargli il bel viso dell’amico.
Anche lui ebbe l’impressione che il ragazzo stesse dormendo, e forse, proprio questa parvenza, lo rasserenò un pochino.
-Mi hai fatto prendere un bello spavento- disse guardando l’amico e appoggiandosi ai guanciali metallici laterali del letto –Saresti dovuto stare più attento, che diavolo avevi per la testa?- chiese retoricamente, cercando di dare una spiegazione a quell’incidente.
-Sicuramente qualche bella ragazza come di tuo solito- aggiunse sorridendo, cercando di sdrammatizzare più per se stesso che per Michael, che inerme giaceva di fronte.
-Mi immagino già tua madre mentre ti urla addosso! “Michael che cos’è questo camice da quattro soldi? L’hai comprato a Brooklyn per caso?”- esclamò il ragazzo, imitando la voce squillante della signora Trisher e trattenendo un’amara risata. Era orribile vedere il suo amico in quelle condizioni, soprattutto sapendo com’era in realtà: attivo e pieno di vita.
Si girò e si sedette sulla poltroncina di fronte a lui e iniziò a guardarsi attorno, analizzando quella stanza.
Notò su una mensola accanto alla porta un vaso con un’orchidea, e sorrise, pensando che quel fiore donasse un po’ di vita e di colore a quella camera bianca. Sicuramente era stata una volontà di Amanda Trisher portare quel vaso lì: si ricordava bene della passione per le orchidee che la madre del suo amico aveva, perciò fu quasi certo che fosse stata una sua richiesta.
 
