VI
SOLLIEVO
Dopo
l’ennesima estenuante indagine portata a termine con successo
dai Five-0 – grazie alla quale aveva anche collezionato una
nuova cicatrice sulla fronte – Danny era così
cotto che l’unica cosa che desiderava era un letto, un
divano, una brandina oppure, spinto dalla disperazione, persino un
sacco a pelo.
Chiamò Rachel per chiederle se per lei andava bene che il
giorno seguente passasse a prendere Grace intorno alle dieci e dopo
aver ritirato in tintoria un paio di camicie andò
direttamente a casa McGarrett. Era anche casa sua ormai, dato che nelle
ultime settimane aveva trascorso più tempo lì che
nel proprio squallido appartamento.
Percorse il vialetto per quella che gli sembrò
un’eternità, come se la porta non fosse altro che
un miraggio, e quando finalmente ci arrivò infilò
le chiavi nella toppa. Girò e rigirò, ma non
sentì mai la serratura scattare: con un brivido
realizzò che era aperta.
In un attimo tutti i suoi riflessi si ridestarono e lasciò
cadere a terra gli ometti con le camicie per estrarre la pistola dalla
fondina. Si spostò di lato per avere la copertura migliore e
con un piede spinse avanti la porta, poi si palesò
nell’ingresso con le braccia tese e gli occhi vigili. Non
notando nulla di strano, avanzò come se si trattasse di una
normale perquisizione, angolo dopo angolo, fino a quando non si rese
conto che le porte finestre che davano sulla spiaggia privata di Steve
erano aperte. Era certo di averle chiuse prima di uscire quella
mattina, e come per la porta d’ingresso non c’erano
segni di scasso.
Un movimento improvviso gli fece rialzare la pistola verso
l’oceano, ma quasi non gli scivolò dalle dita
quando scorse una mano penzolare dal bracciolo della sdraio. Saldamente
ancorata a quella mano c’era una bottiglia di birra mezza
vuota, la cui ombra si allungava sulla sabbia tinta
dell’arancione del tramonto.
Uscì con cautela sul lanai e i suoi passi attirarono
l’attenzione della persona seduta sulla sdraio. Danny aveva
la pistola abbassata, già conscio che non si trattasse di
una minaccia; o, meglio, che non l’avrebbe ucciso in quel
momento.
Sentì il proprio cuore fare un triplo salto mortale quando
l’uomo si alzò per andargli incontro e allo stesso
tempo le sue dita strinsero più forte il calcio della
pistola. Si trovava ad un bivio: non riusciva a decidere se voleva
sparargli per fargliela pagare oppure aspettare che fosse abbastanza
vicino per afferrarlo per la nuca e baciarlo. Proprio così, baciarlo.
«Ciao, Danno», lo salutò dolcemente
Steve, gli occhi sorridenti tanto quanto le sue labbra.
Non era mai stato così combattuto in tutta la sua vita.
*
Aveva
avuto modo di pensare molto in quelle lunghe cinque settimane senza
Steve e aveva raggiunto conclusioni a dir poco inaspettate.
Finalmente aveva realizzato in che misura il SEAL avesse influenzato il
suo modo di vivere e quanto la sua presenza fosse ormai indispensabile
per la propria serenità. Semplicemente troppo, rispetto a
quello che avrebbe dovuto essere.
Insomma, erano partner sul lavoro, amici fuori... Okay, più
che amici – quasi fratelli. Ma ciò che si era
scoperto a provare prima che la squadra si imbattesse in Dracul
Comescu, quando si era voluto togliere un sassolino che si teneva
dentro la scarpa da un po’, andava ben oltre il legame che
così faticosamente aveva cercato di delimitare da quando
l’aveva conosciuto. Le emozioni che sentiva ogniqualvolta
pensasse al capitano sconfinavano di diverse miglia e temeva di non
avere tanto nastro giallo – proprio quello delle scene del
crimine – per contenerle.
«Posso chiederti una cosa, scimmietta?».
Grace sollevò gli occhi dalla propria tazza di macedonia ed
annuì col capo, facendo dondolare i codini che le aveva
fatto quando erano tornati dalla spiaggia.
«Perché lo chiami zio
Steve?».
Ecco, gliel’aveva chiesto. Danny si alzò fingendo
di dover mettere a bagno i piatti della cena, quando in
realtà non voleva farle capire che era arrossito,
imbarazzato dalla sua stessa domanda.
«Me l’ha detto lui che potevo», rispose
la bambina, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«E quando sarebbe successo, esattamente?».
«Non mi ricordo, papà. Però una volta
ho sentito che ti chiamava fratello e ho pensato
che allora avrei dovuto chiamarlo zio, come zio Matt».
«Tesoro, anche Kamekona mi chiama fratello
– lo fanno quasi tutti, su quest’isola –
eppure non lo chiami di certo zio!».
«Mmh, tu e Kamekona non sembrate fratelli».
Danny si voltò di scatto, fregandosene del calore che
sentiva salirgli su per il collo. «Stai dicendo che invece io
e Steve sembriamo fratelli?».
Grace si strinse nelle spalle ed annuì ancora una volta, per
poi spiegare candidamente: «Voi due siete sempre insieme e vi
guardate in un modo…».
«In un modo? Che modo?»,
domandò nervosamente, la voce fuori controllo che si era
alzata di qualche ottava.
«Si capisce che vi volete bene, che c’è
qualcosa di speciale tra voi».
Il detective si ritrovò a bocca aperta, insolitamente
incapace di articolare una qualsiasi frase di senso compiuto. Proprio
lui, senza parole. Se solo Steve l’avesse visto…
«Allora ho chiesto a Steve se potevo chiamarlo zio
e lui ha detto di sì. Ha detto che io e te facciamo parte
della sua ohana».
Grace sorrideva contenta, tanto che se solo avesse avuto una coda
avrebbe iniziato a scodinzolare.
Danny non rispose, si limitò a ringraziare la bambina per
avergli tolto quella curiosità, poi le diede il permesso di
alzarsi da tavola per andare a guardare la TV.
Aveva continuato a rimuginarci su per parecchio tempo, anche dopo che
Stan e Rachel erano passati a prendere Grace perché
salissero sull’aereo che li avrebbe portati sul continente,
fino a quando non aveva cercato di allontanare i pensieri scomodi che
gli affollavano il cervello. E quale modo migliore, se non scervellarsi
sugli indizi che il padre di Steve gli aveva lasciato in
eredità?
Aveva avuto giusto il tempo di capire che probabilmente Steve era
andato in Giappone per cercare Shelburne e avvisare Chin della
scoperta, quando aveva ricevuto la chiamata del Governatore, quella che
aveva dato il via al caso che se non fosse stato risolto in fretta
avrebbe avuto la conseguenza forse più disastrosa che
avessero mai affrontato: un’epidemia di vaiolo emorragico in
grado di sterminare la maggior parte della popolazione terrestre.
Ovviamente aveva tenuto informato Steve, aggiornandolo sugli sviluppi
dell’indagine ogni volta che poteva. Aveva avuto persino la
prontezza di spirito di fare qualche battuta, quando aveva scoperto che
doveva una bistecca all’agente Hanna del NCIS – «Ecco
perché ti sei dato alla macchia, sei il solito
tirchio!», gli aveva detto.
Ma niente, nemmeno il fatto che aveva rischiato di venire infettato dal
virus più di una volta lo aveva convinto a richiamarlo.
Una sola, maledetta chiamata. Era tutto ciò che chiedeva.
Era già stato beccato due volte a telefono con
Grace dall’agente Blye e dall’agente Deeks,
perciò quella volta andò a farsi una passeggiata
sul molo. Nonostante l’impazienza, aspettò che si
attivasse la segreteria e poi iniziò a parlare a raffica,
infervorato: «Dannazione, Steve, ti sembra il modo? Non solo
sparisci dalla faccia della terra senza dire niente a nessuno, ma
addirittura non ti interessi minimamente di quelli che sono rimasti
indietro e stanno rischiando la pelle! Saremmo io e Chin, per la
cronaca».
Riprese fiato e si guardò le scarpe per trovare il coraggio
di confessargli ciò che voleva dirgli. Ora o mai
più, si disse.
«Se questo è il mio ultimo giorno, voglio che tu
sappia la verità. Sto parlando seriamente, perciò
quando ascolterai questo messaggio – se mai lo ascolterai
– voglio che tu non rida, né sorrida,
né faccia una delle tue facce. Ci siamo capiti?
Bene».
Si umettò le labbra e socchiuse gli occhi, respirando
profondamente un’ultima volta.
Ne era davvero sicuro? continuava a chiedersi. Non sarebbe
più potuto tornare indietro, una volta fatto quel passo.
Sapeva la risposta: le circostanze erano drammatiche, non poteva
sottrarsi.
«Grace mi ha raccontato di quello che le hai detto, che io e
lei facciamo parte della tua ohana. Anche tu fai
parte della mia, mi dispiace di non avertelo mai detto prima. Tu hai
ridato un senso alla mia vita, mi hai tirato fuori dal buco che mi ero
scavato con le mie stesse mani, mi hai ricordato cosa vuol dire gioire
delle piccole cose. Hai reso sopportabili le Hawaii! E non ti ho mai
ringraziato a dovere per questo. Grazie, Steve. Chissà dove
sarei, se non ti avessi incontrato. Quello che so per certo
è che non ti chiamerò mai fratello.