 
Michael vide arrivare da lontano il suo amico: indossava un completo nero, abbinato ad una camicia bianca e a dei mocassini di pelle lucida, con in mano una ventiquattrore, regalo della sua laurea.
Sam gli sorrise e aumentando il passò, arrivò di fronte il ragazzo e l’abbracciò. Era da tanto tempo che non si vedevano, quasi da quando l’università  era finita. Il lavoro di Sam e i viaggi di Michael gli avevano tenuti divisi per tutto quel tempo, ma i due non avevano mai interrotto i rapporti, fortunatamente infatti erano circondati da strumenti super tecnologici e costosissimi che permettevano loro di chiamarsi anche sulla Luna.
-Ehi, ti trovo bene…e abbronzato!- esclamò Michael dando una pacca sulla spalla all’amico e facendolo sedere ad uno dei tavolini del Dorian, uno dei ristoranti più esclusivi dell’East Side.
Sam si fece una risata –In Europa sono andato al mare! Avresti dovuto esserci! C’erano tante fighe da paura!-
Anche Michael si sedette e rise. Su quel punto di vista non erano mai andati molto d’accordo: Sam era un bravo ragazzo, ma aveva il vizio di divertirsi un po’ troppo, in tutti i sensi, sia con lo svago che con le ragazze.
-E tu invece? Che mi racconti?- chiese poi l’amico.
-Mah, niente di che…Solita vita. Sto cercando ancora di far capire ai miei genitori che non voglio lavorare in banca come tutti i componenti della mia famiglia- rispose sarcastico Michael, iniziando a guardare il Menù portatogli da una cameriera.
Sam sembrò essere attratto prima dalle movenze della ragazza e poi da ciò che aveva detto l’amico, ma lo guardò comunque comprensivo.
Conosceva bene la situazione, e soprattutto sapeva bene quanto potesse essere frustante fare qualcosa per cui non si provava interesse: era stato così per la facoltà a Princeton, e lo era anche per il lavoro.
A differenza di Michael però, che sembrava essere troppo bonaccione ed educato per parlare chiaro e tondo con la sua famiglia, Sam aveva la faccia tosta di non pensarci e di continuare a spassarsela, ripagando i suoi genitori con la stessa moneta.
Michael guardò Sam passarsi una mano tra i capelli, in attesa di formulare una risposta. Scrutò i suoi lineamenti marcati, il profilo del naso leggermente pronunciato, i suoi occhi verdi e il mento, colorato da una barba appena accennata.
-Sai, certe volte mi chiedo che cosa abbiamo fatto di male…-iniziò a dire Sam –Visti dall’esterno siamo i ragazzi più fortunati del mondo. Siamo belli, siamo ricchi, possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo. Siamo invidiabili- continuò guardando Michael.
-Ma è solo un’illusione- terminò invece l’amico, condividendo a pieno quelle parole.
-La gente pensa che solo perché siamo ricchi, tutto ci è dovuto, ma non è così. Avrei preferito essere povero, vivere giorno per giorno, guadagnandomi con fatica da vivere, piuttosto che fare le cose perché le devo fare e non perché voglio- concluse poi Sam con una nota di amarezza e rassegnazione nella voce.
Il loro discorso però fu interrotto dall’arrivo della cameriera che procedette decisa verso il loro tavolino, intenta a prendere le ordinazioni.
Michael scrutò la ragazza per qualche secondo, viaggiando veloce con gli occhi su di lei: aveva gambe lunghe e magre, indossava tacchi alti e slanciati che, data la sua professione, avrebbero dovuto essere molto scomodi; indossava una minigonna nera con una camicia bianca e i capelli neri e lisci erano raccolti in una coda.
-Cosa posso portarvi?- esordì la cameriera, rimanendo piacevolmente sorpresa da quei due bei ragazzi che aveva di fronte.
Sam rise sornione, sfoderando le tattiche di ammaliamento che aveva imparato ad affinare in quegli anni.
-Tu cosa ci consigli?- domandò sensuale, con una vena di malizia nella voce.
Michael sorrise, aveva visto quelle scene migliaia di volte, ed ogni volta il suo amico sembrava crederci davvero ed essere palesemente serio, nel tentativo di apparire il più sexy possibile.
-Dipende dai vostri gusti…- rispose la ragazza guardando entrambi i giovani e rivolgendo un grande sorriso sghembo a Michael, che fu contento di ricambiare.
-Dolce o salato?- aggiunse sempre la cameriera, inarcando leggermente un lato delle labbra.
-Entrambi- rispose Sam –Ti lascio carta bianca, sorprendici- disse, accompagnando quest’ultima frase da un gesto con le mani.
La ragazza segnò qualcosa sul suo taccuino e si diresse veloce verso il bancone, lasciando i due ragazzi seduti su quelle poltroncine in pelle bianca.
Michael e Sam la seguirono con gli occhi, e appena si fu allontanata, si guardarono complici, scoppiando entrambi in una risata.
-Non cambi mai!- esclamò Michael, ricordandosi della vivacità dell’amico.
-Scommetto che mi lascerà il suo numero dietro la ricevuta del conto!- commentò Sam, sedendosi in maniera più comoda e rilassata.
-Può essere- rispose divertito Michael.
-Ehi, se ti interessa, possiamo proporle una cosa a tre. Io non mi vergogno a farmi vedere nudo da te!-  disse Sam, accendendosi una sigaretta.
Michael rise –Non avevo dubbi! E poi l’immagine di te nudo con altre due ragazze nella doccia della nostra camera di Princeton è indelebile nella mia mente!-
-Devi ammettere però che erano due grandi belle ragazze! Se la doccia non fosse stata così piccola, ti avrei invitato- replicò Sam.
Michael scosse leggermente la testa, ripensando a come entrambi se la fossero spassata in New Jersey.
-E a te con le ragazze? Che mi racconti?- chiese Sam improvvisamente, curioso della vita sentimentale dell’amico.
-Tutto piatto- commentò sereno Michael. Non aveva molta voglia di una relazione, o meglio, non aveva ancora conosciuto ragazze con cui valeva la pena provare ad averne una.
-Ah sì?- commentò scettico Sam –Quindi mi stai dicendo che non hai una vita sessuale attiva?-
-Ti ho detto che non ho una ragazza…- iniziò a dire l’amico, mettendo subito le cose in chiaro –Non che non faccio sesso- concluse sorridendo, passandosi una mano tra i capelli.
-Evvai, finalmente hai capito come funziona!- esclamò Sam –E tua madre si accorge delle tue scappatelle notturne?-
-Non sia mai- replicò Michael –Entrano ed escono tutte dall’uscita del personale!- continuò scherzando.
Sam scoppiò a ridere, pensando a quanto dispotica e maniaca del controllo potesse essere Amanda e quasi si immaginò Michael che accompagnava le ragazze nel bel mezzo della notte di soppiatto, cercando di fare il meno rumore possibile.
Cacciò via l’immagine dell’amico dalla testa e tornò a riparlare con Michael.
-Per quanto tempo ancora rimarrai qui?- chiese Sam, fattosi serio tutt’una volta.
Il ragazzo di fronte sembrò capire al volo cosa intendesse l’amico. Era una situazione strana anche per lui, non capiva bene cosa gli stesse succedendo. Sembrava bloccato in una realtà parallela, in un sogno da cui non riusciva a svegliarsi.
-Non lo so. Certi giorni mi sembra di stare bene, altri un po’ meno. Mi sento confuso-
Confessò Michael, provato da quella giornata appena trascorsa.
Sam sospirò, visibilmente dispiaciuto. Michael era come un fratello per lui e avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo.
La cameriera tornò, iniziando ad appoggiare le ordinazioni dei ragazzi sul grazioso tavolino di cristallo, e i due, quando la giovane si piegò, si scambiarono uno sguardo di intesa.
La situazione era ritornata meno tesa e i ragazzi ripresero a scherzare, come se non fosse successo nulla.
Sam si sporse sul tavolino e prese tra le mani la ricevuta del conto. Sorrise sornione e soddisfatto,  sventolò il foglietto davanti agli occhi di Michael.
Inizialmente il ragazzo non notò nulla di strano, ma poi prese il foglietto dalle mani dell’amico e lo guardò con più attenzione.
-Te l’avevo detto! Ci avrei scommesso il capitale di mio padre!- fece Sam, riprendendosi la ricevuta.
Michael rise di gusto davanti all’evidenza delle efferate tattiche da seduttore dell’amico e ridiede il foglietto a Sam, il quale continuò a rigirarsi lo scontrino con su scritto il numero della cameriera per tutto il resto del tempo.
La mattinata con Sam passò molto velocemente tra una chiacchiera e l’altra, e a Michael fece davvero molto piacere poter stare un po’ di tempo con lui. Sam era una boccata di aria pura, ed avere accanto qualcuno come lui, con le sue stesse pressioni e costrizioni, era un po’ più confortante, e quando lo vide ripartire nel suo grande Suv, dopo averlo lasciato sotto il portone di casa sua, ritornò a sentirsi di nuovo un po’ più solo.
 
 
-E’ fatto tardi ora- riprese a dire Sam, guardando l’orologio e scrutando Michael sul letto.
 –Devo partecipare ad una cena di lavoro con mio padre, e sai quanto lui ci tenga alla puntualità in queste situazioni- aggiunse, alzandosi e infilandosi il cappotto.
-Riprenditi in fretta, amico mio- disse il giovane, sporgendosi e appoggiando una mano sul braccio di Michael.
-In questo periodo sono fuori città, ma ci rivedremo al Ringraziamento, in qualsiasi condizione tu ti trova- promise, sperando con tutto se stesso che per quella data Michael si sarebbe risvegliato.
 
***
Ecco il secondo capitolo, pubblicato oggi come promesso.
Per prima cosa devo ringraziare apertamente tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite e tutte coloro che hanno lasciato una recensione facendomi sapere cosa ne pensavano. Mi si è riempito il cuore di gioia nel leggerle <3
Passando alla storia, avevo promesso a tutte che il personaggio di Michael sarebbe stato trattato in maniera diversa e spero che da questo capitolo, abbiate capito come intendo trattarlo fino a quando non si sveglia.
La parte scritta in corsivo non è un flash back e nemmeno cose accadute realmente, sono i pensieri di Michael, immagini che lui elabora nel momento in cui qualcuno gli parla.
Per spiegarmi meglio, lui è tenuto costantemente sotto sedativi, ma per qualche strana ragione, riesce a sentire le voci di coloro che vanno a fargli visita e ogni volta immagina di parlare e di interagire realmente con i suoi interlocutori.
Ogni volta che ci saranno queste digressioni, ovviamente il principale punto di vista sarà quello di Michael che ci farà scoprire capitolo dopo capitolo com'è realmente fatto.
Spero che questo capitolo vi abbia sorpreso e vi sia piaciuto, soprattutto perchè nutro molto affetto per questa storia, soprattutto per come ho deciso di strutturarla e per i personaggi che ho deciso di utilizzare.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa trovata e se vi aspettavate qualcosa del genere!
Ovviamente, se volete seguire passo dopo passo gli aggiornamenti, potete cliccare sulla mia pagina Fb:
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E su cui mi piacerebbe se esprimeste un voto.
Ringrazio davvero tutti quanti di nuovo.
Ci vediamo martedì con il prossimo aggiornamento!

 

 
 
   
 
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