Tu sei… Dio, ho già fatto una conversazione
simile ad una segreteria telefonica e ti posso assicurare che
è una sensazione orribile». Sospirò,
passandosi di nuovo la lingua tra le labbra. «Steve,
io…».
«Ehi, Danny!».
Il detective si voltò di scatto, trasalendo, e vide Chin
accennare una corsetta per raggiungerlo.
«Che c’è?», gli chiese
posandosi il cellulare sullo sterno.
«Ci sono novità, devi venire».
«Okay, un secondo!».
Aspettò che il collega si fosse voltato e si
riportò il telefono all’orecchio: «Devo
andare, devo impedire la fine del mondo. Se dovesse succedermi
qualcosa, voglio che ti occupi di Grace come se fosse tua figlia,
intesi? Devi promettermelo, Steve. Prendo il tuo silenzio come un
sì».
Stava per chiudere la conversazione, quando ci ripensò e
aggiunse frettolosamente, sentendosi avvampare: «Mi
manchi».
*
«Beh,
non dici niente?».
Danny stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di
sparargli. Almeno si sarebbe tolto una soddisfazione.
«Perché stai sorridendo? C’è
qualcosa di divertente? Ti è appena venuta in mente una
barzelletta, per caso?», gli domandò a raffica col
suo tono di voce più serio, il viso accartocciato in
un’espressione astiosa. Tutto ciò convinse Steve a
far sparire quel mezzo ghigno che era così tanto mancato a
Danny.
Senza dargli il tempo di rispondere, il biondo sollevò un
dito per intimargli di fare silenzio e gli chiese ancora:
«Perché sei tornato?».
Quella domanda ebbe il potere di sorprendere il SEAL, un evento
più unico che raro che Danny avrebbe dovuto filmare per i
posteri.
Steve aprì la bocca, ma non emise un suono, come se stesse
prendendo tempo. Alla fine si schiarì la gola e con la
stessa serietà del biondo rispose: «Ho capito che
ti stavo perdendo, che stavo cercando le risposte sbagliate. Mio padre
è morto e trovare Shelburne non cambierà le
cose».
Preso alla sprovvista, Danny balbettò: «Tu
hai… hai ascoltato i miei messaggi?».
Ed eccolo lì, il sorrisino di McGarrett, quello tanto
irritante e al contempo capace di fargli mancare un battito.
«Quali messaggi?», gli domandò,
avanzando di un passo.
Ora erano così vicini che Danny riusciva a sentire il suo
profumo e a scorgere la scintilla di malizia dentro i suoi occhi
cangianti per via della luce del sole: a volte erano blu, a volte
verdi, ma sempre e comunque mozzafiato.
Il detective sapeva che cosa stava facendo, ma non
gliel’avrebbe data vinta: non gli avrebbe ripetuto in faccia
ciò che nel corso di quelle settimane aveva lasciato
intendere più volte, non avrebbe concluso la frase che era
rimasta in sospeso prima che andasse a salvare il mondo
dall’epidemia di vaiolo. Non ancora, perlomeno.
Si era sentito sollevato di non averlo fatto, quando tutto era finito e
la popolazione mondiale non era più a rischio
d’estinzione, e si era pentito di essersi lasciato sfuggire
altre cose: aveva avuto paura di aver messo a rischio il loro delicato
rapporto, di aver tratto conclusioni frettolose e dalle conseguenze
possibilmente catastrofiche – rimanendo in tema.
Se ciò che provava per Steve andava davvero oltre
all’amicizia, al bene fraterno, come avrebbe fatto a
spiegarlo a Grace, a Rachel, a Gabby? Come avrebbe fatto a guardare in
faccia Chin e Kono senza sentirsi giudicato? Come avrebbe fatto a
lavorare ancora al suo fianco con la costante paura di perderlo?
«Perciò hai semplicemente abbandonato la missione
e sei tornato qui?», gli chiese alla fine, ignorandolo.
Steve si portò le mani sui fianchi e scrollò
leggermente le spalle, guardando di lato. «Quando hai smesso
di chiamarmi, una settimana fa, ho realizzato che ti stavi dimenticando
di me. Non potevo di certo permettere che accadesse, no?».
Danny trattenne a stento una risata e non collegò il
cervello alla lingua prima di dire: «Se dovessi prendere una
botta in testa tanto forte da farmi perdere la memoria –
anche una auto-inflitta – sono sicuro che con la fortuna che
ho tu saresti l’unica persona di cui mi ricorderei».
Quando si accorse di aver fatto l’ennesimo passo fuori dal
nastro giallo era ormai troppo tardi. Steve lo stava guardando con
dolcezza, ma quella volta non c’era alcuna traccia di
derisione nei suoi occhi sorridenti.
Danny deglutì nervosamente quando lo vide alzare una mano
per posargliela al lato del viso ed accarezzargli il cerotto sulla
fronte. A quel tocco gentile il detective chiuse gli occhi,
abbandonandosi ad un sospiro di sollievo: non era un sogno, Steve era
davvero lì con lui. Spinto dal desiderio di accertarsene al
cento percento, annullò la distanza tra di loro per
stringerlo in un abbraccio.
Il marinaio impiegò qualche secondo per ricambiare, colto
forse alla sprovvista (due volte nel giro di pochi minuti!), e quando
gli avvolse le forti braccia intorno alla schiena Danny
sentì il proprio cuore scalpitare nella gabbia toracica,
come se fosse ben determinato ad uscirgli dal petto per fondersi con
quello di Steve.
«Mi sei mancato anche tu», gli sussurrò
McGarrett all’orecchio e quella fu la scossa che
servì al detective per tornare lucido e scostarsi, mostrando
un autocontrollo di cui si stupì lui stesso. La
verità era che, se solo avesse potuto, sarebbe rimasto tutto
il giorno nell’abbraccio rassicurante del collega.
Col volto in fiamme, si schiarì la gola cercando di evitare
lo sguardo ancora intriso di dolcezza di Steve.
«Bene, ora che sei tornato puoi riprendere il tuo ruolo di
capo dispotico nella task-force. Non pensavo che l’avrei mai
detto, ma non potrei esserne più felice». Gli
diede una pacca sulla spalla e si voltò per tornare in
salotto, ma il SEAL gli chiese con un velo di preoccupazione sul viso:
«Che cosa vorresti dire?».
Danny si girò di tre quarti per rivolgergli un ghigno
divertito. «Ti consiglio solo di arrivare in anticipo,
lunedì. Cinque settimane di scartoffie arretrate non si
compilano da sole».
«Pensavo te ne fossi occupato tu!», urlò
il capitano, sconvolto dalla notizia.
Danny scosse il capo, schioccando più volte le labbra.
«Non sono mica la tua segretaria, Steven».
Il marinaio lo guardò attraversare il salotto per dirigersi
verso la porta d’ingresso e non poté evitare di
sorridere. Dopotutto gliel’aveva detto chiaro e tondo,
più volte, che gliel’avrebbe fatta pagare per
essere partito lasciandosi dietro solo una lettera.
Pensava che fosse già uscito, quando lo sentì
gridare: «Un’ultima cosa, Steve!».
«Dimmi».
«Domani mattina io e Grace andiamo in spiaggia. Le ho detto
che eri in vacanza, perciò assicurati di portarle un
souvenir».
Danny sentì il SEAL ridere sommessamente mentre gli
assicurava che avrebbe provveduto e con riluttanza si chiuse la porta
alle spalle.
Mentre attraversava il vialetto per tornare alla Camaro, il detective
non poté fare a meno di sentirsi sollevato che, nonostante
fosse riuscito ad aspettarlo per cinque settimane, quella volta avrebbe
dovuto attendere solo la durata di una notte prima di rivederlo. Ma che
senso aveva aspettare, se poteva averlo al suo fianco sin da subito?
Tornò indietro e non fece in tempo ad afferrare il pomello
che Steve aprì la porta, sorridendo soddisfatto.
«Dato che tutto ciò che c’è
in frigorifero l’ho pagato di tasca mia, ti dispiace se
rimango?», gli domandò, conoscendo già
la sua risposta. Steve si limitò a spostarsi e a fargli
cenno di entrare.
«Mi sono persino abituato al rumore delle onde,
sai?».
Il SEAL lo lasciò parlare a ruota libera, senza confessargli
che invece lui non si era affatto abituato al silenzio della sua
assenza; al contrario, se non avesse intasato di messaggi la sua
segreteria telefonica sarebbe come minimo impazzito. Danny
l’aveva salvato tanto quanto lui – se non di
più – e avevano tutto il tempo del mondo per
dimostrarselo.
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Ebbene,
siamo giunti alla conclusione!
Mi è piaciuto davvero molto scrivere questa FF e temo
proprio - per voi, si intende - che non sarà l'ultima in
questo fandom! *^*
Spero che vi sia piaciuta, che i personaggi siano rimasti abbastanza IC
e che vi abbiano trasmesso qualcosina.
Un grazie a tutti coloro che hanno letto e a Red lady che ha
commentato ogni singolo capitolo, rendendomi molto felice :)
Un bacio e alla prossima!
Vostra,
_Pulse_